lunedì 31 agosto 2009

Manuli, tensione alle stelle.Oggi si riparte. Vigilanza con guardie private e cani antisommossa.


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Ascoli - Oggi è un giorno cruciale per l’industria ascolana. Questa mattina, infatti, torneranno al lavoro gli ultimi operai che hanno smaltito il periodo delle ferie. I riflettori sono però puntati sulla Manuli, azienda dove è in scena da un mese un dramma kafkiano. L’azienda, infatti, dovrebbe riprendere l’attività produttiva pur confermando la chiusura del sito. Il condizionale è quindi d’obbligo per due motivi: la multinazionale ha avviato la procedura di mobilità per tutti i 375 operai dello stabilimento di Campolungo per cui non si sa cosa si debba ancora produrre; a differenza degli anni precedenti non è stata eseguita la manutenzione degli impianti per cui i dipendenti rischiano di lavorare in condizioni di inadeguata sicurezza. Ad ogni modo l’azienda ha esposto un comunicato in bacheca dove ha comunicato che i primi a dover tornare al posto di lavoro alle 8 saranno gli impiegati seguiti alle 14 dagli operai del primo turno. Questi ultimi, però, effettueranno un’ora di sciopero. Allo stabilimento il clima è teso e negli ultimi giorni l’azienda ha potenziato il servizio di vigilanza all’interno dello stabilimento con body guard e cani antisommossa.

Manuli, si ricomincia in un clima teso
La proprietà ha potenziato la vigilanza con i cani antisommossa per il rientro in fabbrica

Ascoli Oggi è un giorno cruciale per l’industria ascolana. Questa mattina, infatti, torneranno al lavoro gli ultimi operai che hanno smaltito il periodo delle ferie. I riflettori sono però puntati sulla Manuli, azienda dove è in scena da un mese un dramma kafkiana. L’azienda, infatti, dovrebbe riprendere l’attività produttiva pur confermando la chiusura del sito.

Il condizionale è quindi d’obbligo per due motivi: la multinazionale ha avviato la procedura di mobilità per tutti i 375 operai dello stabilimento di Campolungo per cui non si sa cosa si debba ancora produrre; a differenza degli anni precedenti non è stata eseguita la manutenzione degli impianti per cui i dipendenti rischiano di lavorare in condizioni di inadeguata sicurezza. Ad ogni modo l’azienda ha esposto un comunicato in bacheca dove ha comunicato che i primi a dover tornare al posto di lavoro alle 8 saranno gli impiegati seguiti alle 14 dagli operai del primo turno. Questi ultimi, però, effettueranno un’ora di sciopero con assemblea anche in vista del decisivo incontro nella capitale con il ministro Scajola.

Allo stabilimento il clima è sempre teso. Il presidio dei lavoratori non è stato mai sguarnito ma negli ultimi giorni l’azienda ha potenziato il servizio di vigilanza all’interno dello stabilimento con body guard muniti di cani antisommossa. Non è il migliore biglietto da visita per riprendere il dialogo.

Mercoledì, invece, il sindaco Castelli ha convocato una riunione con gli amministratori di Teramo e della Val Vibrata per riattivare il famoso protocollo d’intesa con l’Abruzzo. E domani all’ordine del giorno della giunta comunale figurano due importanti provvedimenti per andare incontro alle famiglie che hanno perso il lavoro.

La giunta comunale, infatti, deliberà l’erogazione di un bonus di 50 euro per l’acquisto di materiale scolastico e la riduzione del pagamento per mense scolastiche e rette degli asili nido.

E’ il sindaco Castelli ad anticipare il provvedimento: “Per quanto riguarda gli sgravi per mense scolastiche e asili nido abbiamo deciso di attualizzare la dichiarazione Isee fino al 2009. Finora, infatti, per godere dei benefici bisognava presentare la dichiarazione relativa al 2008 che non avrebbe tenuto conto di chi è stato vittima di processi di ristrutturazione aziendale nel corso di quest’anno. Ad esempio non tutti gli operai della Manuli hanno ricevuto la lettera di mobilità ma è ovvio che purtroppo, se non si risolverà positivamente la vertenza, perderanno il posto di lavoro. Per quanto riguarda il bonus scuola, l’Amministrazione comunale s’impegna a rimborsare i titolari delle cartolerie che riceveranno il bonus consegnato dai lavoratori che hanno perso il posto di lavoro. Abbiamo in bilancio una spesa di circa cinquantamila euro e quindi circa mille bonus”.

Lavoro, ripresa e preoccupazioni


Ancona Dalla Antonio Merloni di Fabriano alla Manuli Rubbers di Ascoli Piceno, passando per la cassa integrazione alla Cnh di Jesi e all’Elica, dalle difficoltà della cantieristica nel Pesarese alla Cig in arrivo alla Fincantieri. E’ il quadro preoccupante dell’economia marchigiana alla ripresa dopo le ferie estive

La crisi del bianco

La A. Merloni, l’azienda elettrodomestica contoterzista, è in amministrazione straordinaria da ottobre, con circa 1.300 addetti degli stabilimenti marchigiani (sui 3.000 in Italia) in cassa integrazione. Chiusi i bandi internazionali per le manifestazioni di interesse all’acquisto del gruppo indetti dai tre commissari nominati dal ministro Scajola, non ci siano candidati all’acquisizione in toto dell’azienda; più probabile qualche interesse per la controllata C&T, che produce bombole e serbatoi a Sassoferrato, Matelica e Costacciaro (Perugia). L’Elica di Fabriano (cappe aspiranti) ha totalizzato 52 settimane di Cig ordinaria e, visto che il calo delle commesse perdura, ha chiesto al ministero la Cassa integrazione straordinaia da fine agosto. Periodi di Cig hanno interessato anche la Indesit Company e la Mts Thermo Group. Le difficoltà dei colossi si sono riverberate anche sull’indotto.

Nel Piceno è allarme rosso

Dopo lo tsunami nel comparto calzaturiero maceratese-ascolano-fermano (3 mila aziende perse fra il 2000 e il 2007), la provincia di Ascoli Piceno è alle prese con l'annunciata chiusura dello stabilimento della multinazione Manuli Rubbers (tubi idraulici), che ha messo in mobilità tutti i 375 dipendenti a partire da oggi. Gli operai hanno dato vita a una serie di iniziative di protesta e e minacciano altre azioni di lotta. Le istituzioni (Regione in testa) chiedono al ministro Scajola di far partire l’Accordo di programma per il rilancio produttivo rimasto lettera morta. Sempre ad Ascoli, ancora di là da venire la riqualificazione del sito produttivo dismesso della Sgl Carbon, mentre nessuno si è fatto avanti per comprare l’ex Cartiera Ahlstrom (200 dipendenti a casa), neppure il misterioso fondo cinese su cui si era a lungo sperato.

Fonte:Corriere Adriatico
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Ascoli - Oggi è un giorno cruciale per l’industria ascolana. Questa mattina, infatti, torneranno al lavoro gli ultimi operai che hanno smaltito il periodo delle ferie. I riflettori sono però puntati sulla Manuli, azienda dove è in scena da un mese un dramma kafkiano. L’azienda, infatti, dovrebbe riprendere l’attività produttiva pur confermando la chiusura del sito. Il condizionale è quindi d’obbligo per due motivi: la multinazionale ha avviato la procedura di mobilità per tutti i 375 operai dello stabilimento di Campolungo per cui non si sa cosa si debba ancora produrre; a differenza degli anni precedenti non è stata eseguita la manutenzione degli impianti per cui i dipendenti rischiano di lavorare in condizioni di inadeguata sicurezza. Ad ogni modo l’azienda ha esposto un comunicato in bacheca dove ha comunicato che i primi a dover tornare al posto di lavoro alle 8 saranno gli impiegati seguiti alle 14 dagli operai del primo turno. Questi ultimi, però, effettueranno un’ora di sciopero. Allo stabilimento il clima è teso e negli ultimi giorni l’azienda ha potenziato il servizio di vigilanza all’interno dello stabilimento con body guard e cani antisommossa.

Manuli, si ricomincia in un clima teso
La proprietà ha potenziato la vigilanza con i cani antisommossa per il rientro in fabbrica

Ascoli Oggi è un giorno cruciale per l’industria ascolana. Questa mattina, infatti, torneranno al lavoro gli ultimi operai che hanno smaltito il periodo delle ferie. I riflettori sono però puntati sulla Manuli, azienda dove è in scena da un mese un dramma kafkiana. L’azienda, infatti, dovrebbe riprendere l’attività produttiva pur confermando la chiusura del sito.

Il condizionale è quindi d’obbligo per due motivi: la multinazionale ha avviato la procedura di mobilità per tutti i 375 operai dello stabilimento di Campolungo per cui non si sa cosa si debba ancora produrre; a differenza degli anni precedenti non è stata eseguita la manutenzione degli impianti per cui i dipendenti rischiano di lavorare in condizioni di inadeguata sicurezza. Ad ogni modo l’azienda ha esposto un comunicato in bacheca dove ha comunicato che i primi a dover tornare al posto di lavoro alle 8 saranno gli impiegati seguiti alle 14 dagli operai del primo turno. Questi ultimi, però, effettueranno un’ora di sciopero con assemblea anche in vista del decisivo incontro nella capitale con il ministro Scajola.

Allo stabilimento il clima è sempre teso. Il presidio dei lavoratori non è stato mai sguarnito ma negli ultimi giorni l’azienda ha potenziato il servizio di vigilanza all’interno dello stabilimento con body guard muniti di cani antisommossa. Non è il migliore biglietto da visita per riprendere il dialogo.

Mercoledì, invece, il sindaco Castelli ha convocato una riunione con gli amministratori di Teramo e della Val Vibrata per riattivare il famoso protocollo d’intesa con l’Abruzzo. E domani all’ordine del giorno della giunta comunale figurano due importanti provvedimenti per andare incontro alle famiglie che hanno perso il lavoro.

La giunta comunale, infatti, deliberà l’erogazione di un bonus di 50 euro per l’acquisto di materiale scolastico e la riduzione del pagamento per mense scolastiche e rette degli asili nido.

E’ il sindaco Castelli ad anticipare il provvedimento: “Per quanto riguarda gli sgravi per mense scolastiche e asili nido abbiamo deciso di attualizzare la dichiarazione Isee fino al 2009. Finora, infatti, per godere dei benefici bisognava presentare la dichiarazione relativa al 2008 che non avrebbe tenuto conto di chi è stato vittima di processi di ristrutturazione aziendale nel corso di quest’anno. Ad esempio non tutti gli operai della Manuli hanno ricevuto la lettera di mobilità ma è ovvio che purtroppo, se non si risolverà positivamente la vertenza, perderanno il posto di lavoro. Per quanto riguarda il bonus scuola, l’Amministrazione comunale s’impegna a rimborsare i titolari delle cartolerie che riceveranno il bonus consegnato dai lavoratori che hanno perso il posto di lavoro. Abbiamo in bilancio una spesa di circa cinquantamila euro e quindi circa mille bonus”.

Lavoro, ripresa e preoccupazioni


Ancona Dalla Antonio Merloni di Fabriano alla Manuli Rubbers di Ascoli Piceno, passando per la cassa integrazione alla Cnh di Jesi e all’Elica, dalle difficoltà della cantieristica nel Pesarese alla Cig in arrivo alla Fincantieri. E’ il quadro preoccupante dell’economia marchigiana alla ripresa dopo le ferie estive

La crisi del bianco

La A. Merloni, l’azienda elettrodomestica contoterzista, è in amministrazione straordinaria da ottobre, con circa 1.300 addetti degli stabilimenti marchigiani (sui 3.000 in Italia) in cassa integrazione. Chiusi i bandi internazionali per le manifestazioni di interesse all’acquisto del gruppo indetti dai tre commissari nominati dal ministro Scajola, non ci siano candidati all’acquisizione in toto dell’azienda; più probabile qualche interesse per la controllata C&T, che produce bombole e serbatoi a Sassoferrato, Matelica e Costacciaro (Perugia). L’Elica di Fabriano (cappe aspiranti) ha totalizzato 52 settimane di Cig ordinaria e, visto che il calo delle commesse perdura, ha chiesto al ministero la Cassa integrazione straordinaia da fine agosto. Periodi di Cig hanno interessato anche la Indesit Company e la Mts Thermo Group. Le difficoltà dei colossi si sono riverberate anche sull’indotto.

Nel Piceno è allarme rosso

Dopo lo tsunami nel comparto calzaturiero maceratese-ascolano-fermano (3 mila aziende perse fra il 2000 e il 2007), la provincia di Ascoli Piceno è alle prese con l'annunciata chiusura dello stabilimento della multinazione Manuli Rubbers (tubi idraulici), che ha messo in mobilità tutti i 375 dipendenti a partire da oggi. Gli operai hanno dato vita a una serie di iniziative di protesta e e minacciano altre azioni di lotta. Le istituzioni (Regione in testa) chiedono al ministro Scajola di far partire l’Accordo di programma per il rilancio produttivo rimasto lettera morta. Sempre ad Ascoli, ancora di là da venire la riqualificazione del sito produttivo dismesso della Sgl Carbon, mentre nessuno si è fatto avanti per comprare l’ex Cartiera Ahlstrom (200 dipendenti a casa), neppure il misterioso fondo cinese su cui si era a lungo sperato.

Fonte:Corriere Adriatico

Casa della Legalità intervista Giulio Cavalli a Genova il 28 Agosto 2009

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Domani mattina alle ore 9:00 Giulio Cavalli e Roberto Scarpinato saranno ospiti di Uno Mattina su Rai Uno.
www.radiomafiopoli.org
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Domani mattina alle ore 9:00 Giulio Cavalli e Roberto Scarpinato saranno ospiti di Uno Mattina su Rai Uno.
www.radiomafiopoli.org

150° Unità d’Italia. L’intellighenzia, o presunta tale, chiede e Lombardo assicura: si faranno convegni e studi …


Salemi 20 Agosto 2008
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Con un lungo comunicato stampa di riposta alla lettera dell’intellighenzia Sicilia … o supposta tale, il Presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo afferma che la Regione intende svolgere un “ruolo di protagonista nella celebrazione” dello storico anniversario dell’Unità d’Italia.”… nonostante le sue note convinzioni al riguardo, (sarà) l’occasione per una seria e oggettiva riflessione su cosa abbiano effettivamente significato e l’ingresso e la presenza della Sicilia nello Stato unitario”.

Ci auguriamo che la serena rilettura degli avvenimenti storici spinga Lombardo ad andare al di là della semplice richiesta di applicazione delle norme dello Statuto che riguardano le accise …, tralasciando l’aspetto fondamentale e cioè il rispetto della Carta Costituzionale italiana che in definitiva è il rispetto dell’integrità dello Statuto tradito dalla casta politica siciliana molto attenta ai posti di potere nazionali. Sarebbe opportuno che la Regione festeggi i 150 dell’unificazione avvenuto in modo e truffaldino nel 1861 proponendo di ” saldare la conoscenza del passato alle sfide future a cui è chiamata l’Italia alla luce delle riforme costituzionali” esclusivamente attraverso una definitiva attuazione della propria Autonomia.

Se ciò non avvenisse, ed il Presidente lo sa bene, i festeggiamenti in questione rimarrebbero motivo di discussione dell’intellighenzia e motivo di sperpero di denaro pubblico. Infatti, Regione Siciliana sta mettendo a punto un piano organico di iniziative culturali per il biennio 2010-2011, che intende coinvolgere i quattro Atenei dell’isola, la società di Storia patria e i più qualificati studiosi italiani e stranieri per una rilettura aggiornata e più attendibile dell’unificazione italiana attraverso un collegamento “a rete” con gli altri Atenei del Mezzogiorno con l’obiettivo prioritario di ripensare e valorizzare le radici più autentiche del regionalismo e del pensiero autonomista e del loro contributo alla formazione dell’Unità.

Proprio come richiesto dagli 85 “… Le chiedono di promuovere nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia una riflessione sulle nostre radici e sulla nostra identità, attraverso manifestazioni e iniziative di studio organizzate dalla Regione da Lei presieduta”.

Stia attento Presidente, perché, considerato che la bibliografia, grazie a storici indipendenti, alle associazioni sicilianiste, e quello strumento dell’informazione chiamato “internet” è immensa, ed ha sbugiardato i libri di testo nazionali e nazionalistici, si può realisticamente prevedere che si stia preparando, coinvolgendola, la grande abbuffata per convegni e ricerche, ovviamente tutto a spese di … mamma Regione e a favore di pochi intimi.

Fonte:
Osservatorio Sicilia
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Salemi 20 Agosto 2008
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Con un lungo comunicato stampa di riposta alla lettera dell’intellighenzia Sicilia … o supposta tale, il Presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo afferma che la Regione intende svolgere un “ruolo di protagonista nella celebrazione” dello storico anniversario dell’Unità d’Italia.”… nonostante le sue note convinzioni al riguardo, (sarà) l’occasione per una seria e oggettiva riflessione su cosa abbiano effettivamente significato e l’ingresso e la presenza della Sicilia nello Stato unitario”.

Ci auguriamo che la serena rilettura degli avvenimenti storici spinga Lombardo ad andare al di là della semplice richiesta di applicazione delle norme dello Statuto che riguardano le accise …, tralasciando l’aspetto fondamentale e cioè il rispetto della Carta Costituzionale italiana che in definitiva è il rispetto dell’integrità dello Statuto tradito dalla casta politica siciliana molto attenta ai posti di potere nazionali. Sarebbe opportuno che la Regione festeggi i 150 dell’unificazione avvenuto in modo e truffaldino nel 1861 proponendo di ” saldare la conoscenza del passato alle sfide future a cui è chiamata l’Italia alla luce delle riforme costituzionali” esclusivamente attraverso una definitiva attuazione della propria Autonomia.

Se ciò non avvenisse, ed il Presidente lo sa bene, i festeggiamenti in questione rimarrebbero motivo di discussione dell’intellighenzia e motivo di sperpero di denaro pubblico. Infatti, Regione Siciliana sta mettendo a punto un piano organico di iniziative culturali per il biennio 2010-2011, che intende coinvolgere i quattro Atenei dell’isola, la società di Storia patria e i più qualificati studiosi italiani e stranieri per una rilettura aggiornata e più attendibile dell’unificazione italiana attraverso un collegamento “a rete” con gli altri Atenei del Mezzogiorno con l’obiettivo prioritario di ripensare e valorizzare le radici più autentiche del regionalismo e del pensiero autonomista e del loro contributo alla formazione dell’Unità.

Proprio come richiesto dagli 85 “… Le chiedono di promuovere nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia una riflessione sulle nostre radici e sulla nostra identità, attraverso manifestazioni e iniziative di studio organizzate dalla Regione da Lei presieduta”.

Stia attento Presidente, perché, considerato che la bibliografia, grazie a storici indipendenti, alle associazioni sicilianiste, e quello strumento dell’informazione chiamato “internet” è immensa, ed ha sbugiardato i libri di testo nazionali e nazionalistici, si può realisticamente prevedere che si stia preparando, coinvolgendola, la grande abbuffata per convegni e ricerche, ovviamente tutto a spese di … mamma Regione e a favore di pochi intimi.

Fonte:
Osservatorio Sicilia

Carlo Lucarelli - Appello per la libertà di stampa dopo querela Berlusconi a La Repubblica.

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Delocalizzazione e dintorni: Dopo le proteste, scattano le prime occupazioni dentro le fabbriche ascolane in crisi.La crisi Novico.


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Da ieri mattina 6 dipendenti della Novico, che produce siringhe (cinque operai: Michele Zaini, Gabriele Amelini, Piero Grandi, Domenico Agostini, Fabrizio Valori, e una impiegata, Maria Teresa Capriotti) sono all'interno del reparto di sterilizzazione, ad alto rischio per la presenza di cobalto.
Sono determinati ed hanno iniziato anche uno sciopero della fame.

Da alcuni mesi i circa 80 dipendenti della Novico sono in cassa integrazione a rotazione e a far scoppiare la protesta è stato il mancato avvio della produzione dopo le ferie. «Vogliamo parlare con la direzione -dice Fabrizio Valori, rsu dell'Ugl- ma nessuno ci riceve e per questo resteremo qui ad oltranza. Da tempo l'azienda non paga con regolarità gli stipendi.

Deve ancora corrispondere la quattordicesima e gli assegni familiari, non versa alle banche il quinto di stipendio dei dipendenti che hanno contratto mutui per la casa, non versa ai sindacati la quota trattenuta in busta paga».

Sul posto ieri si sono subito recati il vice sindaco, Silvestri, e gli uomini della Digos che tengono sotto controllo la situazione. Dal fronte della proprietà della Novico arrivano comunque rassicurazioni.

«L'azienda non chiude -dice il dott. Antonio Montagna- Abbiamo solamente allungato le ferie fino al 7 settembre per problemi legati al reperimento delle materie prime. La situazione generale non è ottimale, ma sono stati pagati gli stipendi fino a luglio e per quello di agosto c'è tempo fino al 10 settembre.

Il commissario nominato è al lavoro e stiamo cercando di portare avanti il piano industriale. C'è già in atto la cassa integrazione che dovrà essere modificata cambiando la dicitura da ristrutturazione a crisi aziendale.

I professionisti incaricati incontreranno i sindacati a partire dalla prossima settimana. Queste proteste in atto non migliorano sicuramente la situazione e spero che i lavoratori non siano entrati dentro la fabbrica perché sarebbe come se uno entrasse in una casa privata.

Ci sono comunque le commesse per produrre. Ripeto: abbiamo prolungate le ferie di una settimane per problemi di reperimento di materia prima dai fornitori che nel frattempo hanno chiuso».

