lunedì 30 novembre 2009

Napoli, lapidi storiche da restaurare.Soldi dalla Spagna, ma il Comune è fermo






di Paolo Barbuto




NAPOLI (30 novembre) - Ci sono almeno dieci lapidi, sui muri della città, che raccontano la storia di Napoli intersecata a quella della Spagna: memorie di re e vicerè che hanno lasciato il segno. Quelle lapidi sporche, degradate, a volte inserite in contesti squallidi, potrebbero essere ripulite e restaurate a costo zero, a spese del governo spagnolo. Ma il Comune non riesce a trovare un attimo per ascoltare la proposta e, magari, accettarla.

Questa storia affonda le radici in un passato nemmeno troppo lontano. Febbraio 2009. A Napoli il ministro Bondi incontra l’allora ministro della cultura di Spagna, Cesar Antonio Molina. Quest’ultimo è innamorato di Napoli, e in città ha inviato l’attuale direttore dell’istituto Cervantes, Josè Vicente Quirante Rives che ha scavato nei vicoli e nelle strade tirando fuori storie e ricordi legati alla presenza spagnola. L’incontro di febbraio si conclude con una bozza d’accordo in cui il governo italiano si impegna ......continua su Il Mattino del 30/11/2009

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di Paolo Barbuto




NAPOLI (30 novembre) - Ci sono almeno dieci lapidi, sui muri della città, che raccontano la storia di Napoli intersecata a quella della Spagna: memorie di re e vicerè che hanno lasciato il segno. Quelle lapidi sporche, degradate, a volte inserite in contesti squallidi, potrebbero essere ripulite e restaurate a costo zero, a spese del governo spagnolo. Ma il Comune non riesce a trovare un attimo per ascoltare la proposta e, magari, accettarla.

Questa storia affonda le radici in un passato nemmeno troppo lontano. Febbraio 2009. A Napoli il ministro Bondi incontra l’allora ministro della cultura di Spagna, Cesar Antonio Molina. Quest’ultimo è innamorato di Napoli, e in città ha inviato l’attuale direttore dell’istituto Cervantes, Josè Vicente Quirante Rives che ha scavato nei vicoli e nelle strade tirando fuori storie e ricordi legati alla presenza spagnola. L’incontro di febbraio si conclude con una bozza d’accordo in cui il governo italiano si impegna ......continua su Il Mattino del 30/11/2009

Nicola Zitara ricorda gli Eroi di Messina

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COMUNICATO NAPOLI CLUB MILANO 2006



Ricevo questa segnalazione, dal blog Napolitania, che posto con condivisione:

Milano li, 28 novembre 2009

COMUNICATO NAPOLI CLUB MILANO 2006

Carissima S.S.C. Napoli,
Le inviamo questo testo come dimostrazione d'amore verso la nostra squadra del cuore.
Dall'anno 2006 la città di Milano ospita un Club denominato Napoli Club Milano 2006, creato per aggregare la consistente tifoseria di fede partenopea nel capoluogo lombardo. Tale gruppo ha riscontrato conferme di iscrizione anche nel resto della Lombardia, basando il suo credo su fondamenta di principi nobili.
Le attività del Club sono inerenti ad ogni tipologia di evento calcistico riguardante il Calcio Napoli: da una semplice amichevole ad un preliminare di Coppa Uefa, riuscendo, così, a coinvolgere nel progetto centinaia di persone (con, addirittura, un apice di migliaia durante la doppia sfida con il Benfica).
L'anima del Club mira all'obiettivo di rendere i suoi soci parte integrante del progetto, il quale rappresenta con fierezza ed orgoglio la parte sana del tifo napoletano.
Oggi il nostro Club è diventato un importante punto di riferimento per tutti i tifosi azzuri residenti a Milano e non, poichè si rende sempre più deciso e disponibile nel soddisfare la voglia di Napoli anche al nord.
Dopo un anno intero (2008/2009) in cui siamo stati privati di ogni minima possibilità di seguire la squadra, il nostro Club, ha intrapreso in questa stagione, come in quelle antecedenti, l'organizzazione di trasferte su distanze accessibili; è stato presente negli stadi di Milano, Genova, Firenze, Catania e Londra, seguendo ogni scrupolosa regola che le norme vigenti impongono. Il comportamento dei suoi soci è stato esemplare, come anche l'organizzazione prevista ed effettuata, per la ralizzazione di tali trasferte, da parte della stessa dirigenza del Club.
In data 08/11/2009 il Club ha iniziato le procedure di prenotazione per partecipare alla trasferta parmense ed ha, ovviamente, seguito giornalmente, tramite fonti ufficiali e non, aggiornamenti sulla possibilità di eventuali restrizioni, ha tenuto sottocontrollo le date di inizio prevendite e i luoghi in cui acquistare il biglietto;tutto ciò con l'applicazione di tutti i membri della dirigenza, sfruttando tutte le risorse umane e il tempo disponibile. Risultato: la perdita totale di un lavoro svolto senza il minimo scopo di lucro. Nonostante ciò il Club ha tentato di non permettere l'annulamento di questo evento, con ogni sforzo, ha cercato di mantenere la parola data ai suoi soci.
Detto ciò, ci chiediamo se avete una minima idea di quanti tifosi partenopei sono presenti nel nord Italia, ci chiediamo se siete a conoscenza della consistente presenza di tifosi nella città di Milano, ci chiediamo, purtroppo, se risultiamo a Voi visibili o invisibili. Il nostro rispetto nei Vostri confronti lo dimostriamo con ideali sani, che si allontanano con fermezza da ogni tipo di violenza fisica e psicologica. Il nostro rispetto è testato ogni giorno dalla grande consapevolezza di continuare imperterriti a proporre a questa città la parte "sana" della popolazione partenopea.
Con questo nulla è chiesto dal nostro Club, se non di adempiere ad un dovere: non negare ai propri tifosi il diritto inviolabile dell'informazione;nonostante la distanza, reputiamo un nostro diritto essere informati per tempo sulle modalità che ci permettono di assistere alle trasferte, come, ad esempio, quella dell'acquisto dei tagliandi (impresa per noi sempre molto ardua).
Cara S.S.C. Napoli, noi siamo figli di chi ti è sempre stato accanto, nella gioia e nel dolore. E chiediamo una cosa semplice: che sia tutelato un diritto per noi sacrosanto...seguire la propria squadra del cuore!
Chiediamo un canale informativo corretto, sincero e leale; capace di renderci partecipi del nostro e Vostro ideale, il Calcio Napoli.

Con affetto,
NAPOLI CLUB MILANO 2006

Da:
http://www.napoliclubmilano.it/
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Ricevo questa segnalazione, dal blog Napolitania, che posto con condivisione:

Milano li, 28 novembre 2009

COMUNICATO NAPOLI CLUB MILANO 2006

Carissima S.S.C. Napoli,
Le inviamo questo testo come dimostrazione d'amore verso la nostra squadra del cuore.
Dall'anno 2006 la città di Milano ospita un Club denominato Napoli Club Milano 2006, creato per aggregare la consistente tifoseria di fede partenopea nel capoluogo lombardo. Tale gruppo ha riscontrato conferme di iscrizione anche nel resto della Lombardia, basando il suo credo su fondamenta di principi nobili.
Le attività del Club sono inerenti ad ogni tipologia di evento calcistico riguardante il Calcio Napoli: da una semplice amichevole ad un preliminare di Coppa Uefa, riuscendo, così, a coinvolgere nel progetto centinaia di persone (con, addirittura, un apice di migliaia durante la doppia sfida con il Benfica).
L'anima del Club mira all'obiettivo di rendere i suoi soci parte integrante del progetto, il quale rappresenta con fierezza ed orgoglio la parte sana del tifo napoletano.
Oggi il nostro Club è diventato un importante punto di riferimento per tutti i tifosi azzuri residenti a Milano e non, poichè si rende sempre più deciso e disponibile nel soddisfare la voglia di Napoli anche al nord.
Dopo un anno intero (2008/2009) in cui siamo stati privati di ogni minima possibilità di seguire la squadra, il nostro Club, ha intrapreso in questa stagione, come in quelle antecedenti, l'organizzazione di trasferte su distanze accessibili; è stato presente negli stadi di Milano, Genova, Firenze, Catania e Londra, seguendo ogni scrupolosa regola che le norme vigenti impongono. Il comportamento dei suoi soci è stato esemplare, come anche l'organizzazione prevista ed effettuata, per la ralizzazione di tali trasferte, da parte della stessa dirigenza del Club.
In data 08/11/2009 il Club ha iniziato le procedure di prenotazione per partecipare alla trasferta parmense ed ha, ovviamente, seguito giornalmente, tramite fonti ufficiali e non, aggiornamenti sulla possibilità di eventuali restrizioni, ha tenuto sottocontrollo le date di inizio prevendite e i luoghi in cui acquistare il biglietto;tutto ciò con l'applicazione di tutti i membri della dirigenza, sfruttando tutte le risorse umane e il tempo disponibile. Risultato: la perdita totale di un lavoro svolto senza il minimo scopo di lucro. Nonostante ciò il Club ha tentato di non permettere l'annulamento di questo evento, con ogni sforzo, ha cercato di mantenere la parola data ai suoi soci.
Detto ciò, ci chiediamo se avete una minima idea di quanti tifosi partenopei sono presenti nel nord Italia, ci chiediamo se siete a conoscenza della consistente presenza di tifosi nella città di Milano, ci chiediamo, purtroppo, se risultiamo a Voi visibili o invisibili. Il nostro rispetto nei Vostri confronti lo dimostriamo con ideali sani, che si allontanano con fermezza da ogni tipo di violenza fisica e psicologica. Il nostro rispetto è testato ogni giorno dalla grande consapevolezza di continuare imperterriti a proporre a questa città la parte "sana" della popolazione partenopea.
Con questo nulla è chiesto dal nostro Club, se non di adempiere ad un dovere: non negare ai propri tifosi il diritto inviolabile dell'informazione;nonostante la distanza, reputiamo un nostro diritto essere informati per tempo sulle modalità che ci permettono di assistere alle trasferte, come, ad esempio, quella dell'acquisto dei tagliandi (impresa per noi sempre molto ardua).
Cara S.S.C. Napoli, noi siamo figli di chi ti è sempre stato accanto, nella gioia e nel dolore. E chiediamo una cosa semplice: che sia tutelato un diritto per noi sacrosanto...seguire la propria squadra del cuore!
Chiediamo un canale informativo corretto, sincero e leale; capace di renderci partecipi del nostro e Vostro ideale, il Calcio Napoli.

