martedì 30 settembre 2008

Il Partito del Sud interverra' sabato 04/10/08 a Roma al BarCamp Esperimenti Democratici





I
l Dr. Francesco Laricchia Coordinatore Nazionale Organizzativo del PdSUD interverrà con una relazione su: " Il Sud tra storia e federalismo" al BarCamp Esperimenti Democratici sabato 04/10/08 all'Università popolare di Roma - Palazzo Englefield, Via Quattro Novembre 157 . Nel cuore del centro di Roma, a due passi da piazza Venezia.


L'intervento del Dr. Laricchia sarà tenuto all'interno dello spazio autogestito "Riforme istituzionali e democrazia diretta" e sarà della durata di venti minuti dopodichè il pubblico potrà intervenire ponendo domande sull'argomento.


Per BarCamp s'intende infatti un tipo di incontro caratterizzato dalla mancanza di una scaletta prefissata di relatori e in cui non esiste un pubblico passivo. I partecipanti all'evento hanno infatti la possibilità di proporre in prima persona una presentazione o un tema di discussione, a cui seguirà una discussione con i presenti. Per ogni argomento è previsto, oltre la relazione del proponente, uno spazio per le domande e la discussione . Più di un centinaio i temi di discussione già proposti che coprono complessivamente tutti gli ambiti della "crisi della democrazia": l'illegalità delle istituzioni italiane, l'assenza di informazione, i disastri ambientali, la soppressione dei diritti delle minoranze, il debito pubblico e il clientelismo negli enti locali, la legge elettorale e le regole di democrazia interna nei partiti politici.

Tuttavia, ancor più della denuncia, gli interventi si concentreranno
sulle proposte di riforma delle istituzioni e delle organizzazioni politiche,
punti che saranno analizzati compiutamente nell'intervento del Dr. Laricchia "Il Sud tra storia e federalismo".

L'intervento del nostro dirigente sarà da noi ripreso e postato su you tube nei giorni successivi l'evento. Invitamo tutti i militanti e sostenitori a presenziare all'iniziativa e a recarsi all'evento con bandiere Nazionali e del Partito.


Saranno presenti all'evento tutti gli organi d'informazione nazionali, presenti comitati e associazioni provenienti da ogni parte d'Italia fra i quali il comitato contro la discarica di Chiaiano, i comitati toscani di difesa del territorio, il Forum italiano dei movimenti per l'acqua, alcuni Meetup di Beppe Grillo e il comitato dei ragazzi di Locri "Ammazzateci tutti".

Il PdSUD conferma, con questa ennesima presenza ad una iniziativa democratica partecipativa, di voler portare fra la gente la sua missione di risveglio della coscienza popolare in ottica meridionalista, con le radici quindi ben ancorate al passato ma con lo sguardo rivolto verso il futuro.
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I
l Dr. Francesco Laricchia Coordinatore Nazionale Organizzativo del PdSUD interverrà con una relazione su: " Il Sud tra storia e federalismo" al BarCamp Esperimenti Democratici sabato 04/10/08 all'Università popolare di Roma - Palazzo Englefield, Via Quattro Novembre 157 . Nel cuore del centro di Roma, a due passi da piazza Venezia.


L'intervento del Dr. Laricchia sarà tenuto all'interno dello spazio autogestito "Riforme istituzionali e democrazia diretta" e sarà della durata di venti minuti dopodichè il pubblico potrà intervenire ponendo domande sull'argomento.


Per BarCamp s'intende infatti un tipo di incontro caratterizzato dalla mancanza di una scaletta prefissata di relatori e in cui non esiste un pubblico passivo. I partecipanti all'evento hanno infatti la possibilità di proporre in prima persona una presentazione o un tema di discussione, a cui seguirà una discussione con i presenti. Per ogni argomento è previsto, oltre la relazione del proponente, uno spazio per le domande e la discussione . Più di un centinaio i temi di discussione già proposti che coprono complessivamente tutti gli ambiti della "crisi della democrazia": l'illegalità delle istituzioni italiane, l'assenza di informazione, i disastri ambientali, la soppressione dei diritti delle minoranze, il debito pubblico e il clientelismo negli enti locali, la legge elettorale e le regole di democrazia interna nei partiti politici.

Tuttavia, ancor più della denuncia, gli interventi si concentreranno
sulle proposte di riforma delle istituzioni e delle organizzazioni politiche,
punti che saranno analizzati compiutamente nell'intervento del Dr. Laricchia "Il Sud tra storia e federalismo".

L'intervento del nostro dirigente sarà da noi ripreso e postato su you tube nei giorni successivi l'evento. Invitamo tutti i militanti e sostenitori a presenziare all'iniziativa e a recarsi all'evento con bandiere Nazionali e del Partito.


Saranno presenti all'evento tutti gli organi d'informazione nazionali, presenti comitati e associazioni provenienti da ogni parte d'Italia fra i quali il comitato contro la discarica di Chiaiano, i comitati toscani di difesa del territorio, il Forum italiano dei movimenti per l'acqua, alcuni Meetup di Beppe Grillo e il comitato dei ragazzi di Locri "Ammazzateci tutti".

Il PdSUD conferma, con questa ennesima presenza ad una iniziativa democratica partecipativa, di voler portare fra la gente la sua missione di risveglio della coscienza popolare in ottica meridionalista, con le radici quindi ben ancorate al passato ma con lo sguardo rivolto verso il futuro.

27-30/09/1943 - 65 ANNI DALLE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI





La motivazione della medaglia d'Oro alla memoria di Gennaro Capuozzo:
Appena dodicenne, durante le giornate insurrezionali di Napoli partecipò agli scontri sostenuti contro i Tedeschi, dapprima rifornendo di munizioni i patrioti e poi impugnando egli stesso le armi. In uno scontro con carri armati tedeschi, in piedi, sprezzante della morte, tra due insorti che facevano fuoco, con indomito coraggio lanciava bombe a mano fino a che lo scoppio di una granata lo sfracellava sul posto di combattimento insieme al mitragliere che gli era al fianco.


Sono 65 anni dalla cacciata dei nazisti da Napoli, le famose Quattro Giornate (27-30 settembre 1943 - http://napoilitania.myblog.it/ ).

Io non oso paragonare in meglio o peggio la situazione di allora con quella odierna, ma i nostri nonni non scapparono di fronte alla prepotenza umana, ma si organizzarono per combatterla e cacciarla.

Come allora i nazisti tenevano in pugno Napoli e i napoletani, oggi chi fa lo stesso prepotente mestiere è la camorra, e io non penso che i napoletani sono tutti camorristi, ma quelli che sono napoletani nel cuore possano avere il coraggio di combattere questa piaga e cacciarli.
Molti diranno che la camorra è mezza Napoli, e allora questa mezza Napoli deve soccombere per far rivivere la vera Napoli.

Ma chi erano gli eroi delle Quattro Giornate? Madri, padri, fratelli, sorelle, figli, religiosi e impenitenti, soldati e disoccupati, scugnizzi e studenti, truffatori e brava gente, ricchi e poveri: NAPOLETANI.
Davanti a queste medaglie d’oro, d’argento e di bronzo i tedeschi dovettero firmare la loro capitolazione, la prima resa consegnata ad un popolo civile.

Hanno combattuto per noi, per i figli, per dargli un futuro, noi siamo quei figli, siamo i figli di quella Napoli che non volle soccombere al tiranno.

Molti dicono che Napoli è morta, nossignore, Napoli è malata di un tumore che si chiama camorra e che dopo tanti anni il dottor Stato non è riuscito a fare altro che inguaiare di più il bel Paese.
In quelle calde giornate del ’43, i nostri eroi napoletani non aspettarono l’arrivo degli americani che si trovavano a Torre Annunziata, ma agirono perché non c’era più tempo da perdere, insorsero non per l’Italia o per gli alleati, ma per loro stessi, perché si era arrivati ad un punto critico oltre il quale c’era il baratro.

Oggi, siamo al punto critico e scappiamo via, ma il baratro non lo evitiamo, ce lo portiamo appresso.

Nell’attesa di ricercare un nuovo medico migliore che ci guarisca, proviamo a curarci da soli, proviamo ad organizzarci e combattere la dilagante prepotenza camorristica;
in fondo siamo gli stessi NAPOLETANI di 65 anni fa: o no?

Fonte:Tonyan111
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La motivazione della medaglia d'Oro alla memoria di Gennaro Capuozzo:
Appena dodicenne, durante le giornate insurrezionali di Napoli partecipò agli scontri sostenuti contro i Tedeschi, dapprima rifornendo di munizioni i patrioti e poi impugnando egli stesso le armi. In uno scontro con carri armati tedeschi, in piedi, sprezzante della morte, tra due insorti che facevano fuoco, con indomito coraggio lanciava bombe a mano fino a che lo scoppio di una granata lo sfracellava sul posto di combattimento insieme al mitragliere che gli era al fianco.


Sono 65 anni dalla cacciata dei nazisti da Napoli, le famose Quattro Giornate (27-30 settembre 1943 - http://napoilitania.myblog.it/ ).

Io non oso paragonare in meglio o peggio la situazione di allora con quella odierna, ma i nostri nonni non scapparono di fronte alla prepotenza umana, ma si organizzarono per combatterla e cacciarla.

Come allora i nazisti tenevano in pugno Napoli e i napoletani, oggi chi fa lo stesso prepotente mestiere è la camorra, e io non penso che i napoletani sono tutti camorristi, ma quelli che sono napoletani nel cuore possano avere il coraggio di combattere questa piaga e cacciarli.
Molti diranno che la camorra è mezza Napoli, e allora questa mezza Napoli deve soccombere per far rivivere la vera Napoli.

Ma chi erano gli eroi delle Quattro Giornate? Madri, padri, fratelli, sorelle, figli, religiosi e impenitenti, soldati e disoccupati, scugnizzi e studenti, truffatori e brava gente, ricchi e poveri: NAPOLETANI.
Davanti a queste medaglie d’oro, d’argento e di bronzo i tedeschi dovettero firmare la loro capitolazione, la prima resa consegnata ad un popolo civile.

Hanno combattuto per noi, per i figli, per dargli un futuro, noi siamo quei figli, siamo i figli di quella Napoli che non volle soccombere al tiranno.

Molti dicono che Napoli è morta, nossignore, Napoli è malata di un tumore che si chiama camorra e che dopo tanti anni il dottor Stato non è riuscito a fare altro che inguaiare di più il bel Paese.
In quelle calde giornate del ’43, i nostri eroi napoletani non aspettarono l’arrivo degli americani che si trovavano a Torre Annunziata, ma agirono perché non c’era più tempo da perdere, insorsero non per l’Italia o per gli alleati, ma per loro stessi, perché si era arrivati ad un punto critico oltre il quale c’era il baratro.

Oggi, siamo al punto critico e scappiamo via, ma il baratro non lo evitiamo, ce lo portiamo appresso.

Nell’attesa di ricercare un nuovo medico migliore che ci guarisca, proviamo a curarci da soli, proviamo ad organizzarci e combattere la dilagante prepotenza camorristica;
in fondo siamo gli stessi NAPOLETANI di 65 anni fa: o no?

Fonte:Tonyan111

lunedì 29 settembre 2008

Raffaele Lombardo, il remaker.


Il Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo prova a far alzare l’indice della sua popolarità con uscite spettacolari che appaiono come un vero e proprio “remake” del periodo elettorale.

Promesse, promesse ed ancora promesse.
Autonomista del terzo millennio senza tanta convinzione visto che è stato presidente, molto criticato e chiacchierato anche dai media nazionali, di una istituzione che lo Statuto ha abolito nel lontano 1946, Lombardo appare essenzialmente un democristiano vecchia maniera e con una concezione della politica del consociativismo.

Nel discorso di presentazione della candidatura di Lombardo alla presidenza, l’attuale ministro della Giustizia affermò con enfasi: ” mi risulta dalle classifiche del Sole24 Ore che lui è stato il presidente di provincia più apprezzato“.
Riferito ovviamente al periodo in cui Lombardo era presidente della provincia di Catania e periodo a cui si riferisce molto probabilmente il famoso “dossier” Lombardo che da mesi circola liberamente in internet senza che sia mai stato contestato da alcuno e che si può scaricare dal sito mediafire.com (
http://www.mediafire.com/download.php?z950awjvwdd).

Un lista lunghissima di numeri di telefono, curricula, richieste di raccomandazione, nomi, cognomi, professioni dove non mancano appartenenti alle Forze dell’ Ordine, indicazioni del proponente e in qualche caso anche il risultato del’interveno.
Per molti Lombardo è il nuovo che avanza ma tutto appare vecchio e stinto e il dossier trasmette un senso di inquietudine e di preoccupazione.
Un commento del Presidente , un chiarimento, una dichiarazione su questo dossier non ci risulta e forse i siciliani una spiegazione la meriterebbero, se non altro per il rispetto che la politica deve al popolo “sovrano”.

Fuoriuscito dal partito di Cuffaro, Lombardo ha abbracciato la causa autonomista mai opita e risbocciata intorno agli anni novanta, cerca di mettersi di traverso in Parlamento dove conta come il due di picche, salvo poi rientrare nel sistema Berlusconi perché “rassicurato” delle promesse romane, ora di Letta, ora di Bossi o dello stesso Berlusconi.

Insomma le sue retromarce sono la conseguenza di assicurazioni e promesse romane.

Non sembra accorgersi invece, che per la prima volta nella storia repubblicana la Sicilia, con tanti ministri al governo nazionale come non mai e con un presidente del Senato siciliani, rischia seriamente di vedersi cancellato quello Statuto che fu conquistato con il sangue di tanti che nessuno ricorda, vedi Antonio Canepa.
Mai attuato per scelta politica siciliana in accordo con quella nazionale che generosamente elargisce contributi ed assistenze che hanno contribuito a far rinascere in Sicilia il feudalesimo, lo Statuto è diventato per Lombardo uno strumento ora da cambiare (duo Lombardo-Miccichè), poi da applicare, e più recentemente, ricompostosi il duo Miccichè-Lombardo, da aggiornare.
Senza dubbio idee chiare sull’autonomismo siciliano.

A distanza di 5 mesi dalla sua elezioni Lombardo alle sue promesse non sembra aver fatto seguire nulla di concreto. Tante esternazioni e tante belle intenzioni, vedi quella degli ATO, che rimangono nel libro delle belle intenzioni.
Le lobby continuano gli affari, i deputati continuano a bivaccare a Palazzo Reale, la macchina regionale elefantiaca continua a divorare denaro pubblico senza costrutto. Insomma, un remake del passato prossimo dell’insipienza della classe politica siciliana, che come tutti i remake, è la brutta copia dell’originale.
Però Lombardo una cosa l’ha fatta. Ha fatto si che il mastodontico ufficio stampa composto da ben 22 capi redattori e da un direttore, lavorasse. Infatti i comunicati stampa da un po’ di tempo giungono solo da questo ufficio che accentra tutti i comunicati per diramarli dalla presidenza.
Qualche cattivello pensa che accentrando i comunicati con la scusa di “parlare” con una sola voce, Lombardo controlli la voce degli assessori.

Sarà, intanto continua lo spreco.

Ma anche nel caso dell’ufficio stampa, pensando di risolvere un problema, si aggrava la situazione perché rimangono senza lavoro (?) diversi uffici stampa e tanti addetti che vengono regolarmente retribuiti.
Domanda: gli uffici stampa degli assessorati cosa fanno adesso?
Rimangono gli uffici “vacanza” di Bruxelles e di Roma con tanto di dirigenti generali, dirigenti, funzionari direttivi ed istruttori direttivi. Qualche milione di euro, né più e né meno che potrebbe e dovrebbe essere risparmiato con la loro chiusura.
Rimangono i consulenti, le auto blu, i privilegi, e rimangono senza un accenno di soluzione, tutti i problemi organizzativi, economici, politici, e malgrado si sia fatto un gran baccano per la riduzione delle assenze del personale, la “produzione” della macchina burocratica è rimasta ai livelli precedenti con un aumento della spesa.
Tutto come prima quindi, con tanto di parentopoli e assistenzialismo. Una brutta copia del passato tinta e ritinta.

La soluzione siciliana si potrà forse trovare nel commissariamento dell’Isola perchè la politica siciliana non sarà mai capace o non vorrà mai cancellare i rinati feudi mediovali.

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Il Presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo prova a far alzare l’indice della sua popolarità con uscite spettacolari che appaiono come un vero e proprio “remake” del periodo elettorale.

Promesse, promesse ed ancora promesse.
Autonomista del terzo millennio senza tanta convinzione visto che è stato presidente, molto criticato e chiacchierato anche dai media nazionali, di una istituzione che lo Statuto ha abolito nel lontano 1946, Lombardo appare essenzialmente un democristiano vecchia maniera e con una concezione della politica del consociativismo.

Nel discorso di presentazione della candidatura di Lombardo alla presidenza, l’attuale ministro della Giustizia affermò con enfasi: ” mi risulta dalle classifiche del Sole24 Ore che lui è stato il presidente di provincia più apprezzato“.
Riferito ovviamente al periodo in cui Lombardo era presidente della provincia di Catania e periodo a cui si riferisce molto probabilmente il famoso “dossier” Lombardo che da mesi circola liberamente in internet senza che sia mai stato contestato da alcuno e che si può scaricare dal sito mediafire.com (
http://www.mediafire.com/download.php?z950awjvwdd).

Un lista lunghissima di numeri di telefono, curricula, richieste di raccomandazione, nomi, cognomi, professioni dove non mancano appartenenti alle Forze dell’ Ordine, indicazioni del proponente e in qualche caso anche il risultato del’interveno.
Per molti Lombardo è il nuovo che avanza ma tutto appare vecchio e stinto e il dossier trasmette un senso di inquietudine e di preoccupazione.
Un commento del Presidente , un chiarimento, una dichiarazione su questo dossier non ci risulta e forse i siciliani una spiegazione la meriterebbero, se non altro per il rispetto che la politica deve al popolo “sovrano”.

Fuoriuscito dal partito di Cuffaro, Lombardo ha abbracciato la causa autonomista mai opita e risbocciata intorno agli anni novanta, cerca di mettersi di traverso in Parlamento dove conta come il due di picche, salvo poi rientrare nel sistema Berlusconi perché “rassicurato” delle promesse romane, ora di Letta, ora di Bossi o dello stesso Berlusconi.

Insomma le sue retromarce sono la conseguenza di assicurazioni e promesse romane.