Da parte sua il commissario Cesare Volpi assicura: «Il 7 settembre sarà avviata la procedura per la cassa integrazione a zero ore. Abbiamo preso contatti col funzionario della Regione e con gli istituti di credito per liquidare quanto spetta ai lavoratori a partire dall’11 maggio scorso periodo di inizio della cig».

Il clima tra i lavoratori davanti ai cancelli dell'azienda non è comunque dei migliori. «Con la cig a rotazione -dicono- percepiamo 400 euro al mese che non ci permettono di mandare avanti la famiglia e pagare i libri scolastici ai nostri figli. Dentro la fabbrica non c'è più la luce e il gas».

Ieri mattina, intanto, nell'incontro avuto con l'on. Piero Fassino (Pd) i segretari provinciali e i delegati di Cgil, Cisl e Uil hanno ribadito ancora una volta «l'esasperazione dei lavoratori» di fronte ai licenziamenti e alle chiusure aziendali. «Dobbiamo fermare le espulsioni dei lavoratori e far ripartire lo sviluppo», dicono i sindacati in coro.

Presente anche l'assessore regionale al lavoro, Badiali. «La crisi si fa sempre più dura -dice- e la Regione sta aiutando le aziende nell'accesso al credito e salvando 750 posti di lavoro con i contratti di solidarietà e gli ammortizzatori. Adesso però anche il Governo deve fare la sua parte a partire dall'attuazione del protocollo d'intesa per il rilancio occupazionale della Valle del Tronto e del Vibrata». «Il Pd -sottolinea il segretario provinciale, Mauro Gionni- ha da sempre coinvolto i suoi esponenti istituzionali e nazionali per sottoporre alla loro attenzione i problemi del Piceno».


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“Denuncerò gli occupanti dell’azienda”


Ascoli “Denuncerò i dipendenti che hanno occupato l’azienda e, se ci saranno gli estremi li licenzierò”. Poi ce la vedremo in tribunale, ma la nostra linea che terremo è dura, tanto che il nostro legale ha già informato la Questura”. Lo ha dichiarato Antonio Montagna, manager della Novico, dove sei operai si erano barricati facendo lo sciopero della fame.

“Non ho tempo da perdere con queste persone. Ho già spiegato che l’allungamento delle ferie al 7 settembre è dovuto a problemi di reperimento di due materie prime. Tutto qui”. Anzi, secondo Montagna, “una delle due ditte che doveva fornirci queste materie indispensabili alla produzione ha tergiversato proprio a causa dell’occupazione in atto”. Il proprietario però intende tranquillizzare tutti sul futuro dello stabilimento della Novico, per altro affidata ora ad un commissario giudiziale nominato dal tribunale. “Da ottobre 2008 è in fase di attuazione un piano industriale che sta andando avanti e che non abbiamo intenzione di interrompere. In questo periodo ci siamo confrontati com i commissari. Tenete conto che stiamo parlando di un’azienda - dice Montagna - in balia delle banche che abbiamo denunciato per otto milioni di euro di danni, tanto che abbiamo avuto l’articolo 20”, cioè la sospensione delle azioni esecutive, quali pignoramento o sfratto in favore chi è vittima dell’usura. Sulle strategie aziendali Montagna è chiaro. “Ad Ascoli - spiega - resta l’unità produttiva, ma abbiamo spostato ad Ancona il commerciale proprio per i problemi con i dipendenti che devono pensare a fare gli operai e basta. Per quanto riguarda gli stipendi abbiamo pagato quello di luglio e per quello di agosto c'è tempo fino al 10 settembre. Quello che stanno facendo è puro allarmismo”.


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«Sospendiamo l’occupazione fino al 7 settembre dopo i risultati della mediazione del sindaco Castelli».



Alle 19 di ieri è terminata la clamorosa protesta dei sei operai della Novico che si erano barricati nel reparto sterilizzazione.

«Il sindaco - dice Fabrizio Valori, della Rsu Ugl - ci ha assicurato che ci sarà l’incontro tra istituzioni e sindacati con il commissario Volpi e la firma del verbale per la cassa integrazione a zero ore».

Ieri mattina il sindaco Castelli col vice Giovanni Silvestri e l'assessore Donatella Ferretti aveva incontrato i sei dipendenti (Fabrizio Valori, Michele Zaini, Gabriele Amelini, Piero Grandi, Domenico Agostini e Maria Teresa Capriotti) da giovedì chiusi nel reparto di sterilizzazione ad alto rischio cobalto. Ma dal proprietario, Antonio Montagna, arrivano parole di fuoco:

«Denuncio i dipendenti -dice- che hanno occupato l'azienda e, se ci saranno gli estremi, li licenzierò. Poi ce la vedremo in tribunale, ma la nostra linea che terremo è dura, tanto che il nostro legale ha già informato la Questura».


«Non abbiamo paura delle minacce di Montagna - replica Valori - e riprenderemo l’occupazione se non ci sarà l’incontro entro il 7. Il sindaco ci ha detto che ci difenderà gratuitamente se saremo denunciati e si è impegnato a prendere contatti con una banca locale per l’anticipo della cassa integrazione».


Ieri gli operai avevano iniziato ad accusare malori per via della permanenza prolungata nel reparto sterilizzazione.

«Abbiamo accusato mal di testa -continua Valori- dopo aver dormito sopra dei cartoni nutrendoci solo di acqua e succhi di frutta. E' venuto a trovarci anche il segretario nazionale dell'Ugl-chmici, Luigi Ulgiati per testimoniare la solidarietà». Ulgiati ha chiesto un incontro al Ministero dello Sviluppo Economico per il salvataggio dell'azienda.Il sindaco Castelli ieri pomeriggio ha contattato il commissario Volpi e la Regione Marche per sbloccare la vertenza.


Intanto sul futuro della Novico Montagna ribadisce le assicurazioni:

«Sono state allungate -dice - le ferie di una settimane per i ritardi nella consegna della materia prima. Inoltre una delle due ditte che doveva fornirci queste materie indispensabili alla produzione ha tergiversato proprio a causa dell'occupazione in atto. Da ottobre 2008 è in fase di attuazione un piano industriale. Tenete conto che stiamo parlando di un'azienda usurata per anni dalle banche che abbiamo denunciato per otto milioni di euro di danni, tanto che abbiamo avuto l'articolo 20, cioè la sospensione delle azioni esecutive, quali pignoramento o sfratto in favore chi è vittima dell'usura.

Ad Ascoli - spiega Montagna- resta l'unità produttiva, ma abbiamo spostato ad Ancona il commerciale proprio per i problemi con i dipendenti».


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Da ieri mattina 6 dipendenti della Novico, che produce siringhe (cinque operai: Michele Zaini, Gabriele Amelini, Piero Grandi, Domenico Agostini, Fabrizio Valori, e una impiegata, Maria Teresa Capriotti) sono all'interno del reparto di sterilizzazione, ad alto rischio per la presenza di cobalto.
Sono determinati ed hanno iniziato anche uno sciopero della fame.

Da alcuni mesi i circa 80 dipendenti della Novico sono in cassa integrazione a rotazione e a far scoppiare la protesta è stato il mancato avvio della produzione dopo le ferie. «Vogliamo parlare con la direzione -dice Fabrizio Valori, rsu dell'Ugl- ma nessuno ci riceve e per questo resteremo qui ad oltranza. Da tempo l'azienda non paga con regolarità gli stipendi.

Deve ancora corrispondere la quattordicesima e gli assegni familiari, non versa alle banche il quinto di stipendio dei dipendenti che hanno contratto mutui per la casa, non versa ai sindacati la quota trattenuta in busta paga».

Sul posto ieri si sono subito recati il vice sindaco, Silvestri, e gli uomini della Digos che tengono sotto controllo la situazione. Dal fronte della proprietà della Novico arrivano comunque rassicurazioni.

«L'azienda non chiude -dice il dott. Antonio Montagna- Abbiamo solamente allungato le ferie fino al 7 settembre per problemi legati al reperimento delle materie prime. La situazione generale non è ottimale, ma sono stati pagati gli stipendi fino a luglio e per quello di agosto c'è tempo fino al 10 settembre.

Il commissario nominato è al lavoro e stiamo cercando di portare avanti il piano industriale. C'è già in atto la cassa integrazione che dovrà essere modificata cambiando la dicitura da ristrutturazione a crisi aziendale.

I professionisti incaricati incontreranno i sindacati a partire dalla prossima settimana. Queste proteste in atto non migliorano sicuramente la situazione e spero che i lavoratori non siano entrati dentro la fabbrica perché sarebbe come se uno entrasse in una casa privata.

Ci sono comunque le commesse per produrre. Ripeto: abbiamo prolungate le ferie di una settimane per problemi di reperimento di materia prima dai fornitori che nel frattempo hanno chiuso».

Da parte sua il commissario Cesare Volpi assicura: «Il 7 settembre sarà avviata la procedura per la cassa integrazione a zero ore. Abbiamo preso contatti col funzionario della Regione e con gli istituti di credito per liquidare quanto spetta ai lavoratori a partire dall’11 maggio scorso periodo di inizio della cig».

Il clima tra i lavoratori davanti ai cancelli dell'azienda non è comunque dei migliori. «Con la cig a rotazione -dicono- percepiamo 400 euro al mese che non ci permettono di mandare avanti la famiglia e pagare i libri scolastici ai nostri figli. Dentro la fabbrica non c'è più la luce e il gas».

Ieri mattina, intanto, nell'incontro avuto con l'on. Piero Fassino (Pd) i segretari provinciali e i delegati di Cgil, Cisl e Uil hanno ribadito ancora una volta «l'esasperazione dei lavoratori» di fronte ai licenziamenti e alle chiusure aziendali. «Dobbiamo fermare le espulsioni dei lavoratori e far ripartire lo sviluppo», dicono i sindacati in coro.

Presente anche l'assessore regionale al lavoro, Badiali. «La crisi si fa sempre più dura -dice- e la Regione sta aiutando le aziende nell'accesso al credito e salvando 750 posti di lavoro con i contratti di solidarietà e gli ammortizzatori. Adesso però anche il Governo deve fare la sua parte a partire dall'attuazione del protocollo d'intesa per il rilancio occupazionale della Valle del Tronto e del Vibrata». «Il Pd -sottolinea il segretario provinciale, Mauro Gionni- ha da sempre coinvolto i suoi esponenti istituzionali e nazionali per sottoporre alla loro attenzione i problemi del Piceno».


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“Denuncerò gli occupanti dell’azienda”


Ascoli “Denuncerò i dipendenti che hanno occupato l’azienda e, se ci saranno gli estremi li licenzierò”. Poi ce la vedremo in tribunale, ma la nostra linea che terremo è dura, tanto che il nostro legale ha già informato la Questura”. Lo ha dichiarato Antonio Montagna, manager della Novico, dove sei operai si erano barricati facendo lo sciopero della fame.

“Non ho tempo da perdere con queste persone. Ho già spiegato che l’allungamento delle ferie al 7 settembre è dovuto a problemi di reperimento di due materie prime. Tutto qui”. Anzi, secondo Montagna, “una delle due ditte che doveva fornirci queste materie indispensabili alla produzione ha tergiversato proprio a causa dell’occupazione in atto”. Il proprietario però intende tranquillizzare tutti sul futuro dello stabilimento della Novico, per altro affidata ora ad un commissario giudiziale nominato dal tribunale. “Da ottobre 2008 è in fase di attuazione un piano industriale che sta andando avanti e che non abbiamo intenzione di interrompere. In questo periodo ci siamo confrontati com i commissari. Tenete conto che stiamo parlando di un’azienda - dice Montagna - in balia delle banche che abbiamo denunciato per otto milioni di euro di danni, tanto che abbiamo avuto l’articolo 20”, cioè la sospensione delle azioni esecutive, quali pignoramento o sfratto in favore chi è vittima dell’usura. Sulle strategie aziendali Montagna è chiaro. “Ad Ascoli - spiega - resta l’unità produttiva, ma abbiamo spostato ad Ancona il commerciale proprio per i problemi con i dipendenti che devono pensare a fare gli operai e basta. Per quanto riguarda gli stipendi abbiamo pagato quello di luglio e per quello di agosto c'è tempo fino al 10 settembre. Quello che stanno facendo è puro allarmismo”.


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«Sospendiamo l’occupazione fino al 7 settembre dopo i risultati della mediazione del sindaco Castelli».



Alle 19 di ieri è terminata la clamorosa protesta dei sei operai della Novico che si erano barricati nel reparto sterilizzazione.

«Il sindaco - dice Fabrizio Valori, della Rsu Ugl - ci ha assicurato che ci sarà l’incontro tra istituzioni e sindacati con il commissario Volpi e la firma del verbale per la cassa integrazione a zero ore».

Ieri mattina il sindaco Castelli col vice Giovanni Silvestri e l'assessore Donatella Ferretti aveva incontrato i sei dipendenti (Fabrizio Valori, Michele Zaini, Gabriele Amelini, Piero Grandi, Domenico Agostini e Maria Teresa Capriotti) da giovedì chiusi nel reparto di sterilizzazione ad alto rischio cobalto. Ma dal proprietario, Antonio Montagna, arrivano parole di fuoco:

«Denuncio i dipendenti -dice- che hanno occupato l'azienda e, se ci saranno gli estremi, li licenzierò. Poi ce la vedremo in tribunale, ma la nostra linea che terremo è dura, tanto che il nostro legale ha già informato la Questura».


«Non abbiamo paura delle minacce di Montagna - replica Valori - e riprenderemo l’occupazione se non ci sarà l’incontro entro il 7. Il sindaco ci ha detto che ci difenderà gratuitamente se saremo denunciati e si è impegnato a prendere contatti con una banca locale per l’anticipo della cassa integrazione».


Ieri gli operai avevano iniziato ad accusare malori per via della permanenza prolungata nel reparto sterilizzazione.

«Abbiamo accusato mal di testa -continua Valori- dopo aver dormito sopra dei cartoni nutrendoci solo di acqua e succhi di frutta. E' venuto a trovarci anche il segretario nazionale dell'Ugl-chmici, Luigi Ulgiati per testimoniare la solidarietà». Ulgiati ha chiesto un incontro al Ministero dello Sviluppo Economico per il salvataggio dell'azienda.Il sindaco Castelli ieri pomeriggio ha contattato il commissario Volpi e la Regione Marche per sbloccare la vertenza.


Intanto sul futuro della Novico Montagna ribadisce le assicurazioni:

«Sono state allungate -dice - le ferie di una settimane per i ritardi nella consegna della materia prima. Inoltre una delle due ditte che doveva fornirci queste materie indispensabili alla produzione ha tergiversato proprio a causa dell'occupazione in atto. Da ottobre 2008 è in fase di attuazione un piano industriale. Tenete conto che stiamo parlando di un'azienda usurata per anni dalle banche che abbiamo denunciato per otto milioni di euro di danni, tanto che abbiamo avuto l'articolo 20, cioè la sospensione delle azioni esecutive, quali pignoramento o sfratto in favore chi è vittima dell'usura.

Ad Ascoli - spiega Montagna- resta l'unità produttiva, ma abbiamo spostato ad Ancona il commerciale proprio per i problemi con i dipendenti».


Il colpo di Stato d'autunno



Di Luigi De Magistris


Credo che il popolo italiano debba essere consapevole che la maggioranza politica –di ispirazione piduista– tenterà di utilizzare le Istituzioni per portare a compimento –nei prossimi mesi- il più devastante disegno autoritario mai concepito dal dopoguerra in poi. Un vero e proprio golpe d’autunno.

Da un punto di vista istituzionale si cercherà di rafforzare il progetto presidenzialista –di tipo peronista– disegnato su misura dell’attuale Premier. Poteri assoluti al Capo dello Stato eletto dal popolo. Elezioni supportate dalla propaganda di regime costruita attraverso il controllo quasi totale dei mezzi di comunicazione.

Il Parlamento –coerentemente ad un assetto autoritario e verticistico del potere- ridotto ad organo di ratifica dei desiderata dell’esecutivo con le opposizioni democratiche messe in condizione di esercitare mera testimonianza.

La distruzione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura attraverso la sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo con modifiche costituzionali realizzate illegittimamente con legge ordinaria (quale quella che subordina il PM all’iniziativa della Polizia Giudiziaria e, quindi, del Governo), nonché attraverso la mortificazione del suo ruolo attraverso leggi quale quella che elimina di fatto le intercettazioni (rafforzando quindi la cosiddetta microcriminalità in modo, poi, da invocare poteri straordinari ed extra-ordinem per combatterla).

La revisione della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura –non però nella direzione di liberare tali fondamentali organi dalle influenze partitiche e di poteri che pure sono presenti– ma attraverso il rafforzamento della componente politica e partitocratica.

La soppressione della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione formalizzando normativamente la scomparsa dei fatti. La disintegrazione della scuola pubblica, dell’università e della ricerca, in modo da favorire il consolidamento della sub-cultura di regime, quella per intenderci che ha realizzato il mito del Papi, ossia del padrone che dispensa posti e prebende nel circuito perverso corruttivo dell’utilizzazione post-industriale dei corpi.

Il prossimo Presidente della Repubblica –il desiderio dei nuovi peronisti è ovviamente quello che Berlusconi diventi il Capo, il Capo di tutto e di tutti, il Capo dei Capi con Mangano in cornice e Dell’Utri consigliori- dovrà avere ampi poteri e con questi anche il comando delle forze armate –dopo aver già ottenuto la gestione della sicurezza attraverso la sua privatizzazione con l’utilizzo delle ronde da lanciare magari a caccia di immigrati, omosessuali e dei residui sociali, come vengono considerati i deboli da parte dei pezzi xenofobi e razzisti della maggioranza- in modo da poter governare anche eventuali conflitti sociali con la forza.

Sul piano economico e del lavoro la maggioranza prepara la repressione al dissenso ed al conflitto sociale causato da un disegno che punta a rafforzare le disuguaglianze attraverso una politica economica che consolida sempre più i poteri forti e squilibra fortemente il Paese come nei regimi (chi ha già tanto deve avere di più e tanti invece sempre di più saranno quelli che non riescono ad arrivare alla fine del mese o che vivono in condizioni estremamente disagevoli), con l’assenza del contrasto all’evasione fiscale e l’approvazione di norme che rafforzano il riciclaggio del denaro sporco. Il furto delle risorse pubbliche che vanno a finire nelle tasche dei soliti comitati d’affari.

Il mancato adeguamento dei salari al costo della vita. L’incapacità di favorire l’iniziativa economica privata fondata sulla libera concorrenza degli imprenditori supportando, invece, la rapacità dei soliti prenditori. L’assenza di strategia che possa rilanciare il lavoro – pubblico e privato– fondandolo sulla meritocrazia e non sul privilegio e sull’occupazione indecente della cosa pubblica (come, per fare un esempio, nella sanità). Assenza totale di politiche economiche fondate su sviluppo e lavoro, tutela delle risorse e rispetto della natura e della vita. Il saccheggio,in definitiva, della nostra Storia.

Un progetto contro il nostro futuro. Il colpo di Stato –apparentemente indolore ed a tratti invisibile- reso possibile dall’istituzionalizzazione delle mafie,dalla loro penetrazione nelle articolazioni economiche e pubbliche del Paese, dal loro controllo del territorio, dalla capacità di neutralizzare la resistenza costituzionale.

Un golpe senza armi –ma intriso di violenza morale- con l’utilizzo del diritto illegittimo, della creazione di norme in violazione della Costituzione. L’eversione attraverso l’uso di uno schermo legale. L’uccisione della democrazia dal suo interno. Le sanguisughe delle libertà. E’ necessario, quindi, che si realizzino subito le condizioni per una grande mobilitazione civile, sociale e politica che si opponga a questo disegno autoritario che stravolge gli equilibri costituzionali e l’assetto democratico del nostro Paese.


Fonte:L'Unità del 30/08/2009
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Di Luigi De Magistris


Credo che il popolo italiano debba essere consapevole che la maggioranza politica –di ispirazione piduista– tenterà di utilizzare le Istituzioni per portare a compimento –nei prossimi mesi- il più devastante disegno autoritario mai concepito dal dopoguerra in poi. Un vero e proprio golpe d’autunno.

Da un punto di vista istituzionale si cercherà di rafforzare il progetto presidenzialista –di tipo peronista– disegnato su misura dell’attuale Premier. Poteri assoluti al Capo dello Stato eletto dal popolo. Elezioni supportate dalla propaganda di regime costruita attraverso il controllo quasi totale dei mezzi di comunicazione.

Il Parlamento –coerentemente ad un assetto autoritario e verticistico del potere- ridotto ad organo di ratifica dei desiderata dell’esecutivo con le opposizioni democratiche messe in condizione di esercitare mera testimonianza.

La distruzione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura attraverso la sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo con modifiche costituzionali realizzate illegittimamente con legge ordinaria (quale quella che subordina il PM all’iniziativa della Polizia Giudiziaria e, quindi, del Governo), nonché attraverso la mortificazione del suo ruolo attraverso leggi quale quella che elimina di fatto le intercettazioni (rafforzando quindi la cosiddetta microcriminalità in modo, poi, da invocare poteri straordinari ed extra-ordinem per combatterla).

La revisione della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura –non però nella direzione di liberare tali fondamentali organi dalle influenze partitiche e di poteri che pure sono presenti– ma attraverso il rafforzamento della componente politica e partitocratica.

La soppressione della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione formalizzando normativamente la scomparsa dei fatti. La disintegrazione della scuola pubblica, dell’università e della ricerca, in modo da favorire il consolidamento della sub-cultura di regime, quella per intenderci che ha realizzato il mito del Papi, ossia del padrone che dispensa posti e prebende nel circuito perverso corruttivo dell’utilizzazione post-industriale dei corpi.

