venerdì 18 aprile 2008

GLI IGNAVI


La lettura del canto III dell'Inferno ci porta a capire meglio la personalità di Dante, poiché viene messo in evidenza, attraverso un racconto chiaro e semplice, uno fra i più grandi ideali del poeta.Arrivati alle porte dell'Inferno Dante e la sua guida Virgilio si apprestano ad incontrare i primi peccatori, gli ignavi, neppure degni di varcare le porte dell'Inferno.Capiamo subito la gravità del loro peccato, e la spiegazione della pena che essi subiscono non fa che accentuare ancora più drammaticamente la loro situazione: con una descrizione piuttosto cruda Dante ci spiega che essi sono costretti ad inseguire un vessillo bianco, punti in continuazione da insetti ripugnanti.Se in altri passi della Cantica il contrappasso non è molto evidente, qui non c'è dubbio: alla sofferenza psicologica di non poter incontrare Dio, si aggiunge il forte dolore fisico, simbolo della viltà di questi individui. Così, come in vita essi rimasero indifferenti a tutto e non si schierarono mai, ora in morte sono destinati ad inseguire un vessillo bianco, simbolo della loro viltà, e vengono punzecchiati da insetti, loro che furono insensibili ad ogni stimolo.E' evidente il disprezzo che Dante sente per questi individui: non li ritiene neppure degni di entrare nell'Inferno, ed essi non sono voluti dai diavoli né tanto meno dagli angeli, poiché non sono motivo di alcun vanto.Dante non ha sicuramente nulla da spartire con essi, ed affida a Virgilio la dura sentenza che porta i due protagonisti ad ignorare completamente la schiera: "Non ti curar di loro ma guarda e passa". E' chiaro che Dante non li ritiene neppure degni di proferir parola, e non può nemmeno pensare di intrattenersi a discutere con loro.
E io: «Maestro, che è tanto greve a lor, che lamentar li fa sì forte?».
Rispuose: «Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte e la lor cieca vita è tanto bassa, che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
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La lettura del canto III dell'Inferno ci porta a capire meglio la personalità di Dante, poiché viene messo in evidenza, attraverso un racconto chiaro e semplice, uno fra i più grandi ideali del poeta.Arrivati alle porte dell'Inferno Dante e la sua guida Virgilio si apprestano ad incontrare i primi peccatori, gli ignavi, neppure degni di varcare le porte dell'Inferno.Capiamo subito la gravità del loro peccato, e la spiegazione della pena che essi subiscono non fa che accentuare ancora più drammaticamente la loro situazione: con una descrizione piuttosto cruda Dante ci spiega che essi sono costretti ad inseguire un vessillo bianco, punti in continuazione da insetti ripugnanti.Se in altri passi della Cantica il contrappasso non è molto evidente, qui non c'è dubbio: alla sofferenza psicologica di non poter incontrare Dio, si aggiunge il forte dolore fisico, simbolo della viltà di questi individui. Così, come in vita essi rimasero indifferenti a tutto e non si schierarono mai, ora in morte sono destinati ad inseguire un vessillo bianco, simbolo della loro viltà, e vengono punzecchiati da insetti, loro che furono insensibili ad ogni stimolo.E' evidente il disprezzo che Dante sente per questi individui: non li ritiene neppure degni di entrare nell'Inferno, ed essi non sono voluti dai diavoli né tanto meno dagli angeli, poiché non sono motivo di alcun vanto.Dante non ha sicuramente nulla da spartire con essi, ed affida a Virgilio la dura sentenza che porta i due protagonisti ad ignorare completamente la schiera: "Non ti curar di loro ma guarda e passa". E' chiaro che Dante non li ritiene neppure degni di proferir parola, e non può nemmeno pensare di intrattenersi a discutere con loro.
E io: «Maestro, che è tanto greve a lor, che lamentar li fa sì forte?».
Rispuose: «Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte e la lor cieca vita è tanto bassa, che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa».

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