Non sembra accorgersi invece, che per la prima volta nella storia repubblicana la Sicilia, con tanti ministri al governo nazionale come non mai e con un presidente del Senato siciliani, rischia seriamente di vedersi cancellato quello Statuto che fu conquistato con il sangue di tanti che nessuno ricorda, vedi Antonio Canepa.
Mai attuato per scelta politica siciliana in accordo con quella nazionale che generosamente elargisce contributi ed assistenze che hanno contribuito a far rinascere in Sicilia il feudalesimo, lo Statuto è diventato per Lombardo uno strumento ora da cambiare (duo Lombardo-Miccichè), poi da applicare, e più recentemente, ricompostosi il duo Miccichè-Lombardo, da aggiornare.
Senza dubbio idee chiare sull’autonomismo siciliano.

A distanza di 5 mesi dalla sua elezioni Lombardo alle sue promesse non sembra aver fatto seguire nulla di concreto. Tante esternazioni e tante belle intenzioni, vedi quella degli ATO, che rimangono nel libro delle belle intenzioni.
Le lobby continuano gli affari, i deputati continuano a bivaccare a Palazzo Reale, la macchina regionale elefantiaca continua a divorare denaro pubblico senza costrutto. Insomma, un remake del passato prossimo dell’insipienza della classe politica siciliana, che come tutti i remake, è la brutta copia dell’originale.
Però Lombardo una cosa l’ha fatta. Ha fatto si che il mastodontico ufficio stampa composto da ben 22 capi redattori e da un direttore, lavorasse. Infatti i comunicati stampa da un po’ di tempo giungono solo da questo ufficio che accentra tutti i comunicati per diramarli dalla presidenza.
Qualche cattivello pensa che accentrando i comunicati con la scusa di “parlare” con una sola voce, Lombardo controlli la voce degli assessori.

Sarà, intanto continua lo spreco.

Ma anche nel caso dell’ufficio stampa, pensando di risolvere un problema, si aggrava la situazione perché rimangono senza lavoro (?) diversi uffici stampa e tanti addetti che vengono regolarmente retribuiti.
Domanda: gli uffici stampa degli assessorati cosa fanno adesso?
Rimangono gli uffici “vacanza” di Bruxelles e di Roma con tanto di dirigenti generali, dirigenti, funzionari direttivi ed istruttori direttivi. Qualche milione di euro, né più e né meno che potrebbe e dovrebbe essere risparmiato con la loro chiusura.
Rimangono i consulenti, le auto blu, i privilegi, e rimangono senza un accenno di soluzione, tutti i problemi organizzativi, economici, politici, e malgrado si sia fatto un gran baccano per la riduzione delle assenze del personale, la “produzione” della macchina burocratica è rimasta ai livelli precedenti con un aumento della spesa.
Tutto come prima quindi, con tanto di parentopoli e assistenzialismo. Una brutta copia del passato tinta e ritinta.

La soluzione siciliana si potrà forse trovare nel commissariamento dell’Isola perchè la politica siciliana non sarà mai capace o non vorrà mai cancellare i rinati feudi mediovali.

Immondizia


Di Vincenzo Cerami


Parola in voga e nauseabonda quella di oggi: «Immondizia». Immaginiamo una scolaresca della scuola elementare «San Francesco» a Crotone.
Ma potremmo immaginare anche altre scuole della zona.
I bambini sono meridionali e fra poco dovranno indossare il grembiulino di marca dozzinale, mentre in regioni più fortunate i bimbi vestiranno zinali Armani o Benetton, cifrati e con fiocchi fru fru.Li vediamo nei banchi scalcagnati tra pareti costruite con i rifiuti tossici destinati alle discariche.
I piccoli respirano arsenico, zinco, piombo, e mercurio. Tutte sostanze cancerogene. Non solo, ma tornando a casa cammineranno su strade fatte sempre di rifiuti mescolati e compressi.
Le immondizie, infatti, da quelle parti vengono riciclate in forma di pareti, tetti, strade, cortili e aule scolastiche: un bouquet di veleni che se non ammazza ingrassa.
Poi, al suono della campanella, questi innocenti ragazzini tornano a casa scansando i cassonetti rigonfi che sanno di pesce marcio.
Per fortuna la nuova legge della Gelmini risparmia loro il ritorno pomeridiano a scuola, e i piccoli fegati possono riprendere fiato.
Fatti i compiti, guardano la televisione.
Ed ecco riversarsi in casa una cascata di altra immondizia: ore e ore di uomini e donne che fanno finta di piangere davanti alla telecamera perché abbandonati dal loro amore, che si rattristano per non aver indovinato il quiz, che cercano fortuna perché non ce la fanno ad andare avanti con il misero stipendio o perché da sempre sognano un viaggio alle Canarie.
I genitori di questi bambini, altrettanto ignari dell’immondizia che li circonda e che respirano, si sentono privilegiati nel vedere che gli immigrati stanno peggio di loro perché non sono italiani.
La mattina dopo, fieri di sé, accompagnano i figli a scuola, in quella scuola costruita da poco, nuova di zecca, con le pareti intonse e verniciate di fresco. Portano i figli nel braccio della morte e non lo sanno.
Non sanno che qualcuno li avvelena, sanno solo quello che dice la televisione.

Fonte: l'Unità del 28/09/2008
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Di Vincenzo Cerami


Parola in voga e nauseabonda quella di oggi: «Immondizia». Immaginiamo una scolaresca della scuola elementare «San Francesco» a Crotone.
Ma potremmo immaginare anche altre scuole della zona.
I bambini sono meridionali e fra poco dovranno indossare il grembiulino di marca dozzinale, mentre in regioni più fortunate i bimbi vestiranno zinali Armani o Benetton, cifrati e con fiocchi fru fru.Li vediamo nei banchi scalcagnati tra pareti costruite con i rifiuti tossici destinati alle discariche.
I piccoli respirano arsenico, zinco, piombo, e mercurio. Tutte sostanze cancerogene. Non solo, ma tornando a casa cammineranno su strade fatte sempre di rifiuti mescolati e compressi.
Le immondizie, infatti, da quelle parti vengono riciclate in forma di pareti, tetti, strade, cortili e aule scolastiche: un bouquet di veleni che se non ammazza ingrassa.
Poi, al suono della campanella, questi innocenti ragazzini tornano a casa scansando i cassonetti rigonfi che sanno di pesce marcio.
Per fortuna la nuova legge della Gelmini risparmia loro il ritorno pomeridiano a scuola, e i piccoli fegati possono riprendere fiato.
Fatti i compiti, guardano la televisione.
Ed ecco riversarsi in casa una cascata di altra immondizia: ore e ore di uomini e donne che fanno finta di piangere davanti alla telecamera perché abbandonati dal loro amore, che si rattristano per non aver indovinato il quiz, che cercano fortuna perché non ce la fanno ad andare avanti con il misero stipendio o perché da sempre sognano un viaggio alle Canarie.
I genitori di questi bambini, altrettanto ignari dell’immondizia che li circonda e che respirano, si sentono privilegiati nel vedere che gli immigrati stanno peggio di loro perché non sono italiani.
La mattina dopo, fieri di sé, accompagnano i figli a scuola, in quella scuola costruita da poco, nuova di zecca, con le pareti intonse e verniciate di fresco. Portano i figli nel braccio della morte e non lo sanno.
Non sanno che qualcuno li avvelena, sanno solo quello che dice la televisione.

Fonte: l'Unità del 28/09/2008

Milano capitale della ’Ndrangheta?


Di Elia Banelli


"E’ stato assassinato a Legnago Cataldo Aloisio, 34 anni, genero del capomafia di Cirò Marina (provincia di Crotone, ndr) Giuseppe Farao, attualmente detenuto. Il corpo è stato trovato ieri mattina in campagna. I killer gli hanno sparato un colpo di pistola alla nuca.
Allarme dalla Dda, secondo la quale il delitto confermerebbe il fatto che Milano stia diventando la vera capitale della ’ndrangheta".
Questa notizia, che desta scalpore e dovrebbe essere urlata nei titoli dei principali quotidiani, o almeno valorizzata tra le prime pagine, si trova pubblicata in un piccolo trafiletto in basso a destra a pagina 17 di Repubblica, con le poche righe di cui sopra.
Il fatto che gli inquierenti ipotizzino che Milano stia diventando la capitale della mafia calabrese viene reputato meno importante di:
1) La lite Bindi-Rutelli sulla nuova corrente "Per" erede dei teodem.
2) Una citazione di San Francesco di Giorgio Tonini, della segreteria del Pd.
3) La lite Vendola-Ferrero che lacera il Prc.
4) Bossi che dice che Maroni è il suo vero delfino e non suo figlio.
5) La polemica Granbassi-Cossiga.
E’ l’informazione italiana, bellezza!


Fonte: Agoravox
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Di Elia Banelli


"E’ stato assassinato a Legnago Cataldo Aloisio, 34 anni, genero del capomafia di Cirò Marina (provincia di Crotone, ndr) Giuseppe Farao, attualmente detenuto. Il corpo è stato trovato ieri mattina in campagna. I killer gli hanno sparato un colpo di pistola alla nuca.
Allarme dalla Dda, secondo la quale il delitto confermerebbe il fatto che Milano stia diventando la vera capitale della ’ndrangheta".
Questa notizia, che desta scalpore e dovrebbe essere urlata nei titoli dei principali quotidiani, o almeno valorizzata tra le prime pagine, si trova pubblicata in un piccolo trafiletto in basso a destra a pagina 17 di Repubblica, con le poche righe di cui sopra.
Il fatto che gli inquierenti ipotizzino che Milano stia diventando la capitale della mafia calabrese viene reputato meno importante di:
1) La lite Bindi-Rutelli sulla nuova corrente "Per" erede dei teodem.
2) Una citazione di San Francesco di Giorgio Tonini, della segreteria del Pd.
3) La lite Vendola-Ferrero che lacera il Prc.
4) Bossi che dice che Maroni è il suo vero delfino e non suo figlio.
5) La polemica Granbassi-Cossiga.
E’ l’informazione italiana, bellezza!


Fonte: Agoravox

Chi uccise Borsellino?


Di Alfio Caruso


Palermo - Le dichiarazioni rese da Massimo Ciancimino alla procura di Palermo gettano una nuova luce sulla trattativa segreta sviluppatasi fra lo Stato e l’Antistato nella primavera-estate del 1992.
E già: finora la versione ufficiale raccontava che soltanto all’indomani della strage di via D’Amelio (19 luglio, massacro di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina) i carabinieri contattarono Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo già condannato per reati di mafia.
L’allora colonnello del Ros Mario Mori ha sempre affermato di aver incontrato Ciancimino ai primi di agosto nella sua abitazione romana di via San Sebastianello.

Massimo Ciancimino è stato un testimone molto attento di quel periodo: era diventato l’ombra del padre, l’esecutore di alcuni suoi disegni al punto che nel 2007 è stato condannato a oltre cinque anni di galera per averne riciclato il tesoro con la complicità d’insospettabili professionisti.
Gli investigatori lo ritengono assai attendibile e per di più niente di quanto ha affermato è servito ad alleggerire la sua posizione processuale o ad allontanare la condanna a morte pronunciata sedici anni addietro da Riina.
Ebbene Ciancimino ha messo a verbale che gli incontri con il capitano De Donno, il tramite iniziale, e il colonnello Mori incominciarono all’inizio di giugno e ben tre avvennero prima della mattanza di Borsellino e della scorta.
Ma sono numerosi gli episodi rievocati da Ciancimino e ciascuno di essi contraddice quanto affermato fin qui dai rappresentanti delle istituzioni.
Il primo appuntamento Ai primi di giugno del 1992, sul volo Palermo-Roma, Ciancimino jr s’imbatte nel capitano De Donno, conosciuto durante gli interrogatori di Falcone al genitore.
Ottenuti dalla hostess due posti contigui, De Donno domanda a Massimo se al padre può interessare una chiacchierata con lui.
Il vecchio Ciancimino chiede di conoscerne in anticipo il contenuto.
De Donno rivela a Massimo che si punta alla cattura dei boss latitanti: naturalmente, avrebbe aggiunto il capitano, se tuo padre ci aiuta, noi vedremo di fargli trarre qualche beneficio. Appreso di che cosa si tratta, Vito Ciancimino rientra di corsa a Palermo. Contatta qualcuno? Cerca un'autorizzazione? Massimo informa De Donno che l’aspetta a Roma.
Lo Stato e l’Antistato s’incontrano nel salone dell’appartamento di via San Sebastianello seguendo una prassi battezzata nel 1950 allorché bisognò ingabbiare Salvatore Giuliano.
Massimo viene relegato in un’altra stanza e convocato dopo un’ora e mezzo per accompagnare il capitano alla porta.
Tre giorni più tardi, intorno alla fine di giugno, De Donno si presenta con il colonnello Mori. Stavolta il colloquio dura un paio di ore. Alla fine Mori raccomanda a Massimo di essere prudente nei suoi spostamenti siciliani, mentre il padre gli svela che il colonnello ha chiesto la cattura dei superlatitanti.
Si può fare, è il suo giudizio lapidario. E il pensiero corre a Totò Riina, con il quale Ciancimino mai si è inteso, non certo a Provenzano, di cui è il principale consigliere politico. Un’amicizia cominciata a Corleone quando Vito impartiva lezioni di matematica al piccolo Binnu con l’aggiunta dello scappellotto in caso di errori o disattenzioni.
Ciancimino torna a Palermo e nella casa sulla curva di Monte Pellegrino riceve una persona distinta, coperta da omissis, che gli consegna la busta contenente il foglio con le dodici richieste di Cosa Nostra per non compiere più attentati.
È il famoso papello scritto a penna. Leggendolo, a Ciancimino sfugge un’imprecazione: è il solito testa di minchia, riferendosi all’autore.
Secondo Massimo il padre aveva subito riconosciuto che si trattava di Riina. Davanti alle insistenze dei sostituti procuratori, Massimo chiarisce che al padre bastava leggere una frase per capire se l’aveva scritta Riina o Provenzano. Ciancimino spiega al figlio che di quelle dodici richieste, tre-quattro sono trattabili, ma le altre proprio no. Anzi, sospetta che siano state inserite per mandare a gambe all’aria ogni possibilità d’intesa. Comunque spiega di dover avvisare Mori, benché preveda di essere spedito a quel paese.
Dodici richieste Con il papello in tasca Ciancimino risale a Roma.
Massimo convoca di nuovo De Donno, che spunta assieme a Mori.
Al colonnello viene mostrato il foglio con le dodici richieste, circostanza sempre negata da Mori, il quale avrebbe ribattuto domandando la consegna di Riina.
A questo punto si conclude la prima parte della trattativa, la quale riparte dopo il macello di via D’Amelio.
Alla ripresa avviene però un cambiamento importante: esce di scena il dottor Nino Cinà - indicato con il nome in codice di dottor Iolanda, il neurologo al servizio della mafia costretto a barcamenarsi fra l’incudine (Provenzano) e il martello (Riina) - e vi subentra Binnu in persona.
Massimo spiega che con l’eliminazione di Borsellino suo padre e Provenzano avevano capito che Riina andava neutralizzato.
Addirittura Massimo sostiene che Provenzano abbandoni il rifugio sicuro in Germania e ricompaia in Sicilia. Cambia anche la finalità della trattativa: anziché la resa di Cosa Nostra con la consegna dei superlatitanti, la cattura di Totò Riina. Ciancimino riceve da Provenzano diversi pizzini scritti a penna: dopo averli letti li strappa minuziosamente. Allora si fa consegnare da De Donno alcune piantine topografiche gialle e verdi di Palermo e su una di queste segna la zona dov'è nascosto Totò u' curtu. Ciancimino jr dice ai magistrati che il padre raccolse quest’informazione in ventiquattr’ore prima di consegnare la mappa a De Donno nell’ultimo incontro in casa.
Il 19 dicembre è arrestato Ciancimino, il 15 gennaio 1993 tocca a Riina. Ufficialmente grazie a Balduccio Di Maggio, che riconosce moglie e figlia del capo dei capi nelle riprese filmate di nascosto dai carabinieri del capitano Ultimo. Quanto fin qui dichiarato da Massimo Ciancimino s’incastona alla perfezione con un vecchio verbale di Nino Giuffrè, boss di Cacciamo, uno dei bracci sinistri di Provenzano ammanettato nel 2002 e immediatamente divenuto collaboratore di giustizia. Giuffrè rammentò che nel gennaio ’93 zu Binnu gli aveva detto di non preoccuparsi delle confidenze di Ciancimino ai carabinieri: era in missione per conto di Cosa Nostra. E sulla cattura di Riina pronunciò frasi che oggi assumono un valore particolare: Provenzano aveva le spalle coperte da una divinità e ogni tanto a questa divinità doveva offrire sacrifici umani.
Nelle parole di Giuffrè pure la mancata perquisizione della villa di via Bernini faceva parte dell’accordo: acchiapparono Totò in strada - è la sua tesi - per lasciare il tempo a noi altri di far sparire dalla casa documenti, lettere, bigliettini.
Così Provenzano, garante di una mafia che non sfiderà più lo Stato, s'incammina verso il potere assoluto. All’interno delle famiglie si diffonde la voce che sia un confidente degli sbirri cu’ giummu (i carabinieri), lui mostra di riderci sopra.
Cadono Bagarella e Brusca, gli ultimi alleati di Riina; Messina Denaro s’isola nel suo feudo trapanese;
Provenzano assicura gli accoliti che in dieci anni la situazione cambierà, promette di trovare nuovi interlocutori nella politica.
Fa sua la famosa battuta di Badalamenti: Cosa Nostra per prosperare dev’essere governativa come la Fiat.
Ma le rievocazioni di Ciancimino jr riaprono anche il lato oscuro dell’assassinio di Borsellino. Dopo sedici anni sono ancora ignoti il movente preciso, l’esecutore, il luogo da dove fu azionato il timer.
E se Borsellino avesse avuto sentore della trattativa in corso fra lo Stato e l’Antistato?
E se l’Antistato avesse deciso di eliminare un ostacolo a questa trattativa?


Fonte:La Stampa 27 settembre 2008
Leggi tutto »

Di Alfio Caruso


Palermo - Le dichiarazioni rese da Massimo Ciancimino alla procura di Palermo gettano una nuova luce sulla trattativa segreta sviluppatasi fra lo Stato e l’Antistato nella primavera-estate del 1992.
E già: finora la versione ufficiale raccontava che soltanto all’indomani della strage di via D’Amelio (19 luglio, massacro di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Claudio Traina) i carabinieri contattarono Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo già condannato per reati di mafia.
L’allora colonnello del Ros Mario Mori ha sempre affermato di aver incontrato Ciancimino ai primi di agosto nella sua abitazione romana di via San Sebastianello.