Il prossimo Presidente della Repubblica –il desiderio dei nuovi peronisti è ovviamente quello che Berlusconi diventi il Capo, il Capo di tutto e di tutti, il Capo dei Capi con Mangano in cornice e Dell’Utri consigliori- dovrà avere ampi poteri e con questi anche il comando delle forze armate –dopo aver già ottenuto la gestione della sicurezza attraverso la sua privatizzazione con l’utilizzo delle ronde da lanciare magari a caccia di immigrati, omosessuali e dei residui sociali, come vengono considerati i deboli da parte dei pezzi xenofobi e razzisti della maggioranza- in modo da poter governare anche eventuali conflitti sociali con la forza.

Sul piano economico e del lavoro la maggioranza prepara la repressione al dissenso ed al conflitto sociale causato da un disegno che punta a rafforzare le disuguaglianze attraverso una politica economica che consolida sempre più i poteri forti e squilibra fortemente il Paese come nei regimi (chi ha già tanto deve avere di più e tanti invece sempre di più saranno quelli che non riescono ad arrivare alla fine del mese o che vivono in condizioni estremamente disagevoli), con l’assenza del contrasto all’evasione fiscale e l’approvazione di norme che rafforzano il riciclaggio del denaro sporco. Il furto delle risorse pubbliche che vanno a finire nelle tasche dei soliti comitati d’affari.

Il mancato adeguamento dei salari al costo della vita. L’incapacità di favorire l’iniziativa economica privata fondata sulla libera concorrenza degli imprenditori supportando, invece, la rapacità dei soliti prenditori. L’assenza di strategia che possa rilanciare il lavoro – pubblico e privato– fondandolo sulla meritocrazia e non sul privilegio e sull’occupazione indecente della cosa pubblica (come, per fare un esempio, nella sanità). Assenza totale di politiche economiche fondate su sviluppo e lavoro, tutela delle risorse e rispetto della natura e della vita. Il saccheggio,in definitiva, della nostra Storia.

Un progetto contro il nostro futuro. Il colpo di Stato –apparentemente indolore ed a tratti invisibile- reso possibile dall’istituzionalizzazione delle mafie,dalla loro penetrazione nelle articolazioni economiche e pubbliche del Paese, dal loro controllo del territorio, dalla capacità di neutralizzare la resistenza costituzionale.

Un golpe senza armi –ma intriso di violenza morale- con l’utilizzo del diritto illegittimo, della creazione di norme in violazione della Costituzione. L’eversione attraverso l’uso di uno schermo legale. L’uccisione della democrazia dal suo interno. Le sanguisughe delle libertà. E’ necessario, quindi, che si realizzino subito le condizioni per una grande mobilitazione civile, sociale e politica che si opponga a questo disegno autoritario che stravolge gli equilibri costituzionali e l’assetto democratico del nostro Paese.


Fonte:L'Unità del 30/08/2009

domenica 30 agosto 2009

QUELLE BRIGANTESSE CHE NELL'800 DIFESERO IL SUD ARMI ALLA MANO . 30 Agosto 1868 l'assassinio di Michelina Di Cesare.


30 agosto 1868 viene massacrata dalla soldataglia savoiardo-piemontese Michelina Di Cesare eroina leonessa meridionale protagonista della prima guerra civile italiana postunitaria. Dopo essere stata trucidata il corpo di Michelina viene denudato ed esposto con altri cosiddetti “briganti” per sette giorni dalla marmaglia conquistatrice del Sud nella piazza di Mignano
(dal libro Brigantesse di V. Romano)

Il dramma delle donne del brigantaggio si consuma nell'indifferenza, quando non nel disprezzo, nel silenzio dell'opinione pubblica. Gli atti ufficiali dei Carabinieri Reali, quelli delle Prefetture, i fascicoli processuali le accomunano tutte ai loro uomini, non attribuendo mai alle donne del brigantaggio un ruolo di soggetto sociale autonomo.
Le cronache giornalistiche e gli scrittori coevi le descrivono solo come manutengole, amanti, concubine, " ganze", "drude", donne di piacere dei briganti. Ciò ha impedito di prendere in considerazione il fenomeno e non ha consentito uno studio più approfondito sui risvolti sociali e politici della rivolta delle donne meridionali.
Delle "brigantesse" restano oggi solamente le poco foto che la propaganda di regime ha voluto tramandare per una distorta lettura iconografica del brigantaggio.
Così, accanto a "brigantesse" che si sono fatte ritrarre - armi in pugno - in abiti maschili, vi sono le foto ufficiali dopo la cattura e, talora, dopo la morte in una postura innaturale.
Come i loro uomini, trucidati e frettolosamente rivestiti, legati ad un palo o ad una sedia, gli occhi rigidamente spalancati, con in mano i loro fucili e circondati dai loro giustizieri.
Macabro trofeo di una guerra civile occultata.
Emblematiche sono le foto che si conservano di Michelina Di Cesare, una delle pochissime "brigantesse" uccise in combattimento: alcune la ritraggono negli abiti tradizionali che ne risaltano la bellezza mediterranea.
L'ultima, scattatale dopo la morte, mette in evidenza lo scempio fatto sul suo cadavere.
Nelle macabre fattezze di Michelina, sconvolte dalla violenza, si può leggere tutto il dramma e le sofferenze dei contadini del Mezzogiorno.
(V. Romano)

Fonte:
Stoirain.net
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30 agosto 1868 viene massacrata dalla soldataglia savoiardo-piemontese Michelina Di Cesare eroina leonessa meridionale protagonista della prima guerra civile italiana postunitaria. Dopo essere stata trucidata il corpo di Michelina viene denudato ed esposto con altri cosiddetti “briganti” per sette giorni dalla marmaglia conquistatrice del Sud nella piazza di Mignano
(dal libro Brigantesse di V. Romano)

Il dramma delle donne del brigantaggio si consuma nell'indifferenza, quando non nel disprezzo, nel silenzio dell'opinione pubblica. Gli atti ufficiali dei Carabinieri Reali, quelli delle Prefetture, i fascicoli processuali le accomunano tutte ai loro uomini, non attribuendo mai alle donne del brigantaggio un ruolo di soggetto sociale autonomo.
Le cronache giornalistiche e gli scrittori coevi le descrivono solo come manutengole, amanti, concubine, " ganze", "drude", donne di piacere dei briganti. Ciò ha impedito di prendere in considerazione il fenomeno e non ha consentito uno studio più approfondito sui risvolti sociali e politici della rivolta delle donne meridionali.
Delle "brigantesse" restano oggi solamente le poco foto che la propaganda di regime ha voluto tramandare per una distorta lettura iconografica del brigantaggio.
Così, accanto a "brigantesse" che si sono fatte ritrarre - armi in pugno - in abiti maschili, vi sono le foto ufficiali dopo la cattura e, talora, dopo la morte in una postura innaturale.
Come i loro uomini, trucidati e frettolosamente rivestiti, legati ad un palo o ad una sedia, gli occhi rigidamente spalancati, con in mano i loro fucili e circondati dai loro giustizieri.
Macabro trofeo di una guerra civile occultata.
Emblematiche sono le foto che si conservano di Michelina Di Cesare, una delle pochissime "brigantesse" uccise in combattimento: alcune la ritraggono negli abiti tradizionali che ne risaltano la bellezza mediterranea.
L'ultima, scattatale dopo la morte, mette in evidenza lo scempio fatto sul suo cadavere.
Nelle macabre fattezze di Michelina, sconvolte dalla violenza, si può leggere tutto il dramma e le sofferenze dei contadini del Mezzogiorno.
(V. Romano)

Fonte:
Stoirain.net

TRATTATO DI LISBONA IN PILLOLE



Trattato di Lisbona & Nuovo Ordine Internazionale:http://www.disinformazione.it/trattat...Trattato di Lisbona integrale in italiano (287pagine).www.consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload /cg00014.it07.pdf

LE QUINTE DELLA STORIA: L'UNIONE, IL TRATTATO DI LISBONA E L'INGANNO EUROPEISTAdi Antonio Perrottahttp://www.signoraggio.com/signoraggi...

La pena di morte nel Trattato di Lisbona?http://etleboro.blogspot.com/2008/07/...

ANCORA SUL TRATTATO DI LISBONA E LA PENA DI MORTEhttp://www.giuliettochiesa.it/modules...

Il Trattato di Lisbona deve essere respintohttp://www.movisol.org/08news117.htm

Ratificato il trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea.http://www.altalex.com/index.php?idno...

3.Le disposizioni dell'articolo 2 della Carta corrispondono a quelle degli articoli summenzionati della CEDU e del protocollo addizionale e, ai sensi dellarticolo 52, paragrafo 3 della Carta, hanno significato e portata identici. Pertanto le definizioni «negative» che figurano nella CEDU devono essere considerate come presenti anche nella Carta:a) articolo 2, paragrafo 2 della CEDU:«La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;b) per eseguire un arresto regolare o per impedire levasione di una persona regolarmente detenuta;c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o uninsurrezione.»;b)articolo 2 del protocollo n. 6 della CEDU:«Uno Stato può prevedere nella propria legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra; tale pena sarà applicata solo nei casi previsti da tale legislazione e conformemente alle sue disposizioni ...».http://eur-lex.europa.eu/it/treaties/...

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Trattato di Lisbona & Nuovo Ordine Internazionale:http://www.disinformazione.it/trattat...Trattato di Lisbona integrale in italiano (287pagine).www.consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload /cg00014.it07.pdf

LE QUINTE DELLA STORIA: L'UNIONE, IL TRATTATO DI LISBONA E L'INGANNO EUROPEISTAdi Antonio Perrottahttp://www.signoraggio.com/signoraggi...

La pena di morte nel Trattato di Lisbona?http://etleboro.blogspot.com/2008/07/...

ANCORA SUL TRATTATO DI LISBONA E LA PENA DI MORTEhttp://www.giuliettochiesa.it/modules...

Il Trattato di Lisbona deve essere respintohttp://www.movisol.org/08news117.htm

Ratificato il trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea.http://www.altalex.com/index.php?idno...

3.Le disposizioni dell'articolo 2 della Carta corrispondono a quelle degli articoli summenzionati della CEDU e del protocollo addizionale e, ai sensi dellarticolo 52, paragrafo 3 della Carta, hanno significato e portata identici. Pertanto le definizioni «negative» che figurano nella CEDU devono essere considerate come presenti anche nella Carta:a) articolo 2, paragrafo 2 della CEDU:«La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario:a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;b) per eseguire un arresto regolare o per impedire levasione di una persona regolarmente detenuta;c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o uninsurrezione.»;b)articolo 2 del protocollo n. 6 della CEDU:«Uno Stato può prevedere nella propria legislazione la pena di morte per atti commessi in tempo di guerra o in caso di pericolo imminente di guerra; tale pena sarà applicata solo nei casi previsti da tale legislazione e conformemente alle sue disposizioni ...».http://eur-lex.europa.eu/it/treaties/...

Anche l’Europa discrimina i Cittadini Onesti targati NA


Di Vincenzo Martire



Un cittadino italiano (si comincia a dubitare sulla nazione) targato NA che non vuole adeguarsi al sistema degli imbrogli sulla RCA, praticati nella sua provincia di residenza, dopo essersi rivolto alle Istituzioni italiane, non ottenendo risposte, si è rivolto all’Unione Europea, ma da Bruxelles hanno fatto come Ponzio Pilato. Il crocifisso è l’automobilista targato NA che pur non facendo incidenti per decenni paga tanto di più di altri cittadini residenti in altre province: la sua sola colpa è di avere nella sua provincia un numero sterminato di delinquenti che truffano le assicurazioni, le quali si rifanno sui cittadini onesti.

Lo Stato guarda e non interviene, avallando una grave discriminazione e l’Europa chiude gli occhi e si gira da un’altra parte. Si riportano i documenti epistolari.



Caro Presidente Giorgio Napolitano, tra pochi giorni mi scade l’assicurazione dell’auto, circa 800 euro. Per il solo fatto che risiedo in provincia di Napoli, devo pagare fino a 600 euro in più di altri cittadini italiani. Questo federalismo punitivo non viene mai menzionato dai governanti, perchè essi posseggono le compagnie di assicurazioni. Se non ho mai truffato l’assicurazione, perchè devo pagare per i delinquenti che non vengono scoperti? Pago solo per il fatto che essi risiedono nella mia provincia. Lei Signor Presidente mi ha comunicato che non può intromettersi nel lavoro dei magistrati che da circa 1 anno indagano sulla morte del centro storico di Boscoreale, per le assicurazioni mi risponderà che ci sono troppi interessi economici di potenti dietro a questa grave ingiustizia. Prima che sia troppo tardi consiglierei di dare un segnale di svolta in favore dei cittadini onesti, potrebbero in caso di necessità rivoltarsi senza controllo contro le ingiustizie subite per legge.


ECC.MA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

C/O Segretariato Generale del Consiglio dEuropa

67006 STRASBOURG CEDEX ( FRANCIA )

Ricorso contro il Governo e lo Stato italiano per la palese violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Il sottoscritto Martire Vincenzo, cittadino italiano, nato a Boscoreale il 05/04/1958 domiciliato in Boscoreale (NA) Via S.T.E. Cirillo 17, con la presente espone quanto segue:

Il premio RCA, pagato da quei cittadini della provincia di Napoli che non si sono mai adeguati al sistema degli imbrogli, è una vera e propria rapina da parte delle Compagnie di Assicurazioni con l’assenso di chi governa.

Se fossi nato a Pavia (è solo un esempio), comportandomi allo stesso modo che a Napoli, quanto avrei risparmiato, in questi 22 anni?

A parità di comportamenti onesti, perché lo Stato italiano permette queste disuguaglianze?

Mi sento in credito dei soldi che legalmente la mia compagnia mi ha rapinato in questi 22 anni.

8/2/2007
Successivamente è stato presentato ricorso online, ecco
la risposta della Commissione Europea


313796 31.VII 2009

Bruxelles, JH/is [02-COM.PETI (2009) D/42831]

Sig. Vincenzo Martire


Comitato Civico Boscoreale


OGGETTO Petizione n. 542/2009

Egregio Signore,

La ringrazio per aver presentato La Sua petizione al Parlamento europeo. Essa è stata esaminata al fine di stabilire se la questione da Lei sottoposta alla nostra attenzione rientra chiaramente nel campo d’attività dell’Unione europea, per il quale siamo competenti.

Sono spiacente di doverLe comunicare che purtroppo non è risultato essere così, e sono pertanto costretto ad archiviare la Sua richiesta senza poterle dare ulteriore corso, a norma dell’articolo 191.6 del regolamento del Parlamento europeo.

Le polizze assicurative rientrano nell’ambito del diritto contrattuale privato e Le suggerisco di rivolgersi alle autorità italiane competenti qualora tema un abuso.

Voglia gradire i miei più distinti saluti.
David Lowe Capo d’unità della commissione per le petizioni

A questo punto le strade sono due: subire e tacere o adeguarsi dichiarando falsi incidenti.

Io penso che ci deve essere una terza via e nel mio piccolo comune di Boscoreale sto arando e seminando tra i giovani sperando che in futuro le nuove generazioni si interessino dei problemi dei cittadini, in quanto sentono che è giusto farlo, anche se faticoso e poco remunerativo.

Fonte:
Agoravox
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Di Vincenzo Martire



Un cittadino italiano (si comincia a dubitare sulla nazione) targato NA che non vuole adeguarsi al sistema degli imbrogli sulla RCA, praticati nella sua provincia di residenza, dopo essersi rivolto alle Istituzioni italiane, non ottenendo risposte, si è rivolto all’Unione Europea, ma da Bruxelles hanno fatto come Ponzio Pilato. Il crocifisso è l’automobilista targato NA che pur non facendo incidenti per decenni paga tanto di più di altri cittadini residenti in altre province: la sua sola colpa è di avere nella sua provincia un numero sterminato di delinquenti che truffano le assicurazioni, le quali si rifanno sui cittadini onesti.

Lo Stato guarda e non interviene, avallando una grave discriminazione e l’Europa chiude gli occhi e si gira da un’altra parte. Si riportano i documenti epistolari.



Caro Presidente Giorgio Napolitano, tra pochi giorni mi scade l’assicurazione dell’auto, circa 800 euro. Per il solo fatto che risiedo in provincia di Napoli, devo pagare fino a 600 euro in più di altri cittadini italiani. Questo federalismo punitivo non viene mai menzionato dai governanti, perchè essi posseggono le compagnie di assicurazioni. Se non ho mai truffato l’assicurazione, perchè devo pagare per i delinquenti che non vengono scoperti? Pago solo per il fatto che essi risiedono nella mia provincia. Lei Signor Presidente mi ha comunicato che non può intromettersi nel lavoro dei magistrati che da circa 1 anno indagano sulla morte del centro storico di Boscoreale, per le assicurazioni mi risponderà che ci sono troppi interessi economici di potenti dietro a questa grave ingiustizia. Prima che sia troppo tardi consiglierei di dare un segnale di svolta in favore dei cittadini onesti, potrebbero in caso di necessità rivoltarsi senza controllo contro le ingiustizie subite per legge.


ECC.MA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

C/O Segretariato Generale del Consiglio dEuropa

67006 STRASBOURG CEDEX ( FRANCIA )

Ricorso contro il Governo e lo Stato italiano per la palese violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Il sottoscritto Martire Vincenzo, cittadino italiano, nato a Boscoreale il 05/04/1958 domiciliato in Boscoreale (NA) Via S.T.E. Cirillo 17, con la presente espone quanto segue:

Il premio RCA, pagato da quei cittadini della provincia di Napoli che non si sono mai adeguati al sistema degli imbrogli, è una vera e propria rapina da parte delle Compagnie di Assicurazioni con l’assenso di chi governa.

Se fossi nato a Pavia (è solo un esempio), comportandomi allo stesso modo che a Napoli, quanto avrei risparmiato, in questi 22 anni?

A parità di comportamenti onesti, perché lo Stato italiano permette queste disuguaglianze?

Mi sento in credito dei soldi che legalmente la mia compagnia mi ha rapinato in questi 22 anni.

8/2/2007
Successivamente è stato presentato ricorso online, ecco
la risposta della Commissione Europea


313796 31.VII 2009

Bruxelles, JH/is [02-COM.PETI (2009) D/42831]

Sig. Vincenzo Martire


Comitato Civico Boscoreale


OGGETTO Petizione n. 542/2009

Egregio Signore,

La ringrazio per aver presentato La Sua petizione al Parlamento europeo. Essa è stata esaminata al fine di stabilire se la questione da Lei sottoposta alla nostra attenzione rientra chiaramente nel campo d’attività dell’Unione europea, per il quale siamo competenti.

Sono spiacente di doverLe comunicare che purtroppo non è risultato essere così, e sono pertanto costretto ad archiviare la Sua richiesta senza poterle dare ulteriore corso, a norma dell’articolo 191.6 del regolamento del Parlamento europeo.

Le polizze assicurative rientrano nell’ambito del diritto contrattuale privato e Le suggerisco di rivolgersi alle autorità italiane competenti qualora tema un abuso.

Voglia gradire i miei più distinti saluti.
David Lowe Capo d’unità della commissione per le petizioni

A questo punto le strade sono due: subire e tacere o adeguarsi dichiarando falsi incidenti.

Io penso che ci deve essere una terza via e nel mio piccolo comune di Boscoreale sto arando e seminando tra i giovani sperando che in futuro le nuove generazioni si interessino dei problemi dei cittadini, in quanto sentono che è giusto farlo, anche se faticoso e poco remunerativo.

Fonte:
Agoravox

La Febbre Gialla:La Manuli chiude e si trasferisce in Cina - La multinazionale ha avviato la procedura di mobilità per 375 operai dello stabilimento.



Per seguire gli ultimi sviluppi collegati alla vicenda Manuli, iscriviti al gruppo Facebook del Partito del Sud - Marche ,sarai aggiornato sul proseguio della situazione e potrai intervenire nell'area discussioni portando il tuo contributo.
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Ascoli-Le preoccupazioni dei sindacati ascolani sul futuro dello stabilimento Manuli Rubber a Campolungo erano fondate. Con le maestranze collocate in ferie, ieri mattina, la multinazionale ha comunicato alle organizzazioni sindacali nazionali il piano di ristrutturazione aziendale che scatterà simultaneamente negli stabilimenti di Ascoli, Bologna e Milano.

Un piano draconiano che solamente per il sito ascolano comporterà l’apertura della procedura di mobilità per 375 dipendenti. Il totale della forza lavoro si attesta sulle 450 unità per cui non si sa se dai licenziamenti si salveranno i dipendenti della Manuli Oil Marine, un’altra struttura di Campolungo.