Con affetto,
NAPOLI CLUB MILANO 2006

Da:
http://www.napoliclubmilano.it/

domenica 29 novembre 2009

L'ultima lettera di Paolo Borsellino (19 luglio 1992)


Il testo seguente consiste di due estratti da una lettera che la mattina del 19 luglio 1992, il giudice Paolo Borsellino aveva iniziato a scrivere in risposta ad una professoressa di Padova che tre mesi prima lo aveva invitato ad un incontro con gli studenti di un liceo.



"Gentilissima" professoressa, uso le virgolette perché le ha usate Lei nello scrivermi, non so se per sottolineare qualcosa, e "pentito" mi dichiaro e dispiaciutissimo per il disappunto che ho causato agli studenti del Suo Liceo per la mia mancata presenza all'incontro di Venerdì 24 gennaio.
Intanto vorrei assicurarle che non mi sono affatto trincerato dietro un compiacente centralino telefonico (suppongo quello della Procura di Marsala) non foss'altro perché a quell'epoca ero stato già applicato per quasi tutta la settimana alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, ove da pochi giorni mi sono definitivamente insediato come Procuratore Aggiunto. Se le Sue telefonate sono state dirette a Marsala non mi meraviglio che non mi abbia mai trovato. Comunque il mio numero telefonico presso la Procura di Palermo è (...), utenza alla quale rispondo direttamente.
Se ben ricordo, inoltre, in quei giorni mi sono recato per ben due volte a Roma nella stessa settimana e, nell'intervallo, mi sono trattenuto ad Agrigento per le indagini conseguenti alla faida mafiosa di Palma di Montechiaro.
Ricordo sicuramente che nel gennaio scorso il dott. Vento del Pungolo di Trapani mi parlò della Vostra iniziativa per assicurarsi la mia disponibilità, che diedi in linea di massima, pur rappresentandogli le tragiche condizioni di lavoro che mi affliggevano. Mi preannunciò che sarei stato contattato da un Preside del quale mi fece anche il nome, che non ricordo, e da allora non ho più sentito nessuno.
Il 24 Gennaio poi, essendo ritornato ad Agrigento, colà qualcuno mi disse di aver sentito alla radio che quel giorno ero a Padova e mi domandò quale mezzo avessi usato per rientrare in Sicilia tanto repentinamente. Capii che era stata "comunque" preannunciata la mia presenza al Vostro convegno, ma mi creda, non ebbi proprio il tempo di dolermene perché i miei impegni di lavoro sono tanti e così incalzanti che raramente ci si può occupare di altro.
Spero che la prossima volta Lei sarà così gentile da contattarmi personalmente e non affidarsi a intermediari di sorta o telefoni sbagliati.
Oggi non è per certo il giorno più adatto per risponderLe perché frattanto la mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata ed io non ho più tempo da dedicare neanche ai miei figli, che vedo raramente poiché dormono quando esco da casa ed al mio rientro, quasi sempre in ore notturne, li trovo nuovamente addormentati.
Ma è la prima domenica, dopo almeno tre mesi, che mi sono imposto di non lavorare e non ho difficoltà a rispondere, però in modo telegrafico, alle sue domande.
1) Sono diventato giudice perché nutrivo grandissima passione per il diritto civile ed entrai in magistratura con l'idea di diventare un civilista, dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalla necessità di inseguire i compensi dei clienti. La magistratura mi appariva la carriera per me più percorribile per dare sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica non appagabile con la carriera universitaria per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso.
Fui fortunato e divenni magistrato nove mesi dopo la laurea (1964) e fino al 1980 mi occupai soprattutto di cause civili, cui dedicavo il meglio di me stesso. E' vero che nel 1975, per rientrare a Palermo, ove ha sempre vissuto la mia famiglia, ero approdato all'Ufficio Istruzione Processi Penali, ma ottenni l'applicazione, anche se saltuaria, ad una sezione civile e continuai a dedicarmi soprattutto alle problematiche dei diritti reali, delle (...) legali, delle divisioni ereditarie ecc.
Il 4 maggio 1980 uccisero il Capitano Emanuele Basile ed il Cons. Chinnici volle che mi occupassi io dell'istruzione del relativo procedimento. Nel mio stesso ufficio frattanto era approdato, provenendo anche egli dal Civile, il mio amico d'infanzia Giovanni Falcone e sin da allora capii che il mio lavoro doveva essere un altro. Avevo scelto di rimanere in Sicilia ed a questa scelta dovevo dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso ad occuparmi quasi casualmente, ma, se amavo questa terra, di essi dovevo esclusivamente occuparmi.
Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressoché esclusivamente di criminalità mafiosa. E sono ottimista poiché vedo che verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant'anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.
2) La Dia è un organismo investigativo formato da elementi dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, e la sua istituzione si propone di realizzare il coordinamento fra queste tre strutture investigative che, fino ad ora, con lodevoli ma scarse eccezioni, hanno agito senza assicurare un reciproco scambio di informazioni ed una auspicabile razionale divisione dei compiti loro istituzionalmente affidati in modo promiscuo e non coordinato.
La Dna è una nuova struttura giudiziaria che tende ad assicurare soprattutto una circolazione delle informazioni fra i vari organi del Pubblico Ministero distribuiti tra le... circoscrizioni territoriali.
Sino ad ora questi organi hanno agito in assoluta indipendenza ed autonomia l'uno dall'altro (indipendenza e autonomia che rimangono nonostante la nuova figura del Superprocuratore) ma anche in condizioni di piena separazione, ignorando nella maggior parte dei casi il lavoro e le risultanze investigative e processuali degli altri organi, anche confinanti, e senza che vi fosse una struttura sovrapposta delegata ad assicurare il necessario coordinamento e ad intervenire tempestivamente con propri mezzi e proprio personale giudiziario nel caso in cui se ne ravvisi la necessità.
3) La mafia (Cosa Nostra) è una organizzazione criminale, unitaria e verticisticamente strutturata, che si contraddistingue da ogni altra per la sua caratteristica di "territorialità".
Essa è suddivisa in "famiglie", collegate tra loro per la comune dipendenza da una direzione comune (Cupola), che tendono ad esercitare sul territorio la stessa sovranità che su esso esercita, deve esercitare, legittimamente, lo Stato.
Ciò comporta che Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si producono o affluiscono sul territorio principalmente con l'imposizione di tangenti (paragonabili alle esazioni fiscali dello Stato) e con l'accaparramento degli appalti pubblici, fornendo al contempo una serie di servizi apparenti rassembrabili a quelli di giustizia, ordine pubblico, lavoro ecc., che dovrebbero essere forniti esclusivamente dallo Stato.
E' naturalmente una fornitura apparente perché a somma algebrica zero, nel senso che ogni esigenza di giustizia è soddisfatta dalla mafia mediante una corrispondente ingiustizia. Nel senso che la tutela dalle altre forme di criminalità (storicamente soprattutto dal terrorismo) è fornita attraverso l'imposizione di altra e più grave forma di criminalità. Nel senso che il lavoro è assicurato ad alcuni (pochi) togliendolo ad altri (molti).
La produzione ed il commercio della droga, che pur hanno fornito Cosa Nostra dei mezzi economici prima indispensabili, sono accidenti di questo sistema criminale e non necessari alla sua perpetuazione.
Il conflitto inevitabile con lo Stato con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall'interno, cioè con le infiltrazioni negli organi pubblici che tendono a condizionare la volontà di questi perché venga indirizzata verso il soddisfacimento degli interessi mafiosi e non di quelli di tutta la comunità sociale.
Alle altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (camorra, 'ndrangheta, Sacra Corona Unita ecc.) difetta la caratteristica della unitarietà ed esclusività. Sono organizzazioni criminali che agiscono con le stesse caratteristiche di sopraffazione e violenza di Cosa Nostra, ma non ne hanno l'organizzazione verticistica ed unitaria. Usufruiscono inoltre in forma minore del "consenso" di cui Cosa Nostra si avvale per accreditarsi come istituzione alternativa allo Stato, che tuttavia con gli organi di questo tende a confondersi.