Massimo Ciancimino è stato un testimone molto attento di quel periodo: era diventato l’ombra del padre, l’esecutore di alcuni suoi disegni al punto che nel 2007 è stato condannato a oltre cinque anni di galera per averne riciclato il tesoro con la complicità d’insospettabili professionisti.
Gli investigatori lo ritengono assai attendibile e per di più niente di quanto ha affermato è servito ad alleggerire la sua posizione processuale o ad allontanare la condanna a morte pronunciata sedici anni addietro da Riina.
Ebbene Ciancimino ha messo a verbale che gli incontri con il capitano De Donno, il tramite iniziale, e il colonnello Mori incominciarono all’inizio di giugno e ben tre avvennero prima della mattanza di Borsellino e della scorta.
Ma sono numerosi gli episodi rievocati da Ciancimino e ciascuno di essi contraddice quanto affermato fin qui dai rappresentanti delle istituzioni.
Il primo appuntamento Ai primi di giugno del 1992, sul volo Palermo-Roma, Ciancimino jr s’imbatte nel capitano De Donno, conosciuto durante gli interrogatori di Falcone al genitore.
Ottenuti dalla hostess due posti contigui, De Donno domanda a Massimo se al padre può interessare una chiacchierata con lui.
Il vecchio Ciancimino chiede di conoscerne in anticipo il contenuto.
De Donno rivela a Massimo che si punta alla cattura dei boss latitanti: naturalmente, avrebbe aggiunto il capitano, se tuo padre ci aiuta, noi vedremo di fargli trarre qualche beneficio. Appreso di che cosa si tratta, Vito Ciancimino rientra di corsa a Palermo. Contatta qualcuno? Cerca un'autorizzazione? Massimo informa De Donno che l’aspetta a Roma.
Lo Stato e l’Antistato s’incontrano nel salone dell’appartamento di via San Sebastianello seguendo una prassi battezzata nel 1950 allorché bisognò ingabbiare Salvatore Giuliano.
Massimo viene relegato in un’altra stanza e convocato dopo un’ora e mezzo per accompagnare il capitano alla porta.
Tre giorni più tardi, intorno alla fine di giugno, De Donno si presenta con il colonnello Mori. Stavolta il colloquio dura un paio di ore. Alla fine Mori raccomanda a Massimo di essere prudente nei suoi spostamenti siciliani, mentre il padre gli svela che il colonnello ha chiesto la cattura dei superlatitanti.
Si può fare, è il suo giudizio lapidario. E il pensiero corre a Totò Riina, con il quale Ciancimino mai si è inteso, non certo a Provenzano, di cui è il principale consigliere politico. Un’amicizia cominciata a Corleone quando Vito impartiva lezioni di matematica al piccolo Binnu con l’aggiunta dello scappellotto in caso di errori o disattenzioni.
Ciancimino torna a Palermo e nella casa sulla curva di Monte Pellegrino riceve una persona distinta, coperta da omissis, che gli consegna la busta contenente il foglio con le dodici richieste di Cosa Nostra per non compiere più attentati.
È il famoso papello scritto a penna. Leggendolo, a Ciancimino sfugge un’imprecazione: è il solito testa di minchia, riferendosi all’autore.
Secondo Massimo il padre aveva subito riconosciuto che si trattava di Riina. Davanti alle insistenze dei sostituti procuratori, Massimo chiarisce che al padre bastava leggere una frase per capire se l’aveva scritta Riina o Provenzano. Ciancimino spiega al figlio che di quelle dodici richieste, tre-quattro sono trattabili, ma le altre proprio no. Anzi, sospetta che siano state inserite per mandare a gambe all’aria ogni possibilità d’intesa. Comunque spiega di dover avvisare Mori, benché preveda di essere spedito a quel paese.
Dodici richieste Con il papello in tasca Ciancimino risale a Roma.
Massimo convoca di nuovo De Donno, che spunta assieme a Mori.
Al colonnello viene mostrato il foglio con le dodici richieste, circostanza sempre negata da Mori, il quale avrebbe ribattuto domandando la consegna di Riina.
A questo punto si conclude la prima parte della trattativa, la quale riparte dopo il macello di via D’Amelio.
Alla ripresa avviene però un cambiamento importante: esce di scena il dottor Nino Cinà - indicato con il nome in codice di dottor Iolanda, il neurologo al servizio della mafia costretto a barcamenarsi fra l’incudine (Provenzano) e il martello (Riina) - e vi subentra Binnu in persona.
Massimo spiega che con l’eliminazione di Borsellino suo padre e Provenzano avevano capito che Riina andava neutralizzato.
Addirittura Massimo sostiene che Provenzano abbandoni il rifugio sicuro in Germania e ricompaia in Sicilia. Cambia anche la finalità della trattativa: anziché la resa di Cosa Nostra con la consegna dei superlatitanti, la cattura di Totò Riina. Ciancimino riceve da Provenzano diversi pizzini scritti a penna: dopo averli letti li strappa minuziosamente. Allora si fa consegnare da De Donno alcune piantine topografiche gialle e verdi di Palermo e su una di queste segna la zona dov'è nascosto Totò u' curtu. Ciancimino jr dice ai magistrati che il padre raccolse quest’informazione in ventiquattr’ore prima di consegnare la mappa a De Donno nell’ultimo incontro in casa.
Il 19 dicembre è arrestato Ciancimino, il 15 gennaio 1993 tocca a Riina. Ufficialmente grazie a Balduccio Di Maggio, che riconosce moglie e figlia del capo dei capi nelle riprese filmate di nascosto dai carabinieri del capitano Ultimo. Quanto fin qui dichiarato da Massimo Ciancimino s’incastona alla perfezione con un vecchio verbale di Nino Giuffrè, boss di Cacciamo, uno dei bracci sinistri di Provenzano ammanettato nel 2002 e immediatamente divenuto collaboratore di giustizia. Giuffrè rammentò che nel gennaio ’93 zu Binnu gli aveva detto di non preoccuparsi delle confidenze di Ciancimino ai carabinieri: era in missione per conto di Cosa Nostra. E sulla cattura di Riina pronunciò frasi che oggi assumono un valore particolare: Provenzano aveva le spalle coperte da una divinità e ogni tanto a questa divinità doveva offrire sacrifici umani.
Nelle parole di Giuffrè pure la mancata perquisizione della villa di via Bernini faceva parte dell’accordo: acchiapparono Totò in strada - è la sua tesi - per lasciare il tempo a noi altri di far sparire dalla casa documenti, lettere, bigliettini.
Così Provenzano, garante di una mafia che non sfiderà più lo Stato, s'incammina verso il potere assoluto. All’interno delle famiglie si diffonde la voce che sia un confidente degli sbirri cu’ giummu (i carabinieri), lui mostra di riderci sopra.
Cadono Bagarella e Brusca, gli ultimi alleati di Riina; Messina Denaro s’isola nel suo feudo trapanese;
Provenzano assicura gli accoliti che in dieci anni la situazione cambierà, promette di trovare nuovi interlocutori nella politica.
Fa sua la famosa battuta di Badalamenti: Cosa Nostra per prosperare dev’essere governativa come la Fiat.
Ma le rievocazioni di Ciancimino jr riaprono anche il lato oscuro dell’assassinio di Borsellino. Dopo sedici anni sono ancora ignoti il movente preciso, l’esecutore, il luogo da dove fu azionato il timer.
E se Borsellino avesse avuto sentore della trattativa in corso fra lo Stato e l’Antistato?
E se l’Antistato avesse deciso di eliminare un ostacolo a questa trattativa?


Fonte:La Stampa 27 settembre 2008

EPAP:17,7 milioni di euro spariti nel nulla, e tutti sono freschi e tranquilli!

Dopo quello che è successo, cioè la perdita di 15,7 milioni di euro, sono andato a spulciarmi i dati del bilancio dell'EPAP del 2007.

Quante cose "carine" ho riscontrato.

1) Gli Organi Statutari, cioè quelli che ci hanno fatto perdere 15,7 milioni di euro, hanno avuto un costo di € 1.279.423, ovvero di 2.477.308.372 delle vecchie lire (un mare di soldi!). In pratica basta che per soli 12 anni non si prendano gli stipendi ed il buco si ripiana.

2) In bilancio ci sono ben € 378.390 per compensi professionali e di lavoro autonomo. Chiederò a chi sono stati pagati, ... non vorrei che fossero gli stessi ....

3) Altri € 907.987 sono per spese varie. Spese varie? E che sono questi quasi due miliardi di vecchie lire per spese? Se sono caffè ... sono 1.134.983 ovvero 3.110 caffè al giorno! Altrimenti cosa sono queste spese per la "modica" cifra di € 907.987???

4) Il sistema informativo SIPA è costato nel 2007 ben € 255.260, ma aveva avuto un costo di € 186.720 nel 2006. E che fanno ogni anno in questo sistema informativo??? Sarà un sistema informativo collegato via satellite con i nostri neuroni cerebrali?
5) Ho tralasciato per ultimo questo dato che scrivo, perchè mi sembra il più bello: in bilancio ci sono € 2.097.949 (4.062.195.710 di vecchie lire) persi su titoli, il che significa che anche l'anno scorso la gestione è stata quanto meno ... discutibile.


Così la perdita di 15,7 milioni di euro va incrementata di altri 2, raggiungendosi la iperbolica cifra di € 17.700.000 persi, e che non ci troveremo più nelle nostre pensioni .... soldi buttati nel gabinetto!

Una gestione a dir poco sconcertante.

Cifre e numeri fanno pensare, e mi rammarico di non aver letto prima questi numeri folli!

Forse ci vorrebbe una presa di coscienza da parte degli "Organi Statutari".

Un dietro-front, fare le valigie ed andare a casa, come avviene nelle migliori famiglie!


*******************

Dal blog VIGOPENSIERO del 23 Settembre scorso...

SENZA PAROLE

Per tutti i colleghi ... andate a leggere questo comunicato del Presidente dell'EPAP a
questo link.
I nostri versamenti annuali in pericolo?
Ma scherziamo?

Allora è meglio l'INPS!!!!

Parte dei nostri accantonamenti sono stati investiti in titoli della banca d’affari Lehman Brothers, per un importo di 10,7 e 5 milioni di euro!!!
Il Presidente dichiara che la sfortuna che il rimborso del titolo per 10,7 milioni era previsto per il 16 settembre 2008, il giorno successivo alla notizia del fallimento.

E poi ancora che la situazione è seria, non è da prendere “sottogamba".
Sono sconcertato, e penso di rivolgermi ad un legale: non si può giocare così con le nostre pensioni!
Segnalazione: A Rarika
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Dopo quello che è successo, cioè la perdita di 15,7 milioni di euro, sono andato a spulciarmi i dati del bilancio dell'EPAP del 2007.

Quante cose "carine" ho riscontrato.

1) Gli Organi Statutari, cioè quelli che ci hanno fatto perdere 15,7 milioni di euro, hanno avuto un costo di € 1.279.423, ovvero di 2.477.308.372 delle vecchie lire (un mare di soldi!). In pratica basta che per soli 12 anni non si prendano gli stipendi ed il buco si ripiana.

2) In bilancio ci sono ben € 378.390 per compensi professionali e di lavoro autonomo. Chiederò a chi sono stati pagati, ... non vorrei che fossero gli stessi ....

3) Altri € 907.987 sono per spese varie. Spese varie? E che sono questi quasi due miliardi di vecchie lire per spese? Se sono caffè ... sono 1.134.983 ovvero 3.110 caffè al giorno! Altrimenti cosa sono queste spese per la "modica" cifra di € 907.987???

4) Il sistema informativo SIPA è costato nel 2007 ben € 255.260, ma aveva avuto un costo di € 186.720 nel 2006. E che fanno ogni anno in questo sistema informativo??? Sarà un sistema informativo collegato via satellite con i nostri neuroni cerebrali?
5) Ho tralasciato per ultimo questo dato che scrivo, perchè mi sembra il più bello: in bilancio ci sono € 2.097.949 (4.062.195.710 di vecchie lire) persi su titoli, il che significa che anche l'anno scorso la gestione è stata quanto meno ... discutibile.


Così la perdita di 15,7 milioni di euro va incrementata di altri 2, raggiungendosi la iperbolica cifra di € 17.700.000 persi, e che non ci troveremo più nelle nostre pensioni .... soldi buttati nel gabinetto!

Una gestione a dir poco sconcertante.

Cifre e numeri fanno pensare, e mi rammarico di non aver letto prima questi numeri folli!

Forse ci vorrebbe una presa di coscienza da parte degli "Organi Statutari".

Un dietro-front, fare le valigie ed andare a casa, come avviene nelle migliori famiglie!


*******************

Dal blog VIGOPENSIERO del 23 Settembre scorso...

SENZA PAROLE

Per tutti i colleghi ... andate a leggere questo comunicato del Presidente dell'EPAP a
questo link.
I nostri versamenti annuali in pericolo?
Ma scherziamo?

Allora è meglio l'INPS!!!!

Parte dei nostri accantonamenti sono stati investiti in titoli della banca d’affari Lehman Brothers, per un importo di 10,7 e 5 milioni di euro!!!
Il Presidente dichiara che la sfortuna che il rimborso del titolo per 10,7 milioni era previsto per il 16 settembre 2008, il giorno successivo alla notizia del fallimento.

E poi ancora che la situazione è seria, non è da prendere “sottogamba".
Sono sconcertato, e penso di rivolgermi ad un legale: non si può giocare così con le nostre pensioni!
Segnalazione: A Rarika

Catania in bancarotta si consola con le miss


Sessanta indagati per un crac senza precedenti:
700 milioni


Di Alfio Caruso


CATANIA Anche l’odore della notte è cambiato a piazza Umberto. In realtà da quasi novant’anni si chiama piazza Vittorio Emanuele III, ma il giorno dopo l’inaugurazione i catanesi cominciarono a indicarla con il nome della strada sulla quale si affaccia e pazienza per sua maestà, che aveva persino spedito un telegramma di ringraziamenti. Negli anni della spensieratezza c’era l’odore del gelsomino d’Arabia, con il quale erano addobbati i due chioschi, c’era l’odore degli sciroppi, c’era l’odore della menta che tendeva a sopraffare gli altri. D’estate, su tavolini improvvisati, fiorivano le sfide a briscola in cinque e a zecchinetta, al cui confronto lo chemin de fer è un passatempo da monaci di clausura. Ogni vittoria procurava un giro di orzate, di champagnino, di completo (limone, orzata, gocce di anice, seltz) per gli amici e per i picciotti; quelli deboli di stomaco si accontentavano del tamarindo, che a metà bicchiere dava diritto all’aggiunta di bicarbonato in aiuto alla digestione.
In questa sera di fine settembre, con l’infida arietta subentrata alla calura del giorno, si respirano sentori di marcio e di bruciato. I primi provengono dalla spazzatura in continuo accumulo sui marciapiedi, i secondi dalle graticole di rosticcerie e di ristoranti, che in barba a permessi e divieti si sono impadroniti delle stradine laterali. Inseguendo il ricordo della brezza marina, nell’alternarsi di strade buie e di altre fiocamente illuminate, s’imbocca corso Italia, l’unica via ad aver conservato una parvenza di eleganza e di benessere, ma non si sfocia più nella piazza con la vista mozzafiato dell’insenatura punteggiata dalle lampare dei pescatori, il respiro del mare ad accarezzare lo scorrere delle ore. Piazza Europa continua a esserci, ma la sciagurata decisione della giunta Scapagnini di trasformarla in un enorme parcheggio l’ha stravolta. Da oltre un anno appare un campo di battaglia. L’intervento della magistratura per bloccare due centri commerciali assenti nel progetto iniziale ha stoppato i lavori e non è prevista una data per la ripresa. Così Catania è priva sia del velleitario megaricovero di auto, utile soltanto ai suoi costruttori, sia dell’affascinante colpo d’occhio che apriva la riviera dei Ciclopi. Fortunatamente la città ha altro con cui baloccarsi: la squadra quarta in classifica e soprattutto le due stangone arrivate prima e seconda al concorso di miss Italia. Miriam Leone e Marianna Di Martino impazzano sulle pagine de «La Sicilia» e in ogni manifestazione pubblica con contorno di onorevoli e di consiglieri comunali in cerca di foto e di luce riflessa.
“Catania capitale della bellezza” inorgoglisce i suoi abitanti e mette in secondo piano le bollette non pagate all’Enel, le cooperative addette ai servizi sociali senza stipendio da gennaio, il rifiuto dei dipendenti del cimitero di seppellire i defunti, l’incubo di una raccolta dell’immondizia sempre in bilico, gli impiegati comunali che l’altro giorno hanno manifestato in piazza Duomo preoccupati per il proprio futuro e inferociti per i 2 milioni 130 mila euro distribuiti ad agosto ai dirigenti. Figurano quale premio per i risultati conseguiti nel 2006 quando il deficit toccò i 700 milioni di euro. E fanno il paio con la famosa indennità «cenere dell’Etna» elargita dall’allora sindaco Scapagnini agli oltre quattromila stipendiati del Comune per favorire la propria rielezione nel 2005. A causa di tale regalo fatto con i nostri soldi l’alchimista delle pozioni magiche, caro al cuore, e non solo, di Berlusconi, è già stato condannato in primo grado.
Dopo esser stato riverito e lisciato per sette anni, ora Scapagnini rappresenta l’oggetto di qualsiasi critica. Eppure non è l’unico responsabile dello sfascio. Era soprattutto un elegante incompetente, l’uomo sbagliato nel posto sbagliato, capace di definire il «mio Tremonti» l’assessore al Bilancio D’Asero, accusato da tre indagini della Corte dei Conti e da una del ministero delle Finanze di aver presentato nel 2003 e nel 2004 bilanci non veritieri: risultavano in pareggio, viceversa nascondevano deficit di 40,6 e di 42,7 milioni di euro. E’ stato l’inizio del crac. Ma alle spalle del vanesio sindaco, attento a sfoggiare una mise diversa in ogni cerimonia, ha campeggiato fino all’ultimo il malinconico, ma tosto Lombardo, prima vicesindaco, poi azionista di riferimento della maggioranza politica, da tre mesi anche presidente regionale.
Lombardo esercita un potere assoluto. Dalla sua benevolenza dipendono i posti di lavoro, lontano dal suo impressionante riporto non c’è luce e soprattutto non c’è stipendio. Prendete l’avvocato Gaetano Tafuri, ex assessore al bilancio, trombato alle regionali, ma con fama di fedelissimo: è stato appena ripescato quale commissario della Ferrovia circumetnea. La capillare occupazione del territorio ha coinvolto anche gli ultimi ridotti sfuggiti per sessant’anni alle designazioni dei partiti, lo Stabile e il Teatro Massimo. Qui è stato insediato l’avvocato Antonio Fiumefreddo, reduce da diverse cambi di campo. Con assoluto sprezzo del ridicolo il sovrintendente ha dedicato il Massimo alla Madonna, la qualcosa comporterebbe la cancellazione di metà delle opere liriche, visto il loro spregiudicato contenuto. La ricerca di notorietà l’ha pure indotto ad annunciare che un suo assistito era stato violentato in galera, però il garante dei carcerati l’ha contraddetto; e che cento allievi delle scuole di danze avevano disertato per ordine dei genitori una manifestazione contro Cosa Nostra, tuttavia anche in questo caso sono piovute precisazioni e smentite.
Eppure i catanesi, ancora esultanti per i sessanta fra assessori, dirigenti e sindaco della vecchia giunta indagati con l’accusa di associazione a delinquere, falso ideologico aggravato e falso in bilancio, nelle elezioni di giugno hanno scelto quale successore di Scapagnini un’altra propaggine di Lombardo, il senatore Stancanelli. Formalmente sarebbe un rappresentante del Popolo della Libertà in quota An, nella sostanza è l’uomo di fiducia di Lombardo. E dire che all’interno dello stesso centrodestra - della sinistra oramai si ha notizia soltanto il 2 novembre, giorno dei morti – esisteva l’alternativa dell’ex europarlamentare con fama di persona dabbene, Nello Musumeci. Ma nella prima città d’Italia a riaprire nel ’44 le logge massoniche, da allora camera di compensazione di tutti i fatti e misfatti, nessuno ha avuto cuore di rifilare simile sgarbo a Lombardo. Lui non perdona: in ogni critica vede un affronto personale; dietro ogni articolo contrario legge, parole sue, “un complotto dei proprietari delle raffinerie”, che però stanno altrove, “un’azione di killeraggio meritevole di risposta giudiziaria”.
Accogliendo il grido di dolore degli sconsolati parrocchiani Berlusconi ha anticipato 100 milioni a Stancanelli per evitare il fallimento.