La comunicazione dell’apertura della procedura di mobilità non è stata, purtroppo, un fulmine a ciel sereno. Da troppi mesi la multinazionale aveva preferito glissare sui piani di rilancio del sito ascolano nonostante il pressing delle organizzazioni sindacali, a seguito di scioperi e di un lungo periodo di cassa integrazione. Dunque, come si temeva, dopo la pausa estiva, lo stabilimento verrà smantellato mentre un altro colosso come la Pfizer si accinge a mandare a casa altre decine di operai. Dopo l’ennesima chiusura di una grande azienda (Carbon, Ahlstrom sono solo le vittime più eccellenti) è doveroso che le nostre istituzioni comincino a farsi sentire dal governo affinchè la zona ascolana possa beneficiare di quel piano ideato per il rilancio del Meridione la cui crisi non sta risparmiando una zona di confine con il Sud quale è il Piceno. Il prossimo smantellamento della Manuli, salvo ripensamenti dell’ultimo istante, è la cronaca di una chiusura annunciata. L’azienda ormai non dialogava più né con le istituzioni né con i sindacati, oltre a non rispettare i patti sottoscritti nel 2008, a cominciare da quello che prevedeva l’assunzione di 40 nuovi addetti nel giugno scorso. Per questo motivo, tutte le Rsu avevano organizzato assemblee e proclamato manifestazione di protesta per costringere la multinazionale a sedersi al tavolo della trattativa. La chiusura completa per ferie dello stabilimento ad agosto non faceva pensare a niente di positivo per settembre e il presagio aveva fondamento. “La Manuli - commentano alcuni operai - ha rotto i rapporti con i sindacati interni, non dà indicazioni o informazioni circa il futuro del sito produttivo ascolano e soprattutto non tiene fede agli impegni presi con le organizzazioni dei lavoratori, non più tardi del novembre scorso. Tra questi, la mancata assunzione di 40 persone, la mancata assegnazione del premio di risultato, l’assenza di garanzie sul prossimo futuro della fabbrica. E questo senza considerare i 200 ex lavoratori precari dell’azienda, licenziati nei mesi scorsi, che stanno per terminare anche il periodo in cui usufruiscono dell’ indennità di disoccupazione, che consentiva loro di sopravvivere. Ora non ci sarà nemmeno più quella e si può immaginare in quali difficoltà si troveranno quei lavoratori e loro famiglie. L’azienda li ignora, tanto che non ritiene neanche di riassumerne una minima parte e anzi ha rotto i ponti anche con le istituzioni; al recente incontro presso la sede dell’Associazione degli industriali, non c’era l’amministratore delegato, ma solo un manager, che ha detto che il 50% della produzione del gruppo Manuli è già in Cina”. Dopo la comunicazione dell’apertura della procedura di mobilità molti operai temono che con le ferie lunghe e... forzate, lo stabilimento venga spogliato di altri macchinari...


Fonte:Corriere Adriatico del 04/08/2009

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I carabinieri intervengono alla Manuli
Clima teso in fabbrica. Produzione dimezzata alla Ykk dove si teme per il posto di 200 operai


Ascoli E’ ancora teso il clima allo stabilimento della Manuli a Campolungo. E per placare gli animi ieri mattina sono dovuti intervenire i carabinieri. I militari dell’Arma sono stati chiamati da alcuni sindacalisti dopo che la proprietà aveva negato l’accesso ai tecnici manutentori che ogni anno, durante il periodo feriale, registrano gli impianti della fabbrica in previsione della ripresa dell’attività produttiva. Dopo l’apertura della procedura di mobilità per 375 operai della Manuli da parte della multinazionale era logico che non ci fosse più bisogno della manutenzione degli impianti ma almeno i tecnici potevano essere avvertiti prima. I sindacalisti hanno chiesto ai carabinieri di mettere a verbale quanto accaduto.

Ieri mattina, hanno invece ripreso a lavorare i dipendenti della Manuli Oil Marine e anche qui ci sono stati dei problemi. Questa azienda, a differenza della Manuli Rubber, non è stata interessata dal piano di smobilitazione ma i suoi dipendenti hanno voluto comunque esprimere la loro solidarietà ai colleghi licenziati con un’ora di sciopero e un’assemblea di fabbrica che saranno ripetuti il 31 agosto. Ai rappresentanti sindacali è stato però negato l’accesso in fabbrica per poter controllare i comunicati della proprietà esposti in bacheca e non è escluso che le organizzazioni possano decidere di adire le vie legali.

E purtroppo l’effetto dirompente della crisi Manuli potrebbe mietere altre vittime tra i lavoratori fra poche settimane. Da alcuni giorni, infatti, circolano voci che al momento non possono trovare conferma, circa un imminente piano di ristrutturazione alla Ykk che produce cursori per cerniere lampo.

A marzo la multinazionale ha collocato in cassa integrazione ordinaria per tredici settimane i suoi duecento dipendenti a causa della contrazione del volume di affari legato alla recessione mondiale e stante la difficile ripresa è ipotizzabile un drastico provvedimento per ridurre ulteriormente i costi. La proprietà ha infatti annunciato che c’è stata e probabilmente ci sarà ancora una riduzione del 60% dell’orario di lavoro a causa di un preoccupante calo della produzione per la crisi mondiale.

A settembre scadrà la cassa integrazione ordinaria e molti temono che la Ykk potrebbe seguire l’esempio della Manuli aprendo la procedura di mobilità per una consistente fetta del suo organico. Lettere di mobilità che in questi giorni sono state invece spedite a quasi tutti i 40 dipendenti della Pfizer interessati dal provvedimento annunciato a giugno. Si profila dunque un autunno caldo con gli operai dell’Ascolano sulla graticola chissà per quanti mesi ancora.

Fonte:
Corriere Adriatico del 18/08/2009
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Il sindaco: “I lavoratori devono mantenere i nervi saldi. Le istituzioni sono al loro fianco”

Manuli, direttore assediato in spiaggia
Bertotto abbandona lo chalet scortato dalle forze dell’ordine dopo la protesta degli operai

Ascoli Chiuso per circa un’ora in una cabina dello stabilimento balneare Da Luigi a San Benedetto del Tronto e poi scortato fuori dallo chalet dagli agenti della Digos e dai carabinieri sotto l’applauso ironico di circa una trentina di lavoratori della Manuli. Non siamo ancora ai livelli del sequestro del direttore della filiale francese dell'azienda farmaceutica americana 3M da parte di operai in sciopero nella fabbrica di Loiret ma certamente la protesta di una frangia dei dipendenti della Manuli sta salendo di tono. La vicenda dei 375 licenziamenti rischia di degenerare.

“E non sarà l’ultima - annuncia Piero Morganti, sindacalista dell’Ugl che assieme ad Andrea Quaglietti del Sdl ha organizzato la protesta - perchè purtroppo dei quasi quattrocento operai licenziati alla Manuli non interessa quasi a nessuno”.

Gli operai della Manuli da giorni erano informati che il direttore dello stabilimento, l’ingegner Bertotto, era in villeggiatura a San Benedetto del Tronto. “Bel comportamento - aggiunge Morganti - noi sotto il sole davanti ai cancelli della Manuli a manifestare con il fiato sul collo della banca per la rata del mutuo da pagare e con la preoccupazione di non sapere come sfamare i figli e lui in spiaggia a godersi la vacanza dopo averci licenziato. Non è giusto”.

Alle 11 in punto gli operai sono giunti all’ingresso dello stabilimento balneare e hanno esposto uno striscione: “Bertotto al mare e noi licenziati con il mutuo da pagare”. Il direttore dello stabilimento della Manuli è stato subito avvertito della presenza degli operai e temendo reazioni incontrollate ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine che poi hanno provveduto a farlo allontanare. Non ci sono stati disordini.

L’eclatante protesta non è piaciuta a tutti a cominciare dal sindaco Guido Castelli che non vuole gettare benzina sul fuoco adesso che la trattativa è ancora aperta. “I lavoratori della Manuli - ha detto il primo cittadino - devono mantenere i nervi saldi perchè sono dalla parte della ragione ma l’importante è che la mobilitazione avvenga vicino alla fabbrica tenendo conto che hanno le istituzioni vicine”. E anche una parte del sindacato è contrario a queste manifestazioni eclatanti che rischiano di irrigidire ulteriormente la multinazionale immaginando che dietro questa protesta ci sia solo una battaglia delle tessere di Ugl e Sdl. “Siamo dispiaciuti se una parte del sindacato non condivide la nostra azione di protesta perchè il futuro di 375 operai riguarda tutti - replica Morganti - Siamo convinti che questa iniziativa serva per mantenere i riflettori della pubblica opinione sul caso Manuli. Non vorremmo che accada quanto è successo ad Ostia dove i rappresentanti nazionali di Cgil, Cisl e Uil se ne stavano al mare”.

E ora quale sarà la prossima mossa? “L’amministratore Grandi ci deve ricevere prima del 31 agosto quando dovrebbe riprendere la produzione, in condizioni di insicurezza per la mancata manutenzione degli impianti e senza la garanzia del posto di lavoro. Se la multinazionale non vuole confrontarsi con noi ne vedrete delle belle...”.

Fonte:
Corriere Adriatico del 19/08/2009
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Manuli, i sindaci si mobilitano
Un consiglio comunale aperto il 30 agosto sulla crisi picena


Ascoli L’Amministrazione comunale di Castel di Lama, dopo accordi verbali con le organizzazioni sindacali, lancia la proposta all'Unione dei Comuni della Vallata del Tronto, ai sindaci di Ascoli e San Benedetto del Tronto, e a tutti gli amministratori locali, rappresentanti delle forze sociali e sindacali, di tenere la mattina di domenica 30 agosto, un consiglio comunale aperto sulla vicenda della Manuli. Castel di Lama, se le dure decisioni confermate dal Gruppo milanese venissero attuate come preannunciato, sarebbe uno dei centri più direttamente colpiti, avendo tra i residenti ben 100 operai che lavorano nello stabilimento di Campolungo, oltre ad altri che sono dipendenti di aziende minori dell'indotto, e che verrebbero anche a perdere il lavoro nel caso la Manuli cessasse l'attività produttiva. Con effetti dirompenti non solo diretti, cioè per il reddito delle famiglie interessate dalla mobilità e poi dal licenziamento, ma anche per tutto il commercio, i servizi e le attività economiche dell'intera cittadina, oltre che di una buona parte del comprensorio. E' per tutti questi motivi che il sindaco Patrizia Rossini, l'assessore Francesco Ruggeri ed altri componenti della Giunta comunale, nelle ultime settimane hanno seguito con particolare attenzione la situazione, facendo più volte visita ai lavoratori in assemblea permanente davanti ai cancelli della fabbrica, per cercare di sostenerli nella loro lotta per la difesa dei posti di lavoro. Intanto prosegue il picchetto dei lavoratori della Manuli davanti allo stabilimento presidiato, all’interno, da vigilantes ingaggiati dall’azienda.

Fonte:Il quotidiano .it del 22/08/2009
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Ascoli-Le preoccupazioni dei sindacati ascolani sul futuro dello stabilimento Manuli Rubber a Campolungo erano fondate. Con le maestranze collocate in ferie, ieri mattina, la multinazionale ha comunicato alle organizzazioni sindacali nazionali il piano di ristrutturazione aziendale che scatterà simultaneamente negli stabilimenti di Ascoli, Bologna e Milano.

Un piano draconiano che solamente per il sito ascolano comporterà l’apertura della procedura di mobilità per 375 dipendenti. Il totale della forza lavoro si attesta sulle 450 unità per cui non si sa se dai licenziamenti si salveranno i dipendenti della Manuli Oil Marine, un’altra struttura di Campolungo.

La comunicazione dell’apertura della procedura di mobilità non è stata, purtroppo, un fulmine a ciel sereno. Da troppi mesi la multinazionale aveva preferito glissare sui piani di rilancio del sito ascolano nonostante il pressing delle organizzazioni sindacali, a seguito di scioperi e di un lungo periodo di cassa integrazione. Dunque, come si temeva, dopo la pausa estiva, lo stabilimento verrà smantellato mentre un altro colosso come la Pfizer si accinge a mandare a casa altre decine di operai. Dopo l’ennesima chiusura di una grande azienda (Carbon, Ahlstrom sono solo le vittime più eccellenti) è doveroso che le nostre istituzioni comincino a farsi sentire dal governo affinchè la zona ascolana possa beneficiare di quel piano ideato per il rilancio del Meridione la cui crisi non sta risparmiando una zona di confine con il Sud quale è il Piceno. Il prossimo smantellamento della Manuli, salvo ripensamenti dell’ultimo istante, è la cronaca di una chiusura annunciata. L’azienda ormai non dialogava più né con le istituzioni né con i sindacati, oltre a non rispettare i patti sottoscritti nel 2008, a cominciare da quello che prevedeva l’assunzione di 40 nuovi addetti nel giugno scorso. Per questo motivo, tutte le Rsu avevano organizzato assemblee e proclamato manifestazione di protesta per costringere la multinazionale a sedersi al tavolo della trattativa. La chiusura completa per ferie dello stabilimento ad agosto non faceva pensare a niente di positivo per settembre e il presagio aveva fondamento. “La Manuli - commentano alcuni operai - ha rotto i rapporti con i sindacati interni, non dà indicazioni o informazioni circa il futuro del sito produttivo ascolano e soprattutto non tiene fede agli impegni presi con le organizzazioni dei lavoratori, non più tardi del novembre scorso. Tra questi, la mancata assunzione di 40 persone, la mancata assegnazione del premio di risultato, l’assenza di garanzie sul prossimo futuro della fabbrica. E questo senza considerare i 200 ex lavoratori precari dell’azienda, licenziati nei mesi scorsi, che stanno per terminare anche il periodo in cui usufruiscono dell’ indennità di disoccupazione, che consentiva loro di sopravvivere. Ora non ci sarà nemmeno più quella e si può immaginare in quali difficoltà si troveranno quei lavoratori e loro famiglie. L’azienda li ignora, tanto che non ritiene neanche di riassumerne una minima parte e anzi ha rotto i ponti anche con le istituzioni; al recente incontro presso la sede dell’Associazione degli industriali, non c’era l’amministratore delegato, ma solo un manager, che ha detto che il 50% della produzione del gruppo Manuli è già in Cina”. Dopo la comunicazione dell’apertura della procedura di mobilità molti operai temono che con le ferie lunghe e... forzate, lo stabilimento venga spogliato di altri macchinari...


Fonte:Corriere Adriatico del 04/08/2009

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I carabinieri intervengono alla Manuli
Clima teso in fabbrica. Produzione dimezzata alla Ykk dove si teme per il posto di 200 operai


Ascoli E’ ancora teso il clima allo stabilimento della Manuli a Campolungo. E per placare gli animi ieri mattina sono dovuti intervenire i carabinieri. I militari dell’Arma sono stati chiamati da alcuni sindacalisti dopo che la proprietà aveva negato l’accesso ai tecnici manutentori che ogni anno, durante il periodo feriale, registrano gli impianti della fabbrica in previsione della ripresa dell’attività produttiva. Dopo l’apertura della procedura di mobilità per 375 operai della Manuli da parte della multinazionale era logico che non ci fosse più bisogno della manutenzione degli impianti ma almeno i tecnici potevano essere avvertiti prima. I sindacalisti hanno chiesto ai carabinieri di mettere a verbale quanto accaduto.

Ieri mattina, hanno invece ripreso a lavorare i dipendenti della Manuli Oil Marine e anche qui ci sono stati dei problemi. Questa azienda, a differenza della Manuli Rubber, non è stata interessata dal piano di smobilitazione ma i suoi dipendenti hanno voluto comunque esprimere la loro solidarietà ai colleghi licenziati con un’ora di sciopero e un’assemblea di fabbrica che saranno ripetuti il 31 agosto. Ai rappresentanti sindacali è stato però negato l’accesso in fabbrica per poter controllare i comunicati della proprietà esposti in bacheca e non è escluso che le organizzazioni possano decidere di adire le vie legali.

E purtroppo l’effetto dirompente della crisi Manuli potrebbe mietere altre vittime tra i lavoratori fra poche settimane. Da alcuni giorni, infatti, circolano voci che al momento non possono trovare conferma, circa un imminente piano di ristrutturazione alla Ykk che produce cursori per cerniere lampo.

A marzo la multinazionale ha collocato in cassa integrazione ordinaria per tredici settimane i suoi duecento dipendenti a causa della contrazione del volume di affari legato alla recessione mondiale e stante la difficile ripresa è ipotizzabile un drastico provvedimento per ridurre ulteriormente i costi. La proprietà ha infatti annunciato che c’è stata e probabilmente ci sarà ancora una riduzione del 60% dell’orario di lavoro a causa di un preoccupante calo della produzione per la crisi mondiale.

A settembre scadrà la cassa integrazione ordinaria e molti temono che la Ykk potrebbe seguire l’esempio della Manuli aprendo la procedura di mobilità per una consistente fetta del suo organico. Lettere di mobilità che in questi giorni sono state invece spedite a quasi tutti i 40 dipendenti della Pfizer interessati dal provvedimento annunciato a giugno. Si profila dunque un autunno caldo con gli operai dell’Ascolano sulla graticola chissà per quanti mesi ancora.

Fonte:
Corriere Adriatico del 18/08/2009
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Il sindaco: “I lavoratori devono mantenere i nervi saldi. Le istituzioni sono al loro fianco”

Manuli, direttore assediato in spiaggia
Bertotto abbandona lo chalet scortato dalle forze dell’ordine dopo la protesta degli operai

Ascoli Chiuso per circa un’ora in una cabina dello stabilimento balneare Da Luigi a San Benedetto del Tronto e poi scortato fuori dallo chalet dagli agenti della Digos e dai carabinieri sotto l’applauso ironico di circa una trentina di lavoratori della Manuli. Non siamo ancora ai livelli del sequestro del direttore della filiale francese dell'azienda farmaceutica americana 3M da parte di operai in sciopero nella fabbrica di Loiret ma certamente la protesta di una frangia dei dipendenti della Manuli sta salendo di tono. La vicenda dei 375 licenziamenti rischia di degenerare.

“E non sarà l’ultima - annuncia Piero Morganti, sindacalista dell’Ugl che assieme ad Andrea Quaglietti del Sdl ha organizzato la protesta - perchè purtroppo dei quasi quattrocento operai licenziati alla Manuli non interessa quasi a nessuno”.

Gli operai della Manuli da giorni erano informati che il direttore dello stabilimento, l’ingegner Bertotto, era in villeggiatura a San Benedetto del Tronto. “Bel comportamento - aggiunge Morganti - noi sotto il sole davanti ai cancelli della Manuli a manifestare con il fiato sul collo della banca per la rata del mutuo da pagare e con la preoccupazione di non sapere come sfamare i figli e lui in spiaggia a godersi la vacanza dopo averci licenziato. Non è giusto”.

Alle 11 in punto gli operai sono giunti all’ingresso dello stabilimento balneare e hanno esposto uno striscione: “Bertotto al mare e noi licenziati con il mutuo da pagare”. Il direttore dello stabilimento della Manuli è stato subito avvertito della presenza degli operai e temendo reazioni incontrollate ha richiesto l’intervento delle forze dell’ordine che poi hanno provveduto a farlo allontanare. Non ci sono stati disordini.

L’eclatante protesta non è piaciuta a tutti a cominciare dal sindaco Guido Castelli che non vuole gettare benzina sul fuoco adesso che la trattativa è ancora aperta. “I lavoratori della Manuli - ha detto il primo cittadino - devono mantenere i nervi saldi perchè sono dalla parte della ragione ma l’importante è che la mobilitazione avvenga vicino alla fabbrica tenendo conto che hanno le istituzioni vicine”. E anche una parte del sindacato è contrario a queste manifestazioni eclatanti che rischiano di irrigidire ulteriormente la multinazionale immaginando che dietro questa protesta ci sia solo una battaglia delle tessere di Ugl e Sdl. “Siamo dispiaciuti se una parte del sindacato non condivide la nostra azione di protesta perchè il futuro di 375 operai riguarda tutti - replica Morganti - Siamo convinti che questa iniziativa serva per mantenere i riflettori della pubblica opinione sul caso Manuli. Non vorremmo che accada quanto è successo ad Ostia dove i rappresentanti nazionali di Cgil, Cisl e Uil se ne stavano al mare”.

E ora quale sarà la prossima mossa? “L’amministratore Grandi ci deve ricevere prima del 31 agosto quando dovrebbe riprendere la produzione, in condizioni di insicurezza per la mancata manutenzione degli impianti e senza la garanzia del posto di lavoro. Se la multinazionale non vuole confrontarsi con noi ne vedrete delle belle...”.

Fonte:
Corriere Adriatico del 19/08/2009
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Manuli, i sindaci si mobilitano
Un consiglio comunale aperto il 30 agosto sulla crisi picena


Ascoli L’Amministrazione comunale di Castel di Lama, dopo accordi verbali con le organizzazioni sindacali, lancia la proposta all'Unione dei Comuni della Vallata del Tronto, ai sindaci di Ascoli e San Benedetto del Tronto, e a tutti gli amministratori locali, rappresentanti delle forze sociali e sindacali, di tenere la mattina di domenica 30 agosto, un consiglio comunale aperto sulla vicenda della Manuli. Castel di Lama, se le dure decisioni confermate dal Gruppo milanese venissero attuate come preannunciato, sarebbe uno dei centri più direttamente colpiti, avendo tra i residenti ben 100 operai che lavorano nello stabilimento di Campolungo, oltre ad altri che sono dipendenti di aziende minori dell'indotto, e che verrebbero anche a perdere il lavoro nel caso la Manuli cessasse l'attività produttiva. Con effetti dirompenti non solo diretti, cioè per il reddito delle famiglie interessate dalla mobilità e poi dal licenziamento, ma anche per tutto il commercio, i servizi e le attività economiche dell'intera cittadina, oltre che di una buona parte del comprensorio. E' per tutti questi motivi che il sindaco Patrizia Rossini, l'assessore Francesco Ruggeri ed altri componenti della Giunta comunale, nelle ultime settimane hanno seguito con particolare attenzione la situazione, facendo più volte visita ai lavoratori in assemblea permanente davanti ai cancelli della fabbrica, per cercare di sostenerli nella loro lotta per la difesa dei posti di lavoro. Intanto prosegue il picchetto dei lavoratori della Manuli davanti allo stabilimento presidiato, all’interno, da vigilantes ingaggiati dall’azienda.