Paolo Borsellino 19 luglio 1992.

Fonte: Umberto Lucentini, "Paolo Borsellino. Il valore di una vita", Mondadori, Milano 1994
.
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Il testo seguente consiste di due estratti da una lettera che la mattina del 19 luglio 1992, il giudice Paolo Borsellino aveva iniziato a scrivere in risposta ad una professoressa di Padova che tre mesi prima lo aveva invitato ad un incontro con gli studenti di un liceo.



"Gentilissima" professoressa, uso le virgolette perché le ha usate Lei nello scrivermi, non so se per sottolineare qualcosa, e "pentito" mi dichiaro e dispiaciutissimo per il disappunto che ho causato agli studenti del Suo Liceo per la mia mancata presenza all'incontro di Venerdì 24 gennaio.
Intanto vorrei assicurarle che non mi sono affatto trincerato dietro un compiacente centralino telefonico (suppongo quello della Procura di Marsala) non foss'altro perché a quell'epoca ero stato già applicato per quasi tutta la settimana alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, ove da pochi giorni mi sono definitivamente insediato come Procuratore Aggiunto. Se le Sue telefonate sono state dirette a Marsala non mi meraviglio che non mi abbia mai trovato. Comunque il mio numero telefonico presso la Procura di Palermo è (...), utenza alla quale rispondo direttamente.
Se ben ricordo, inoltre, in quei giorni mi sono recato per ben due volte a Roma nella stessa settimana e, nell'intervallo, mi sono trattenuto ad Agrigento per le indagini conseguenti alla faida mafiosa di Palma di Montechiaro.
Ricordo sicuramente che nel gennaio scorso il dott. Vento del Pungolo di Trapani mi parlò della Vostra iniziativa per assicurarsi la mia disponibilità, che diedi in linea di massima, pur rappresentandogli le tragiche condizioni di lavoro che mi affliggevano. Mi preannunciò che sarei stato contattato da un Preside del quale mi fece anche il nome, che non ricordo, e da allora non ho più sentito nessuno.
Il 24 Gennaio poi, essendo ritornato ad Agrigento, colà qualcuno mi disse di aver sentito alla radio che quel giorno ero a Padova e mi domandò quale mezzo avessi usato per rientrare in Sicilia tanto repentinamente. Capii che era stata "comunque" preannunciata la mia presenza al Vostro convegno, ma mi creda, non ebbi proprio il tempo di dolermene perché i miei impegni di lavoro sono tanti e così incalzanti che raramente ci si può occupare di altro.
Spero che la prossima volta Lei sarà così gentile da contattarmi personalmente e non affidarsi a intermediari di sorta o telefoni sbagliati.
Oggi non è per certo il giorno più adatto per risponderLe perché frattanto la mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata ed io non ho più tempo da dedicare neanche ai miei figli, che vedo raramente poiché dormono quando esco da casa ed al mio rientro, quasi sempre in ore notturne, li trovo nuovamente addormentati.
Ma è la prima domenica, dopo almeno tre mesi, che mi sono imposto di non lavorare e non ho difficoltà a rispondere, però in modo telegrafico, alle sue domande.
1) Sono diventato giudice perché nutrivo grandissima passione per il diritto civile ed entrai in magistratura con l'idea di diventare un civilista, dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalla necessità di inseguire i compensi dei clienti. La magistratura mi appariva la carriera per me più percorribile per dare sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica non appagabile con la carriera universitaria per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso.
Fui fortunato e divenni magistrato nove mesi dopo la laurea (1964) e fino al 1980 mi occupai soprattutto di cause civili, cui dedicavo il meglio di me stesso. E' vero che nel 1975, per rientrare a Palermo, ove ha sempre vissuto la mia famiglia, ero approdato all'Ufficio Istruzione Processi Penali, ma ottenni l'applicazione, anche se saltuaria, ad una sezione civile e continuai a dedicarmi soprattutto alle problematiche dei diritti reali, delle (...) legali, delle divisioni ereditarie ecc.
Il 4 maggio 1980 uccisero il Capitano Emanuele Basile ed il Cons. Chinnici volle che mi occupassi io dell'istruzione del relativo procedimento. Nel mio stesso ufficio frattanto era approdato, provenendo anche egli dal Civile, il mio amico d'infanzia Giovanni Falcone e sin da allora capii che il mio lavoro doveva essere un altro. Avevo scelto di rimanere in Sicilia ed a questa scelta dovevo dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso ad occuparmi quasi casualmente, ma, se amavo questa terra, di essi dovevo esclusivamente occuparmi.
Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressoché esclusivamente di criminalità mafiosa. E sono ottimista poiché vedo che verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant'anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.
2) La Dia è un organismo investigativo formato da elementi dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, e la sua istituzione si propone di realizzare il coordinamento fra queste tre strutture investigative che, fino ad ora, con lodevoli ma scarse eccezioni, hanno agito senza assicurare un reciproco scambio di informazioni ed una auspicabile razionale divisione dei compiti loro istituzionalmente affidati in modo promiscuo e non coordinato.
La Dna è una nuova struttura giudiziaria che tende ad assicurare soprattutto una circolazione delle informazioni fra i vari organi del Pubblico Ministero distribuiti tra le... circoscrizioni territoriali.
Sino ad ora questi organi hanno agito in assoluta indipendenza ed autonomia l'uno dall'altro (indipendenza e autonomia che rimangono nonostante la nuova figura del Superprocuratore) ma anche in condizioni di piena separazione, ignorando nella maggior parte dei casi il lavoro e le risultanze investigative e processuali degli altri organi, anche confinanti, e senza che vi fosse una struttura sovrapposta delegata ad assicurare il necessario coordinamento e ad intervenire tempestivamente con propri mezzi e proprio personale giudiziario nel caso in cui se ne ravvisi la necessità.
3) La mafia (Cosa Nostra) è una organizzazione criminale, unitaria e verticisticamente strutturata, che si contraddistingue da ogni altra per la sua caratteristica di "territorialità".
Essa è suddivisa in "famiglie", collegate tra loro per la comune dipendenza da una direzione comune (Cupola), che tendono ad esercitare sul territorio la stessa sovranità che su esso esercita, deve esercitare, legittimamente, lo Stato.
Ciò comporta che Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si producono o affluiscono sul territorio principalmente con l'imposizione di tangenti (paragonabili alle esazioni fiscali dello Stato) e con l'accaparramento degli appalti pubblici, fornendo al contempo una serie di servizi apparenti rassembrabili a quelli di giustizia, ordine pubblico, lavoro ecc., che dovrebbero essere forniti esclusivamente dallo Stato.
E' naturalmente una fornitura apparente perché a somma algebrica zero, nel senso che ogni esigenza di giustizia è soddisfatta dalla mafia mediante una corrispondente ingiustizia. Nel senso che la tutela dalle altre forme di criminalità (storicamente soprattutto dal terrorismo) è fornita attraverso l'imposizione di altra e più grave forma di criminalità. Nel senso che il lavoro è assicurato ad alcuni (pochi) togliendolo ad altri (molti).
La produzione ed il commercio della droga, che pur hanno fornito Cosa Nostra dei mezzi economici prima indispensabili, sono accidenti di questo sistema criminale e non necessari alla sua perpetuazione.
Il conflitto inevitabile con lo Stato con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall'interno, cioè con le infiltrazioni negli organi pubblici che tendono a condizionare la volontà di questi perché venga indirizzata verso il soddisfacimento degli interessi mafiosi e non di quelli di tutta la comunità sociale.
Alle altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (camorra, 'ndrangheta, Sacra Corona Unita ecc.) difetta la caratteristica della unitarietà ed esclusività. Sono organizzazioni criminali che agiscono con le stesse caratteristiche di sopraffazione e violenza di Cosa Nostra, ma non ne hanno l'organizzazione verticistica ed unitaria. Usufruiscono inoltre in forma minore del "consenso" di cui Cosa Nostra si avvale per accreditarsi come istituzione alternativa allo Stato, che tuttavia con gli organi di questo tende a confondersi.