Riusciranno a sperperare pure questi?

Fonte:La Stampa
Leggi tutto »

Sessanta indagati per un crac senza precedenti:
700 milioni


Di Alfio Caruso


CATANIA Anche l’odore della notte è cambiato a piazza Umberto. In realtà da quasi novant’anni si chiama piazza Vittorio Emanuele III, ma il giorno dopo l’inaugurazione i catanesi cominciarono a indicarla con il nome della strada sulla quale si affaccia e pazienza per sua maestà, che aveva persino spedito un telegramma di ringraziamenti. Negli anni della spensieratezza c’era l’odore del gelsomino d’Arabia, con il quale erano addobbati i due chioschi, c’era l’odore degli sciroppi, c’era l’odore della menta che tendeva a sopraffare gli altri. D’estate, su tavolini improvvisati, fiorivano le sfide a briscola in cinque e a zecchinetta, al cui confronto lo chemin de fer è un passatempo da monaci di clausura. Ogni vittoria procurava un giro di orzate, di champagnino, di completo (limone, orzata, gocce di anice, seltz) per gli amici e per i picciotti; quelli deboli di stomaco si accontentavano del tamarindo, che a metà bicchiere dava diritto all’aggiunta di bicarbonato in aiuto alla digestione.
In questa sera di fine settembre, con l’infida arietta subentrata alla calura del giorno, si respirano sentori di marcio e di bruciato. I primi provengono dalla spazzatura in continuo accumulo sui marciapiedi, i secondi dalle graticole di rosticcerie e di ristoranti, che in barba a permessi e divieti si sono impadroniti delle stradine laterali. Inseguendo il ricordo della brezza marina, nell’alternarsi di strade buie e di altre fiocamente illuminate, s’imbocca corso Italia, l’unica via ad aver conservato una parvenza di eleganza e di benessere, ma non si sfocia più nella piazza con la vista mozzafiato dell’insenatura punteggiata dalle lampare dei pescatori, il respiro del mare ad accarezzare lo scorrere delle ore. Piazza Europa continua a esserci, ma la sciagurata decisione della giunta Scapagnini di trasformarla in un enorme parcheggio l’ha stravolta. Da oltre un anno appare un campo di battaglia. L’intervento della magistratura per bloccare due centri commerciali assenti nel progetto iniziale ha stoppato i lavori e non è prevista una data per la ripresa. Così Catania è priva sia del velleitario megaricovero di auto, utile soltanto ai suoi costruttori, sia dell’affascinante colpo d’occhio che apriva la riviera dei Ciclopi. Fortunatamente la città ha altro con cui baloccarsi: la squadra quarta in classifica e soprattutto le due stangone arrivate prima e seconda al concorso di miss Italia. Miriam Leone e Marianna Di Martino impazzano sulle pagine de «La Sicilia» e in ogni manifestazione pubblica con contorno di onorevoli e di consiglieri comunali in cerca di foto e di luce riflessa.
“Catania capitale della bellezza” inorgoglisce i suoi abitanti e mette in secondo piano le bollette non pagate all’Enel, le cooperative addette ai servizi sociali senza stipendio da gennaio, il rifiuto dei dipendenti del cimitero di seppellire i defunti, l’incubo di una raccolta dell’immondizia sempre in bilico, gli impiegati comunali che l’altro giorno hanno manifestato in piazza Duomo preoccupati per il proprio futuro e inferociti per i 2 milioni 130 mila euro distribuiti ad agosto ai dirigenti. Figurano quale premio per i risultati conseguiti nel 2006 quando il deficit toccò i 700 milioni di euro. E fanno il paio con la famosa indennità «cenere dell’Etna» elargita dall’allora sindaco Scapagnini agli oltre quattromila stipendiati del Comune per favorire la propria rielezione nel 2005. A causa di tale regalo fatto con i nostri soldi l’alchimista delle pozioni magiche, caro al cuore, e non solo, di Berlusconi, è già stato condannato in primo grado.
Dopo esser stato riverito e lisciato per sette anni, ora Scapagnini rappresenta l’oggetto di qualsiasi critica. Eppure non è l’unico responsabile dello sfascio. Era soprattutto un elegante incompetente, l’uomo sbagliato nel posto sbagliato, capace di definire il «mio Tremonti» l’assessore al Bilancio D’Asero, accusato da tre indagini della Corte dei Conti e da una del ministero delle Finanze di aver presentato nel 2003 e nel 2004 bilanci non veritieri: risultavano in pareggio, viceversa nascondevano deficit di 40,6 e di 42,7 milioni di euro. E’ stato l’inizio del crac. Ma alle spalle del vanesio sindaco, attento a sfoggiare una mise diversa in ogni cerimonia, ha campeggiato fino all’ultimo il malinconico, ma tosto Lombardo, prima vicesindaco, poi azionista di riferimento della maggioranza politica, da tre mesi anche presidente regionale.
Lombardo esercita un potere assoluto. Dalla sua benevolenza dipendono i posti di lavoro, lontano dal suo impressionante riporto non c’è luce e soprattutto non c’è stipendio. Prendete l’avvocato Gaetano Tafuri, ex assessore al bilancio, trombato alle regionali, ma con fama di fedelissimo: è stato appena ripescato quale commissario della Ferrovia circumetnea. La capillare occupazione del territorio ha coinvolto anche gli ultimi ridotti sfuggiti per sessant’anni alle designazioni dei partiti, lo Stabile e il Teatro Massimo. Qui è stato insediato l’avvocato Antonio Fiumefreddo, reduce da diverse cambi di campo. Con assoluto sprezzo del ridicolo il sovrintendente ha dedicato il Massimo alla Madonna, la qualcosa comporterebbe la cancellazione di metà delle opere liriche, visto il loro spregiudicato contenuto. La ricerca di notorietà l’ha pure indotto ad annunciare che un suo assistito era stato violentato in galera, però il garante dei carcerati l’ha contraddetto; e che cento allievi delle scuole di danze avevano disertato per ordine dei genitori una manifestazione contro Cosa Nostra, tuttavia anche in questo caso sono piovute precisazioni e smentite.
Eppure i catanesi, ancora esultanti per i sessanta fra assessori, dirigenti e sindaco della vecchia giunta indagati con l’accusa di associazione a delinquere, falso ideologico aggravato e falso in bilancio, nelle elezioni di giugno hanno scelto quale successore di Scapagnini un’altra propaggine di Lombardo, il senatore Stancanelli. Formalmente sarebbe un rappresentante del Popolo della Libertà in quota An, nella sostanza è l’uomo di fiducia di Lombardo. E dire che all’interno dello stesso centrodestra - della sinistra oramai si ha notizia soltanto il 2 novembre, giorno dei morti – esisteva l’alternativa dell’ex europarlamentare con fama di persona dabbene, Nello Musumeci. Ma nella prima città d’Italia a riaprire nel ’44 le logge massoniche, da allora camera di compensazione di tutti i fatti e misfatti, nessuno ha avuto cuore di rifilare simile sgarbo a Lombardo. Lui non perdona: in ogni critica vede un affronto personale; dietro ogni articolo contrario legge, parole sue, “un complotto dei proprietari delle raffinerie”, che però stanno altrove, “un’azione di killeraggio meritevole di risposta giudiziaria”.
Accogliendo il grido di dolore degli sconsolati parrocchiani Berlusconi ha anticipato 100 milioni a Stancanelli per evitare il fallimento.

Riusciranno a sperperare pure questi?

Fonte:La Stampa

domenica 28 settembre 2008

Maestro unico, toccherà il Sud il 50% dei tagli della Gelmini


Di Salvo Intravaia

Sarà il Sud a pagare il prezzo del "maestro unico" reintrodotto dalla Gelmini.
Negli ambienti politici e sindacali la voce circola da giorni e basta fare due conti per rendersi conto che, in effetti, usando gli stessi criteri di calcolo contenuti nel Piano programmatico messo a punto dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, e dal collega dell'Economia, Giulio Tremonti, saranno le regioni meridionali a rimetterci di più in termini di posti di lavoro e servizio scolastico.

Se, come è scritto nel Piano che taglierà 87.000 posti di lavoro in tre anni, il ridimensionamento colpirà le sole classi a tempo normale, il Sud dovrà dire addio a 7.000 delle 14.000 cattedre messe in conto dal governo: il 50 per cento. Nell'Italia centrale Toscana, Lazio, Umbria, Marche sacrificheranno sull'altare delle economie 2.250 cattedre e le sei regioni settentrionali 4.700: un terzo dell'intero balzello. Domani mattina, in aula alla Camera approda il decreto-legge 137, quello che ha reintrodotto il maestro unico e i deputati del Pd stanno affilando le armi.
"Il duo Tremonti-Gelmini - dichiara Alessandra Siragusa, deputato siciliano del Partito democratico - mira a distruggere la scuola del Sud: secondo i numeri in nostro possesso, in Sicilia e Campania il giochetto del maestro unico costerà 4 mila dei 14 mila posti che il governo intende tagliare.

E a parte il taglio dei posti di lavoro la manovra determinerà una contrazione del servizio scolastico. Con 24 ore di lezione in sei giorni i bambini della scuola elementare uscirebbero ogni giorno alle 12.30: non so se le famiglie sono a conoscenza di tutto questo".

Il dibattito parlamentare si annuncia lungo e acceso.
"Presenterò tre emendamenti - aggiunge la parlamentare dell'opposizione - che mirano ad allungare il tempo scuola nelle zone in cui la dispersione scolastica è elevata e nelle realtà dove le carenze degli edifici scolastici non consente il tempo pieno".
Secondo i calcoli contenuti nel Piano-Gelmini il maestro unico colpirà soprattutto le 103 mila classi che in Italia funzionano a tempo normale (27 ore a settimana).

Tempo normale alla scuola primaria che, per ragioni spesso legate a carenze strutturali determinate dalla mancanza di locali idonei per essere adibiti a refettori/mense, è parecchio diffuso al Sud e molto meno al Nord.
Tanto per non restare sul vago, regioni come Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna viaggiano con tassi di tempo prolungato (di 40 ore a settimana), che per stessa ammissione del ministro Gelmini non verranno "toccati", variabili tra il 45 e il 39 per cento. Sicilia e Campania sono attorno al 4 per cento.

Fonte: Repubblica
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Di Salvo Intravaia

Sarà il Sud a pagare il prezzo del "maestro unico" reintrodotto dalla Gelmini.
Negli ambienti politici e sindacali la voce circola da giorni e basta fare due conti per rendersi conto che, in effetti, usando gli stessi criteri di calcolo contenuti nel Piano programmatico messo a punto dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, e dal collega dell'Economia, Giulio Tremonti, saranno le regioni meridionali a rimetterci di più in termini di posti di lavoro e servizio scolastico.

Se, come è scritto nel Piano che taglierà 87.000 posti di lavoro in tre anni, il ridimensionamento colpirà le sole classi a tempo normale, il Sud dovrà dire addio a 7.000 delle 14.000 cattedre messe in conto dal governo: il 50 per cento. Nell'Italia centrale Toscana, Lazio, Umbria, Marche sacrificheranno sull'altare delle economie 2.250 cattedre e le sei regioni settentrionali 4.700: un terzo dell'intero balzello. Domani mattina, in aula alla Camera approda il decreto-legge 137, quello che ha reintrodotto il maestro unico e i deputati del Pd stanno affilando le armi.
"Il duo Tremonti-Gelmini - dichiara Alessandra Siragusa, deputato siciliano del Partito democratico - mira a distruggere la scuola del Sud: secondo i numeri in nostro possesso, in Sicilia e Campania il giochetto del maestro unico costerà 4 mila dei 14 mila posti che il governo intende tagliare.

E a parte il taglio dei posti di lavoro la manovra determinerà una contrazione del servizio scolastico. Con 24 ore di lezione in sei giorni i bambini della scuola elementare uscirebbero ogni giorno alle 12.30: non so se le famiglie sono a conoscenza di tutto questo".

Il dibattito parlamentare si annuncia lungo e acceso.
"Presenterò tre emendamenti - aggiunge la parlamentare dell'opposizione - che mirano ad allungare il tempo scuola nelle zone in cui la dispersione scolastica è elevata e nelle realtà dove le carenze degli edifici scolastici non consente il tempo pieno".
Secondo i calcoli contenuti nel Piano-Gelmini il maestro unico colpirà soprattutto le 103 mila classi che in Italia funzionano a tempo normale (27 ore a settimana).

Tempo normale alla scuola primaria che, per ragioni spesso legate a carenze strutturali determinate dalla mancanza di locali idonei per essere adibiti a refettori/mense, è parecchio diffuso al Sud e molto meno al Nord.
Tanto per non restare sul vago, regioni come Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna viaggiano con tassi di tempo prolungato (di 40 ore a settimana), che per stessa ammissione del ministro Gelmini non verranno "toccati", variabili tra il 45 e il 39 per cento. Sicilia e Campania sono attorno al 4 per cento.

Fonte: Repubblica

Ci piacerebbe vedere un simile dispiegamento di forze dell’ordine contro la camorra ......



Il sindaco di Marano S.Perrotta:

“Abbiamo provato a mediare per una soluzione che permettesse di concludere senza problemi una manifestazione che si era svolta in assoluta calma e tranquillità. Invece è mancato quel buon senso che sarebbe necessario sempre, ed è mancato sia da una parte che dall’altra. La cosa che rammarica è che siamo di fronte ad una autentica occupazione militare del territorio, che peraltro impedisce a centinaia di cittadini di rientrare nelle proprie abitazioni. Ci piacerebbe vedere un simile dispiegamento di forze dell’ordine contro la camorra ed invece abbiamo rischiato noi stessi, io come sindaco e l’onorevole Barbato, parlamentare della Repubblica, di finire sotto le manganellate”. Così il sindaco di Marano Salvatore Perrotta sugli scontri registrati al termine della manifestazione Jatevenne Day contro la discarica a Chiaiano.

Fonte: comunemarano.na.it

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Fonte: Repubblica LE IMMAGINI DEGLI SCONTRI

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IL SINDACO DI MARANO LANCIA UN APPELLO AL ED AL PAPA.

Il sindaco di Marano, Salvatore Perrotta, presente sul posto in cui si sono registrati gli incidenti, lancia un appello al Giorgio Napolitano ed a Papa Benedetto XVI:
“Da una parte la forza della ragione, dall’altra la forza dei muscoli - afferma Perrotta - stiamo assistendo ad un qualcosa di assurdo, surreale. Abbiamo sempre manifestato pacificamente, ma l’azione repressiva messa in atto questa sera appare abnorme, immotivata e con una condotta che rappresenta la fine della rappresentanza istituzionale e che mette a rischio i cardini della democrazia. Di fronte allo sproporzionato schieramento di forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa avevo persino cercato di mediare con i manifestanti, ma inutilmente. Evidentemente gli ordini erano già chiari: e li abbiamo visti eseguire sotto i nostri occhi increduli. Mi fa molta tristezza - continua il primo cittadino di Marano - veder caricare gente inerme, gente semplice, senza guardare in faccia a nessuno, donne, vecchi, bambini, giornalisti, consiglieri comunali, creando panico tra la popolazione che ha sempre espresso pacificamente il proprio dissenso. Persino sequestro delle telecamere. Scene da guerra civile… Non ci resta - conclude Perrotta - che appellarci al , persona saggia, testimone della Resistenza, e, dopo le parole di oggi del cardinale Martino, anche al Papa, affinché colgano la frustrazione di un’intera popolazione piegata con forza allo stupro del territorio”.

Fonte:Videocomunicazioni

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Il sindaco di Marano S.Perrotta:

“Abbiamo provato a mediare per una soluzione che permettesse di concludere senza problemi una manifestazione che si era svolta in assoluta calma e tranquillità. Invece è mancato quel buon senso che sarebbe necessario sempre, ed è mancato sia da una parte che dall’altra. La cosa che rammarica è che siamo di fronte ad una autentica occupazione militare del territorio, che peraltro impedisce a centinaia di cittadini di rientrare nelle proprie abitazioni. Ci piacerebbe vedere un simile dispiegamento di forze dell’ordine contro la camorra ed invece abbiamo rischiato noi stessi, io come sindaco e l’onorevole Barbato, parlamentare della Repubblica, di finire sotto le manganellate”. Così il sindaco di Marano Salvatore Perrotta sugli scontri registrati al termine della manifestazione Jatevenne Day contro la discarica a Chiaiano.