Fonte:Il quotidiano .it del 22/08/2009

Ferrovie. Infrastrutture in Sicilia, nemmeno l’ombra


(Giosuè Malaponti*)
Dopo la prima inaugurazione della Frecciarossa a Milano nel dicembre scorso, l’amministratore delegato di Trenitalia M.Moretti, si appresta anche a dicembre di quest’anno ad inaugurare a Torino, la nuova linea ad alta velocità Torino-Salerno avvicinando così le grandi città Torino-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli-Salerno e mettendo in questo modo a disposizione di queste grandi città, una specie di metropolitana veloce lunga oltre mille chilometri, considerato che da Roma Termini a Milano ci vorranno tre ore, da Rogoredo a Roma Tiburtina 2 ore e 50.

Mentre in Italia avviene tutto questo, la Sicilia, i siciliani e la politica siciliana stanno a guardare.

Considerato che le nostre ferrovie risalgono al 1800 e che per percorrere Palermo-Messina 232 km occorre impiegare almeno 5 ore e 30, da Messina a Siracusa 182 km quasi 4 ore, da Catania a Palermo 243 km oltre 6 ore.

Disattenzioni, errori, scarso interesse da addebitare, certamente ad una classe politica siciliana, regionale e nazionale, che non ha fatto nulla per far realizzare infrastrutture importanti per far decollare lo sviluppo economico-sociale della Sicilia, almeno per cercare di ridurre l’enorme divario infrastrutturale tra nord e sud. Alcuni esempi: il raddoppio ferroviario Messina-Palermo (legge obiettivo 1) a che punto è, e da quanti anni è in costruzione, e quando si pensa di finirlo? Il completamento del raddoppio ferroviario Messina-Catania-Siracusa nel tratto Fiumefreddo di Sicilia (CT)-Giampileri (ME) e targia-Siracusa che da otre vent’anni se ne parla ma ad oggi è ancora incompleto, e la cosa grave è che sono scomparsi i 1970 milioni di euro previsti nel contratto di programma quadro per il completamento.

Nel panorama ferroviario nazionale la Regione Sicilia si trova all’8° posto, dopo Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Emilia Romagna, Veneto, Campania, per la lunghezza complessiva dei binari, ed al 5° posto per le linee ferroviarie in esercizio dopo Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, mentre è al 16° posto con 169 km. (12%) di linea a doppio binario su 1378 km. a seguire Sardegna, Molise, Basilicata e Valle d’Aosta. (dati sulle linee rilevati dal sito di Rete Ferroviaria Italiana aggiornato a gennaio 2009).

I siciliani, anch’essi cittadini italiani sono costretti a subire da troppo tempo le conseguenze di questi ritardi infrastrutturali ed è compito dei nostri rappresentanti politici siciliani (comunali, provinciali, regionali e nazionali) rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico, così come recita l’art. 3 della Costituzione Italiana. Non vorremmo che le infrastrutture di cui i Siciliani e la Sicilia aspettano da quarant’anni, viaggiassero solo sui binari delle varie campagne elettorali.

* Coordinatore Comitato Pendolari Siciliani

Fonte:
Osservatorio Sicilia
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(Giosuè Malaponti*)
Dopo la prima inaugurazione della Frecciarossa a Milano nel dicembre scorso, l’amministratore delegato di Trenitalia M.Moretti, si appresta anche a dicembre di quest’anno ad inaugurare a Torino, la nuova linea ad alta velocità Torino-Salerno avvicinando così le grandi città Torino-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli-Salerno e mettendo in questo modo a disposizione di queste grandi città, una specie di metropolitana veloce lunga oltre mille chilometri, considerato che da Roma Termini a Milano ci vorranno tre ore, da Rogoredo a Roma Tiburtina 2 ore e 50.

Mentre in Italia avviene tutto questo, la Sicilia, i siciliani e la politica siciliana stanno a guardare.

Considerato che le nostre ferrovie risalgono al 1800 e che per percorrere Palermo-Messina 232 km occorre impiegare almeno 5 ore e 30, da Messina a Siracusa 182 km quasi 4 ore, da Catania a Palermo 243 km oltre 6 ore.

Disattenzioni, errori, scarso interesse da addebitare, certamente ad una classe politica siciliana, regionale e nazionale, che non ha fatto nulla per far realizzare infrastrutture importanti per far decollare lo sviluppo economico-sociale della Sicilia, almeno per cercare di ridurre l’enorme divario infrastrutturale tra nord e sud. Alcuni esempi: il raddoppio ferroviario Messina-Palermo (legge obiettivo 1) a che punto è, e da quanti anni è in costruzione, e quando si pensa di finirlo? Il completamento del raddoppio ferroviario Messina-Catania-Siracusa nel tratto Fiumefreddo di Sicilia (CT)-Giampileri (ME) e targia-Siracusa che da otre vent’anni se ne parla ma ad oggi è ancora incompleto, e la cosa grave è che sono scomparsi i 1970 milioni di euro previsti nel contratto di programma quadro per il completamento.

Nel panorama ferroviario nazionale la Regione Sicilia si trova all’8° posto, dopo Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, Emilia Romagna, Veneto, Campania, per la lunghezza complessiva dei binari, ed al 5° posto per le linee ferroviarie in esercizio dopo Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio, mentre è al 16° posto con 169 km. (12%) di linea a doppio binario su 1378 km. a seguire Sardegna, Molise, Basilicata e Valle d’Aosta. (dati sulle linee rilevati dal sito di Rete Ferroviaria Italiana aggiornato a gennaio 2009).

I siciliani, anch’essi cittadini italiani sono costretti a subire da troppo tempo le conseguenze di questi ritardi infrastrutturali ed è compito dei nostri rappresentanti politici siciliani (comunali, provinciali, regionali e nazionali) rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico, così come recita l’art. 3 della Costituzione Italiana. Non vorremmo che le infrastrutture di cui i Siciliani e la Sicilia aspettano da quarant’anni, viaggiassero solo sui binari delle varie campagne elettorali.

* Coordinatore Comitato Pendolari Siciliani

Fonte:
Osservatorio Sicilia

Peggio di Tangentopoli



di Piero Orsatti

Alla Procura di Bari opera un vero e proprio “pool” simile a quello di Mani pulite. Magistrati che sanno “seguire i soldi” e tirano fuori le radici di un “sistema” che ha messo insieme Pd e Pdl

Come 17 anni fa a Milano, le inchieste aperte negli ultimi mesi dalla Procura della Repubblica di Bari (non si può parlare ormai di un solo filone) sono partite da fatti apparentemente marginali, per poi diventare enormi oggetti giudiziari, con innumerevoli diramazioni e con vaste e imprevedibili implicazioni politiche. Diciassette anni fa all’inizio fu un “mariuolo” ad aprire le danze, questa volta un piccolo (o meglio, un ex piccolo) imprenditore, e la sua rete di relazioni è stato il detonatore. Come ai tempi di Tangentopoli e Mario Chiesa con il sistema di piccole e medie tangenti che ruotavano attorno al Pio Albergo Trivulzio, appunto. Qualcuno talmente sicuro di sé da ritrovarsi, dopo innumerevoli errori causati da una presunzione di intoccabilità, al centro dell’attenzione di inquirenti specializzati a “seguire i soldi”. E quando si seguono i soldi non si sa mai fino a dove si possa arrivare. Come ai tempi dell’Antonio Di Pietro in toga, e di Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, una procura compatta e poco incline a farsi condizionare dalla politica, ha scoperchiato oggi il pentolone barese di affari, favori e comportamenti illegali (dall’uso e spaccio di cocaina alla rete di prostituzione, fino ad arrivare al business della sanità). Attenzione però a non confondere i rami di questa intricata vicenda giudiziaria con il “tronco” portante. I collegamenti sono “sistemici”, si accentrano attorno agli affari e agli appalti della sanità. E diventano imponenti con il tentativo di salto a un livello “nazionale” permeabile.

E quindi torniamo all’inizio, al 2001, quando gli investigatori “attenzionarono” (come si usa dire nel gergo poliziesco giudiziario) per la prima volta l’iperattivo Giampaolo Tarantini e suo fratello Claudio. Il suo nome era già saltato fuori durante un’inchiesta della Dda su un clan di Barletta. Poi il giovane imprenditore “tronista” emerse con chiarezza (2003-2004) nei grandi affari che si accentravano attorno alla sanità pugliese ancor prima dell’esplodere della vicenda delle escort, della cocaina e dei festini e festoni organizzati “per la gente che conta” barese e non. C’è una prima inchiesta già conclusa e condotta dal pm Roberto Rossi relativa proprio al periodo 2001-2004, relativa alle forniture sanitarie dell’azienda dei fratelli Tarantini. Ce n’è un’altra, in corso, condotta dal pm Salvatore Nicastro sulle convenzioni stipulate dalla Regione Puglia con le strutture private del barese. E poi, di conseguenza a quella di Nicastro, l’indagine che ha mandato in tilt la giunta regionale pugliese del pm Desirée Digeronimo che ha portato addirittura al sequestro dei bilanci nelle sedi regionali dei partiti del centrosinistra per fatti relativi agli ultimi 4 anni e centrata su presunti intrecci tra affari e politica. Tarantini, a quanto risulta finora, se non motore di tutte queste vicende sarebbe quantomeno il catalizzatore di questi filoni di indagine. Ma non è finita qui. Ci sono, infatti, altri due filoni seguiti dal pm Pino Scelsi, uno relativo alle fornitura di protesi a strutture sanitarie pubbliche, con tanto di perquisizioni al policlinico di Bari, e l’altro, che ha riempito e riempie tuttora le pagine dei giornali ma non i palinsesti televisivi, relativo alle accompagnatrici reclutate da Gianpaolo Tarantini per feste e incontri vip (con tanto di additivi chimici come la cocaina) e che si occupa anche della testimonianza di Patrizia D’Addario che ha raccontato pubblicamente di suoi incontri a palazzo Grazioli a Roma con il premier Silvio Berlusconi. Dalle protesi al procacciamento di escort per feste. Tarantini sarà giovane ma certo non una figura marginale. L’iperattivismo di questo imprenditore pugliese sembrerebbe essere di gran lunga più efficace dell’attività di “mariuoli” di più antica memoria.

Torniamo a questa procura, quella di Bari, e facciamo due conti. Roberto Rossi, Salvatore Nicastro, Desirée Digeronimo, Pino Scelsi. Cos’è? Un pool? Se non lo è, ci assomiglia molto. Pool probabilmente nato per necessità, perché il peso delle inchieste che hanno portato alla ribalta questa procura “periferica”, ovvero quel pezzo delle indagini che parlavano di escort, cocaina, feste e trasferte vip, metteva a rischio di “blocco” l’insieme degli intrecci emersi indagando sui Tarantini. Sono davvero tanti gli aspetti pericolosi che riguardano la vicenda. Tarantini, spregiudicatamente, ha intessuto in questi anni una rete incredibile di rapporti, non solo con Forza Italia (e l’ex governatore Fitto, in particolare, che ne sarebbe stato il suo sponsor principale nell’accreditamento nella “società che conta”) ma anche con pezzi del centrosinistra. Il giovanotto infatti è definito dagli inquirenti «un Giano bifronte» dal punto di vista politico. Non solo Pdl e personaggi vicini al premier nelle frequentazioni dell’uomo al centro dell’ebollizione barese, quindi, ma anche il Pd. Lo dimostrerebbe una cena elettorale – episodio ora agli atti dell’indagine della Digeronimo – del Partito democratico finanziata dall’imprenditore poco prima delle politiche del 2008. Quella sera era presente anche Massimo D’Alema ma rimase solo pochi minuti. A portarlo via, il sindaco barese Michele Emiliano che proprio da pm aveva istruito la prima indagine sui Tarantini. «Quando entrai in quel ristorante e vidi quei signori – ricorda il sindaco di Bari – raggelai. Dissi a Massimo che era inopportuno che noi rimanessimo lì. E andammo via». Un’inchiesta devastante per la coalizione che sostiene la ricandidatura del governatore Niki Vendola quella condotta dalla Digeronimo. Tra manager delle Asl pugliesi, dirigenti della Regione e politici sono circa 20 gli indagati, tra cui anche l’ex assessore alla Sanità Alberto Tedesco che, per questo motivo, nel febbraio scorso si è dimesso dall’incarico in Regione, anche se attualmente è senatore del Pd prendendo il posto dell’ex ministro Paolo De Castro, eletto come parlamentare europeo alle ultime elezioni. Il 30 luglio, ricordiamolo, la procura ha dato mandato ai carabinieri di perquisire le sedi di Pd, Socialisti, Prc, Sinistra e libertà, Moderati per Emiliano e Lista Emiliano. La documentazione richiesta dal pm riguarda il periodo che va dal 2005 fino alle ultime elezioni amministrative al Comune di Bari e l’ipotesi che motiva le acquisizioni e l’illecito finanziamento pubblico ai partiti politici.

Ma già da prima Tarantini sembrava essere travolto da una formidabile passione politica. Per Forza Italia. Questo emerge dalle intercettazioni. Medita di candidarsi al Consiglio regionale nel 2005 ma poi nella notte tra il 14 e il 15 giugno 2004 cambia idea. La ragione è rintracciabile nella sonora sconfitta del centro destra a Bari città. «Fitto ha fatto una figuraccia – confida Tarantini a un’amica -. Meglio lasciare stare». Ma i rapporti con il centrodestra rimangono buoni, anche dopo il breve flirt con il Pd con le cene elettorali del 2008. Tarantini racconta al fratello di un appuntamento a pranzo con Gianni Letta, riceve richieste di appoggio dalla segreteria del ministro Maurizio Gasparri, chiede incontri al ministro Girolamo Sirchia, sostiene il candidato sindaco di centrodestra a Bari. E poi avrebbe puntato a un’altra macchina di erogazioni (spesso in deroga) di soldi e appalti, la Protezione civile guidata da Bertolaso che, risulterebbe dalle intercettazioni, Tarantini voleva assolutamente fra i suoi “amici”. Insomma, a soli 34 anni Tarantini è una vera macchina di relazioni. Ma le relazioni non si fermerebbero a quello, vista anche la sua prima apparizione nel 2001 in un’inchiesta sulla criminalità organizzata di Barletta. Tarantini, a quanto starebbero accertando gli inquirenti, per procacciarsi gli ingenti quantitativi di stupefacenti che, come ha dichiarato il suo ex socio oggi agli arresti domiciliari Massimiliano Verdoscia, servivano a facilitare l’accesso a certi ambienti utili, avrebbe avuto, per forza di cose, contatti con i clan baresi.


INQUIRENTI
Il capo deve andare via
Intanto si è aperta la corsa al successore di Emilio Marzano, procuratore di Bari. Il suo trasferimento, imposto dalla nuova normativa sugli incarichi approvata recentemente su proposta del ministro Angelino Alfano, dovrà avvenire a metà novembre. Una voce che circolava da tempo ma che è stata confermata con la pubblicazione dei bandi a inizio agosto. Si apre di conseguenza la corsa alla successione. Un probabile candidato ai vertici della procura barese è Marco Dinapoli, attuale procuratore aggiunto. Dei vice di Marzano è l’unico a non essere a rischio di dover lasciare l’incarico nei prossimi mesi. Gli altri si sono già mossi o si stanno muovendo. Giovanni Colangelo, sino a pochi mesi fa procuratore aggiunto con delega all’Antimafia, è diventato capo della Procura a Potenza, e Giuseppe Carabba è stato già assegnato alla guida della Procura minorile di Taranto. Intanto il Consiglio superiore della magistratura ha nominato l’attuale procuratore capo di Monza Antonio Pizzi, come prossimo procuratore generale di Bari. La nomina, avvenuta a marzo, diverrà esecutiva nelle prossime settimane. Un cambio di direzione degli uffici, insieme a quello provocato dal trasferimento di Marzano, che non rassicura molto gli uffici del Tribunale di Bari, anche se il curriculum del magistrato brianzolo è di tutto rispetto, visto che si occupò in passato anche del crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Un altro magistrato che sa che seguire i soldi a volte riserva delle grandi sorprese.

Fonte:
Piero Orsatti
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di Piero Orsatti

Alla Procura di Bari opera un vero e proprio “pool” simile a quello di Mani pulite. Magistrati che sanno “seguire i soldi” e tirano fuori le radici di un “sistema” che ha messo insieme Pd e Pdl

Come 17 anni fa a Milano, le inchieste aperte negli ultimi mesi dalla Procura della Repubblica di Bari (non si può parlare ormai di un solo filone) sono partite da fatti apparentemente marginali, per poi diventare enormi oggetti giudiziari, con innumerevoli diramazioni e con vaste e imprevedibili implicazioni politiche. Diciassette anni fa all’inizio fu un “mariuolo” ad aprire le danze, questa volta un piccolo (o meglio, un ex piccolo) imprenditore, e la sua rete di relazioni è stato il detonatore. Come ai tempi di Tangentopoli e Mario Chiesa con il sistema di piccole e medie tangenti che ruotavano attorno al Pio Albergo Trivulzio, appunto. Qualcuno talmente sicuro di sé da ritrovarsi, dopo innumerevoli errori causati da una presunzione di intoccabilità, al centro dell’attenzione di inquirenti specializzati a “seguire i soldi”. E quando si seguono i soldi non si sa mai fino a dove si possa arrivare. Come ai tempi dell’Antonio Di Pietro in toga, e di Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo, una procura compatta e poco incline a farsi condizionare dalla politica, ha scoperchiato oggi il pentolone barese di affari, favori e comportamenti illegali (dall’uso e spaccio di cocaina alla rete di prostituzione, fino ad arrivare al business della sanità). Attenzione però a non confondere i rami di questa intricata vicenda giudiziaria con il “tronco” portante. I collegamenti sono “sistemici”, si accentrano attorno agli affari e agli appalti della sanità. E diventano imponenti con il tentativo di salto a un livello “nazionale” permeabile.

E quindi torniamo all’inizio, al 2001, quando gli investigatori “attenzionarono” (come si usa dire nel gergo poliziesco giudiziario) per la prima volta l’iperattivo Giampaolo Tarantini e suo fratello Claudio. Il suo nome era già saltato fuori durante un’inchiesta della Dda su un clan di Barletta. Poi il giovane imprenditore “tronista” emerse con chiarezza (2003-2004) nei grandi affari che si accentravano attorno alla sanità pugliese ancor prima dell’esplodere della vicenda delle escort, della cocaina e dei festini e festoni organizzati “per la gente che conta” barese e non. C’è una prima inchiesta già conclusa e condotta dal pm Roberto Rossi relativa proprio al periodo 2001-2004, relativa alle forniture sanitarie dell’azienda dei fratelli Tarantini. Ce n’è un’altra, in corso, condotta dal pm Salvatore Nicastro sulle convenzioni stipulate dalla Regione Puglia con le strutture private del barese. E poi, di conseguenza a quella di Nicastro, l’indagine che ha mandato in tilt la giunta regionale pugliese del pm Desirée Digeronimo che ha portato addirittura al sequestro dei bilanci nelle sedi regionali dei partiti del centrosinistra per fatti relativi agli ultimi 4 anni e centrata su presunti intrecci tra affari e politica. Tarantini, a quanto risulta finora, se non motore di tutte queste vicende sarebbe quantomeno il catalizzatore di questi filoni di indagine. Ma non è finita qui. Ci sono, infatti, altri due filoni seguiti dal pm Pino Scelsi, uno relativo alle fornitura di protesi a strutture sanitarie pubbliche, con tanto di perquisizioni al policlinico di Bari, e l’altro, che ha riempito e riempie tuttora le pagine dei giornali ma non i palinsesti televisivi, relativo alle accompagnatrici reclutate da Gianpaolo Tarantini per feste e incontri vip (con tanto di additivi chimici come la cocaina) e che si occupa anche della testimonianza di Patrizia D’Addario che ha raccontato pubblicamente di suoi incontri a palazzo Grazioli a Roma con il premier Silvio Berlusconi. Dalle protesi al procacciamento di escort per feste. Tarantini sarà giovane ma certo non una figura marginale. L’iperattivismo di questo imprenditore pugliese sembrerebbe essere di gran lunga più efficace dell’attività di “mariuoli” di più antica memoria.

Torniamo a questa procura, quella di Bari, e facciamo due conti. Roberto Rossi, Salvatore Nicastro, Desirée Digeronimo, Pino Scelsi. Cos’è? Un pool? Se non lo è, ci assomiglia molto. Pool probabilmente nato per necessità, perché il peso delle inchieste che hanno portato alla ribalta questa procura “periferica”, ovvero quel pezzo delle indagini che parlavano di escort, cocaina, feste e trasferte vip, metteva a rischio di “blocco” l’insieme degli intrecci emersi indagando sui Tarantini. Sono davvero tanti gli aspetti pericolosi che riguardano la vicenda. Tarantini, spregiudicatamente, ha intessuto in questi anni una rete incredibile di rapporti, non solo con Forza Italia (e l’ex governatore Fitto, in particolare, che ne sarebbe stato il suo sponsor principale nell’accreditamento nella “società che conta”) ma anche con pezzi del centrosinistra. Il giovanotto infatti è definito dagli inquirenti «un Giano bifronte» dal punto di vista politico. Non solo Pdl e personaggi vicini al premier nelle frequentazioni dell’uomo al centro dell’ebollizione barese, quindi, ma anche il Pd. Lo dimostrerebbe una cena elettorale – episodio ora agli atti dell’indagine della Digeronimo – del Partito democratico finanziata dall’imprenditore poco prima delle politiche del 2008. Quella sera era presente anche Massimo D’Alema ma rimase solo pochi minuti. A portarlo via, il sindaco barese Michele Emiliano che proprio da pm aveva istruito la prima indagine sui Tarantini. «Quando entrai in quel ristorante e vidi quei signori – ricorda il sindaco di Bari – raggelai. Dissi a Massimo che era inopportuno che noi rimanessimo lì. E andammo via». Un’inchiesta devastante per la coalizione che sostiene la ricandidatura del governatore Niki Vendola quella condotta dalla Digeronimo. Tra manager delle Asl pugliesi, dirigenti della Regione e politici sono circa 20 gli indagati, tra cui anche l’ex assessore alla Sanità Alberto Tedesco che, per questo motivo, nel febbraio scorso si è dimesso dall’incarico in Regione, anche se attualmente è senatore del Pd prendendo il posto dell’ex ministro Paolo De Castro, eletto come parlamentare europeo alle ultime elezioni. Il 30 luglio, ricordiamolo, la procura ha dato mandato ai carabinieri di perquisire le sedi di Pd, Socialisti, Prc, Sinistra e libertà, Moderati per Emiliano e Lista Emiliano. La documentazione richiesta dal pm riguarda il periodo che va dal 2005 fino alle ultime elezioni amministrative al Comune di Bari e l’ipotesi che motiva le acquisizioni e l’illecito finanziamento pubblico ai partiti politici.