Paolo Borsellino 19 luglio 1992.

Fonte: Umberto Lucentini, "Paolo Borsellino. Il valore di una vita", Mondadori, Milano 1994
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26 11 09 TREMONTI ad hANNOZERO dice LA VERITA'!!! ***ASCOLTATE ATTENTAMENTE***

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Nord ladrone


Appalti edili e impianti di produzione: così le risorse destinate al Mezzogiorno sono finite nelle tasche dei settentrionali


Maria Rosaria Marchesano
da http://www.denaro.it/




"Ma quale Sud parassita! Se c'è qualcuno che si è arricchito con i soldi dell'intervento straordinario questo è proprio il Nord. E vi dimostro come: Tre anni fa ho impiantato a Calitri, in provincia di Avellino, una nuova azienda per la produzione di un particolare tipo di filato per i jeans.

Ho speso in tutto 65 miliardi di cui 35 mi sono stati assegnati dai fondi che la legge 219 per la ricostruzione aveva stanziato per l'industrializzazione delle aree del cratere. Sapete come li ho spesi quei soldi? Più della metà sono serviti per macchinari e impianti per tessitura, filatura e tintoria acquistati da industrie del Nord, soprattutto lombarde".

Gianni Lettieri è un industriale napoletano a capo di un gruppo con interessi che vanno dal tessile al meccanico con settecento dipendenti e un fatturato complessivo di oltre 200 miliardi. L'etichetta di "assistiti", "mangia-soldi" e "sottosviluppati" con le quali Umberto Bossi e la Lega Nord hanno in questi giorni bollato gli imprenditori meridionali, proprio non gli sta bene.

Così come non sta bene a tutti gli altri imprenditori meridionali che negli ultimi quindici anni avrebbero, secondo la tesi leghista, usufruito delle migliaia di miliardi "sottratti" alle regioni settentrionali ricche e produttive. A smentire il teorema "Nord-produce, Sud-mangia" sono quindi proprio le testimonianze dei protagonisti di storie di fondi destinati al Mezzogiorno e poi ritornati al Nord. In che modo? Per esempio, con l'acquisto di impianti e macchinari: più della metà dei contributi pubblici erogati negli ultimi quindici anni alle imprese meridionali sono stati spesi in regioni come la Lombardia, il Veneto, Il Piemonte, dove appunto si producono i beni produttivi di cui le aree del Mezzogiorno sono sfornite.

Non solo. In molti casi i gruppi industriali settentrionali hanno usufruito direttamente delle risorse finanziarie stanziate dallo Stato aggiudicandosi gli appalti della ricostruzione oppure impiantando stabilimenti produttivi con contributi a fondo perduto. Fatta pari, dunque, a cento lire la somma spesa complessivamente, si può dire che 70 in un modo o nell'altro sono ritornate al Nord e solo 30 sono rimaste nelle aree del Mezzogiorno: una quota minima che, come è stato più volte sottolineato, poteva e doveva essere utilizzata meglio.

Ciò non toglie, però, che si tratta solo di una fetta di quella "pioggia di finanziamenti" in nome della quale la Lega chiede la secessione.

L'AFFARE CRATERE

Uno degli esempi più efficaci della ricaduta al Nord dei fondi stanziati nel Mezzogiorno è rappresentata dalla reindustrializzazione delle aree del cratere. La legge 219 e successivamente la 120 insieme hanno stanziato circa 2900 miliardi per la nascita di nuove realtà produttive e per la delocalizzazione e ristrutturazione di quelle danneggiate. Si calcola che per impianti, macchinari, tecnologie e scorte sono stati spesi complessivamente 1.500 miliardi.

Dove sono finiti questi soldi? Ha comprato impianti per 10 miliardi nel Nord-est Tommaso Iavarone, imprenditore con interessi prevalenti nel settore del legno a capo di un gruppo che fattura oltre 100 miliardi. "La mia azienda - afferma Iavarone - produce semilavorati in legno per serramenti, imballaggi e arredamenti che vengono acquistati in gran parte da ditte settentrionali che prima dovevano rifornirsi all'estero sostenendo maggiori costi".

Un'esperienza simile l'ha fatta la Smada, azienda del gruppo elettromeccanico di Antonio Verderosa, presidente dell'Unione industriali di Avellino (tre imprese in tutto per un volume d'affari di 15 miliardi). "Siamo importatori di know how da varie regioni del Nord - afferma Carmen Verderosa, figlia di Antonio e direttamente impegnata nell'azienda nata con i fondi del dopo sisma con un finanziamento di 4 miliardi - Abbiamo speso e continuiamo a spendere fior di quattrini in Lombardia e Veneto, soprattutto.

Sinceramente non capisco proprio perchè al Nord si ostinino a dire che gli stanziamenti per il dopo terremoto non siano serviti per lo sviluppo se i primi a guadagnarci sono stati loro". Dalle industrie lombarde ha acquistato macchinari e attrezzature anche la Palcitric, del gruppo chimico-oleario Palfin dei fratelli Antimo, Francesco e Abele Palma (200 miliardi di fatturato e trecentocinquanta dipendenti).

La Palcitric produce acido citrico (è tra i primi otto produttori mondiali del settore) ed è costata 80 miliardi in tutto con contributo pubblico di 35 miliardi). Diciassette miliardi sono stati investiti per la costruzione dei fabbricati industriali, il resto per impianti di distillazione prodotti, appunto, al Nord.

Imprese mai nate

L'esperienza della Palfin è significativa anche per un altro motivo: il gruppo è tra quelli che ha beneficiato delle risorse stanziate dalla legge 64 per l'intervento straordinario nel Mezzogiorno. "In questo caso - spiega Antimo Palma - quasi tutti i finanziamenti ottenuti, in tutto un'ottantina di miliardi, sono stati investiti in macchinari, provenienti soprattutto da Emilia Romagna e Veneto".

La legge 64, al pari e forse più della 219, rappresenta un altro esempio di ricaduta positiva nelle regioni settentrionali di quanto è stato speso dallo Stato in quelle meridionali. E questo non solo perchè gli imprenditori meridionali hanno fatto crescere enormemente la domanda di beni strumentali ma anche perchè in molti casi i gruppi del Nord hanno aperto nuovi stabilimenti produttivi approfittando dei finanziamenti.

Nell'ultima graduatoria della legge 64 figurano per esempio una cinquantina di aziende milanesi: il salumificio Citterio, le industrie Formenti, la Magneti Marelli, le industrie Poretti, la Riva Calzoni. Numerose sono anche le aziende settentrionali che hanno impiantato stabilimenti con i fondi del dopo terremoto.

Qualche esempio? La Forneria Meridionale del gruppo Barilla di Melfi che produce merendine monodose, ha ricevuto un contributo di 18 miliardi; la Dietalat a Lioni-Nusco di proprietà della Parmalat di Calisto Tanzi (9 miliardi); la Ferrero dolciaria Sud del gruppo Ferrero insediata a Porrara (18 miliardi); la Almec di Avellino passata interamente alla Piaggio dopo una joint venture con imprenditori locali; la Nocera Umbra Sud, gruppo Giglio che opera nel settore immobiliare, finanziario e alimentare, ha percepito 34 miliardi.

Queste sono le inziative ben riuscite, quelle che realmente hanno generato reddito e occupazione. Da una ricerca svolta da Salvatore Casillo, docente di sociologia industriale all'Università di Salerno (vedere intervista) emerge che in diversi casi le imprese non sono mai nate, pur avendo incassato i gruppi di appartenenza i contributi pubblici, come si è visto dalla vicenda della toscana Agrofina finita sott'inchiesta per aver chiesto 120 miliardi e aver cessato poi le attività produttiva o quello dell'Abielle (gruppo Alleanza Farmaceutica) che ha ricevuto diversi miliardi per corsi di formazione professinale che però non ha mai svolto.

INCETTA DI APPALTI

Un capitolo a parte meritano gli appalti del terremoto. Sui centoquarantaquattro consorzi e gruppi che hanno lavorato alla ricostruzione in Campania e Basilicata, costata circa 50 mila miliardi tra infrastrutture, strade, case e impianti industriali, solo settantacinque erano realtà locali. Come dimostra il grafico (pagina 5), a fare man bassa di appalti sono state soprattutto aziende del Lazio (per esempio Condotte), Lombardia (Cogefar, Lodigiani) ed Emilia Romagna (Ccc e Cmc).