Fonte: comunemarano.na.it

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Fonte: Repubblica LE IMMAGINI DEGLI SCONTRI

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IL SINDACO DI MARANO LANCIA UN APPELLO AL ED AL PAPA.

Il sindaco di Marano, Salvatore Perrotta, presente sul posto in cui si sono registrati gli incidenti, lancia un appello al Giorgio Napolitano ed a Papa Benedetto XVI:
“Da una parte la forza della ragione, dall’altra la forza dei muscoli - afferma Perrotta - stiamo assistendo ad un qualcosa di assurdo, surreale. Abbiamo sempre manifestato pacificamente, ma l’azione repressiva messa in atto questa sera appare abnorme, immotivata e con una condotta che rappresenta la fine della rappresentanza istituzionale e che mette a rischio i cardini della democrazia. Di fronte allo sproporzionato schieramento di forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa avevo persino cercato di mediare con i manifestanti, ma inutilmente. Evidentemente gli ordini erano già chiari: e li abbiamo visti eseguire sotto i nostri occhi increduli. Mi fa molta tristezza - continua il primo cittadino di Marano - veder caricare gente inerme, gente semplice, senza guardare in faccia a nessuno, donne, vecchi, bambini, giornalisti, consiglieri comunali, creando panico tra la popolazione che ha sempre espresso pacificamente il proprio dissenso. Persino sequestro delle telecamere. Scene da guerra civile… Non ci resta - conclude Perrotta - che appellarci al , persona saggia, testimone della Resistenza, e, dopo le parole di oggi del cardinale Martino, anche al Papa, affinché colgano la frustrazione di un’intera popolazione piegata con forza allo stupro del territorio”.

Fonte:Videocomunicazioni

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IL PdSUD, INVITATO VENERDI' 03/10/08 A ROMA ALLA PRESENTAZIONE DI AGORAVOX ITALIA, PORRA' ALCUNE DOMANDE RELATIVE ALL'INCHIESTA "CAMORRA E RIFIUTI"


Si terrà venerdì 3 ottobre alle ore 11.00 presso il Nuovo Cinema Aquila di via L’Aquila 68 a Roma, la presentazione di AgoraVox Italia che rappresenta il primo esempio di giornalismo partecipativo in Europa. Nata da un’idea di Carlo Revelli in seguito a un flow di informazione dei media mainstream rispetto ad eventi come lo tsunami del 2004.

L’ideatore di AgoraVox, Carlo Revelli e il project manager, Francesco Piccinini, presenteranno questo progetto alla stampa, ai blogger e a tutti coloro che credono in un’informazione libera. E sarà l’occasione per presentare la prima inchiesta partecipativa italiana.

Arnaldo Capezzuto, tenace giornalista napoletano, presenterà, infatti, un’inchiesta su: Camorra e Rifiuti. La prima inchiesta partecipativa mai realizzata in Italia, con materiali inediti e testimonianze mai apparse sulla stampa nazionale, a cui hanno collaborato anche “normali” cittadini con contributi scritti, foto e video. Un’inchiesta lunga e complessa, perché AgoraVox ha cercato di ricostruire 18 anni di connivenze. Un puzzle che messo insieme disegna una Campania terra di conquista.

Sul palco anche Pino Maniaci, giornalista antimafia e Giulio Cavalli (attore minacciato dalla mafia), i quali faranno una puntata di Radio Mafiopoli, una trasmissione radio sullo stile di Radio Aut di Peppino Impastato. I cittadini presenti potranno intervenire in diretta e contribuire alla trasmissione. AgoraVox e Pino Maniaci hanno iniziato una collaborazione su un’altra inchiesta che vedrà la luce nel 2009.

Invitato all'evento il PdSUD, una cui delegazione,guidata dal Coordinatore per il Lazio Ing. Vincenzo Riccio, rivolgerà ai giornalisti antimafia una serie di domande riguardanti la loro esperienza personale e le relative considerazioni politiche in merito all'inchiesta "Camorra e rifiuti",soprattutto sulle cause storiche e economiche del potere della Camorra e sull'intreccio politica-camorra-massoneria nella questione rifiuti..

Il tutto sarà da noi ripreso e postato su you tube.

Se vuoi partecipare , tramite gli inviati del PdSUD, inviaci una domanda, la porremo, nel limite del possibile, per te.

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Si terrà venerdì 3 ottobre alle ore 11.00 presso il Nuovo Cinema Aquila di via L’Aquila 68 a Roma, la presentazione di AgoraVox Italia che rappresenta il primo esempio di giornalismo partecipativo in Europa. Nata da un’idea di Carlo Revelli in seguito a un flow di informazione dei media mainstream rispetto ad eventi come lo tsunami del 2004.

L’ideatore di AgoraVox, Carlo Revelli e il project manager, Francesco Piccinini, presenteranno questo progetto alla stampa, ai blogger e a tutti coloro che credono in un’informazione libera. E sarà l’occasione per presentare la prima inchiesta partecipativa italiana.

Arnaldo Capezzuto, tenace giornalista napoletano, presenterà, infatti, un’inchiesta su: Camorra e Rifiuti. La prima inchiesta partecipativa mai realizzata in Italia, con materiali inediti e testimonianze mai apparse sulla stampa nazionale, a cui hanno collaborato anche “normali” cittadini con contributi scritti, foto e video. Un’inchiesta lunga e complessa, perché AgoraVox ha cercato di ricostruire 18 anni di connivenze. Un puzzle che messo insieme disegna una Campania terra di conquista.

Sul palco anche Pino Maniaci, giornalista antimafia e Giulio Cavalli (attore minacciato dalla mafia), i quali faranno una puntata di Radio Mafiopoli, una trasmissione radio sullo stile di Radio Aut di Peppino Impastato. I cittadini presenti potranno intervenire in diretta e contribuire alla trasmissione. AgoraVox e Pino Maniaci hanno iniziato una collaborazione su un’altra inchiesta che vedrà la luce nel 2009.

Invitato all'evento il PdSUD, una cui delegazione,guidata dal Coordinatore per il Lazio Ing. Vincenzo Riccio, rivolgerà ai giornalisti antimafia una serie di domande riguardanti la loro esperienza personale e le relative considerazioni politiche in merito all'inchiesta "Camorra e rifiuti",soprattutto sulle cause storiche e economiche del potere della Camorra e sull'intreccio politica-camorra-massoneria nella questione rifiuti..

Il tutto sarà da noi ripreso e postato su you tube.

Se vuoi partecipare , tramite gli inviati del PdSUD, inviaci una domanda, la porremo, nel limite del possibile, per te.

sabato 27 settembre 2008

Rifiuti, a Chiaiano tornano le proteste e i blocchi stradali


Momenti di forte tensione tra manifestanti e Forze dell'ordine a Chiaiano a conclusione del "Jatevenne Day". Dopo che un gruppo di cittadini ha spintonato il cordone di sicurezza, c'è stata una prima carica di alleggerimento da parte della Polizia. A questo è seguito un lancio di petardi a cui gli agenti hanno risposto con dei lacrimogeni. Secondo quanto riferito sia dalle Forze dell'ordine che dai rappresentanti dei Comitati ci sarebbero dei contusi tra cui un poliziotto.

Gli "scontri" si sarebbero verificati dopo che il sindaco di Marano, Salvatore Perrotta, insieme a dei cittadini, stavano trattando con le Forze dell'ordine per potere entrare nel sito e verificare lo stato dei lavori all'interno della cava di tufo.

Il corteo è ritornato dove è il presidio, ossia alla rotonda Rosa Dei Venti.

«Siamo stati aggrediti mentre il corteo avanzava disarmato per riappropriarsi del proprio territorio, dopo il fallimento della trattativa per l'ingresso di una delegazione nella cava». È questa la versione dei comitati antidiscarica, dopo gli scontri che si sono verificati questa sera a Chiaiano. «Il nostro tentativo di entrare nel sito - aggiungono i rappresentanti della protesta - era un gesto simbolico, ma significa anche che la gente di questo quartiere è pronta a lottare per evitare che si apra la discarica».

Fonte:Unità

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Momenti di forte tensione tra manifestanti e Forze dell'ordine a Chiaiano a conclusione del "Jatevenne Day". Dopo che un gruppo di cittadini ha spintonato il cordone di sicurezza, c'è stata una prima carica di alleggerimento da parte della Polizia. A questo è seguito un lancio di petardi a cui gli agenti hanno risposto con dei lacrimogeni. Secondo quanto riferito sia dalle Forze dell'ordine che dai rappresentanti dei Comitati ci sarebbero dei contusi tra cui un poliziotto.

Gli "scontri" si sarebbero verificati dopo che il sindaco di Marano, Salvatore Perrotta, insieme a dei cittadini, stavano trattando con le Forze dell'ordine per potere entrare nel sito e verificare lo stato dei lavori all'interno della cava di tufo.

Il corteo è ritornato dove è il presidio, ossia alla rotonda Rosa Dei Venti.

«Siamo stati aggrediti mentre il corteo avanzava disarmato per riappropriarsi del proprio territorio, dopo il fallimento della trattativa per l'ingresso di una delegazione nella cava». È questa la versione dei comitati antidiscarica, dopo gli scontri che si sono verificati questa sera a Chiaiano. «Il nostro tentativo di entrare nel sito - aggiungono i rappresentanti della protesta - era un gesto simbolico, ma significa anche che la gente di questo quartiere è pronta a lottare per evitare che si apra la discarica».

Fonte:Unità

Il popolo contro i giacobini


Di Massimo VIGLIONE


tratto da: Avvenire, 19.2.1999.



La rivolta italiana all'invasore francese: perché gli storici hanno dimenticato le «insorgenze»? Parla Viglione
Intervista di Maurizio Cecchetti
Trecentomila si mobilitarono e centomila perirono in difesa del cattolicesimo. Un fenomeno che offusca anche il Risorgimento. La sinistra lo scopre (per minimizzarlo)


"Il giacobinismo domina da cinquant'anni la nostra storia repubblicana, non per gli aspetti del terrore, ma certamente nella mentalità". Un parere così reciso lo s'immagina in un uomo di lunga militanza, uno che la Repubblica l'ha vissuta fin dalla sua nascita, invece viene da un giovane, agguerrito e documentato storico italiano, Massimo Viglione, che lavora all'Università di Cassino ed è ferratissimo nel dibattito italiano sulla Rivoluzione francese. Con lui parliamo di questo a partire da un libro che aggiunge una pietra storiografica nella conoscenza di un fenomeno peraltro poco studiato."Volutamente ignorato per decenni", ribatte Viglione, che nel saggio «Rivolte dimenticate», appena edito da Città Nuova (pagine 344, lire 38.000) affronta la questione delle "insorgenze degli italiani dalle origini al 1815".

Bisogna subito intendersi sul termine: che cosa sono le insorgenze?
"C'è una data chiave nella storia delle insorgenze - spiega Viglione - ed è quella del 1796, l'anno in cui Napoleone invade l'Italia. Da quel momento fino al 1799, mentre l'invasione si allarga verso il Sud sboccando nei tragici fatti di Napoli, gli italiani sono insorti in armi contro i giacobini italiani che appoggiavano le istanze della Rivoluzione francese".

Fu un fenomeno circoscritto?
"Tutt'altro. Gli insorti furono, alla fine, oltre trecentomila, e i numeri delle perdite subite sono ancor più eloquenti: ne morirono almeno centomila, ma forse furono molti di più. Lo storico Rodolico riporta una lettera del generale Thiéboult, uno degli ufficiali che stava insieme allo Championnet, dove dichiara che nei cinque mesi della Repubblica partenopea sono morti 60 mila italiani nella guerra insurrezionale. Ma attenzione: parla soltanto di uomini combattenti e non considera donne e bambini. Le stragi compiute dai francesi furono inaudite, a Isernia in un giorno furono passate a fil di spada 1500 persone..."

Migliaia di persone insorgono contro Napoleone e i giacobini. Eppure molti storici sostengono che la «reazione» fu opera del popolo ottuso sobillato da clero e nobiltà, appoggiati dalla delinquenza locale.
"Questo è uno stereotipo che non regge più. La popolazione era cosciente che Napoleone non costituiva un invasore come gli altri, tant'è vero che gli italiani gli invasori quasi mai li hanno combattuti. Aveva capito che il francese veniva a sconvolgere con le istanze rivoluzionarie una civiltà da secoli cristiana e monarchica. Sulla questione del brigantaggio le porto un esempio che viene da Parigi: quando nella capitale francese arrivò la notizia che la regione Vandea non era d'accordo nel diventare atea e repubblicana, che si rifiutava di massacrare i cattolici, tutti i vandeani vennero chiamati briganti: donne, vecchi, bambini, nobili, ricchi, tutti. Fu un escamotage ideologico per dire: tutti quelli che non stanno con noi, sono delinquenti. In Italia questo era più difficile perché a ribellarsi non fu una piccola regione, ma tutte quante, eccetto la Sicilia. Non era facile far passare tutto il popolo italiano per brigante..."

Lei parla di controrivoluzione e ci vede un fenomeno anzitutto cattolico di difesa civile.
"Sì, fu anzitutto un evento cattolico. Ma non bisogna meravigliarsi: i francesi coi giacobini hanno fatto fuggire un papa, hanno arrestato il suo successore, hanno serrato le chiese, violentato le suore, fatto strage di frati e di monache, hanno calpestato le ostie consacrate, hanno portato fino in fondo una politica di laicizzazione dello stato in una società ancora impregnata dalla cultura della Controriforma. Agli italiani giunse l'eco di quel che era accaduto qualche anno prima in Vandea, quindi è ovvio che l'insurrezione partisse prima di tutto in difesa della religione. Le loro bandiere erano quelle papaline anche fuori dallo stato pontificio, le loro grida di guerra "Viva Gesù", "Viva Maria", il vero emblema della rivolta italiana, tant'è che gli stessi storici di parte laicista e marxista chiamano "Viva Maria" gli insorgenti della Toscana e della Liguria che portavano sui loro berretti lo stemma della Madonna".

Lei documenta la rivolta regione per regione, fornendo un'ampia documentazione. Quest'anno cade il bicentenario della rivoluzione partenopea. Una parte della storiografia insiste nel dire che la «reazione» vinse sui giacobini grazie ai patti sottobanco del cardinale Ruffo con la delinquenza locale. Due giorni fa Maria Antonietta Macciocchi sul «Corriere» ha addirittura documentato un caso di stupro perpetrato dalle truppe del Cardinale a danno di un convento di suore...
"Quando cade il regno di Napoli e il re scappa in Sicilia, il cardinale Ruffo prende, va a Palermo e dice al sovrano: io vi riconquisto il regno, datemi dei soldati. Il re lo prende per pazzo e per toglierselo di torno gli dà una nave e otto uomini. Il Ruffo riparte e sbarca a Pizzo Calabro, sotto Scilla, il 7 febbraio 1799. All'inizio, dunque, erano in otto: una settimana dopo se ne contavano 1500, due mesi dopo decine di migliaia. È innegabile che nel mezzo ci fossero anche i furfanti, ma esistono lettere di Maria Carolina che invitano il Ruffo e i suoi ufficiali a impiccare i briganti. La vastità della rivolta dimostra semmai l'attaccamento popolare al re e alla religione. Ciò non toglie che vi possa esser stato anche opportunismo da parte dei sovrani e del Ruffo..."

Per decenni ci hanno raccontato una storia della Repubblica dove i cattivi stavano da una parte e i buoni dall'altra. Poi, in anni recenti, si è imposto il concetto della «guerra civile» e anche sulla resistenza italiana sono emersi lati molto dubbi. Lei sostiene che sulle insorgenze è accaduto qualcosa di molto simile, un muro di silenzio che tuttavia comincia a cadere.
"Fino agli anni Trenta erano fatti documentati dagli storici. Il primo a raccontarle, del resto, fu lo stesso Vincenzo Cuoco che su questo punto non mente: siamo stati travolti dagli insorgenti, scrive. Poi, all'inizio di questo secolo, se ne occupavano storici come Colletta e Papi e anche risorgimentisti come Tivaroni, Lemmi, Fiorini, Rota e soprattutto Giacomo Lumbroso e Nicolò Rodolico. Con la seconda guerra mondiale e la vittoria ideologica di una certo mondo universitario ed editoriale italiano non se ne parla più".

Qual è la ragione di questo silenzio?
"Le rigiro la domanda: si può accettare dal punto di vista della verità storica che l'insorgenza cattolica e monarchica ebbe l'appoggio di centinaia di migliaia d'italiani schierati contro gli ideali della Rivoluzione francese, quando si sa benissimo che la pecca più grande del Risorgimento fu proprio la passività del popolo? Il risorgimento testimonia, come fenomeno d'élite, ciò che è il problema di tutti i rivoluzionari in ogni tempo: il popolo non è mai con loro. Eleonora de Fonseca Pimentel, stretta d'assedio dai Lazzari, scrive allo Championnet: sbrigati a venire a Napoli, perché questi ci ammazzano tutti. La sua lettera si chiude con queste parole: non la nazione, ma il popolo è contro i francesi. È una frase impressionante, perché equivaleva a dire: noi trenta, chiusi qui dentro, siamo tutta la nazione, i quattro milioni che stanno fuori sono il popolo e non valgono niente".

È il noto pregiudizio degli intellettuali...
"Degli intellettuali di sinistra, precisiamo; che sono contro il popolo, perché il popolo non li segue. Recentemente è uscito un lavoro dell'Istituto Gramsci diretto da Anna Maria Rao: è la prima volta che la cultura filogiacobina prende posizione su questo argomento. Come mai? Non posso non arrivare a concludere che siccome da vent'anni si sono moltiplicati gli studi anche la sinistra ha deciso di prendere posizione non potendo più occultare il fenomeno. Ma ancora una volta il pregiudizio ideologico la vince: le insorgenze avvennero per motivi localistici, per fame, fu una rivolta sociale contro gli sfruttatori, nella quale la religione ebbe un ruolo secondario. Non sarà, invece, che a scatenare la rivolta fu l'attacco alla civiltà italiana, in quanto profondamente cattolica?".