Ma già da prima Tarantini sembrava essere travolto da una formidabile passione politica. Per Forza Italia. Questo emerge dalle intercettazioni. Medita di candidarsi al Consiglio regionale nel 2005 ma poi nella notte tra il 14 e il 15 giugno 2004 cambia idea. La ragione è rintracciabile nella sonora sconfitta del centro destra a Bari città. «Fitto ha fatto una figuraccia – confida Tarantini a un’amica -. Meglio lasciare stare». Ma i rapporti con il centrodestra rimangono buoni, anche dopo il breve flirt con il Pd con le cene elettorali del 2008. Tarantini racconta al fratello di un appuntamento a pranzo con Gianni Letta, riceve richieste di appoggio dalla segreteria del ministro Maurizio Gasparri, chiede incontri al ministro Girolamo Sirchia, sostiene il candidato sindaco di centrodestra a Bari. E poi avrebbe puntato a un’altra macchina di erogazioni (spesso in deroga) di soldi e appalti, la Protezione civile guidata da Bertolaso che, risulterebbe dalle intercettazioni, Tarantini voleva assolutamente fra i suoi “amici”. Insomma, a soli 34 anni Tarantini è una vera macchina di relazioni. Ma le relazioni non si fermerebbero a quello, vista anche la sua prima apparizione nel 2001 in un’inchiesta sulla criminalità organizzata di Barletta. Tarantini, a quanto starebbero accertando gli inquirenti, per procacciarsi gli ingenti quantitativi di stupefacenti che, come ha dichiarato il suo ex socio oggi agli arresti domiciliari Massimiliano Verdoscia, servivano a facilitare l’accesso a certi ambienti utili, avrebbe avuto, per forza di cose, contatti con i clan baresi.


INQUIRENTI
Il capo deve andare via
Intanto si è aperta la corsa al successore di Emilio Marzano, procuratore di Bari. Il suo trasferimento, imposto dalla nuova normativa sugli incarichi approvata recentemente su proposta del ministro Angelino Alfano, dovrà avvenire a metà novembre. Una voce che circolava da tempo ma che è stata confermata con la pubblicazione dei bandi a inizio agosto. Si apre di conseguenza la corsa alla successione. Un probabile candidato ai vertici della procura barese è Marco Dinapoli, attuale procuratore aggiunto. Dei vice di Marzano è l’unico a non essere a rischio di dover lasciare l’incarico nei prossimi mesi. Gli altri si sono già mossi o si stanno muovendo. Giovanni Colangelo, sino a pochi mesi fa procuratore aggiunto con delega all’Antimafia, è diventato capo della Procura a Potenza, e Giuseppe Carabba è stato già assegnato alla guida della Procura minorile di Taranto. Intanto il Consiglio superiore della magistratura ha nominato l’attuale procuratore capo di Monza Antonio Pizzi, come prossimo procuratore generale di Bari. La nomina, avvenuta a marzo, diverrà esecutiva nelle prossime settimane. Un cambio di direzione degli uffici, insieme a quello provocato dal trasferimento di Marzano, che non rassicura molto gli uffici del Tribunale di Bari, anche se il curriculum del magistrato brianzolo è di tutto rispetto, visto che si occupò in passato anche del crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Un altro magistrato che sa che seguire i soldi a volte riserva delle grandi sorprese.

Fonte:
Piero Orsatti

sabato 29 agosto 2009

Doppio gioco


di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi

Montagne d'armi per alimentare le guerre africane. Vendute da italiani. Un regime che chiede tangenti su tutti gli affari. Ecco la Libia con cui Berlusconi stringe patti segreti

Muammar Al Gheddafi
C'è un governo affamato d'armi. Cerca arsenali perché si sente debole dopo quarant'anni di regime e teme le rivolte popolari. E vuole montagne di mitragliatori per proseguire la sua spregiudicata politica di potenza che negli scorsi decenni ha contribuito a riempire l'Africa di guerre civili. Questa è la Libia che si materializza negli atti della più sconvolgente inchiesta sul traffico d'armi realizzata in Italia: verbali, intercettazioni, pedinamenti e rogatorie che raccontano l'ultimo eldorado del commercio bellico. E dove dignitari vicinissimi al colonnello Gheddafi si muovono con grande spregiudicatezza tra affari di Stato, interessi personali e trame segrete. Questa è la Libia dove si recherà Silvio Berlusconi (scheda a pag. 51), invocando accordi strategici per il rilancio dell'economia ma soprattutto per stroncare definitivamente le partenze di immigrati ed esuli verso Lampedusa. Mentre dagli atti dell'indagine - come può rivelare "L'espresso" - spunta il nome del più importante ente libico che si occupa di quei migranti rispediti indietro dall'Italia. Deportazioni che stanno creando perplessità in tutta Europa e non riescono a scoraggiare la disperazione di chi sfida il mare e spesso muore nel disinteresse delle autorità maltesi.
Prima di Berlusconi un'altra incredibile squadra di imprenditori italiani era corsa a Tripoli per fare affari. Sono i nuovi mercanti di morte, figure inedite e sorprendenti di quarantenni che riforniscono gli eserciti africani di missili, elicotteri e bombardieri. E che passano in poche settimane dai cantieri edili alla compravendita di fucili d'assalto, tank e cannoni. Improvvisarsi commercianti di kalashnikov è facilissimo: trovarne mezzo milione sembra un gioco da ragazzi. Ma tutto è a portata di mano: caccia, radar, autoblindo. Si va direttamente alla fabbrica, in Cina, nell'ex Urss o nei paesi balcanici.
L'importante è avere le conoscenze giuste, conti offshore e una scorciatoia per evitare i controlli. Tutto documentato in tre anni di indagini dalla procura di Perugia. Tutto confermato nella sostanza - anche se non sempre nella rilevanza penale - dagli stessi interessati nei lunghi interrogatori davanti al pubblico ministero Dario Razzi.

Un filo di fumo
Come spesso accade le grandi trame hanno un inizio banale, perso nella noia della campagna umbra. Nel dicembre 2005 i carabinieri di Terni stavano indagando su un piccolo giro di hashish. L'attenzione dei militari si è concentrata su Gianluca Squarzolo, che lavorava per una azienda insolitamente attiva negli appalti della cooperazione internazionale: la Sviluppo di Terni. Soprattutto in Libia è riuscita a entrare tra i fornitori della nomenklatura più vicina al colonnello Gheddafi. Ha ristrutturato palazzi e ville. Merito soprattutto dei contatti che si è saputo costruire Ermete Moretti, vulcanico manager toscano. Al pm Razzi racconta di avere accompagnato uno specialista di ozonoterapia per curare il leader massimo della Jamairhia: "Anche solo a livello di fargli fare delle iniezioni, sicuramente un bello screening me l'hanno fatto prima, per vedere se ero una persona di qualche servizio segreto". Come in tutti i paesi arabi, anche a Tripoli per fare affari ci vogliono conoscenze e mazzette. Così Moretti non si sorprende quando nel marzo 2006 gli viene proposto un nuovo business: una fornitura colossale di mitragliatori. A parlarne è Tafferdin Mansur, alto ufficiale nel settore approvvigionamenti dell'esercito libico, "vicino al capo di stato maggiore generale Abdulrahim Alì Al Sied". Muoversi in questo settore, però, richiederebbe figure con una certa esperienza. Invece per la prima missione viene incaricato Squarzolo che parte verso Tripoli con un piccolo campionario. Quando i carabinieri gli ispezionano i bagagli a Fiumicino invece dell'hashish trovano tutt'altra merce: un catalogo di armamenti. Capiscono di essersi imbattuti in qualcosa di grosso: lo lasciano andare e fanno partire le intercettazioni. Che individuano gli altri soci.

Mister Gold Rock
C'è Massimo Bettinotti, 42 anni, radicato nello Spezzino e abile nello scovare contratti bellici. C'è Serafino Rossi, imprenditore agricolo a lungo vissuto in Perù che legge Jane's, la rivista militare più autorevole, e tra una semina e l'altra sa riconoscere ogni modello di caccia. Il nome più misterioso è quello di Vittorio Dordi, 44 anni, nato a Cazzaniga in provincia di Bergamo e studi interrotti dopo la licenza media. E la sua carriera pare ricalcata da un romanzo. Racconta di essere emigrato dalle fabbrichette tessili lombarde all'Uzbekistan per costruire impianti e telai. Nel '98 apre un ufficio in Congo: spiega di essere stato chiamato dal presidente Kabila per rivitalizzare la coltivazione del cotone. Ma la sua vocazione è un'altra. In Congo diventa una sorta di consigliere del ministro della Difesa, ottiene un passaporto diplomatico e la concessione per una miniera di diamanti. Nel 1999 a Cipro fonda la Gold Rock e comincia a muoversi sul mercato russo degli armamenti: "Diciotto anni di esperienza, sa: sono abbastanza conosciuto...", si vanta con il pm. La sua specialità - racconta - è la Georgia, dove si producono ordigni pregiati. Nell'interrogatorio cita il Sukhoi 25, un bombardiere che è la fenice dei conflitti africani. Un aereo corazzato, progettato ai tempi dell'invasione dell'Afghanistan: robusto, semplice, decolla anche da piste sterrate e non teme né le cannonate né i missili. Ogni tanto stormi fantasma di questi jet, con equipaggi mercenari, spuntano all'improvviso nei massacri del continente nero. Anche in Congo, ovviamente. Dordi non si presenta come un semplice compratore: parla di un suo ruolo nell'azionariato delle aziende che costruiscono caccia ed elicotteri. Millanterie? I depositi bancari rintracciati dai magistrati a Malta, a Cipro e a San Marino sembrano indicare transazioni rilevanti e un tesoretto di 22 milioni di euro al sicuro sul Titano.
Ma le sorprese di Mister Gold Rock non sono finite. "Voi pensate a Dordi come a uno che vende solo armi, mica è vero", spiega al pm il suo amico Serafino Rossi: "M'ha detto che lui è socio di un grosso costruttore spagnolo, che fa strade, ponti, quello che stava comprando il Parma". È Florentino Perez quel costruttore spagnolo, deduce il procuratore: il boss del Real Madrid che ha speso cifre folli per la sua squadra stellare. Perez, racconta sempre Rossi, avrebbe investito forte in Congo e Dordi conta di lavorarci insieme, "visto che sono molto amici ". Assieme ai nuovi sodali, Dordi discute anche qualche altro affaruccio: 50 mila kalashnikov e 5000 mitragliatrici russe destinate "a un sedicente rappresentante del governo iracheno" da spedire con "il beneplacito del governo americano"; cannoni navali per lo Sri Lanka, elicotteri per il Pakistan, Mig di seconda mano dalla Lituania.

Operazioni coperte
Per uno come lui, i kalashnikov sono merce di scarso valore. Ma sa che i libici cercano ben altro: venti anni di embargo, decretati dopo gli attentati di Lockerbie e Berlino, hanno reso Tripoli ghiotta. Dordi spera di sfruttare i contatti partiti dall'Umbria per strappare qualche commessa più ricca. Descrive al pm nel dettaglio gli incontri con i responsabili del riarmo libico: vogliono apparati per modernizzare i carri armati T72, elicotteri da combattimento, missili terra-aria di ultimissima generazione. Insomma, il meglio per riportare l'armata di Gheddafi ai fasti degli anni Settanta.E allora perché tanta insistenza nel cercare una montagna di vecchi kalashnikov, tutti del modello più antico e rustico? Mezzo milione di Ak47 e dieci milioni di proiettili, una quantità di gran lunga superiore alle necessità dell'esercito libico. Sono gli stessi indagati a dare una risposta nelle intercettazioni: "Li vogliono regalà a destra e manca, capito?". Il pm parla di "esigenze politico-militari, gli indagati sanno che parte della commessa sarà ceduta a terzi. Nessun problema per loro se le armi dovessero essere destinate a Stati o movimenti in contrasto con la politica estera italiana". È una vecchia storia. Dalla fine degli anni Settanta i libici hanno cercato di esportare la loro rivoluzione verde in mezzo mondo, donando casse di ordigni: dal Ciad al Nicaragua, dal Sudan alla Liberia.

Tangentopoli a Tripoli
I nostri connazionali sono maestri nell'esperanto della bustarella. Pagano le rette del college londinese per il figlio del colonnello Mansur, più una mazzetta da 250 mila dollari; altrettanti all'ingegnere libico che esamina lo shopping bellico. I soldi li fanno gonfiando i costi: i kalashnikov vengono pagati 85 dollari e rivenduti a Tripoli per 136. "Su 64 milioni e 800mila dollari che i libici pagheranno, il 60 per cento andrà agli italiani". Ma i soldi non restano nelle loro tasche: "Non sono poi infondate le pretese dei libici di ottenere un prezzo della corruzione più elevato rispetto a quanto finora corrisposto", continua con un filo di ironia il pm. Gli oligarchi della Jamairhia sanno però che il loro potere va difeso. Nella primavera 2006 la rivolta islamica di Bengasi, nata come protesta contro la t-shirt del ministro Calderoli, li sorprende. Si teme anche per la salute di Gheddafi. Per questo chiedono con urgenza strumenti anti-sommossa: 250 mila pallottole di gomma, 750 lancia granate lacrimogene, scudi e corpetti protettivi.

Email a raffica
Come si fa a trovare mezzo milione di mitragliatori? Basta scrivere una mail alla Norinco, il colosso cinese dove i compratori con buone referenze sono accolti sempre a braccia aperte. "Nessun problema, noi non andiamo in ferie: in tre mesi avrete i primi 100mila", rispondono al volo. Si trovano anche le società - a Malta e a Cipro - che secondo gli inquirenti servono ad aggirare i divieti della legge italiana. I libici però sono tutt'altro che sprovveduti: prima vogliono provare dei campioni della merce. Così Moretti e Bettinotti organizzano l'invio dalla Cina a Tripoli di 6 fucili d'assalto e 18 caricatori. Ma c'è un intoppo: nel documento di spedizione, i cinesi hanno indicato il nome di Bettinotti, vanificando la rete di copertura. C'è il rischio che l'affare salti. Tra le due sponde del Mediterraneo si cerca una soluzione. Che porta il nome di Khaled K. El Hamedi, presidente della grande holding libica Eng Holding. Secondo la procura questa holding "ha intermediato l'affare dei kalashnikov ". El Hamedi è un pezzo da novanta della nomenklatura libica. È cognato di uno dei figli di Gheddafi. In più, come ricostruisce a "L'espresso" una fonte che chiede l'anonimato "il padre è il generale Khweldi El Hamedi, il membro più rispettato del Consiglio del Comando della Rivoluzione: una personalità che ha ricoperto varie cariche nei ministeri della Difesa, dell'intelligence e dell'istruzione".

Mitra e diritti umani
La notte del 14 settembre 2006, Bettinotti invia un fax allo 00218214780777: è destinato alla Eng Holding, all'attenzione di Khaled El Hamedi, per trasmettere la bolla di spedizione dei kalashnikov "artefatta dal Bettinotti per evitare che si possa risalire a lui". Quel numero di fax corrisponde anche, come "L'espresso" è in grado di rivelare, a una importante Ong di cui Khaled El Hamedi è presidente: la "International organization for peace, care, and relief" (www.iopcr.org) di Tripoli. Un'organizzazione molto attiva nel soccorso alla popolazione palestinese, ma anche nell'assistenza agli immigrati che transitano per la Libia. Racconta a "L'espresso" una fonte autorevole che opera nel settore dei diritti umani: "È la più grande organizzazione libica attiva nel settore degli immigrati. Hanno accordi con l'Alto commissariato Onu per i rifugiati per consentire l'accesso al campo di detenzione di Misratah". Si tratta di una delle strutture dove finiscono anche i migranti respinti dal nuovo accordo Italia-Libia. "Loro sono gli unici che possono entrare in certe strutture. Ogni associazione che lavora nel settore dell'immigrazione deve passare da loro. Hanno lavorato anche con il Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir)". Nel 2008 Savino Pezzotta, presidente del Cir, e Khaled El Hamedi si sono incontrati a Roma per firmare un accordo di collaborazione in difesa dei migranti.

Game over
I sogni bellici degli impresari all'italiana si sono fermati al campionario di sei kalashnikov. Nel febbraio 2007 partono gli ordini d'arresto. Squarzolo, Moretti, Rossi e Bettinotti vengono catturati subito. Vittorio Dordi invece resta in Congo. Le entrature, come lui stesso dichiara, non gli mancano: "Il 16 agosto 2007 sono andato nell'ambasciata d'Italia e ho parlato con il console generale Edoardo Pucci, che è un mio conoscente da quattro anni, che veniva a casa mia a cena e io andavo pure a casa sua. L'ho messo al corrente della situazione". Poi - continua - è la volta dell'ambasciata americana dove parla "con il security officer della Cia". Ma la sua posizione ormai è compromessa. Nel settembre 2008 Dordi viene espulso dal Congo come persona non gradita e finisce agli arresti. L'udienza preliminare si è tenuta a giugno: in due hanno patteggiato una condanna a 4 anni. La Sfinge invece si prepara a respingere le accuse nel processo, forte dell'assistenza di Giulia Bongiorno, deputato del Pdl e presidente della Commissione giustizia.

La migliore arma di difesa possibile.


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di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi

Montagne d'armi per alimentare le guerre africane. Vendute da italiani. Un regime che chiede tangenti su tutti gli affari. Ecco la Libia con cui Berlusconi stringe patti segreti

Muammar Al Gheddafi
C'è un governo affamato d'armi. Cerca arsenali perché si sente debole dopo quarant'anni di regime e teme le rivolte popolari. E vuole montagne di mitragliatori per proseguire la sua spregiudicata politica di potenza che negli scorsi decenni ha contribuito a riempire l'Africa di guerre civili. Questa è la Libia che si materializza negli atti della più sconvolgente inchiesta sul traffico d'armi realizzata in Italia: verbali, intercettazioni, pedinamenti e rogatorie che raccontano l'ultimo eldorado del commercio bellico. E dove dignitari vicinissimi al colonnello Gheddafi si muovono con grande spregiudicatezza tra affari di Stato, interessi personali e trame segrete. Questa è la Libia dove si recherà Silvio Berlusconi (scheda a pag. 51), invocando accordi strategici per il rilancio dell'economia ma soprattutto per stroncare definitivamente le partenze di immigrati ed esuli verso Lampedusa. Mentre dagli atti dell'indagine - come può rivelare "L'espresso" - spunta il nome del più importante ente libico che si occupa di quei migranti rispediti indietro dall'Italia. Deportazioni che stanno creando perplessità in tutta Europa e non riescono a scoraggiare la disperazione di chi sfida il mare e spesso muore nel disinteresse delle autorità maltesi.
Prima di Berlusconi un'altra incredibile squadra di imprenditori italiani era corsa a Tripoli per fare affari. Sono i nuovi mercanti di morte, figure inedite e sorprendenti di quarantenni che riforniscono gli eserciti africani di missili, elicotteri e bombardieri. E che passano in poche settimane dai cantieri edili alla compravendita di fucili d'assalto, tank e cannoni. Improvvisarsi commercianti di kalashnikov è facilissimo: trovarne mezzo milione sembra un gioco da ragazzi. Ma tutto è a portata di mano: caccia, radar, autoblindo. Si va direttamente alla fabbrica, in Cina, nell'ex Urss o nei paesi balcanici.
L'importante è avere le conoscenze giuste, conti offshore e una scorciatoia per evitare i controlli. Tutto documentato in tre anni di indagini dalla procura di Perugia. Tutto confermato nella sostanza - anche se non sempre nella rilevanza penale - dagli stessi interessati nei lunghi interrogatori davanti al pubblico ministero Dario Razzi.

Un filo di fumo
Come spesso accade le grandi trame hanno un inizio banale, perso nella noia della campagna umbra. Nel dicembre 2005 i carabinieri di Terni stavano indagando su un piccolo giro di hashish. L'attenzione dei militari si è concentrata su Gianluca Squarzolo, che lavorava per una azienda insolitamente attiva negli appalti della cooperazione internazionale: la Sviluppo di Terni. Soprattutto in Libia è riuscita a entrare tra i fornitori della nomenklatura più vicina al colonnello Gheddafi. Ha ristrutturato palazzi e ville. Merito soprattutto dei contatti che si è saputo costruire Ermete Moretti, vulcanico manager toscano. Al pm Razzi racconta di avere accompagnato uno specialista di ozonoterapia per curare il leader massimo della Jamairhia: "Anche solo a livello di fargli fare delle iniezioni, sicuramente un bello screening me l'hanno fatto prima, per vedere se ero una persona di qualche servizio segreto". Come in tutti i paesi arabi, anche a Tripoli per fare affari ci vogliono conoscenze e mazzette. Così Moretti non si sorprende quando nel marzo 2006 gli viene proposto un nuovo business: una fornitura colossale di mitragliatori. A parlarne è Tafferdin Mansur, alto ufficiale nel settore approvvigionamenti dell'esercito libico, "vicino al capo di stato maggiore generale Abdulrahim Alì Al Sied". Muoversi in questo settore, però, richiederebbe figure con una certa esperienza. Invece per la prima missione viene incaricato Squarzolo che parte verso Tripoli con un piccolo campionario. Quando i carabinieri gli ispezionano i bagagli a Fiumicino invece dell'hashish trovano tutt'altra merce: un catalogo di armamenti. Capiscono di essersi imbattuti in qualcosa di grosso: lo lasciano andare e fanno partire le intercettazioni. Che individuano gli altri soci.