E non sono mancate neppure le imprese di costruzione del ricco Nord-est come la Furlanis, Maltauro e Del Favero. E non è finita. Sempre nello studio di Salvatore Casillo viene rivelato che dei 3. 200 miliardi spesi per la costruzione di strade e infrastrutture nelle ventuno aree industriali, solo 50 miliardi sono stati assegnati per lavori svolti da imprese avellinesi, salernitane e potentine mentre la parte del leone l'hanno fatta le costruttrici romane e milanesi.

Ma quello del dopo sisma, si sa, è uno dei capitoli più tristi della storia del Sud sul quale nemmeno l'inchiesta promossa dalla cosìddetta commissione Scalfaro e le recenti indagini di tangentopoli sono riuscite a fare piena luce. Evidentemente storture e malaffare non sono mancati ma non si può dire che alla tavola della spartizione degli appalti il Nord non si sia mai seduto.

Intervento sostitutivo

Che cosa vuol dire tutto ciò? Che le risorse finanziarie per la ricostruzione post-terremoto e le agevolazioni erogate attraverso la legge 64, hanno messo in moto meccanismi di ricaduta e moltiplicatori economici che si sono rivelati un vero affare per il sistema imprenditoriale del Centro - Nord. Come dimostra l'economista Massimo Lo Cicero in uno studio contenuto nel volume "Dal terremoto al futuro" (Electa-Napoli) solo gli incentivi offerti alle vecchie e nuove attività industriali in Campania e Basilicata hanno portato benefici, in termini di maggiore potenziale produttivo, anche nelle altre regioni meridionali (24,7), nonchè nel Centro-Nord (21,7 per cento). Inoltre, dalle cifre sui trasferimenti dallo Stato alle regioni (vedere grafico) si vede che la quota destinata al Sud nell'89 è stata complessivamente più bassa di quella finita nelle regioni centrali e settentrionali. Che significa? Che, come alcuni (pochi) economisti hanno più volte azzardato, l'intervento straordinario nel Mezzogiorno non è stato aggiuntivo a quello ordinario ma sostitutivo e che comunque è stato inferiore a quello ordinario di cui il Nord, che oggi grida alla secessione, ha regolarmente beneficiato.

Fonte:
Cavalieri di Sicilia
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Appalti edili e impianti di produzione: così le risorse destinate al Mezzogiorno sono finite nelle tasche dei settentrionali


Maria Rosaria Marchesano
da http://www.denaro.it/




"Ma quale Sud parassita! Se c'è qualcuno che si è arricchito con i soldi dell'intervento straordinario questo è proprio il Nord. E vi dimostro come: Tre anni fa ho impiantato a Calitri, in provincia di Avellino, una nuova azienda per la produzione di un particolare tipo di filato per i jeans.

Ho speso in tutto 65 miliardi di cui 35 mi sono stati assegnati dai fondi che la legge 219 per la ricostruzione aveva stanziato per l'industrializzazione delle aree del cratere. Sapete come li ho spesi quei soldi? Più della metà sono serviti per macchinari e impianti per tessitura, filatura e tintoria acquistati da industrie del Nord, soprattutto lombarde".

Gianni Lettieri è un industriale napoletano a capo di un gruppo con interessi che vanno dal tessile al meccanico con settecento dipendenti e un fatturato complessivo di oltre 200 miliardi. L'etichetta di "assistiti", "mangia-soldi" e "sottosviluppati" con le quali Umberto Bossi e la Lega Nord hanno in questi giorni bollato gli imprenditori meridionali, proprio non gli sta bene.

Così come non sta bene a tutti gli altri imprenditori meridionali che negli ultimi quindici anni avrebbero, secondo la tesi leghista, usufruito delle migliaia di miliardi "sottratti" alle regioni settentrionali ricche e produttive. A smentire il teorema "Nord-produce, Sud-mangia" sono quindi proprio le testimonianze dei protagonisti di storie di fondi destinati al Mezzogiorno e poi ritornati al Nord. In che modo? Per esempio, con l'acquisto di impianti e macchinari: più della metà dei contributi pubblici erogati negli ultimi quindici anni alle imprese meridionali sono stati spesi in regioni come la Lombardia, il Veneto, Il Piemonte, dove appunto si producono i beni produttivi di cui le aree del Mezzogiorno sono sfornite.

Non solo. In molti casi i gruppi industriali settentrionali hanno usufruito direttamente delle risorse finanziarie stanziate dallo Stato aggiudicandosi gli appalti della ricostruzione oppure impiantando stabilimenti produttivi con contributi a fondo perduto. Fatta pari, dunque, a cento lire la somma spesa complessivamente, si può dire che 70 in un modo o nell'altro sono ritornate al Nord e solo 30 sono rimaste nelle aree del Mezzogiorno: una quota minima che, come è stato più volte sottolineato, poteva e doveva essere utilizzata meglio.

Ciò non toglie, però, che si tratta solo di una fetta di quella "pioggia di finanziamenti" in nome della quale la Lega chiede la secessione.

L'AFFARE CRATERE

Uno degli esempi più efficaci della ricaduta al Nord dei fondi stanziati nel Mezzogiorno è rappresentata dalla reindustrializzazione delle aree del cratere. La legge 219 e successivamente la 120 insieme hanno stanziato circa 2900 miliardi per la nascita di nuove realtà produttive e per la delocalizzazione e ristrutturazione di quelle danneggiate. Si calcola che per impianti, macchinari, tecnologie e scorte sono stati spesi complessivamente 1.500 miliardi.

Dove sono finiti questi soldi? Ha comprato impianti per 10 miliardi nel Nord-est Tommaso Iavarone, imprenditore con interessi prevalenti nel settore del legno a capo di un gruppo che fattura oltre 100 miliardi. "La mia azienda - afferma Iavarone - produce semilavorati in legno per serramenti, imballaggi e arredamenti che vengono acquistati in gran parte da ditte settentrionali che prima dovevano rifornirsi all'estero sostenendo maggiori costi".

Un'esperienza simile l'ha fatta la Smada, azienda del gruppo elettromeccanico di Antonio Verderosa, presidente dell'Unione industriali di Avellino (tre imprese in tutto per un volume d'affari di 15 miliardi). "Siamo importatori di know how da varie regioni del Nord - afferma Carmen Verderosa, figlia di Antonio e direttamente impegnata nell'azienda nata con i fondi del dopo sisma con un finanziamento di 4 miliardi - Abbiamo speso e continuiamo a spendere fior di quattrini in Lombardia e Veneto, soprattutto.

Sinceramente non capisco proprio perchè al Nord si ostinino a dire che gli stanziamenti per il dopo terremoto non siano serviti per lo sviluppo se i primi a guadagnarci sono stati loro". Dalle industrie lombarde ha acquistato macchinari e attrezzature anche la Palcitric, del gruppo chimico-oleario Palfin dei fratelli Antimo, Francesco e Abele Palma (200 miliardi di fatturato e trecentocinquanta dipendenti).

La Palcitric produce acido citrico (è tra i primi otto produttori mondiali del settore) ed è costata 80 miliardi in tutto con contributo pubblico di 35 miliardi). Diciassette miliardi sono stati investiti per la costruzione dei fabbricati industriali, il resto per impianti di distillazione prodotti, appunto, al Nord.

Imprese mai nate

L'esperienza della Palfin è significativa anche per un altro motivo: il gruppo è tra quelli che ha beneficiato delle risorse stanziate dalla legge 64 per l'intervento straordinario nel Mezzogiorno. "In questo caso - spiega Antimo Palma - quasi tutti i finanziamenti ottenuti, in tutto un'ottantina di miliardi, sono stati investiti in macchinari, provenienti soprattutto da Emilia Romagna e Veneto".

La legge 64, al pari e forse più della 219, rappresenta un altro esempio di ricaduta positiva nelle regioni settentrionali di quanto è stato speso dallo Stato in quelle meridionali. E questo non solo perchè gli imprenditori meridionali hanno fatto crescere enormemente la domanda di beni strumentali ma anche perchè in molti casi i gruppi del Nord hanno aperto nuovi stabilimenti produttivi approfittando dei finanziamenti.

Nell'ultima graduatoria della legge 64 figurano per esempio una cinquantina di aziende milanesi: il salumificio Citterio, le industrie Formenti, la Magneti Marelli, le industrie Poretti, la Riva Calzoni. Numerose sono anche le aziende settentrionali che hanno impiantato stabilimenti con i fondi del dopo terremoto.

Qualche esempio? La Forneria Meridionale del gruppo Barilla di Melfi che produce merendine monodose, ha ricevuto un contributo di 18 miliardi; la Dietalat a Lioni-Nusco di proprietà della Parmalat di Calisto Tanzi (9 miliardi); la Ferrero dolciaria Sud del gruppo Ferrero insediata a Porrara (18 miliardi); la Almec di Avellino passata interamente alla Piaggio dopo una joint venture con imprenditori locali; la Nocera Umbra Sud, gruppo Giglio che opera nel settore immobiliare, finanziario e alimentare, ha percepito 34 miliardi.