Fonte: Storia libera
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Di Massimo VIGLIONE


tratto da: Avvenire, 19.2.1999.



La rivolta italiana all'invasore francese: perché gli storici hanno dimenticato le «insorgenze»? Parla Viglione
Intervista di Maurizio Cecchetti
Trecentomila si mobilitarono e centomila perirono in difesa del cattolicesimo. Un fenomeno che offusca anche il Risorgimento. La sinistra lo scopre (per minimizzarlo)


"Il giacobinismo domina da cinquant'anni la nostra storia repubblicana, non per gli aspetti del terrore, ma certamente nella mentalità". Un parere così reciso lo s'immagina in un uomo di lunga militanza, uno che la Repubblica l'ha vissuta fin dalla sua nascita, invece viene da un giovane, agguerrito e documentato storico italiano, Massimo Viglione, che lavora all'Università di Cassino ed è ferratissimo nel dibattito italiano sulla Rivoluzione francese. Con lui parliamo di questo a partire da un libro che aggiunge una pietra storiografica nella conoscenza di un fenomeno peraltro poco studiato."Volutamente ignorato per decenni", ribatte Viglione, che nel saggio «Rivolte dimenticate», appena edito da Città Nuova (pagine 344, lire 38.000) affronta la questione delle "insorgenze degli italiani dalle origini al 1815".

Bisogna subito intendersi sul termine: che cosa sono le insorgenze?
"C'è una data chiave nella storia delle insorgenze - spiega Viglione - ed è quella del 1796, l'anno in cui Napoleone invade l'Italia. Da quel momento fino al 1799, mentre l'invasione si allarga verso il Sud sboccando nei tragici fatti di Napoli, gli italiani sono insorti in armi contro i giacobini italiani che appoggiavano le istanze della Rivoluzione francese".

Fu un fenomeno circoscritto?
"Tutt'altro. Gli insorti furono, alla fine, oltre trecentomila, e i numeri delle perdite subite sono ancor più eloquenti: ne morirono almeno centomila, ma forse furono molti di più. Lo storico Rodolico riporta una lettera del generale Thiéboult, uno degli ufficiali che stava insieme allo Championnet, dove dichiara che nei cinque mesi della Repubblica partenopea sono morti 60 mila italiani nella guerra insurrezionale. Ma attenzione: parla soltanto di uomini combattenti e non considera donne e bambini. Le stragi compiute dai francesi furono inaudite, a Isernia in un giorno furono passate a fil di spada 1500 persone..."

Migliaia di persone insorgono contro Napoleone e i giacobini. Eppure molti storici sostengono che la «reazione» fu opera del popolo ottuso sobillato da clero e nobiltà, appoggiati dalla delinquenza locale.
"Questo è uno stereotipo che non regge più. La popolazione era cosciente che Napoleone non costituiva un invasore come gli altri, tant'è vero che gli italiani gli invasori quasi mai li hanno combattuti. Aveva capito che il francese veniva a sconvolgere con le istanze rivoluzionarie una civiltà da secoli cristiana e monarchica. Sulla questione del brigantaggio le porto un esempio che viene da Parigi: quando nella capitale francese arrivò la notizia che la regione Vandea non era d'accordo nel diventare atea e repubblicana, che si rifiutava di massacrare i cattolici, tutti i vandeani vennero chiamati briganti: donne, vecchi, bambini, nobili, ricchi, tutti. Fu un escamotage ideologico per dire: tutti quelli che non stanno con noi, sono delinquenti. In Italia questo era più difficile perché a ribellarsi non fu una piccola regione, ma tutte quante, eccetto la Sicilia. Non era facile far passare tutto il popolo italiano per brigante..."

Lei parla di controrivoluzione e ci vede un fenomeno anzitutto cattolico di difesa civile.
"Sì, fu anzitutto un evento cattolico. Ma non bisogna meravigliarsi: i francesi coi giacobini hanno fatto fuggire un papa, hanno arrestato il suo successore, hanno serrato le chiese, violentato le suore, fatto strage di frati e di monache, hanno calpestato le ostie consacrate, hanno portato fino in fondo una politica di laicizzazione dello stato in una società ancora impregnata dalla cultura della Controriforma. Agli italiani giunse l'eco di quel che era accaduto qualche anno prima in Vandea, quindi è ovvio che l'insurrezione partisse prima di tutto in difesa della religione. Le loro bandiere erano quelle papaline anche fuori dallo stato pontificio, le loro grida di guerra "Viva Gesù", "Viva Maria", il vero emblema della rivolta italiana, tant'è che gli stessi storici di parte laicista e marxista chiamano "Viva Maria" gli insorgenti della Toscana e della Liguria che portavano sui loro berretti lo stemma della Madonna".

Lei documenta la rivolta regione per regione, fornendo un'ampia documentazione. Quest'anno cade il bicentenario della rivoluzione partenopea. Una parte della storiografia insiste nel dire che la «reazione» vinse sui giacobini grazie ai patti sottobanco del cardinale Ruffo con la delinquenza locale. Due giorni fa Maria Antonietta Macciocchi sul «Corriere» ha addirittura documentato un caso di stupro perpetrato dalle truppe del Cardinale a danno di un convento di suore...
"Quando cade il regno di Napoli e il re scappa in Sicilia, il cardinale Ruffo prende, va a Palermo e dice al sovrano: io vi riconquisto il regno, datemi dei soldati. Il re lo prende per pazzo e per toglierselo di torno gli dà una nave e otto uomini. Il Ruffo riparte e sbarca a Pizzo Calabro, sotto Scilla, il 7 febbraio 1799. All'inizio, dunque, erano in otto: una settimana dopo se ne contavano 1500, due mesi dopo decine di migliaia. È innegabile che nel mezzo ci fossero anche i furfanti, ma esistono lettere di Maria Carolina che invitano il Ruffo e i suoi ufficiali a impiccare i briganti. La vastità della rivolta dimostra semmai l'attaccamento popolare al re e alla religione. Ciò non toglie che vi possa esser stato anche opportunismo da parte dei sovrani e del Ruffo..."

Per decenni ci hanno raccontato una storia della Repubblica dove i cattivi stavano da una parte e i buoni dall'altra. Poi, in anni recenti, si è imposto il concetto della «guerra civile» e anche sulla resistenza italiana sono emersi lati molto dubbi. Lei sostiene che sulle insorgenze è accaduto qualcosa di molto simile, un muro di silenzio che tuttavia comincia a cadere.
"Fino agli anni Trenta erano fatti documentati dagli storici. Il primo a raccontarle, del resto, fu lo stesso Vincenzo Cuoco che su questo punto non mente: siamo stati travolti dagli insorgenti, scrive. Poi, all'inizio di questo secolo, se ne occupavano storici come Colletta e Papi e anche risorgimentisti come Tivaroni, Lemmi, Fiorini, Rota e soprattutto Giacomo Lumbroso e Nicolò Rodolico. Con la seconda guerra mondiale e la vittoria ideologica di una certo mondo universitario ed editoriale italiano non se ne parla più".

Qual è la ragione di questo silenzio?
"Le rigiro la domanda: si può accettare dal punto di vista della verità storica che l'insorgenza cattolica e monarchica ebbe l'appoggio di centinaia di migliaia d'italiani schierati contro gli ideali della Rivoluzione francese, quando si sa benissimo che la pecca più grande del Risorgimento fu proprio la passività del popolo? Il risorgimento testimonia, come fenomeno d'élite, ciò che è il problema di tutti i rivoluzionari in ogni tempo: il popolo non è mai con loro. Eleonora de Fonseca Pimentel, stretta d'assedio dai Lazzari, scrive allo Championnet: sbrigati a venire a Napoli, perché questi ci ammazzano tutti. La sua lettera si chiude con queste parole: non la nazione, ma il popolo è contro i francesi. È una frase impressionante, perché equivaleva a dire: noi trenta, chiusi qui dentro, siamo tutta la nazione, i quattro milioni che stanno fuori sono il popolo e non valgono niente".

È il noto pregiudizio degli intellettuali...
"Degli intellettuali di sinistra, precisiamo; che sono contro il popolo, perché il popolo non li segue. Recentemente è uscito un lavoro dell'Istituto Gramsci diretto da Anna Maria Rao: è la prima volta che la cultura filogiacobina prende posizione su questo argomento. Come mai? Non posso non arrivare a concludere che siccome da vent'anni si sono moltiplicati gli studi anche la sinistra ha deciso di prendere posizione non potendo più occultare il fenomeno. Ma ancora una volta il pregiudizio ideologico la vince: le insorgenze avvennero per motivi localistici, per fame, fu una rivolta sociale contro gli sfruttatori, nella quale la religione ebbe un ruolo secondario. Non sarà, invece, che a scatenare la rivolta fu l'attacco alla civiltà italiana, in quanto profondamente cattolica?".

Fonte: Storia libera

Compagnia SkyOla

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Antenne ad altissimo impatto ambientale per la stazione Usa di Niscemi


Di Antonio Mazzeo




Tre grandi antenne circolari con un diametro di 18,4 metri e due torri radio alte 149 metri.
Saranno questi gli elementi chiave della stazione terrestre del sistema MUOS (Mobile User Objective System) di telecomunicazione satellitare che la Marina Militare degli Stati Uniti sta per realizzare a Niscemi, Caltanissetta.

Il terminale terrestre di Niscemi sarà del tutto simile a quello installato, lo scorso mese d'agosto, dalla General Dynamics nella base militare di Wahiawa, Hawaii, una delle quattro infrastrutture sparse per il mondo che assicureranno il funzionamento dell'ultima generazione della rete satellitare in UHF (altissima frequenza) che collegherà tra loro i Centri di Comando e Controllo delle forze armate Usa, i centri logistici e gli oltre 18.000 terminali militari radio esistenti, i gruppi operativi in combattimento, i missili Cruise e i Global Hawk (UAV-velivoli senza pilota), ecc..

Al progetto siciliano, la Us Navy ha destinato oltre 43 milioni di dollari, 13 dei quali per la predisposizione dell'area riservata alla stazione terrestre, del centro di controllo, dei megageneratori elettrici e di un deposito di gasolio; 30 milioni di dollari per gli shelter e l'acquisto delle attrezzature tecnologiche del sistema MUOS. A Niscemi sono pure previste la posa di sofisticati cavi a fibre ottiche per il collegamento tra le antenne satellitari e il Centro comunicazione; la realizzazione di shelter ed altri impianti di supporto, strade e sentieri di accesso alle antenne e al deposito carburanti; l'installazione di luci di sicurezza e telecamere di sorveglianza.

Star Wars made in Sicily

Sino allo scorso anno, in realtà, la base prescelta per il terminal del nuovo sistema satellitare era quella di Sigonella, la principale stazione aeronavale della Marina Usa nel Mediterraneo.
Sono gli stessi comandi militari statunitensi a descrivere minuziosamente le finalità del Mobile User Objective System e il piano delle opere previste per l'installazione della sua piattaforma terrestre:
“Il sistema di telecomunicazione satellitare oggi funzionante è prossimo alla fine della sua esistenza. Il sistema previsto per sostituire la costellazione SATCOM sarà il MUOS che fornirà in tempo reale le comunicazioni via satellite a tutti i settori delle forze armate operanti a livello mondiale.
Il MUOS permetterà ai mezzi di guerra di comunicare con i comandi e i centri di controllo ovunque essi si trovino”.
“Adeguate infrastrutture sono richieste per garantire il supporto terrestre e lo spazio operativo del sistema”, aggiungono gli alti responsabili della Marina Usa. “Il Navy's Communications Satellite Acquisition Program Office, e lo Space and Naval Warfare Sistems Commnad (SPAWAR) hanno condotto uno studio globale per determinare i luoghi migliori per le stazioni riceventi.
Questi luoghi sono presenti strategicamente attorno al globo per assicurare un'ottima copertura dei satelliti in orbita ed un uso efficiente ed effettivo delle infrastrutture di comunicazione e della rete di connessione terrestri. (…)
Se questo progetto non verrà realizzato a Sigonella sarà necessario trovare un luogo alternativo per supportare il complesso MUOS ed essere integrato con gli altri tre siti.
Ciò comporterà mesi o anni di ritardo nell'installazione del sistema MUOS. Inoltre, saranno necessarie alte infrastrutture di supporto con conseguente aumento dei costi del progetto. Nessun altro luogo risponde alle caratteristiche e ai costi previsti per questo luogo. SPAWAR ha effettuato diversi anni di studio per giungere a scegliere questo luogo”.

Testate a rischio con il sistema MUOS

Ciononostante la Us Navy ha deciso di dirottare il terminale terrestre presso la vicina stazione di Niscemi, che dal 1991 assicura le comunicazioni supersegrete e non, delle forze di superficie, sottomarine, aeree e terrestri e dei centri C4I (Command, Control, Computer, Communications and Intelligence) di Stati Uniti ed alleati Nato. Il cambio di destinazione, molto probabilmente, è stato dettato dalle risultanze di uno studio sull'impatto delle onde elettromagnetiche generate dalle grandi antenne del MUOS, elaborato per conto della Marina Usa da AGI - Analytical Graphics, Inc., importante società con sede a Exton, Pennsylvania, in collaborazione con la Maxim Systems di San Diego, California.
Lo studio, denominato “Sicily RADHAZ Radio and Radar Radiation Hazards Model”, è consistito nell'elaborazione di un modello di verifica dei rischi di irradiazione elettromagnetica sui sistemi d'armi, munizioni, propellenti ed esplosivi ospitati nello scalo aeronavale siciliano (“HERO - Hazards of Electromagnetic to Ordnance”).
La simulazione informatica del modello ha condotto ad un inatteso “No” all'ipotesi di utilizzo della base di Sigonella.
“Il modello Radhaz Sicilia - si legge sul sito internet dell'AGI - è stato implementato con successo a Sigonella, giocando un ruolo significativo nella decisione di non usare il sito per il terminale terrestre MUOS e di trovare una nuova destinazione”.
L'incompatibilità ambientale del sistema satellitare è stata poi suggellata dalla relazione firmata nel 2006 dall'ingegnere Nicholas Gavin di AGI-Maxim Systems. Anche Filippo Gemma, amministratore di Gmspazio Srl di Roma (società che rappresenta in Italia la statunitense AGI), ha confermato l'esito negativo dello studio sull'impatto elettromagnetico.
Nel corso di un'intervista a RaiNews 24, trasmessa il 22 novembre 2007 durante lo speciale “Base Usa di Sigonella. Il pericolo annunciato”, Gemma ha dichiarato che “una delle raccomandazioni di AGI era che questo tipo di trasmettitore non dovesse essere installato in prossimità di velivoli dotati di armamento, i cui detonatori potessero essere influenzati dalle emissioni elettromagnetiche del trasmettitore stesso". I ricercatori hanno cioè accertato che le fortissime emissioni elettromagnetiche possono avviare la detonazione degli ordigni presenti nella base militare.

Gli ”Hazards of Electromagnetic Radiation to Ordnance (HERO)” sono uno dei temi che più preoccupano il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sin dalla fine degli anni cinquanta. “Un alto livello di energia elettromagnetica prodotta dalla RFR (Radio Frequency Radiation) – si legge nei manuali di prevenzione incidenti adottati dalla Marina Usa – può provocare anche correnti o voltaggi elettrici che possono causare l'attivazione di derivazioni elettro-esplosive ed archi elettrici che detonano materiali infiammabili.
I moderni trasmettitori radio e radar a bordo delle unità navali possono produrre irradiazioni elettromagnetiche nell'ambiente che sono potenzialmente pericolose per il personale operativo; armi, munizioni e depositi di carburante; attrezzature collegate. L'esposizione all'energia derivante dai sistemi radio di sufficiente intensità e frequenze comprese tra i 3 kilohertz (kHz) ed i 300 GHz possono avere effetti negativi su personale, sistemi d'arma e carburanti (…)
Le componenti elettroniche dei sistemi d'arma sono particolarmente sensibili ai campi elettromagnetici durante la manipolazione e il loro assemblaggio, ecc.…”.

Per gli Stati Uniti d'America, Niscemi è un deserto

Al pericolo elettromagnetico durante le operazioni di armamento in elicotteri o aerei a bordo di portaerei o unità navali è riservato il rapporto del Comando della Maroina Usa, “CG-47 Class advisory no. 05-85, Radhaz/Hero Guidance”.
Vi si legge, tra l'altro, che “radiazioni prodotte dai sensori delle unità navali potrebbero essere sufficienti a generare la detonazione di armi e carburante a bordo dell'elicottero.
Le interferenze tra i sensori a bordo delle navi e degli elicotteri potrebbero pure far apparire questi ultimi come sistemi nemici ed essere impropriamente dichiarati come un obiettivo ostile…”.
È quanto accaduto il 29 luglio 1967 nel Golfo del Tonchino a bordo della portaerei Us Forrestal. Le radiazioni emesse dal radar di bordo detonarono un missile in dotazione ad un caccia F-14, causando una violenta esplosione e la morte di 134 militari.
Con il trasferimento della stazione terrestre MUOS a Niscemi, la Us Navy dà per risolti i problemi ai sistemi d'arma e ai mezzi aerei ospitati a Sigonella, “eliminando” possibili rischi ai militari e civili statunitensi che vivono e lavorano nella base. Non è invece dato sapere se e in che misura siano stati tenuti in considerazione gli effetti sulla salute e la sicurezza delle popolazioni che abitano nelle aree prossime alla stazione di telecomunicazione chiamata ad ospitare il sistema satellitare MUOS.
L'infrastruttura sorge infatti solo a pochi chilometri dalle popolose città di Niscemi e Caltagirone, a cui mai nessuno ha comunicato la portata del dissennato progetto militare. Del tutto ignorati anche i villeggianti che nei mesi estivi raggiungono il vicinissimo bosco di Santo Pietro, importante riserva naturale protetta.
Un altro pezzo di territorio siciliano viene strappato ai suoi legittimi abitanti per essere trasformato in avamposto ed obiettivo di morte.
Ma nell'isola a stelle e strisce e del dominio mafioso sembra poco importare….


Fonte: Megachip
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Di Antonio Mazzeo




Tre grandi antenne circolari con un diametro di 18,4 metri e due torri radio alte 149 metri.
Saranno questi gli elementi chiave della stazione terrestre del sistema MUOS (Mobile User Objective System) di telecomunicazione satellitare che la Marina Militare degli Stati Uniti sta per realizzare a Niscemi, Caltanissetta.