Mister Gold Rock
C'è Massimo Bettinotti, 42 anni, radicato nello Spezzino e abile nello scovare contratti bellici. C'è Serafino Rossi, imprenditore agricolo a lungo vissuto in Perù che legge Jane's, la rivista militare più autorevole, e tra una semina e l'altra sa riconoscere ogni modello di caccia. Il nome più misterioso è quello di Vittorio Dordi, 44 anni, nato a Cazzaniga in provincia di Bergamo e studi interrotti dopo la licenza media. E la sua carriera pare ricalcata da un romanzo. Racconta di essere emigrato dalle fabbrichette tessili lombarde all'Uzbekistan per costruire impianti e telai. Nel '98 apre un ufficio in Congo: spiega di essere stato chiamato dal presidente Kabila per rivitalizzare la coltivazione del cotone. Ma la sua vocazione è un'altra. In Congo diventa una sorta di consigliere del ministro della Difesa, ottiene un passaporto diplomatico e la concessione per una miniera di diamanti. Nel 1999 a Cipro fonda la Gold Rock e comincia a muoversi sul mercato russo degli armamenti: "Diciotto anni di esperienza, sa: sono abbastanza conosciuto...", si vanta con il pm. La sua specialità - racconta - è la Georgia, dove si producono ordigni pregiati. Nell'interrogatorio cita il Sukhoi 25, un bombardiere che è la fenice dei conflitti africani. Un aereo corazzato, progettato ai tempi dell'invasione dell'Afghanistan: robusto, semplice, decolla anche da piste sterrate e non teme né le cannonate né i missili. Ogni tanto stormi fantasma di questi jet, con equipaggi mercenari, spuntano all'improvviso nei massacri del continente nero. Anche in Congo, ovviamente. Dordi non si presenta come un semplice compratore: parla di un suo ruolo nell'azionariato delle aziende che costruiscono caccia ed elicotteri. Millanterie? I depositi bancari rintracciati dai magistrati a Malta, a Cipro e a San Marino sembrano indicare transazioni rilevanti e un tesoretto di 22 milioni di euro al sicuro sul Titano.
Ma le sorprese di Mister Gold Rock non sono finite. "Voi pensate a Dordi come a uno che vende solo armi, mica è vero", spiega al pm il suo amico Serafino Rossi: "M'ha detto che lui è socio di un grosso costruttore spagnolo, che fa strade, ponti, quello che stava comprando il Parma". È Florentino Perez quel costruttore spagnolo, deduce il procuratore: il boss del Real Madrid che ha speso cifre folli per la sua squadra stellare. Perez, racconta sempre Rossi, avrebbe investito forte in Congo e Dordi conta di lavorarci insieme, "visto che sono molto amici ". Assieme ai nuovi sodali, Dordi discute anche qualche altro affaruccio: 50 mila kalashnikov e 5000 mitragliatrici russe destinate "a un sedicente rappresentante del governo iracheno" da spedire con "il beneplacito del governo americano"; cannoni navali per lo Sri Lanka, elicotteri per il Pakistan, Mig di seconda mano dalla Lituania.

Operazioni coperte
Per uno come lui, i kalashnikov sono merce di scarso valore. Ma sa che i libici cercano ben altro: venti anni di embargo, decretati dopo gli attentati di Lockerbie e Berlino, hanno reso Tripoli ghiotta. Dordi spera di sfruttare i contatti partiti dall'Umbria per strappare qualche commessa più ricca. Descrive al pm nel dettaglio gli incontri con i responsabili del riarmo libico: vogliono apparati per modernizzare i carri armati T72, elicotteri da combattimento, missili terra-aria di ultimissima generazione. Insomma, il meglio per riportare l'armata di Gheddafi ai fasti degli anni Settanta.E allora perché tanta insistenza nel cercare una montagna di vecchi kalashnikov, tutti del modello più antico e rustico? Mezzo milione di Ak47 e dieci milioni di proiettili, una quantità di gran lunga superiore alle necessità dell'esercito libico. Sono gli stessi indagati a dare una risposta nelle intercettazioni: "Li vogliono regalà a destra e manca, capito?". Il pm parla di "esigenze politico-militari, gli indagati sanno che parte della commessa sarà ceduta a terzi. Nessun problema per loro se le armi dovessero essere destinate a Stati o movimenti in contrasto con la politica estera italiana". È una vecchia storia. Dalla fine degli anni Settanta i libici hanno cercato di esportare la loro rivoluzione verde in mezzo mondo, donando casse di ordigni: dal Ciad al Nicaragua, dal Sudan alla Liberia.

Tangentopoli a Tripoli
I nostri connazionali sono maestri nell'esperanto della bustarella. Pagano le rette del college londinese per il figlio del colonnello Mansur, più una mazzetta da 250 mila dollari; altrettanti all'ingegnere libico che esamina lo shopping bellico. I soldi li fanno gonfiando i costi: i kalashnikov vengono pagati 85 dollari e rivenduti a Tripoli per 136. "Su 64 milioni e 800mila dollari che i libici pagheranno, il 60 per cento andrà agli italiani". Ma i soldi non restano nelle loro tasche: "Non sono poi infondate le pretese dei libici di ottenere un prezzo della corruzione più elevato rispetto a quanto finora corrisposto", continua con un filo di ironia il pm. Gli oligarchi della Jamairhia sanno però che il loro potere va difeso. Nella primavera 2006 la rivolta islamica di Bengasi, nata come protesta contro la t-shirt del ministro Calderoli, li sorprende. Si teme anche per la salute di Gheddafi. Per questo chiedono con urgenza strumenti anti-sommossa: 250 mila pallottole di gomma, 750 lancia granate lacrimogene, scudi e corpetti protettivi.

Email a raffica
Come si fa a trovare mezzo milione di mitragliatori? Basta scrivere una mail alla Norinco, il colosso cinese dove i compratori con buone referenze sono accolti sempre a braccia aperte. "Nessun problema, noi non andiamo in ferie: in tre mesi avrete i primi 100mila", rispondono al volo. Si trovano anche le società - a Malta e a Cipro - che secondo gli inquirenti servono ad aggirare i divieti della legge italiana. I libici però sono tutt'altro che sprovveduti: prima vogliono provare dei campioni della merce. Così Moretti e Bettinotti organizzano l'invio dalla Cina a Tripoli di 6 fucili d'assalto e 18 caricatori. Ma c'è un intoppo: nel documento di spedizione, i cinesi hanno indicato il nome di Bettinotti, vanificando la rete di copertura. C'è il rischio che l'affare salti. Tra le due sponde del Mediterraneo si cerca una soluzione. Che porta il nome di Khaled K. El Hamedi, presidente della grande holding libica Eng Holding. Secondo la procura questa holding "ha intermediato l'affare dei kalashnikov ". El Hamedi è un pezzo da novanta della nomenklatura libica. È cognato di uno dei figli di Gheddafi. In più, come ricostruisce a "L'espresso" una fonte che chiede l'anonimato "il padre è il generale Khweldi El Hamedi, il membro più rispettato del Consiglio del Comando della Rivoluzione: una personalità che ha ricoperto varie cariche nei ministeri della Difesa, dell'intelligence e dell'istruzione".

Mitra e diritti umani
La notte del 14 settembre 2006, Bettinotti invia un fax allo 00218214780777: è destinato alla Eng Holding, all'attenzione di Khaled El Hamedi, per trasmettere la bolla di spedizione dei kalashnikov "artefatta dal Bettinotti per evitare che si possa risalire a lui". Quel numero di fax corrisponde anche, come "L'espresso" è in grado di rivelare, a una importante Ong di cui Khaled El Hamedi è presidente: la "International organization for peace, care, and relief" (www.iopcr.org) di Tripoli. Un'organizzazione molto attiva nel soccorso alla popolazione palestinese, ma anche nell'assistenza agli immigrati che transitano per la Libia. Racconta a "L'espresso" una fonte autorevole che opera nel settore dei diritti umani: "È la più grande organizzazione libica attiva nel settore degli immigrati. Hanno accordi con l'Alto commissariato Onu per i rifugiati per consentire l'accesso al campo di detenzione di Misratah". Si tratta di una delle strutture dove finiscono anche i migranti respinti dal nuovo accordo Italia-Libia. "Loro sono gli unici che possono entrare in certe strutture. Ogni associazione che lavora nel settore dell'immigrazione deve passare da loro. Hanno lavorato anche con il Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir)". Nel 2008 Savino Pezzotta, presidente del Cir, e Khaled El Hamedi si sono incontrati a Roma per firmare un accordo di collaborazione in difesa dei migranti.

Game over
I sogni bellici degli impresari all'italiana si sono fermati al campionario di sei kalashnikov. Nel febbraio 2007 partono gli ordini d'arresto. Squarzolo, Moretti, Rossi e Bettinotti vengono catturati subito. Vittorio Dordi invece resta in Congo. Le entrature, come lui stesso dichiara, non gli mancano: "Il 16 agosto 2007 sono andato nell'ambasciata d'Italia e ho parlato con il console generale Edoardo Pucci, che è un mio conoscente da quattro anni, che veniva a casa mia a cena e io andavo pure a casa sua. L'ho messo al corrente della situazione". Poi - continua - è la volta dell'ambasciata americana dove parla "con il security officer della Cia". Ma la sua posizione ormai è compromessa. Nel settembre 2008 Dordi viene espulso dal Congo come persona non gradita e finisce agli arresti. L'udienza preliminare si è tenuta a giugno: in due hanno patteggiato una condanna a 4 anni. La Sfinge invece si prepara a respingere le accuse nel processo, forte dell'assistenza di Giulia Bongiorno, deputato del Pdl e presidente della Commissione giustizia.

La migliore arma di difesa possibile.


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Anniversario omicidio Libero Grassi

29 agosto 1991 - 29 agosto 2009

Libero Grassi ebbe il coraggio di opporsi alle richieste di racket della mafia, e di uscire allo scoperto denunciando gli estorsori. I suoi dipendenti lo aiutano facendo scoprire degli emissari, ma la situazione peggiora.

La condanna a morte di Grassi arriva con la pubblicazione sul Giornale di Sicilia di una lettera sul suo rifiuto a cedere ai ricatti della mafia. La sua lotta prosegue in televisione, intervistato da Michele Santoro a Samarcanda su Rai Tre, e anche su una rivista tedesca colpita dal suo comportamento positivo volto a denunciare i mafiosi. Libero Grassi fu lasciato solo nella sua lotta contro la mafia, senza alcun appoggio da parte dei suoi colleghi imprenditori. Per questo fu assassinato il 29 agosto 1991. Il 20 settembre 1991, Santoro e Maurizio Costanzo dedicano una serata televisiva a reti unificate (Rai Tre e Canale 5) alla figura di Libero Grassi.

L' intervista a Libero Grassi a Samarcanda. 11 aprile 1991



Fonte:Antimafiaduemila
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29 agosto 1991 - 29 agosto 2009

Libero Grassi ebbe il coraggio di opporsi alle richieste di racket della mafia, e di uscire allo scoperto denunciando gli estorsori. I suoi dipendenti lo aiutano facendo scoprire degli emissari, ma la situazione peggiora.

La condanna a morte di Grassi arriva con la pubblicazione sul Giornale di Sicilia di una lettera sul suo rifiuto a cedere ai ricatti della mafia. La sua lotta prosegue in televisione, intervistato da Michele Santoro a Samarcanda su Rai Tre, e anche su una rivista tedesca colpita dal suo comportamento positivo volto a denunciare i mafiosi. Libero Grassi fu lasciato solo nella sua lotta contro la mafia, senza alcun appoggio da parte dei suoi colleghi imprenditori. Per questo fu assassinato il 29 agosto 1991. Il 20 settembre 1991, Santoro e Maurizio Costanzo dedicano una serata televisiva a reti unificate (Rai Tre e Canale 5) alla figura di Libero Grassi.

L' intervista a Libero Grassi a Samarcanda. 11 aprile 1991



Fonte:Antimafiaduemila

Sale operatorie chiuse per ferie. Lombardo sa di cosa parla?


E’ incredibile la dichiarazione rilasciata dal Presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, a proposito dell’incredibile episodio di “mala politica sanitaria” che si è evidenziato ancora una volta in Sicilia e secondo cui ”Un sistema sanitario in cui le sale operatorie chiudono per ferie, deve essere smontato e rimontato daccapo … faremo di tutto per identificare e perseguire duramente responsabili e responsabilità.”
Il commento del presidente sugli ultimi episodi “negativi” della sanità” siciliana voluta dall’assessore Russo e dallo stesso presidente, lascia allibiti.

Anziché fare un legge che alla fine di tutto, eccetto alcuni aspetti marginali di gestione, ha previsto solo tagli indiscriminati ai servizi ed alle prestazioni (ricordiamo il caso di Marsala dove il reparto oncologico è chiuso per … pensionamento dello specialista e quello di Ragusa dove una “direttiva” di Russo ha lasciato senza assistenza sanitaria domiciliare oltre 2000 anziani, mentre, sempre per scelta di Russo si sta preparando un altro colpo all’organizzazione sanitaria di emergenza con l’incredibile decisione di assegnare ad un (af)fondazione CRI/Regione il servizio del 118 … che assorbirà nel complesso mondo dei regionali circa 3500 addetti (!) lasciando intatto il sistema sanitario siciliano malato, infarcito da baronie, disorganizzazione e sprechi.

Hanno detto di aver diminuito i manager ma con l’escamotage dei Distretti sono “aumentati” e, cosa incredibile, per ogni AP tre superburocrati quando uno sarebbe già troppo considerato che esiste una burocrazia in ogni AP con tanto di dirigenti e funzionari di alto livello, da fare invidia anche ad un ministero.

Si chiudono i reparti e si lasciano ospedali e strutture perifiche senza personale per l’impossibilità di assumere che dovrebbero invece essere attenzonate in modo maggiore proprio per la loro “distanza” dai grandi centri, perché c’è spreco di personale in strutture ad alta densità “feudale” (Palermo e Catania in prima fila) che impedisce di “assumere”.

Si chiudono reparti per …pensionamenti, per ferie e per mancato rinnovo dei contratti e Lombardo sembra distante anni luce dal problema perché afferma ” l’obiettivo della recente riforma sanitaria è quello di limitare gli sprechi, tagliando i servizi inutili e destinare risorse umane e finanziarie al potenziamento dei servizi essenziali.”

Lavorerà sui numeri, intorno al tavolo, senza conoscere, anche per la sua posizione privilegiata di appartenente alla casta, i problemi che gli operatori del settore e i cittadini quotidianamente affrontano proprio a causa di una politica sanitaria dissennata ed inconcludente.

Fino ad oggi ha solo tagliato i finanziamenti che come ricaduta hanno prodotto una severa diminuizione dei servizi e delle prestazioni e in generale, una caduta a picco della qualità dell’assistenza sanitaria regionale.

Ma Lombrado oltre non rendersi conto (o non voler rendersi conto) della situazione, sembra prendere in giro i cittadini affermando ” …. non permetteremo a nessuno di giocare con la salute o, peggio, con la vita dei malati.”

Ma fino adesso il governo regionale cosa ha fatto oltre ai tagli e alla nomina “partitocratica dei nuovi 54 manager che nomineranno a loro volta altrettanti manager?

Tutto va bene perché alla sanità il presidente ha incaricato un magistrato ?

Assegnare a magistrati, o a parenti di magistrati, ruoli politici sembra essere divenuto un sistema per garantirsi in ogni caso “l’assoluzione” per gli abbagli politici che quotidianamente la casta regionale prende.

Invitiamo ancora una volta il Presidente della Regione Siciliana a voler “testare” con mano il disastro sanitario che si è aggravato con l’intervento di Russo. Invitiamo Lombardo a venire con noi in giro per l’Isola (in incognito) e dopo, forse, potrà parlare e plaudire alla (non)riforma Russo.

Fonte:
Osservatorio Sicilia
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E’ incredibile la dichiarazione rilasciata dal Presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, a proposito dell’incredibile episodio di “mala politica sanitaria” che si è evidenziato ancora una volta in Sicilia e secondo cui ”Un sistema sanitario in cui le sale operatorie chiudono per ferie, deve essere smontato e rimontato daccapo … faremo di tutto per identificare e perseguire duramente responsabili e responsabilità.”
Il commento del presidente sugli ultimi episodi “negativi” della sanità” siciliana voluta dall’assessore Russo e dallo stesso presidente, lascia allibiti.

Anziché fare un legge che alla fine di tutto, eccetto alcuni aspetti marginali di gestione, ha previsto solo tagli indiscriminati ai servizi ed alle prestazioni (ricordiamo il caso di Marsala dove il reparto oncologico è chiuso per … pensionamento dello specialista e quello di Ragusa dove una “direttiva” di Russo ha lasciato senza assistenza sanitaria domiciliare oltre 2000 anziani, mentre, sempre per scelta di Russo si sta preparando un altro colpo all’organizzazione sanitaria di emergenza con l’incredibile decisione di assegnare ad un (af)fondazione CRI/Regione il servizio del 118 … che assorbirà nel complesso mondo dei regionali circa 3500 addetti (!) lasciando intatto il sistema sanitario siciliano malato, infarcito da baronie, disorganizzazione e sprechi.

Hanno detto di aver diminuito i manager ma con l’escamotage dei Distretti sono “aumentati” e, cosa incredibile, per ogni AP tre superburocrati quando uno sarebbe già troppo considerato che esiste una burocrazia in ogni AP con tanto di dirigenti e funzionari di alto livello, da fare invidia anche ad un ministero.

Si chiudono i reparti e si lasciano ospedali e strutture perifiche senza personale per l’impossibilità di assumere che dovrebbero invece essere attenzonate in modo maggiore proprio per la loro “distanza” dai grandi centri, perché c’è spreco di personale in strutture ad alta densità “feudale” (Palermo e Catania in prima fila) che impedisce di “assumere”.

Si chiudono reparti per …pensionamenti, per ferie e per mancato rinnovo dei contratti e Lombardo sembra distante anni luce dal problema perché afferma ” l’obiettivo della recente riforma sanitaria è quello di limitare gli sprechi, tagliando i servizi inutili e destinare risorse umane e finanziarie al potenziamento dei servizi essenziali.”

Lavorerà sui numeri, intorno al tavolo, senza conoscere, anche per la sua posizione privilegiata di appartenente alla casta, i problemi che gli operatori del settore e i cittadini quotidianamente affrontano proprio a causa di una politica sanitaria dissennata ed inconcludente.

Fino ad oggi ha solo tagliato i finanziamenti che come ricaduta hanno prodotto una severa diminuizione dei servizi e delle prestazioni e in generale, una caduta a picco della qualità dell’assistenza sanitaria regionale.

Ma Lombrado oltre non rendersi conto (o non voler rendersi conto) della situazione, sembra prendere in giro i cittadini affermando ” …. non permetteremo a nessuno di giocare con la salute o, peggio, con la vita dei malati.”

Ma fino adesso il governo regionale cosa ha fatto oltre ai tagli e alla nomina “partitocratica dei nuovi 54 manager che nomineranno a loro volta altrettanti manager?

Tutto va bene perché alla sanità il presidente ha incaricato un magistrato ?

Assegnare a magistrati, o a parenti di magistrati, ruoli politici sembra essere divenuto un sistema per garantirsi in ogni caso “l’assoluzione” per gli abbagli politici che quotidianamente la casta regionale prende.

Invitiamo ancora una volta il Presidente della Regione Siciliana a voler “testare” con mano il disastro sanitario che si è aggravato con l’intervento di Russo. Invitiamo Lombardo a venire con noi in giro per l’Isola (in incognito) e dopo, forse, potrà parlare e plaudire alla (non)riforma Russo.

Fonte:
Osservatorio Sicilia

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In onda a rotazione sulla Web Tv del Partito del Sud:


-Pagate Savoia - Lo storico Consiglio Comunale di Gaeta del 06/12/2008 01:33:37
Richiesta danni a casa Savoia per l'assedio del 1860/61, le riprese dell'intero Consiglio Comunale con tutti gli interventi.

-Crisi economica Argentina 00:21:51
Storia della crisi economica in Argentina del 2001, il defalut di un paese in via di sviluppo.

-Fascist Legacy 01:36:56
Fascist Legacy ("L'eredità del fascismo") è un documentario della BBC sui crimini di guerra commessi dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. La RAI acquistò una copia del programma, che però non fu mai mostrato al pubblico. La7 ne ha trasmesso ampi stralci nel 2004. Il documentario, diretto da Ken Kirby, ricostruisce le terribili vicende che accaddero nel corso della guerra di conquista coloniale in Etiopia – e negli anni successivi – e delle ancora più terribili vicende durante l’occupazione nazifascista della Jugoslavia tra gli anni 1941 e 1943.