Queste sono le inziative ben riuscite, quelle che realmente hanno generato reddito e occupazione. Da una ricerca svolta da Salvatore Casillo, docente di sociologia industriale all'Università di Salerno (vedere intervista) emerge che in diversi casi le imprese non sono mai nate, pur avendo incassato i gruppi di appartenenza i contributi pubblici, come si è visto dalla vicenda della toscana Agrofina finita sott'inchiesta per aver chiesto 120 miliardi e aver cessato poi le attività produttiva o quello dell'Abielle (gruppo Alleanza Farmaceutica) che ha ricevuto diversi miliardi per corsi di formazione professinale che però non ha mai svolto.

INCETTA DI APPALTI

Un capitolo a parte meritano gli appalti del terremoto. Sui centoquarantaquattro consorzi e gruppi che hanno lavorato alla ricostruzione in Campania e Basilicata, costata circa 50 mila miliardi tra infrastrutture, strade, case e impianti industriali, solo settantacinque erano realtà locali. Come dimostra il grafico (pagina 5), a fare man bassa di appalti sono state soprattutto aziende del Lazio (per esempio Condotte), Lombardia (Cogefar, Lodigiani) ed Emilia Romagna (Ccc e Cmc).

E non sono mancate neppure le imprese di costruzione del ricco Nord-est come la Furlanis, Maltauro e Del Favero. E non è finita. Sempre nello studio di Salvatore Casillo viene rivelato che dei 3. 200 miliardi spesi per la costruzione di strade e infrastrutture nelle ventuno aree industriali, solo 50 miliardi sono stati assegnati per lavori svolti da imprese avellinesi, salernitane e potentine mentre la parte del leone l'hanno fatta le costruttrici romane e milanesi.

Ma quello del dopo sisma, si sa, è uno dei capitoli più tristi della storia del Sud sul quale nemmeno l'inchiesta promossa dalla cosìddetta commissione Scalfaro e le recenti indagini di tangentopoli sono riuscite a fare piena luce. Evidentemente storture e malaffare non sono mancati ma non si può dire che alla tavola della spartizione degli appalti il Nord non si sia mai seduto.

Intervento sostitutivo

Che cosa vuol dire tutto ciò? Che le risorse finanziarie per la ricostruzione post-terremoto e le agevolazioni erogate attraverso la legge 64, hanno messo in moto meccanismi di ricaduta e moltiplicatori economici che si sono rivelati un vero affare per il sistema imprenditoriale del Centro - Nord. Come dimostra l'economista Massimo Lo Cicero in uno studio contenuto nel volume "Dal terremoto al futuro" (Electa-Napoli) solo gli incentivi offerti alle vecchie e nuove attività industriali in Campania e Basilicata hanno portato benefici, in termini di maggiore potenziale produttivo, anche nelle altre regioni meridionali (24,7), nonchè nel Centro-Nord (21,7 per cento). Inoltre, dalle cifre sui trasferimenti dallo Stato alle regioni (vedere grafico) si vede che la quota destinata al Sud nell'89 è stata complessivamente più bassa di quella finita nelle regioni centrali e settentrionali. Che significa? Che, come alcuni (pochi) economisti hanno più volte azzardato, l'intervento straordinario nel Mezzogiorno non è stato aggiuntivo a quello ordinario ma sostitutivo e che comunque è stato inferiore a quello ordinario di cui il Nord, che oggi grida alla secessione, ha regolarmente beneficiato.

Fonte:
Cavalieri di Sicilia

Il Gen. Cialdini, gran criminale di guerra



A Reggio Emilia troneggia il busto del Cialdini, una vergogna, uno stupro per i 500 partigiani morti per la Patria repubblicana nata sulle ceneri del Fascismo e di casa Savoia che lo generò. Il generale Cialdini è da annoverare tra i più grandi criminali di guerra della storia. Ha assediato Gaeta senza dichiarazione di guerra provocando 5.000 morti tra civili e militari,ha distrutto 22 paesi in Abruzzo causando migliaia di morti, ha fatto distruggere e radere al suolo le città di Pontelandolfo e Casalduni.

Chiediamo al Sindaco di Reggio Emilia di togliere quel busto dal comune.


E' una vergogna per l'Italia repubblicana. Cialdini era un nazista ante litteram e un massone. A Custoza, contro un esercito organizzato, quello austriaco, se la fece sotto, e non riuscì a varcare nemmeno il Mincio.

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A Reggio Emilia troneggia il busto del Cialdini, una vergogna, uno stupro per i 500 partigiani morti per la Patria repubblicana nata sulle ceneri del Fascismo e di casa Savoia che lo generò. Il generale Cialdini è da annoverare tra i più grandi criminali di guerra della storia. Ha assediato Gaeta senza dichiarazione di guerra provocando 5.000 morti tra civili e militari,ha distrutto 22 paesi in Abruzzo causando migliaia di morti, ha fatto distruggere e radere al suolo le città di Pontelandolfo e Casalduni.

Chiediamo al Sindaco di Reggio Emilia di togliere quel busto dal comune.


E' una vergogna per l'Italia repubblicana. Cialdini era un nazista ante litteram e un massone. A Custoza, contro un esercito organizzato, quello austriaco, se la fece sotto, e non riuscì a varcare nemmeno il Mincio.

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Riaperta la Reggia dei Borboni, nel bosco di Ficuzza (PA)


Dopo un accurato lavoro di restauro, Corleone restituisce al pubblico il gioiello storico-architettonico progettato da Giuseppe Venanzio Marvuglia



Un angolo di natura e storia nei pressi di Corleone (PA), buon retiro di Ferdinando IV Borbone, da riscoprire grazie alla riapertura al pubblico dal 21 aprile u.s. La Casina di caccia, per la sua maestosità conosciuta come "Reggia dei Borboni", fu edificata nel 1803 per volere di Ferdinando IV di Borbone che, innamoratosi del bosco di Ficuzza, eletto sua personale riserva di caccia, chiamò all'opera l'architetto palermitano Venanzio Marvuglia (1724-1814). Questi progettò un palazzo sobrio ed elegante, nello stile classico del barocco di alcune residenze di campagna inglesi dello stesso periodo. L'edificio, sovrastato dallo stemma dei Borboni, somiglia molto alla reggia di Caserta, ma al posto del bellissimo giardino campano, vanta alle sue spalle la grandiosa scenografia delle pareti calcaree della Rocca Busambra, con ai piedi il bosco di una delle riserve naturali più importanti dell'Isola. Nell'edificio si trovano camere, saloni di rappresentanza, cappella privata, cantina, oltre a stalle e magazzini "d'ordinanza". Nulla purtroppo si è conservato del mobilio originario perché depredato durante le rivolte ottocentesche. Infatti, nel 1820, alcuni detenuti fuggiti dalle carceri borboniche in occasione di una rivolta a Palermo, trovarono rifugio nel palazzo reale. Il bestiame della riserva reale fu ucciso e tutto quello che era trasportabile, mobili, arazzi, quadri, fu trafugato.

La Reale Casina riapre dopo un accurato lavoro di restauro realizzato dal Dipartimento regionale Azienda foreste demaniali, nel solco della sua mission che coniuga progetti di tutela degli ecosistemi presenti sul territorio con attività di valorizzazione della memoria storica.
La complessa attività di restauro, nell'ambito di Agenda 2000 (misura 1.11 del Pit 19 - Alto Belice Corleonese) ha visto il coinvolgimento di un gruppo di studio interdipartimentale, che ha utilizzato tecniche di restauro in conformità alla "carta del restauro". In particolare, sono stati oggetto di restauro: i sotterranei, che sono stati riportati all'assetto originario, rimuovendo alcuni lievi interventi che negli anni erano stati eseguiti sulla struttura; il piano terra, dove è stata ripristinata l'originaria distribuzione planimetrica degli ambienti e l'antica pavimentazione; il primo piano, il sottotetto, i prospetti, la copertura e le scale di servizio.

Nel corso della manifestazione del 21 aprile, sono state presentate le attività realizzate, negli ultimi anni, dall'ente gestore che fanno della Riserva di Ficuzza un polo di eccellenza per la conservazione della biodiversità vegetale e animale dell'Isola. Tra queste la Banca regionale del germoplasma vegetale, a Valle Maria, la nuova aula didattica intitolata alla memoria del perito agrario forestale, Antonino Saccaro, presso il Centro regionale di recupero della fauna selvatica e l'innovativo Piano di gestione selvicolturale dell'area naturalistica, realizzato in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell'Università di Palermo.