Il terminale terrestre di Niscemi sarà del tutto simile a quello installato, lo scorso mese d'agosto, dalla General Dynamics nella base militare di Wahiawa, Hawaii, una delle quattro infrastrutture sparse per il mondo che assicureranno il funzionamento dell'ultima generazione della rete satellitare in UHF (altissima frequenza) che collegherà tra loro i Centri di Comando e Controllo delle forze armate Usa, i centri logistici e gli oltre 18.000 terminali militari radio esistenti, i gruppi operativi in combattimento, i missili Cruise e i Global Hawk (UAV-velivoli senza pilota), ecc..

Al progetto siciliano, la Us Navy ha destinato oltre 43 milioni di dollari, 13 dei quali per la predisposizione dell'area riservata alla stazione terrestre, del centro di controllo, dei megageneratori elettrici e di un deposito di gasolio; 30 milioni di dollari per gli shelter e l'acquisto delle attrezzature tecnologiche del sistema MUOS. A Niscemi sono pure previste la posa di sofisticati cavi a fibre ottiche per il collegamento tra le antenne satellitari e il Centro comunicazione; la realizzazione di shelter ed altri impianti di supporto, strade e sentieri di accesso alle antenne e al deposito carburanti; l'installazione di luci di sicurezza e telecamere di sorveglianza.

Star Wars made in Sicily

Sino allo scorso anno, in realtà, la base prescelta per il terminal del nuovo sistema satellitare era quella di Sigonella, la principale stazione aeronavale della Marina Usa nel Mediterraneo.
Sono gli stessi comandi militari statunitensi a descrivere minuziosamente le finalità del Mobile User Objective System e il piano delle opere previste per l'installazione della sua piattaforma terrestre:
“Il sistema di telecomunicazione satellitare oggi funzionante è prossimo alla fine della sua esistenza. Il sistema previsto per sostituire la costellazione SATCOM sarà il MUOS che fornirà in tempo reale le comunicazioni via satellite a tutti i settori delle forze armate operanti a livello mondiale.
Il MUOS permetterà ai mezzi di guerra di comunicare con i comandi e i centri di controllo ovunque essi si trovino”.
“Adeguate infrastrutture sono richieste per garantire il supporto terrestre e lo spazio operativo del sistema”, aggiungono gli alti responsabili della Marina Usa. “Il Navy's Communications Satellite Acquisition Program Office, e lo Space and Naval Warfare Sistems Commnad (SPAWAR) hanno condotto uno studio globale per determinare i luoghi migliori per le stazioni riceventi.
Questi luoghi sono presenti strategicamente attorno al globo per assicurare un'ottima copertura dei satelliti in orbita ed un uso efficiente ed effettivo delle infrastrutture di comunicazione e della rete di connessione terrestri. (…)
Se questo progetto non verrà realizzato a Sigonella sarà necessario trovare un luogo alternativo per supportare il complesso MUOS ed essere integrato con gli altri tre siti.
Ciò comporterà mesi o anni di ritardo nell'installazione del sistema MUOS. Inoltre, saranno necessarie alte infrastrutture di supporto con conseguente aumento dei costi del progetto. Nessun altro luogo risponde alle caratteristiche e ai costi previsti per questo luogo. SPAWAR ha effettuato diversi anni di studio per giungere a scegliere questo luogo”.

Testate a rischio con il sistema MUOS

Ciononostante la Us Navy ha deciso di dirottare il terminale terrestre presso la vicina stazione di Niscemi, che dal 1991 assicura le comunicazioni supersegrete e non, delle forze di superficie, sottomarine, aeree e terrestri e dei centri C4I (Command, Control, Computer, Communications and Intelligence) di Stati Uniti ed alleati Nato. Il cambio di destinazione, molto probabilmente, è stato dettato dalle risultanze di uno studio sull'impatto delle onde elettromagnetiche generate dalle grandi antenne del MUOS, elaborato per conto della Marina Usa da AGI - Analytical Graphics, Inc., importante società con sede a Exton, Pennsylvania, in collaborazione con la Maxim Systems di San Diego, California.
Lo studio, denominato “Sicily RADHAZ Radio and Radar Radiation Hazards Model”, è consistito nell'elaborazione di un modello di verifica dei rischi di irradiazione elettromagnetica sui sistemi d'armi, munizioni, propellenti ed esplosivi ospitati nello scalo aeronavale siciliano (“HERO - Hazards of Electromagnetic to Ordnance”).
La simulazione informatica del modello ha condotto ad un inatteso “No” all'ipotesi di utilizzo della base di Sigonella.
“Il modello Radhaz Sicilia - si legge sul sito internet dell'AGI - è stato implementato con successo a Sigonella, giocando un ruolo significativo nella decisione di non usare il sito per il terminale terrestre MUOS e di trovare una nuova destinazione”.
L'incompatibilità ambientale del sistema satellitare è stata poi suggellata dalla relazione firmata nel 2006 dall'ingegnere Nicholas Gavin di AGI-Maxim Systems. Anche Filippo Gemma, amministratore di Gmspazio Srl di Roma (società che rappresenta in Italia la statunitense AGI), ha confermato l'esito negativo dello studio sull'impatto elettromagnetico.
Nel corso di un'intervista a RaiNews 24, trasmessa il 22 novembre 2007 durante lo speciale “Base Usa di Sigonella. Il pericolo annunciato”, Gemma ha dichiarato che “una delle raccomandazioni di AGI era che questo tipo di trasmettitore non dovesse essere installato in prossimità di velivoli dotati di armamento, i cui detonatori potessero essere influenzati dalle emissioni elettromagnetiche del trasmettitore stesso". I ricercatori hanno cioè accertato che le fortissime emissioni elettromagnetiche possono avviare la detonazione degli ordigni presenti nella base militare.

Gli ”Hazards of Electromagnetic Radiation to Ordnance (HERO)” sono uno dei temi che più preoccupano il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sin dalla fine degli anni cinquanta. “Un alto livello di energia elettromagnetica prodotta dalla RFR (Radio Frequency Radiation) – si legge nei manuali di prevenzione incidenti adottati dalla Marina Usa – può provocare anche correnti o voltaggi elettrici che possono causare l'attivazione di derivazioni elettro-esplosive ed archi elettrici che detonano materiali infiammabili.
I moderni trasmettitori radio e radar a bordo delle unità navali possono produrre irradiazioni elettromagnetiche nell'ambiente che sono potenzialmente pericolose per il personale operativo; armi, munizioni e depositi di carburante; attrezzature collegate. L'esposizione all'energia derivante dai sistemi radio di sufficiente intensità e frequenze comprese tra i 3 kilohertz (kHz) ed i 300 GHz possono avere effetti negativi su personale, sistemi d'arma e carburanti (…)
Le componenti elettroniche dei sistemi d'arma sono particolarmente sensibili ai campi elettromagnetici durante la manipolazione e il loro assemblaggio, ecc.…”.

Per gli Stati Uniti d'America, Niscemi è un deserto

Al pericolo elettromagnetico durante le operazioni di armamento in elicotteri o aerei a bordo di portaerei o unità navali è riservato il rapporto del Comando della Maroina Usa, “CG-47 Class advisory no. 05-85, Radhaz/Hero Guidance”.
Vi si legge, tra l'altro, che “radiazioni prodotte dai sensori delle unità navali potrebbero essere sufficienti a generare la detonazione di armi e carburante a bordo dell'elicottero.
Le interferenze tra i sensori a bordo delle navi e degli elicotteri potrebbero pure far apparire questi ultimi come sistemi nemici ed essere impropriamente dichiarati come un obiettivo ostile…”.
È quanto accaduto il 29 luglio 1967 nel Golfo del Tonchino a bordo della portaerei Us Forrestal. Le radiazioni emesse dal radar di bordo detonarono un missile in dotazione ad un caccia F-14, causando una violenta esplosione e la morte di 134 militari.
Con il trasferimento della stazione terrestre MUOS a Niscemi, la Us Navy dà per risolti i problemi ai sistemi d'arma e ai mezzi aerei ospitati a Sigonella, “eliminando” possibili rischi ai militari e civili statunitensi che vivono e lavorano nella base. Non è invece dato sapere se e in che misura siano stati tenuti in considerazione gli effetti sulla salute e la sicurezza delle popolazioni che abitano nelle aree prossime alla stazione di telecomunicazione chiamata ad ospitare il sistema satellitare MUOS.
L'infrastruttura sorge infatti solo a pochi chilometri dalle popolose città di Niscemi e Caltagirone, a cui mai nessuno ha comunicato la portata del dissennato progetto militare. Del tutto ignorati anche i villeggianti che nei mesi estivi raggiungono il vicinissimo bosco di Santo Pietro, importante riserva naturale protetta.
Un altro pezzo di territorio siciliano viene strappato ai suoi legittimi abitanti per essere trasformato in avamposto ed obiettivo di morte.
Ma nell'isola a stelle e strisce e del dominio mafioso sembra poco importare….


Fonte: Megachip

venerdì 26 settembre 2008

Autorizzazione a delinquere


Di Marco Travaglio


Sconvolti dalla classifica di Transparency International sui paesi meno corrotti, che colloca l’Italia in coda al resto d’Europa e alle spalle di mezzo Terzo Mondo, i nostri parlamentari han reagito con uno scatto d’orgoglio contro chi continua a screditare l’immagine della politica italiana nel mondo.


Infatti, due giorni fa, il Senato della Repubblica ha respinto la richiesta dei giudici di Roma di autorizzare gli arresti domiciliari per il neosenatore del Pdl Nicola Di Girolamo, accusato di aver falsamente dichiarato di risiedere in Belgio per candidarsi e farsi eleggere nel collegio degli italiani all’estero, mentre in realtà non s’è mai mosso dall’Italia.

Gravi i reati contestati: false dichiarazioni, falso ideologico, abuso d’ufficio. Gravissime le conseguenze della sua condotta: Di Girolamo, se fossero provate le accuse, sarebbe un senatore abusivo che ha truffato i suoi elettori e non dovrebbe sedere a Palazzo Madama un minuto di più.

Consci della sua pesantissima posizione, i colleghi di casta, anzi di cosca, han pensato bene di coprirlo e salvarlo con la consueta maggioranza trasversale Pd-Pdl-Lega-Udc e la solita eccezione dell’Italia dei Valori («Ancora una volta il Parlamento difende la Casta», ha commentato il dipietrista Luigi Ligotti).

Un plebiscito a favore dell’arrestando: 204 no ai giudici, 43 sì (Idv più alcuni cani sciolti). Così Di Girolamo resta non solo a piede libero, ma pure in Senato. Tutto è bene quel che finisce bene.


Intanto - rivela Liana Milella su Repubblica - il Lodo Alfano ha figliato un pargoletto. Si chiama Lodo Consolo, con l’accento sulla prima «o», dal nome del senatore avvocato di An, e mira a proteggere non solo le quattro alte cariche dello Stato, ma anche i ministri.

I quali potranno delinquere a piacimento, anche quando i loro delitti non c’entrano nulla con le funzioni ministeriali.

Per questi ultimi, infatti, già oggi il Tribunale dei ministri, per procedere, necessita del permesso del Parlamento.

Con la nuova legge (inserita con corsia preferenziale in commissione Giustizia dall’on. Enrico Costa, figlio del più noto Raffaele, il castiga-Casta), il Parlamento potrà bloccare i processi anche per reati comuni, extrafunzionali, commessi privatamente da chi in quel momento è pure ministro.

Il noto giureconsulto Consolo, qualche anno fa, fu inquisito e condannato in tribunale (in appello fu assolto) per aver spacciato per proprie alcune monografie altrui per incrementare i titoli necessari a ottenere la cattedra di ordinario all’Università di Cagliari.

Ma non è per sé che ha partorito il Lodo-bis extralarge.

È per un suo cliente, che guardacaso fa il ministro, guardacaso è imputato e guardacaso per un reato di favoreggiamento che non c’entra nulla con le funzioni ministeriali (avrebbe avvertito alcuni indagati di un’inchiesta con intercettazioni in corso su un caso di abusi edilizi all’Elba).

Dunque non necessita, almeno finora, di alcuna autorizzazione a procedere (anche se Matteoli s’è rivolto alla Consulta).

Col Lodo, anzi con l’Auto-Lodo, il processo si bloccherà e riposerà in pace in saecula saeculorum.

Anche il ministro Bossi, già pluripregiudicato, potrà liberarsi di un paio di processi ancora in corso, per aver invitato una signora a «gettare nel cesso il Tricolore» e organizzato una banda paramilitare, le Camicie Verdi.

Idem il ministro al Plasmon, Raffaele Fitto, imputato in Puglia per le presunte mazzette sanitarie.

E così pure il ministro Roberto Calderoli, indagato per ricettazione a Milano per aver preso soldi dalla Popolare di odi del furbetto Fiorani.

Si vedrà se il Lodo vale anche per i viceministri e i sottosegretari (e, perché no, anche ai mille parlamentari, ai governatori, sindaci e presidenti di provincia, con relativi consiglieri e assessori, senza dimenticare circoscrizioni e comunità montane): nel qual caso salverà pure Aldo Brancher, indagato per ricettazione delle stecche targate Fiorani.

Nel qual caso, la corsa ad arraffare uno dei nuovi posti di ministro e di sottosegretario messi in palio dal Cainano si farà sovraffollata, visto che Lega e Pdl ospitano una quarantina tra indagati e imputati.

Ma è probabile che la nuova norma salvi anche Clemente Mastella, indagato a S. Maria Capua Vetere (ora a Napoli) quand’era ministro della Giustizia per faccende che nulla avevano a che vedere con la carica.

Dopodiché, quando vedrete avvicinarsi un ministro, mettete in salvo il portafogli.

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Di Marco Travaglio


Sconvolti dalla classifica di Transparency International sui paesi meno corrotti, che colloca l’Italia in coda al resto d’Europa e alle spalle di mezzo Terzo Mondo, i nostri parlamentari han reagito con uno scatto d’orgoglio contro chi continua a screditare l’immagine della politica italiana nel mondo.


Infatti, due giorni fa, il Senato della Repubblica ha respinto la richiesta dei giudici di Roma di autorizzare gli arresti domiciliari per il neosenatore del Pdl Nicola Di Girolamo, accusato di aver falsamente dichiarato di risiedere in Belgio per candidarsi e farsi eleggere nel collegio degli italiani all’estero, mentre in realtà non s’è mai mosso dall’Italia.

Gravi i reati contestati: false dichiarazioni, falso ideologico, abuso d’ufficio. Gravissime le conseguenze della sua condotta: Di Girolamo, se fossero provate le accuse, sarebbe un senatore abusivo che ha truffato i suoi elettori e non dovrebbe sedere a Palazzo Madama un minuto di più.

Consci della sua pesantissima posizione, i colleghi di casta, anzi di cosca, han pensato bene di coprirlo e salvarlo con la consueta maggioranza trasversale Pd-Pdl-Lega-Udc e la solita eccezione dell’Italia dei Valori («Ancora una volta il Parlamento difende la Casta», ha commentato il dipietrista Luigi Ligotti).

Un plebiscito a favore dell’arrestando: 204 no ai giudici, 43 sì (Idv più alcuni cani sciolti). Così Di Girolamo resta non solo a piede libero, ma pure in Senato. Tutto è bene quel che finisce bene.


Intanto - rivela Liana Milella su Repubblica - il Lodo Alfano ha figliato un pargoletto. Si chiama Lodo Consolo, con l’accento sulla prima «o», dal nome del senatore avvocato di An, e mira a proteggere non solo le quattro alte cariche dello Stato, ma anche i ministri.

I quali potranno delinquere a piacimento, anche quando i loro delitti non c’entrano nulla con le funzioni ministeriali.

Per questi ultimi, infatti, già oggi il Tribunale dei ministri, per procedere, necessita del permesso del Parlamento.

Con la nuova legge (inserita con corsia preferenziale in commissione Giustizia dall’on. Enrico Costa, figlio del più noto Raffaele, il castiga-Casta), il Parlamento potrà bloccare i processi anche per reati comuni, extrafunzionali, commessi privatamente da chi in quel momento è pure ministro.

Il noto giureconsulto Consolo, qualche anno fa, fu inquisito e condannato in tribunale (in appello fu assolto) per aver spacciato per proprie alcune monografie altrui per incrementare i titoli necessari a ottenere la cattedra di ordinario all’Università di Cagliari.

Ma non è per sé che ha partorito il Lodo-bis extralarge.

È per un suo cliente, che guardacaso fa il ministro, guardacaso è imputato e guardacaso per un reato di favoreggiamento che non c’entra nulla con le funzioni ministeriali (avrebbe avvertito alcuni indagati di un’inchiesta con intercettazioni in corso su un caso di abusi edilizi all’Elba).

Dunque non necessita, almeno finora, di alcuna autorizzazione a procedere (anche se Matteoli s’è rivolto alla Consulta).

Col Lodo, anzi con l’Auto-Lodo, il processo si bloccherà e riposerà in pace in saecula saeculorum.

Anche il ministro Bossi, già pluripregiudicato, potrà liberarsi di un paio di processi ancora in corso, per aver invitato una signora a «gettare nel cesso il Tricolore» e organizzato una banda paramilitare, le Camicie Verdi.

Idem il ministro al Plasmon, Raffaele Fitto, imputato in Puglia per le presunte mazzette sanitarie.

E così pure il ministro Roberto Calderoli, indagato per ricettazione a Milano per aver preso soldi dalla Popolare di odi del furbetto Fiorani.

Si vedrà se il Lodo vale anche per i viceministri e i sottosegretari (e, perché no, anche ai mille parlamentari, ai governatori, sindaci e presidenti di provincia, con relativi consiglieri e assessori, senza dimenticare circoscrizioni e comunità montane): nel qual caso salverà pure Aldo Brancher, indagato per ricettazione delle stecche targate Fiorani.

Nel qual caso, la corsa ad arraffare uno dei nuovi posti di ministro e di sottosegretario messi in palio dal Cainano si farà sovraffollata, visto che Lega e Pdl ospitano una quarantina tra indagati e imputati.

Ma è probabile che la nuova norma salvi anche Clemente Mastella, indagato a S. Maria Capua Vetere (ora a Napoli) quand’era ministro della Giustizia per faccende che nulla avevano a che vedere con la carica.

Dopodiché, quando vedrete avvicinarsi un ministro, mettete in salvo il portafogli.