-Una montagna di balle 01:17:03
Dal 2003 al 2009, un gruppo di videomakers, ha documentato la cosidetta emergenza rifiuti Campana per svelarne gli ingranaggi, individuare responsabilità e attori di quindici anni di gestione straordinaria. Uno spettacolo costato miliardi di euro e decine di processi in corso. Ma dove finiscono i rifiuti campani? Quali sono le ferite di una terra bruciata e i danni alla salute di milioni di persone? Il più grande disastro ecologico dellEuropa occidentale raccontato dalle voci delle comunità in lotta per difendere il proprio futuro: l'assalto ai fondi pubblici, le zone d'ombra della democrazia, il boicottaggio della differenziata, le collusioni con le ecomafie e le proposte di chi si interroga seriamente sulle alternative.E se vivere in emergenza fosse solo una strategia per accumulare profitti!? ----Da un'idea di Sabina Laddaga, Maurizio Braucci e Nicola Angrisano con la voce narrante di Ascanio Celestini con le musiche di Marco Messina Regia di Nicola Angrisano

-Zitara - Uomini d'onore 00:27:06
Uomini d’onore è un film documentario-inchiesta sulla ’Ndrangheta in Calabria, girato fra il 2005 e il 2009 nei paesi di San Luca D’Aspromonte, Paola, Cetraro, Duisburg e Amburgo da Francesco Sbano, nato nel 1963 a paola, Calabria. Il film è uscito in Italia nel 2009, durata 70 min. In Italiano.
Si raccontano la vita, gli ideali, le idee e la cultura della mafia calabrese. Nel film sono anche intervistati un latitante e un boss mafioso.
Tra gli altri ci sono anche lo storico Nicola Zitara, il prete Don Pino Strangio del monastero di Polsi, un ex ndranghetista, e l’avvocato Pasquale Sciammarella.

-Signoraggio - Genius Seculi Odeon tv REBUS 00:54:41
Andato in onda su Rebus (Odeon TV).Autore originale: Peter Joseph Adattameto italiano: Christian Ice Revisione testo: Alessandro Bono (socio ass. PRIMIT programma per la riforma monetaria italiana)Voce narrante: Marco Benevento Musiche: Luca Bellanova Conduce in studio: Maurizio Decollanz Ospiti in studio: Marco Della Luna - autore "Euroschiavi"Egenio Benetazzo - esperto finanza Marco Saba - Centro Studi Monetari


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Storia della crisi economica in Argentina del 2001, il defalut di un paese in via di sviluppo.

-Fascist Legacy 01:36:56
Fascist Legacy ("L'eredità del fascismo") è un documentario della BBC sui crimini di guerra commessi dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. La RAI acquistò una copia del programma, che però non fu mai mostrato al pubblico. La7 ne ha trasmesso ampi stralci nel 2004. Il documentario, diretto da Ken Kirby, ricostruisce le terribili vicende che accaddero nel corso della guerra di conquista coloniale in Etiopia – e negli anni successivi – e delle ancora più terribili vicende durante l’occupazione nazifascista della Jugoslavia tra gli anni 1941 e 1943.

-Una montagna di balle 01:17:03
Dal 2003 al 2009, un gruppo di videomakers, ha documentato la cosidetta emergenza rifiuti Campana per svelarne gli ingranaggi, individuare responsabilità e attori di quindici anni di gestione straordinaria. Uno spettacolo costato miliardi di euro e decine di processi in corso. Ma dove finiscono i rifiuti campani? Quali sono le ferite di una terra bruciata e i danni alla salute di milioni di persone? Il più grande disastro ecologico dellEuropa occidentale raccontato dalle voci delle comunità in lotta per difendere il proprio futuro: l'assalto ai fondi pubblici, le zone d'ombra della democrazia, il boicottaggio della differenziata, le collusioni con le ecomafie e le proposte di chi si interroga seriamente sulle alternative.E se vivere in emergenza fosse solo una strategia per accumulare profitti!? ----Da un'idea di Sabina Laddaga, Maurizio Braucci e Nicola Angrisano con la voce narrante di Ascanio Celestini con le musiche di Marco Messina Regia di Nicola Angrisano

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Uomini d’onore è un film documentario-inchiesta sulla ’Ndrangheta in Calabria, girato fra il 2005 e il 2009 nei paesi di San Luca D’Aspromonte, Paola, Cetraro, Duisburg e Amburgo da Francesco Sbano, nato nel 1963 a paola, Calabria. Il film è uscito in Italia nel 2009, durata 70 min. In Italiano.
Si raccontano la vita, gli ideali, le idee e la cultura della mafia calabrese. Nel film sono anche intervistati un latitante e un boss mafioso.
Tra gli altri ci sono anche lo storico Nicola Zitara, il prete Don Pino Strangio del monastero di Polsi, un ex ndranghetista, e l’avvocato Pasquale Sciammarella.

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Andato in onda su Rebus (Odeon TV).Autore originale: Peter Joseph Adattameto italiano: Christian Ice Revisione testo: Alessandro Bono (socio ass. PRIMIT programma per la riforma monetaria italiana)Voce narrante: Marco Benevento Musiche: Luca Bellanova Conduce in studio: Maurizio Decollanz Ospiti in studio: Marco Della Luna - autore "Euroschiavi"Egenio Benetazzo - esperto finanza Marco Saba - Centro Studi Monetari


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Campania profondo nero


di Claudio Pappaianni



Idrocarburi, metalli pesanti. Rifiuti tossici. Uno studio denuncia l'inquinamento record. Accanto ai campi di allenamento del Napoli Walter Ganapini
È tornata la spiaggia, recita uno striscione sospeso tra due alberi nella pineta che si affaccia sull'arenile di Baia Domizia. È rimasto lì da quando, la scorsa settimana, la Regione Campania ha organizzato un 'Beach party' per salutare la pulizia di parte del litorale casertano. "Avvertivo il dovere di dare avvio a un percorso di recupero di un grande patrimonio", ha dichiarato soddisfatto l'assessore all'Ambiente Walter Ganapini, dopo l'happening di musica, balli, cabaret e giochi a premi. In realtà, c'era assai poco da festeggiare. La stagione balneare è stata nefasta, segnata da depuratori mal funzionanti e bloccati per giorni dalla protesta dei lavoratori, una crisi che di fatto ha colorato di marrone il mare e l'estate dei napoletani. Qualche volta le correnti hanno spinto i liquami fino a Capri e Ischia, dove ci si sono messi anche black-out elettrici a dare il colpo di grazia all'immagine turistica del Golfo. La notizia dello sversamento di acque nere nella Grotta azzurra, con la chiusura alle visite, è diventato uno scandalo rimbalzato sui giornali di mezzo mondo.

Il caso più inquietante, però, viene ancora oggi tenuto chiuso in un cassetto. Sono i risultati finali di un'indagine realizzata dal Commissariato di governo per le bonifiche su un vasto territorio di 22 chilometri quadrati, che rientra nel sito di interesse nazionale della costa flegrea e agro-aversana. Uno studio - che 'L'espresso' ha potuto visionare in esclusiva - inviato prima dell'inizio dell'estate dalla struttura guidata dal professor Massimo Menegozzo alla presidenza del Consiglio, al ministero dell'Ambiente, al governatore Bassolino, a prefetti, sindaci, assessori e ai responsabili delle Asl. Nelle pagine non si fanno giri di parole, e le frasi disegnano l'ennesimo scempio ambientale del territorio. "Va segnalato complessivamente un rilevante e diffuso inquinamento in tutte le matrici esaminate con alcuni 'hot spot' particolarmente preoccupanti per entità dei fenomeni". La situazione appare in tutta la sua drammaticità "sia per le aree agricole, che per quelle interrate e per la falda". E se l'acqua che esce dai rubinetti è buona, a meno che non ci si allacci ai pozzi abusivi, quella che disseta le bufale di decine di allevamenti e irriga i terreni coltivati a pomodori e ortaggi è pesantemente compromessa.


Per tutti i locali l'area interessata dal report è chiamata 'i laghetti di Castelvolturno'. Si tratta di una cinquantina di specchi d'acqua affiorati dentro alcune cave abusive aperte negli anni '70 e '80, quando nella zona si scavava per estrarre la sabbia usata per la cementificazione della costa che va dal Lago Patria fino a Mondragone. Un tratto che, in pratica, arriva dalla periferia nord di Napoli fino al confine laziale. Trattori e ruspe, di aziende spesso legate al clan dei Casalesi, si fermavano solo quando dai buchi affiorava l'acqua delle falde. A quel punto si spostavano di qualche metro e ricominciavano i lavori. Le cavità sono poi state usate come discariche di auto vecchie, copertoni, scarti di edilizia e rifiuti speciali nocivi.

"A settembre renderemo pubblici i dati sulla contaminazione dei corsi d'acqua interni all'area domizia", aveva detto Ganapini mentre infuriava la polemica sul mare inquinato della Campania. L'area esaminata, con circa 2000 prelievi tra campioni di acqua e terreno, dista in alcuni punti meno di 500 metri dal mare e, in molti casi, accanto a laghetti e campi agricoli contaminati, sorgono decine di abitazioni. Come a Cava Baiano, un laghetto non molto distante dall'Holiday Inn Resort, meta preferita dagli appassionati di golf e sede del ritiro del Napoli Calcio. Già: anche Lavezzi e compagni sgambettano ogni giorno a poca distanza da un lago dove sono stati riscontrati livelli di idrocarburi superiori anche 300 volte il limite consentito dalla legge. Il presidente Aurelio De Laurentiis si è innamorato di questa zona, tanto che un anno fa era stato dato per imminente il trasferimento della società azzurra, con la realizzazione di una cittadella nuova di zecca. Da costruire vicino i laghi inquinati e l'Hyppo Campos Resort, una struttura rinomata dove i soci si tengono in forma con footing e corse in mountan bike e i partecipanti del Water Raid Adventure si sfidano in gozzo a remi, a nuoto, al kayak, all'apnea, fino alla corsa sulla spiaggia al cadmio. L'idea, per ora rimasta sulla carta, era di creare qui una vera e propria Trigoria in salsa campana, sfruttando in parte le strutture già esistenti nel centro: campi di calcetto, basket, piscine. A completare il tutto due grandi specchi d'acqua attrezzati per lo sci nautico. Gli stessi per i quali le analisi hanno riscontrato livelli di idrocarburi, cromo e piombo rispettivamente 40, 13 e 45 volte superiori alla norma.

L'allarme scatta a febbraio, quando i dati arrivano nelle mani di Menegozzo. L'esperto chiede una riunione ad hoc presso il ministero dell'Ambiente. Non c'è tempo da perdere. Peccato che prima dell'incontro ufficiale passino due mesi: la riunione si tiene il 29 aprile. Pochi giorni dopo, il direttore generale del Dipartimento 'Qualità della vita' del ministero, Marco Lupo, scrive alla procura di Santa Maria Capua Vetere: "Le risultanze delle complesse indagini hanno evidenziato la presenza, in concentrazioni elevate, di sostanze persistenti tossiche e cancerogene... È stato, inoltre, richiesto a tutti i sindaci, nonché agli enti di controllo locali, di adottare entro 10 giorni dalla data di ricevimento del verbale della riunione, tutte le misure ritenute necessarie per la salvaguardia della salute della popolazione". I valori in alcuni casi superano anche di migliaia di volte la soglia consentita, in alcune aree si concentrano sforamenti sia di idrocarburi sia di cromo. Dati agghiaccianti, come nel caso di una vasta area agricola a ottocento metri dal depuratore dei Regi Lagni: la presenza massiccia e diffusa di pesticidi ormai fuori legge da anni, come il Ddt, passa quasi in secondo ordine di fronte al cocktail micidiale di sostanze chimiche ritrovato in alcuni terreni coltivati. Da febbraio tutto è rimasto fermo, almeno nella sostanza. A inizio giugno dal Commissariato parte la relazione che scotta. Si muove solo la prefettura di Caserta, che organizza un incontro con gli uomini del Nucleo tutela ambiente dei Carabinieri di Caserta, della Guardia di Finanza e della Polizia, per un'illustrazione approfondita dello studio. Poi, il silenzio.

Chiamato a chiudere i conti con il passato, in venti mesi Massimo Menegozzo con la sua struttura ha razionalizzato le spese, ridotto di un terzo il personale, portato a termine numerosi studi che fotografano la drammaticità dell'inquinamento del suolo e delle acque in Campania. Eppure il suo incarico era quello di 'commissario liquidatore' e sarebbe dovuto terminare lo scorso 31 dicembre. Avrebbe dovuto trasferire i poteri a Regione e Comuni, ma sin dalla sua prima relazione al ministero ha denunciato le difficoltà di un passaggio di consegne. Una prima proroga di sei mesi è arrivata a Natale, la seconda a poche ore dalla scadenza il 30 giugno, quando tutta la struttura aveva pronti gli scatoloni per portar via i pochi effetti personali dalle scrivanie. Ora un gruppo di lavoro formerà funzionari e addetti per la sfida più complessa da affrontare in Campania dopo anni di emergenza rifiuti: la bonifica complessiva del territorio. Uno scandalo nello scandalo, a volte sottovalutato, che ha visto andare in fumo centinaia di milioni di euro. Come nel caso dell'emergenza rifiuti. Prima di passare le consegne, però, ci sarà da concludere il censimento dei rifiuti abbandonati per strada, che secondo prime stime sarebbe superiore al milione di tonnellate. Vale a dire, una volta e mezza la capienza della discarica di Chiaiano. E si attende un nuovo dossier che comprenderà analisi effettuate in tutta l'area del Giuglianese dove la camorra ha negli anni seppellito tonnellate di rifiuti tossici e sparso fanghi industriali nei terreni, poi stati destinati all'agricoltura.

Fonte
:L'Espresso
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di Claudio Pappaianni



Idrocarburi, metalli pesanti. Rifiuti tossici. Uno studio denuncia l'inquinamento record. Accanto ai campi di allenamento del Napoli Walter Ganapini
È tornata la spiaggia, recita uno striscione sospeso tra due alberi nella pineta che si affaccia sull'arenile di Baia Domizia. È rimasto lì da quando, la scorsa settimana, la Regione Campania ha organizzato un 'Beach party' per salutare la pulizia di parte del litorale casertano. "Avvertivo il dovere di dare avvio a un percorso di recupero di un grande patrimonio", ha dichiarato soddisfatto l'assessore all'Ambiente Walter Ganapini, dopo l'happening di musica, balli, cabaret e giochi a premi. In realtà, c'era assai poco da festeggiare. La stagione balneare è stata nefasta, segnata da depuratori mal funzionanti e bloccati per giorni dalla protesta dei lavoratori, una crisi che di fatto ha colorato di marrone il mare e l'estate dei napoletani. Qualche volta le correnti hanno spinto i liquami fino a Capri e Ischia, dove ci si sono messi anche black-out elettrici a dare il colpo di grazia all'immagine turistica del Golfo. La notizia dello sversamento di acque nere nella Grotta azzurra, con la chiusura alle visite, è diventato uno scandalo rimbalzato sui giornali di mezzo mondo.

Il caso più inquietante, però, viene ancora oggi tenuto chiuso in un cassetto. Sono i risultati finali di un'indagine realizzata dal Commissariato di governo per le bonifiche su un vasto territorio di 22 chilometri quadrati, che rientra nel sito di interesse nazionale della costa flegrea e agro-aversana. Uno studio - che 'L'espresso' ha potuto visionare in esclusiva - inviato prima dell'inizio dell'estate dalla struttura guidata dal professor Massimo Menegozzo alla presidenza del Consiglio, al ministero dell'Ambiente, al governatore Bassolino, a prefetti, sindaci, assessori e ai responsabili delle Asl. Nelle pagine non si fanno giri di parole, e le frasi disegnano l'ennesimo scempio ambientale del territorio. "Va segnalato complessivamente un rilevante e diffuso inquinamento in tutte le matrici esaminate con alcuni 'hot spot' particolarmente preoccupanti per entità dei fenomeni". La situazione appare in tutta la sua drammaticità "sia per le aree agricole, che per quelle interrate e per la falda". E se l'acqua che esce dai rubinetti è buona, a meno che non ci si allacci ai pozzi abusivi, quella che disseta le bufale di decine di allevamenti e irriga i terreni coltivati a pomodori e ortaggi è pesantemente compromessa.


Per tutti i locali l'area interessata dal report è chiamata 'i laghetti di Castelvolturno'. Si tratta di una cinquantina di specchi d'acqua affiorati dentro alcune cave abusive aperte negli anni '70 e '80, quando nella zona si scavava per estrarre la sabbia usata per la cementificazione della costa che va dal Lago Patria fino a Mondragone. Un tratto che, in pratica, arriva dalla periferia nord di Napoli fino al confine laziale. Trattori e ruspe, di aziende spesso legate al clan dei Casalesi, si fermavano solo quando dai buchi affiorava l'acqua delle falde. A quel punto si spostavano di qualche metro e ricominciavano i lavori. Le cavità sono poi state usate come discariche di auto vecchie, copertoni, scarti di edilizia e rifiuti speciali nocivi.

"A settembre renderemo pubblici i dati sulla contaminazione dei corsi d'acqua interni all'area domizia", aveva detto Ganapini mentre infuriava la polemica sul mare inquinato della Campania. L'area esaminata, con circa 2000 prelievi tra campioni di acqua e terreno, dista in alcuni punti meno di 500 metri dal mare e, in molti casi, accanto a laghetti e campi agricoli contaminati, sorgono decine di abitazioni. Come a Cava Baiano, un laghetto non molto distante dall'Holiday Inn Resort, meta preferita dagli appassionati di golf e sede del ritiro del Napoli Calcio. Già: anche Lavezzi e compagni sgambettano ogni giorno a poca distanza da un lago dove sono stati riscontrati livelli di idrocarburi superiori anche 300 volte il limite consentito dalla legge. Il presidente Aurelio De Laurentiis si è innamorato di questa zona, tanto che un anno fa era stato dato per imminente il trasferimento della società azzurra, con la realizzazione di una cittadella nuova di zecca. Da costruire vicino i laghi inquinati e l'Hyppo Campos Resort, una struttura rinomata dove i soci si tengono in forma con footing e corse in mountan bike e i partecipanti del Water Raid Adventure si sfidano in gozzo a remi, a nuoto, al kayak, all'apnea, fino alla corsa sulla spiaggia al cadmio. L'idea, per ora rimasta sulla carta, era di creare qui una vera e propria Trigoria in salsa campana, sfruttando in parte le strutture già esistenti nel centro: campi di calcetto, basket, piscine. A completare il tutto due grandi specchi d'acqua attrezzati per lo sci nautico. Gli stessi per i quali le analisi hanno riscontrato livelli di idrocarburi, cromo e piombo rispettivamente 40, 13 e 45 volte superiori alla norma.

L'allarme scatta a febbraio, quando i dati arrivano nelle mani di Menegozzo. L'esperto chiede una riunione ad hoc presso il ministero dell'Ambiente. Non c'è tempo da perdere. Peccato che prima dell'incontro ufficiale passino due mesi: la riunione si tiene il 29 aprile. Pochi giorni dopo, il direttore generale del Dipartimento 'Qualità della vita' del ministero, Marco Lupo, scrive alla procura di Santa Maria Capua Vetere: "Le risultanze delle complesse indagini hanno evidenziato la presenza, in concentrazioni elevate, di sostanze persistenti tossiche e cancerogene... È stato, inoltre, richiesto a tutti i sindaci, nonché agli enti di controllo locali, di adottare entro 10 giorni dalla data di ricevimento del verbale della riunione, tutte le misure ritenute necessarie per la salvaguardia della salute della popolazione". I valori in alcuni casi superano anche di migliaia di volte la soglia consentita, in alcune aree si concentrano sforamenti sia di idrocarburi sia di cromo. Dati agghiaccianti, come nel caso di una vasta area agricola a ottocento metri dal depuratore dei Regi Lagni: la presenza massiccia e diffusa di pesticidi ormai fuori legge da anni, come il Ddt, passa quasi in secondo ordine di fronte al cocktail micidiale di sostanze chimiche ritrovato in alcuni terreni coltivati. Da febbraio tutto è rimasto fermo, almeno nella sostanza. A inizio giugno dal Commissariato parte la relazione che scotta. Si muove solo la prefettura di Caserta, che organizza un incontro con gli uomini del Nucleo tutela ambiente dei Carabinieri di Caserta, della Guardia di Finanza e della Polizia, per un'illustrazione approfondita dello studio. Poi, il silenzio.

Chiamato a chiudere i conti con il passato, in venti mesi Massimo Menegozzo con la sua struttura ha razionalizzato le spese, ridotto di un terzo il personale, portato a termine numerosi studi che fotografano la drammaticità dell'inquinamento del suolo e delle acque in Campania. Eppure il suo incarico era quello di 'commissario liquidatore' e sarebbe dovuto terminare lo scorso 31 dicembre. Avrebbe dovuto trasferire i poteri a Regione e Comuni, ma sin dalla sua prima relazione al ministero ha denunciato le difficoltà di un passaggio di consegne. Una prima proroga di sei mesi è arrivata a Natale, la seconda a poche ore dalla scadenza il 30 giugno, quando tutta la struttura aveva pronti gli scatoloni per portar via i pochi effetti personali dalle scrivanie. Ora un gruppo di lavoro formerà funzionari e addetti per la sfida più complessa da affrontare in Campania dopo anni di emergenza rifiuti: la bonifica complessiva del territorio. Uno scandalo nello scandalo, a volte sottovalutato, che ha visto andare in fumo centinaia di milioni di euro. Come nel caso dell'emergenza rifiuti. Prima di passare le consegne, però, ci sarà da concludere il censimento dei rifiuti abbandonati per strada, che secondo prime stime sarebbe superiore al milione di tonnellate. Vale a dire, una volta e mezza la capienza della discarica di Chiaiano. E si attende un nuovo dossier che comprenderà analisi effettuate in tutta l'area del Giuglianese dove la camorra ha negli anni seppellito tonnellate di rifiuti tossici e sparso fanghi industriali nei terreni, poi stati destinati all'agricoltura.

Fonte
:L'Espresso
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