All'interno del Palazzo verrà realizzato il nuovo museo della Riserva naturale orientata. Il Centro visitatori della Riserva si articolerà in due sezioni, una architettonica in cui sarà ospitato il museo storico del Palazzo reale tra cui anche, a disposizione del pubblico più curioso, la riproduzione di pubblicazioni, custodite nell'archivio storico di Stato, che testimoniano le diverse fasi costruttive della Reale Casina e l'altra ambientale dove sarà presentato il ricco patrimonio di biodiversità faunistico - vegetale della Riserva con l'utilizzo di strutture tecnologiche hardware e software per un'informazione interattiva con il visitatore.

Il primo piano sarà destinato a sede degli uffici della Riserva naturale orientata, mentre sarà di pura rappresentanza e di pubblica fruizione l'ala dell'appartamento e della stanza reale. Per i locali del sottotetto l'intervento è finalizzato esclusivamente al recupero di tutti gli ambienti.

La Casina di caccia, proprietà dell'Azienda Regionale Foreste Demaniali, oggi è quindi adibita a centro visitatori della Riserva Naturale di Ficuzza, di cui l'Azienda è ente gestore.

Fonte:Ingegneri.info

Segnalazione ASDS
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Dopo un accurato lavoro di restauro, Corleone restituisce al pubblico il gioiello storico-architettonico progettato da Giuseppe Venanzio Marvuglia



Un angolo di natura e storia nei pressi di Corleone (PA), buon retiro di Ferdinando IV Borbone, da riscoprire grazie alla riapertura al pubblico dal 21 aprile u.s. La Casina di caccia, per la sua maestosità conosciuta come "Reggia dei Borboni", fu edificata nel 1803 per volere di Ferdinando IV di Borbone che, innamoratosi del bosco di Ficuzza, eletto sua personale riserva di caccia, chiamò all'opera l'architetto palermitano Venanzio Marvuglia (1724-1814). Questi progettò un palazzo sobrio ed elegante, nello stile classico del barocco di alcune residenze di campagna inglesi dello stesso periodo. L'edificio, sovrastato dallo stemma dei Borboni, somiglia molto alla reggia di Caserta, ma al posto del bellissimo giardino campano, vanta alle sue spalle la grandiosa scenografia delle pareti calcaree della Rocca Busambra, con ai piedi il bosco di una delle riserve naturali più importanti dell'Isola. Nell'edificio si trovano camere, saloni di rappresentanza, cappella privata, cantina, oltre a stalle e magazzini "d'ordinanza". Nulla purtroppo si è conservato del mobilio originario perché depredato durante le rivolte ottocentesche. Infatti, nel 1820, alcuni detenuti fuggiti dalle carceri borboniche in occasione di una rivolta a Palermo, trovarono rifugio nel palazzo reale. Il bestiame della riserva reale fu ucciso e tutto quello che era trasportabile, mobili, arazzi, quadri, fu trafugato.

La Reale Casina riapre dopo un accurato lavoro di restauro realizzato dal Dipartimento regionale Azienda foreste demaniali, nel solco della sua mission che coniuga progetti di tutela degli ecosistemi presenti sul territorio con attività di valorizzazione della memoria storica.
La complessa attività di restauro, nell'ambito di Agenda 2000 (misura 1.11 del Pit 19 - Alto Belice Corleonese) ha visto il coinvolgimento di un gruppo di studio interdipartimentale, che ha utilizzato tecniche di restauro in conformità alla "carta del restauro". In particolare, sono stati oggetto di restauro: i sotterranei, che sono stati riportati all'assetto originario, rimuovendo alcuni lievi interventi che negli anni erano stati eseguiti sulla struttura; il piano terra, dove è stata ripristinata l'originaria distribuzione planimetrica degli ambienti e l'antica pavimentazione; il primo piano, il sottotetto, i prospetti, la copertura e le scale di servizio.

Nel corso della manifestazione del 21 aprile, sono state presentate le attività realizzate, negli ultimi anni, dall'ente gestore che fanno della Riserva di Ficuzza un polo di eccellenza per la conservazione della biodiversità vegetale e animale dell'Isola. Tra queste la Banca regionale del germoplasma vegetale, a Valle Maria, la nuova aula didattica intitolata alla memoria del perito agrario forestale, Antonino Saccaro, presso il Centro regionale di recupero della fauna selvatica e l'innovativo Piano di gestione selvicolturale dell'area naturalistica, realizzato in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell'Università di Palermo.

All'interno del Palazzo verrà realizzato il nuovo museo della Riserva naturale orientata. Il Centro visitatori della Riserva si articolerà in due sezioni, una architettonica in cui sarà ospitato il museo storico del Palazzo reale tra cui anche, a disposizione del pubblico più curioso, la riproduzione di pubblicazioni, custodite nell'archivio storico di Stato, che testimoniano le diverse fasi costruttive della Reale Casina e l'altra ambientale dove sarà presentato il ricco patrimonio di biodiversità faunistico - vegetale della Riserva con l'utilizzo di strutture tecnologiche hardware e software per un'informazione interattiva con il visitatore.

Il primo piano sarà destinato a sede degli uffici della Riserva naturale orientata, mentre sarà di pura rappresentanza e di pubblica fruizione l'ala dell'appartamento e della stanza reale. Per i locali del sottotetto l'intervento è finalizzato esclusivamente al recupero di tutti gli ambienti.

La Casina di caccia, proprietà dell'Azienda Regionale Foreste Demaniali, oggi è quindi adibita a centro visitatori della Riserva Naturale di Ficuzza, di cui l'Azienda è ente gestore.

Fonte:Ingegneri.info

Segnalazione ASDS
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sabato 28 novembre 2009

Pianura, ecco i veleni delle aziende del Nord


La Procura acquisisce in Provincia la lista di ditte che sversarono nell´area. Rifiuti ospedalieri e chimici da Lombardia Piemonte e Liguria

di Conchita Sannino

Ora c´è un riscontro formale. Nel cuore di Pianura hanno sepolto fiumi di fanghi speciali, tonnellate di amianto, pezzi di terreno inquinato con gasolio, rifiuti ospedalieri e chimici. Quasi tutti provenienti, secondo alcuni atti acquisiti in queste ore dalla Procura di Napoli, da numerose aziende di Lombardia, Piemonte e Liguria che pagavano e registravano regolarmente quei viaggi per liberarsi di fastidiose "scorie".

Regioni che inviavano quaggiù lo scarto di lavorazioni pericolose fin dagli anni Ottanta: con il guadagno dei proprietari della discarica e il placet (o l´indifferenza) delle autorità locali. Dopo congetture e allarmi più o meno fondati, cominciano ora a parlare le "carte" di Contrada Pisani: con buona pace del Nord o dello stesso Lazio che oggi si rifiuta di solidarizzare con la Campania inefficiente; e dei proclami dello stesso patron della Lega, Umberto Bossi, che ancora l´altra sera in tivù supportava il rifiuto delle popolazioni del nord. «Sento dire che a Pianura c´è acido solfidrico in valori mille volte superiori, non è possibile, i cittadini del nord hanno paura - diceva il Senatur -. Perciò si è deciso di non fare passare quei camion attraverso le nostre regioni». Con i primi approfondimenti dei magistrati della Procura di Napoli, si apre da ieri uno spiraglio di verità nella guerra dei veleni di Pianura.

Stando ai primi atti raccolti dai pubblici ministeri, difatti, nella discarica quarantennale della periferia ovest di Napoli non arrivavano solo le montagne di sacchetti provenienti da tutta Italia; né solo i rifiuti pericolosi sversati, come autorevoli atti parlamentari ipotizzano, in maniera sotterranea e invisibile - e quindi secondo percorsi non più verificabili. Da ieri spuntano invece responsabilità declinate per nome e provenienza geografica nella caccia agli autori di un presunto disastro colposo provocato dall´enorme quantità e qualità di rifiuti "inadeguati" sepolti nel ventre di Pianura. Basta dare uno sguardo alle cinque pagine di "viaggi ufficiali", quindi leciti, tratti dagli archivi della Provincia di Napoli e trasmessi dall´ente di piazza Matteotti ai pm che ne avevano fatto richiesta, la sezione coordinata dal procuratore aggiunto Rosario Cantelmo, titolare del fascicolo il magistrato Stefania Buda.

A scorrere le carte - peraltro incomplete - tenute in serbo dalla Provincia, risulta che centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti ospedalieri, fanghi speciali, polveri di amianto, residui di verniciatura, alimenti avariati o scaduti sono finiti a Contrada Pisani. Una attività che sarebbe stata regolarmente autorizzata dalle autorità provinciali di Napoli anche se in violazione delle norme a tutela dell´ambiente in vigore dal 1982. Su questo sta indagando il pm Buda, che nei giorni scorsi ha ordinato il sequestro della discarica e che ha ricevuto ieri i dati relativi allo sversamento. Dati per ora relativi al periodo che va dal 1987 al 1994. Il magistrato, che ha avviato l´inchiesta per i casi di malattia e i decessi che si sarebbero verificati a causa dell´inquinamento dell´area, ipotizza i reati di disastro ambientale ed epidemia colposa; e sta verificando anche le eventuali responsabilità amministrative. Va fatta però una premessa: tutti i rifiuti speciali o pericolosi stoccati, se trattati secondo norma, andrebbero considerati non nocivi. Dall´eventuale mancanza di una bonifica adeguata deriva la loro carica di rifiuti cosiddetti "tossici".