Scandalo a Crotone, scuole pubbliche costruite sopra le scorie tossiche

Usate circa 350 mila tonnellate contenenti metalli pesanti. Sequestrate 18 aree in città e provincia



CROTONE - Migliaia di tonnellate (350 mila) di scorie pericolose (arsenico, zinco, piombo, indio, germanio, mercurio) sarebbero state utilizzate per realizzare i piazzali di due scuole di Crotone e una di Cutro, i parcheggi di attività commerciali e la pavimentazione di una delle banchine del porto. Sette persone sono indagate per smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e disastro ambientale.
SEQUESTRI - Diciotto aree nei territori di Crotone, Isola Capo Rizzuto e Cutro sono state sottoposte a sequestro preventivo in quanto sarebbero stati realizzati lavori edili con l'impiego di materiali di scarto pericolosi della società Pertusola Sud, che ha chiuso l'attività alla fine degli anni Novanta. Il materiale altamente nocivo avrebbe dovuto essere smaltito in discariche specializzate e invece sarebbe stato ceduto a imprese di costruzioni che lo hanno utilizzato in lavori edili riguardanti, tra l'altro, anche alloggi popolari, villette, una banchina portuale e strade. Il sostituto procuratore di Crotone, Pierpaolo Bruni, ha detto che al momento non risultano collegamenti con la ’ndrangheta, anche se una delle ditte coinvolte negli anni scorsi era stata oggetto di indagini.

Fonte: Corriere.it

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Usate circa 350 mila tonnellate contenenti metalli pesanti. Sequestrate 18 aree in città e provincia



CROTONE - Migliaia di tonnellate (350 mila) di scorie pericolose (arsenico, zinco, piombo, indio, germanio, mercurio) sarebbero state utilizzate per realizzare i piazzali di due scuole di Crotone e una di Cutro, i parcheggi di attività commerciali e la pavimentazione di una delle banchine del porto. Sette persone sono indagate per smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e disastro ambientale.
SEQUESTRI - Diciotto aree nei territori di Crotone, Isola Capo Rizzuto e Cutro sono state sottoposte a sequestro preventivo in quanto sarebbero stati realizzati lavori edili con l'impiego di materiali di scarto pericolosi della società Pertusola Sud, che ha chiuso l'attività alla fine degli anni Novanta. Il materiale altamente nocivo avrebbe dovuto essere smaltito in discariche specializzate e invece sarebbe stato ceduto a imprese di costruzioni che lo hanno utilizzato in lavori edili riguardanti, tra l'altro, anche alloggi popolari, villette, una banchina portuale e strade. Il sostituto procuratore di Crotone, Pierpaolo Bruni, ha detto che al momento non risultano collegamenti con la ’ndrangheta, anche se una delle ditte coinvolte negli anni scorsi era stata oggetto di indagini.

Fonte: Corriere.it

Pirate Bay torna libero in Italia accolto il ricorso degli sito p2p


Il tribunale di Bergamo annulla il decreto con cui il Gip
aveva deciso il sequestro preventivo su denuncia dei discografici

Di Alessandro Longo


THE PIRATE BAY, uno dei più noti siti per il peer to peer, tornerà libero in Italia. È quanto ha deciso ieri il Tribunale di Bergamo, su ricorso della stessa Pirate Bay.

Ha annullato, quindi, il decreto del
sequestro preventivo emesso contro il sito dal Gip dello stesso Tribunale di Bergamo il primo agosto, su denuncia dei discografici.
Significa che ora i provider internet italiani dovranno riaprire l'accesso dei propri utenti al sito di Pirate Bay, che tra l'altro proprio in questi giorni festeggia un record: è arrivato a quota 15 milioni di utenti unici e a 1,2 milioni di file indicizzati (sono i file, cioè, permette di reperire tramite il proprio motore di ricerca).
Nel 2006 gli utenti erano "solo" 4 milioni.
"Questa decisione rappresenta un precedente importante per il peer to peer", commenta Giovanni Battista Galdus, avvocato che insieme a Francesco Paolo Micozzi (entrambi sardi) ha difeso le parti di Pirate Bay.
In particolare, di Peter Sunde, svedese, uno degli amministratori del sito e che ha seguito in prima persona la vicenda italiana.
Nell'occasione, Sunde aveva scritto parole di fuoco contro l'Italia e contro Berlusconi, definendolo "fascista".

"Il giudice farà sapere le motivazioni dell'annullamento nei prossimi giorni", dice Galdus.
Potrebbero essere due: difetto di giurisdizione (il gip non aveva competenza di ordinare qualcosa su un sito con sede all'estero) oppure irregolarità nella modalità del sequestro.
Sono i due motivi che abbiamo portato per ottenere l'annullamento".

Già al momento del sequestro c'erano stati esperti di diritto, come Andrea Monti (
da noi intervistato) che avevano parlato di irregolarità giuridiche: con l'arma del "sequestro preventivo", di fatto il giudice non faceva sequestrare alcunché ma inibiva l'accesso a un sito.
È un momento travagliato per Pirate Bay, non c'è dubbio, ma in un modo o nell'altro quest'idolo dei pirati riesce sempre a cadere in piedi.

È pure di questo mese una polemica scatenata in Svezia, per il fatto che le foto dell'autopsia di due bimbi uccisi erano state messe su Internet e rese raggiungibili tramite ricerca su Pirate Bay. Peter Sunde si era rifiutato di rimuovere le foto, in difesa della libertà di espressione.
Lo scandalo è passato senza portare danni al sito.


Adesso resta da chiarire un'altra vicenda, collegata al sequestro i Pirate Bay: c'e stata o no anche la violazione della privacy
degli utenti Internet italiani? Altroconsumo crede di sì e infatti il 23 settembre ha depositato un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali, contro i discografici.
"L'ipotesi- spiega l'associazione- è che siano stati raccolti e trattati illecitamente, senza alcuna autorizzazione da parte degli utenti, i dati personali di migliaia di navigatori da parte di un soggetto privato riconducibile alla Ifpi, associazione che rappresenta a livello internazionale le industrie discografiche su diversi Paesi".

Accuse che i discografici, per bocca di Fimi (Federazione dell'industria musicale italiana) rigettano con forza: le definiscono, in una nota,
"una buffonata colossale che non tiene conto del fatto che ci si trova di fronte ad un procedimento penale seguito dalle forze dell'ordine e dalla magistratura con provvedimenti emessi da magistratura e dalla polizia giudiziaria che non consentono alcuna iniziativa autonoma da parte di privati e che questi ultimi, anche se coinvolti sul piano tecnico, sono comunque soggetti al controllo delle autorità che stanno seguendo l'indagine contro i titolari del sito svedese".


Fonte:Repubblica
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Il tribunale di Bergamo annulla il decreto con cui il Gip
aveva deciso il sequestro preventivo su denuncia dei discografici

Di Alessandro Longo


THE PIRATE BAY, uno dei più noti siti per il peer to peer, tornerà libero in Italia. È quanto ha deciso ieri il Tribunale di Bergamo, su ricorso della stessa Pirate Bay.

Ha annullato, quindi, il decreto del
sequestro preventivo emesso contro il sito dal Gip dello stesso Tribunale di Bergamo il primo agosto, su denuncia dei discografici.
Significa che ora i provider internet italiani dovranno riaprire l'accesso dei propri utenti al sito di Pirate Bay, che tra l'altro proprio in questi giorni festeggia un record: è arrivato a quota 15 milioni di utenti unici e a 1,2 milioni di file indicizzati (sono i file, cioè, permette di reperire tramite il proprio motore di ricerca).
Nel 2006 gli utenti erano "solo" 4 milioni.
"Questa decisione rappresenta un precedente importante per il peer to peer", commenta Giovanni Battista Galdus, avvocato che insieme a Francesco Paolo Micozzi (entrambi sardi) ha difeso le parti di Pirate Bay.
In particolare, di Peter Sunde, svedese, uno degli amministratori del sito e che ha seguito in prima persona la vicenda italiana.
Nell'occasione, Sunde aveva scritto parole di fuoco contro l'Italia e contro Berlusconi, definendolo "fascista".

"Il giudice farà sapere le motivazioni dell'annullamento nei prossimi giorni", dice Galdus.
Potrebbero essere due: difetto di giurisdizione (il gip non aveva competenza di ordinare qualcosa su un sito con sede all'estero) oppure irregolarità nella modalità del sequestro.
Sono i due motivi che abbiamo portato per ottenere l'annullamento".

Già al momento del sequestro c'erano stati esperti di diritto, come Andrea Monti (
da noi intervistato) che avevano parlato di irregolarità giuridiche: con l'arma del "sequestro preventivo", di fatto il giudice non faceva sequestrare alcunché ma inibiva l'accesso a un sito.
È un momento travagliato per Pirate Bay, non c'è dubbio, ma in un modo o nell'altro quest'idolo dei pirati riesce sempre a cadere in piedi.

È pure di questo mese una polemica scatenata in Svezia, per il fatto che le foto dell'autopsia di due bimbi uccisi erano state messe su Internet e rese raggiungibili tramite ricerca su Pirate Bay. Peter Sunde si era rifiutato di rimuovere le foto, in difesa della libertà di espressione.
Lo scandalo è passato senza portare danni al sito.


Adesso resta da chiarire un'altra vicenda, collegata al sequestro i Pirate Bay: c'e stata o no anche la violazione della privacy
degli utenti Internet italiani? Altroconsumo crede di sì e infatti il 23 settembre ha depositato un reclamo al Garante per la protezione dei dati personali, contro i discografici.
"L'ipotesi- spiega l'associazione- è che siano stati raccolti e trattati illecitamente, senza alcuna autorizzazione da parte degli utenti, i dati personali di migliaia di navigatori da parte di un soggetto privato riconducibile alla Ifpi, associazione che rappresenta a livello internazionale le industrie discografiche su diversi Paesi".

Accuse che i discografici, per bocca di Fimi (Federazione dell'industria musicale italiana) rigettano con forza: le definiscono, in una nota,
"una buffonata colossale che non tiene conto del fatto che ci si trova di fronte ad un procedimento penale seguito dalle forze dell'ordine e dalla magistratura con provvedimenti emessi da magistratura e dalla polizia giudiziaria che non consentono alcuna iniziativa autonoma da parte di privati e che questi ultimi, anche se coinvolti sul piano tecnico, sono comunque soggetti al controllo delle autorità che stanno seguendo l'indagine contro i titolari del sito svedese".


Fonte:Repubblica

Intervista a Vittoria Mariani di “Insorgenza Civile”, destinataria di un vile atto di intimidazione.



ESPRIMIAMO ASSOLUTA SOLIDARIETA' A VITTORIA MARIANI E AGLI AMICI DI INSORGENZA CIVILE.
(PDSUD ER)



Servizio di Marina Salvadore - riprese e montaggio di Mauro Caiano



Di Vittoria Mariani

Napoli la sua gente e i potenti

E’ sorprendete, come si possa mistificare la realtà anche nelle piccole cose , è ancor più sorprendente, come si possa avere la faccia di bronzo , da presentarsi al cospetto di una parte del popolo con spoglie di umile agnellino, quando poi si è ammantati da un puzzo di zolfo che sale dall’inferno, ma quel che lascia ancor più sgomenti è la pochezza di acume di una parte del popolo napoletano che ,vuoi per clientelismo, vuoi per comodità ,fa finta di accantonare ,o peggio ancora di dimenticare i drammi quotidiani, appiattendosi su piaceri personali che tempo troppo effimero hanno.

Al di là delle promesse , che ogni politico di razza, quotidianamente fa, resta un boccone troppo duro da digerire ,la vita grama che da venti anni e più siamo costretti a fare !
E allora vendersi per un pugno di promesse, ti accorgi che non vale, che per un attimo di serenità non ti puoi sputtanare !
Ti fermi un attimo, rifletti , se te ne danno il tempo, tu tutto preso a sbarcare onestamente il lunario, tu che hai avuto l’ardire di metter su famiglia, come ti sei permesso ?
Ed ora pretendi pure di Pensare, esprimere idee, dissenso …….

Non lo sai che gli unici che hanno il diritto di fare e di disfare sono solo i potenti e la loro progenie ?
Tu sei al mondo , solo perché non ti hanno ammazzato ancora e non con le armi , ma solo struggendoti quotidianamente in una affannosa corsa verso la soluzione delle tue responsabilità quotidiane , così pian pianino , il tempo scorre più veloce di quanto sembri , e da giovane professionista, diventi precario ,da precario disoccupato , da disoccupato anziano e stanco ,e per il regime risulti essere un peso morto , giacchè non hai più la forza di lavorare o peggio ancora non ti permettono di farlo .

Largo ai giovani urlano!!!!!!

Ma i giovani , che sono già vecchi dentro, ed hanno assicurato il loro futuro, sono i figli di quei vecchi potenti , che sempre hanno ragione, anche quando i loro errori sono palesi, ma per il sol fatto che comandano ,garantiscono idioti e banderuole umane che mangeranno pane tradimento , ai danni, come sempre di quella brava gente , che ogni mattina si sveglia con mille guai da risolvere ,e, che, comunque e sempre va a lavorare tra traffico esasperante, cortei pilotati , parcheggi inesistenti , taglieggiata sino allo spasimo da tasse e nuovi divieti .

Questa Napoletani miei è la vita che ci hanno regalato, e ci maledicono e ci bestemmiano , se colti da disperazione trasgrediamo le loro leggi ,tanto …..siamo carne da macello e già è molto che ci consentono di sopravvivere !!!!

Che vita grama Popolo mio paziente !

Che ipocondria gestiti e governati da gente che non se ne importa niente.
Quando torniamo a casa la sera, non abbiamo voglia di nulla troppo oberati ed empi della giornata, e neanche ci accorgiamo diquanto i nostri figli agognino una nostra parola o il nostro semplice condividere con loro qualcosa ,anzicchè stargli accanto essendo distanti !

Che vita grama !

NAPOLETANI MIEI , popolo benedetto da DIO e massacrato dai governanti !Ridicolo ma vero !
Eppure ogni volta che ci presenta l’occasione per reagire, basta che ci diano il contentino , e cancelliamo tutto il male con un colpo di spugna !

Basta!

Non si può subire imbalsamatori ,mistificatori e potenti in eterno ,è giunto il momento di emettere un rigurgito di reazione ,poiché se noi continuiamo a far finta di non vedere per “QUIETO VIVERE “ tra un po’ non avremo più la forza neanche di provare emozioni.

Svegliaaaaaaaa!
Il tempo passa e i satanassi ingrassano .

Napoli 26/09/2008

Fonte:
Caffè news
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ESPRIMIAMO ASSOLUTA SOLIDARIETA' A VITTORIA MARIANI E AGLI AMICI DI INSORGENZA CIVILE.
(PDSUD ER)



Servizio di Marina Salvadore - riprese e montaggio di Mauro Caiano



Di Vittoria Mariani

Napoli la sua gente e i potenti

E’ sorprendete, come si possa mistificare la realtà anche nelle piccole cose , è ancor più sorprendente, come si possa avere la faccia di bronzo , da presentarsi al cospetto di una parte del popolo con spoglie di umile agnellino, quando poi si è ammantati da un puzzo di zolfo che sale dall’inferno, ma quel che lascia ancor più sgomenti è la pochezza di acume di una parte del popolo napoletano che ,vuoi per clientelismo, vuoi per comodità ,fa finta di accantonare ,o peggio ancora di dimenticare i drammi quotidiani, appiattendosi su piaceri personali che tempo troppo effimero hanno.

Al di là delle promesse , che ogni politico di razza, quotidianamente fa, resta un boccone troppo duro da digerire ,la vita grama che da venti anni e più siamo costretti a fare !
E allora vendersi per un pugno di promesse, ti accorgi che non vale, che per un attimo di serenità non ti puoi sputtanare !
Ti fermi un attimo, rifletti , se te ne danno il tempo, tu tutto preso a sbarcare onestamente il lunario, tu che hai avuto l’ardire di metter su famiglia, come ti sei permesso ?
Ed ora pretendi pure di Pensare, esprimere idee, dissenso …….

Non lo sai che gli unici che hanno il diritto di fare e di disfare sono solo i potenti e la loro progenie ?
Tu sei al mondo , solo perché non ti hanno ammazzato ancora e non con le armi , ma solo struggendoti quotidianamente in una affannosa corsa verso la soluzione delle tue responsabilità quotidiane , così pian pianino , il tempo scorre più veloce di quanto sembri , e da giovane professionista, diventi precario ,da precario disoccupato , da disoccupato anziano e stanco ,e per il regime risulti essere un peso morto , giacchè non hai più la forza di lavorare o peggio ancora non ti permettono di farlo .

Largo ai giovani urlano!!!!!!

Ma i giovani , che sono già vecchi dentro, ed hanno assicurato il loro futuro, sono i figli di quei vecchi potenti , che sempre hanno ragione, anche quando i loro errori sono palesi, ma per il sol fatto che comandano ,garantiscono idioti e banderuole umane che mangeranno pane tradimento , ai danni, come sempre di quella brava gente , che ogni mattina si sveglia con mille guai da risolvere ,e, che, comunque e sempre va a lavorare tra traffico esasperante, cortei pilotati , parcheggi inesistenti , taglieggiata sino allo spasimo da tasse e nuovi divieti .

Questa Napoletani miei è la vita che ci hanno regalato, e ci maledicono e ci bestemmiano , se colti da disperazione trasgrediamo le loro leggi ,tanto …..siamo carne da macello e già è molto che ci consentono di sopravvivere !!!!

Che vita grama Popolo mio paziente !

Che ipocondria gestiti e governati da gente che non se ne importa niente.
Quando torniamo a casa la sera, non abbiamo voglia di nulla troppo oberati ed empi della giornata, e neanche ci accorgiamo diquanto i nostri figli agognino una nostra parola o il nostro semplice condividere con loro qualcosa ,anzicchè stargli accanto essendo distanti !

Che vita grama !

NAPOLETANI MIEI , popolo benedetto da DIO e massacrato dai governanti !Ridicolo ma vero !
Eppure ogni volta che ci presenta l’occasione per reagire, basta che ci diano il contentino , e cancelliamo tutto il male con un colpo di spugna !

Basta!

Non si può subire imbalsamatori ,mistificatori e potenti in eterno ,è giunto il momento di emettere un rigurgito di reazione ,poiché se noi continuiamo a far finta di non vedere per “QUIETO VIVERE “ tra un po’ non avremo più la forza neanche di provare emozioni.

Svegliaaaaaaaa!
Il tempo passa e i satanassi ingrassano .

Napoli 26/09/2008

Fonte:
Caffè news

 
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