sabato 24 luglio 2010

«Marchionne ormai tratta Mirafiori come Tychy o Kragujevac»



di ANTONIO SCIOTTO (IL MANIFESTO del 23 LUGLIO 2010)
A Mirafiori adesso è arrivata la paura. E la rabbia. Gli operai hanno saputo ieri, da un'intervista, che l'ad Fiat Sergio Marchionne non vuole più produrre i nuovi modelli L0 e L1 (non hanno ancora dei nomi per il pubblico) a Torino, ma che andrà a farli in Serbia. «E dire che ancora il 21 aprile scorso, e nei successivi incontri, dava quella produzione proprio a Mirafiori - protesta Giorgio Airaudo, neo segretario nazionale Fiom, ma ancora segretario Fiom del Piemonte - Invece oggi Marchionne cambia una parte importante della Fabbrica Italia, il nuovo piano di sviluppo da lui stesso concepito, e ce lo comuinica praticamente via sms: con un'intervista. Fino a due anni fa, quando inaugurò qui la Cinquecento costruita in Polonia, non avrebbe mai fatto uscire una notizia così senza prima parlare con il sindaco di Torino e il presidente della Regione, senza incontrare i sindacati. Dice tutto il primo cda tenuto negli Usa: ormai Mirafiori, la culla del gruppo, viene trattata come un qualunque stabilimento estero, da Tychy in Polonia alla serba Kragujevac». Le tute blu della «gloriosa» Mirafiori non si sentono più al centro dell'impero Fiat, ma dopo l'alleanza con l'americana Chrysler, e lo sviluppo in Usa, Russia, i legami in Cina e in India, portati avanti dall'ambizioso Marchionne, si vedono sospinte ai margini. E scorgono una grande nube nera sul loro futuro. Sono in tutto 16 mila a lavorare nel «perimetro Fiat» torinese, ma i dipendenti diretti della multinazionale sono 11 mila. Cinquemila sono amministrativi negli Enti Centrali, altrettanti stanno alle linee delle Carrozzerie, dove si assemblano le auto. Ma poi ci sono gli operai delle Presse, le Costruzioni Stampi... Insomma un pezzo di storia del Piemonte e dell'Italia, oggi tutto da riscrivere. Al momento, le auto prodotte sono tutte in esaurimento, da qui a massimo due anni, anche se alcuni modelli non hanno esplicitata una «data di scadenza»: sono la Multipla, la Idea e la Musa, la Mito e la vecchia Punto, quella che i torinesi chiamano volgarmente la «povera», per distinguerla dalla Grande Punto. La L0 e la L1 avrebbero immesso nuova linfa per gli anni a venire, «e anzi - riprende Airaudo - non sarebbero bastati solo quei due modelli per saturare l'impianto, noi ne avremmo voluto almeno un altro. Ma ora che pure loro non ci sono più, davvero la Fiat ci deve dire cosa verrà portato a Torino». Tra l'altro oggi a Mirafiori si fa già tanta cassa, e con questa fuga inaspettata verso la Serbia, certamente aumenterà. «La decisione sembra presa, qui non ci viene posto il "ricatto" di Pomigliano - conclude Airaudo -La verità è che la Fiat, sul piano dei prodotti, è indietro ai concorrenti europei, che metteranno sul mercato i nuovi modelli già da settembre. Marchionne vuole aspettare, e intanto competere sui costi del lavoro. Ma non ci si può chiedere di offrire le condizioni serbe: salari di 400 euro mensili e niente tasse per dieci anni; senza contare che l'area viene ceduta ed è stata bonificata dal governo serbo, con soldi anche della Bce. Mentre da noi il governo non ha uno straccio di politica industriale».
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di ANTONIO SCIOTTO (IL MANIFESTO del 23 LUGLIO 2010)
A Mirafiori adesso è arrivata la paura. E la rabbia. Gli operai hanno saputo ieri, da un'intervista, che l'ad Fiat Sergio Marchionne non vuole più produrre i nuovi modelli L0 e L1 (non hanno ancora dei nomi per il pubblico) a Torino, ma che andrà a farli in Serbia. «E dire che ancora il 21 aprile scorso, e nei successivi incontri, dava quella produzione proprio a Mirafiori - protesta Giorgio Airaudo, neo segretario nazionale Fiom, ma ancora segretario Fiom del Piemonte - Invece oggi Marchionne cambia una parte importante della Fabbrica Italia, il nuovo piano di sviluppo da lui stesso concepito, e ce lo comuinica praticamente via sms: con un'intervista. Fino a due anni fa, quando inaugurò qui la Cinquecento costruita in Polonia, non avrebbe mai fatto uscire una notizia così senza prima parlare con il sindaco di Torino e il presidente della Regione, senza incontrare i sindacati. Dice tutto il primo cda tenuto negli Usa: ormai Mirafiori, la culla del gruppo, viene trattata come un qualunque stabilimento estero, da Tychy in Polonia alla serba Kragujevac». Le tute blu della «gloriosa» Mirafiori non si sentono più al centro dell'impero Fiat, ma dopo l'alleanza con l'americana Chrysler, e lo sviluppo in Usa, Russia, i legami in Cina e in India, portati avanti dall'ambizioso Marchionne, si vedono sospinte ai margini. E scorgono una grande nube nera sul loro futuro. Sono in tutto 16 mila a lavorare nel «perimetro Fiat» torinese, ma i dipendenti diretti della multinazionale sono 11 mila. Cinquemila sono amministrativi negli Enti Centrali, altrettanti stanno alle linee delle Carrozzerie, dove si assemblano le auto. Ma poi ci sono gli operai delle Presse, le Costruzioni Stampi... Insomma un pezzo di storia del Piemonte e dell'Italia, oggi tutto da riscrivere. Al momento, le auto prodotte sono tutte in esaurimento, da qui a massimo due anni, anche se alcuni modelli non hanno esplicitata una «data di scadenza»: sono la Multipla, la Idea e la Musa, la Mito e la vecchia Punto, quella che i torinesi chiamano volgarmente la «povera», per distinguerla dalla Grande Punto. La L0 e la L1 avrebbero immesso nuova linfa per gli anni a venire, «e anzi - riprende Airaudo - non sarebbero bastati solo quei due modelli per saturare l'impianto, noi ne avremmo voluto almeno un altro. Ma ora che pure loro non ci sono più, davvero la Fiat ci deve dire cosa verrà portato a Torino». Tra l'altro oggi a Mirafiori si fa già tanta cassa, e con questa fuga inaspettata verso la Serbia, certamente aumenterà. «La decisione sembra presa, qui non ci viene posto il "ricatto" di Pomigliano - conclude Airaudo -La verità è che la Fiat, sul piano dei prodotti, è indietro ai concorrenti europei, che metteranno sul mercato i nuovi modelli già da settembre. Marchionne vuole aspettare, e intanto competere sui costi del lavoro. Ma non ci si può chiedere di offrire le condizioni serbe: salari di 400 euro mensili e niente tasse per dieci anni; senza contare che l'area viene ceduta ed è stata bonificata dal governo serbo, con soldi anche della Bce. Mentre da noi il governo non ha uno straccio di politica industriale».

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