Nell´elenco sono indicate le aziende e le località di provenienza: Brindisi, vari comuni del Torinese (Chivasso, Robassomero, Orbassano), San Giuliano Milanese e Opera (Milano), Cuzzago di Premosello (Milano), Riva di Parabbiago (Milano), Pianoro (Bologna), Parona (Pavia), Mendicino (Cosenza), San Gregorio (Reggio Calabria), e Roma.
Qualche dato tra gli altri. In particolare, nel 1990, arrivano 16 tonnellate di scarti di collante acrilico dalla Sicaf di Cuzzango di Premosello (Novara); stesso periodo, 21 tonnellate di fanghi dell´impianto di depurazione di Ferolmet di San Giuliano Milanese (Milano). Sempre a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, Pianura resta l´eden dei rifiuti speciali: 22 tonnellate di morchie di verniciatura, resine e fanghi arrivano dalla provincia di Padova; 25 tonnellate di rifiuti speciali cosmetici scaduti da Tocco Magico di Roma; altre 50 tonnellate di morchie di verniciatura dalla Sicaf di Premosello (Novara). E ancora: vi finiscono sepolte 79 tonnellate di rifiuti speciali industriali da Centro Stoccaggio Ferrara di Robassomero (Torino); 113 tonnellate di polveri di amianto bricchettate da Centro di stoccaggio Ferrara di Robassomero (Torino); 552 tonnellate di fanghi di verniciatura della Ferolmet di San Giuliano Milanese (Milano). E, infine, 1.106 tonnellate di scorie e ceneri di alluminio dalla Fonderie Riva di Parabbiago (Milano). Il pm Buda sta svolgendo anche un monitoraggio presso diversi uffici pubblici (Asl, ospedali, Inail, eccetera) per verificare le relazioni tra i casi di tumori e altre malattie e la situazione di inquinamento. Nei prossimi giorni il magistrato nominerà diversi consulenti per accertamenti scientifici. Non è escluso che si prelevino campioni di tessuto da famiglie di cittadini di Pianura per confrontarli con gli esami delle persone colpite in quell´area da mali incurabili.



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La Procura acquisisce in Provincia la lista di ditte che sversarono nell´area. Rifiuti ospedalieri e chimici da Lombardia Piemonte e Liguria

di Conchita Sannino

Ora c´è un riscontro formale. Nel cuore di Pianura hanno sepolto fiumi di fanghi speciali, tonnellate di amianto, pezzi di terreno inquinato con gasolio, rifiuti ospedalieri e chimici. Quasi tutti provenienti, secondo alcuni atti acquisiti in queste ore dalla Procura di Napoli, da numerose aziende di Lombardia, Piemonte e Liguria che pagavano e registravano regolarmente quei viaggi per liberarsi di fastidiose "scorie".

Regioni che inviavano quaggiù lo scarto di lavorazioni pericolose fin dagli anni Ottanta: con il guadagno dei proprietari della discarica e il placet (o l´indifferenza) delle autorità locali. Dopo congetture e allarmi più o meno fondati, cominciano ora a parlare le "carte" di Contrada Pisani: con buona pace del Nord o dello stesso Lazio che oggi si rifiuta di solidarizzare con la Campania inefficiente; e dei proclami dello stesso patron della Lega, Umberto Bossi, che ancora l´altra sera in tivù supportava il rifiuto delle popolazioni del nord. «Sento dire che a Pianura c´è acido solfidrico in valori mille volte superiori, non è possibile, i cittadini del nord hanno paura - diceva il Senatur -. Perciò si è deciso di non fare passare quei camion attraverso le nostre regioni». Con i primi approfondimenti dei magistrati della Procura di Napoli, si apre da ieri uno spiraglio di verità nella guerra dei veleni di Pianura.

Stando ai primi atti raccolti dai pubblici ministeri, difatti, nella discarica quarantennale della periferia ovest di Napoli non arrivavano solo le montagne di sacchetti provenienti da tutta Italia; né solo i rifiuti pericolosi sversati, come autorevoli atti parlamentari ipotizzano, in maniera sotterranea e invisibile - e quindi secondo percorsi non più verificabili. Da ieri spuntano invece responsabilità declinate per nome e provenienza geografica nella caccia agli autori di un presunto disastro colposo provocato dall´enorme quantità e qualità di rifiuti "inadeguati" sepolti nel ventre di Pianura. Basta dare uno sguardo alle cinque pagine di "viaggi ufficiali", quindi leciti, tratti dagli archivi della Provincia di Napoli e trasmessi dall´ente di piazza Matteotti ai pm che ne avevano fatto richiesta, la sezione coordinata dal procuratore aggiunto Rosario Cantelmo, titolare del fascicolo il magistrato Stefania Buda.

A scorrere le carte - peraltro incomplete - tenute in serbo dalla Provincia, risulta che centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti ospedalieri, fanghi speciali, polveri di amianto, residui di verniciatura, alimenti avariati o scaduti sono finiti a Contrada Pisani. Una attività che sarebbe stata regolarmente autorizzata dalle autorità provinciali di Napoli anche se in violazione delle norme a tutela dell´ambiente in vigore dal 1982. Su questo sta indagando il pm Buda, che nei giorni scorsi ha ordinato il sequestro della discarica e che ha ricevuto ieri i dati relativi allo sversamento. Dati per ora relativi al periodo che va dal 1987 al 1994. Il magistrato, che ha avviato l´inchiesta per i casi di malattia e i decessi che si sarebbero verificati a causa dell´inquinamento dell´area, ipotizza i reati di disastro ambientale ed epidemia colposa; e sta verificando anche le eventuali responsabilità amministrative. Va fatta però una premessa: tutti i rifiuti speciali o pericolosi stoccati, se trattati secondo norma, andrebbero considerati non nocivi. Dall´eventuale mancanza di una bonifica adeguata deriva la loro carica di rifiuti cosiddetti "tossici".

Nell´elenco sono indicate le aziende e le località di provenienza: Brindisi, vari comuni del Torinese (Chivasso, Robassomero, Orbassano), San Giuliano Milanese e Opera (Milano), Cuzzago di Premosello (Milano), Riva di Parabbiago (Milano), Pianoro (Bologna), Parona (Pavia), Mendicino (Cosenza), San Gregorio (Reggio Calabria), e Roma.
Qualche dato tra gli altri. In particolare, nel 1990, arrivano 16 tonnellate di scarti di collante acrilico dalla Sicaf di Cuzzango di Premosello (Novara); stesso periodo, 21 tonnellate di fanghi dell´impianto di depurazione di Ferolmet di San Giuliano Milanese (Milano). Sempre a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta, Pianura resta l´eden dei rifiuti speciali: 22 tonnellate di morchie di verniciatura, resine e fanghi arrivano dalla provincia di Padova; 25 tonnellate di rifiuti speciali cosmetici scaduti da Tocco Magico di Roma; altre 50 tonnellate di morchie di verniciatura dalla Sicaf di Premosello (Novara). E ancora: vi finiscono sepolte 79 tonnellate di rifiuti speciali industriali da Centro Stoccaggio Ferrara di Robassomero (Torino); 113 tonnellate di polveri di amianto bricchettate da Centro di stoccaggio Ferrara di Robassomero (Torino); 552 tonnellate di fanghi di verniciatura della Ferolmet di San Giuliano Milanese (Milano). E, infine, 1.106 tonnellate di scorie e ceneri di alluminio dalla Fonderie Riva di Parabbiago (Milano). Il pm Buda sta svolgendo anche un monitoraggio presso diversi uffici pubblici (Asl, ospedali, Inail, eccetera) per verificare le relazioni tra i casi di tumori e altre malattie e la situazione di inquinamento. Nei prossimi giorni il magistrato nominerà diversi consulenti per accertamenti scientifici. Non è escluso che si prelevino campioni di tessuto da famiglie di cittadini di Pianura per confrontarli con gli esami delle persone colpite in quell´area da mali incurabili.



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Zitara sul Brigantaggio



Zitara commenta il filmato, proietttato a Reggio, Uomini e Briganti a cura di Vinceti.
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Zitara commenta il filmato, proietttato a Reggio, Uomini e Briganti a cura di Vinceti.

NAPOLI: IN ATTESA DI BONIFICA SI MUORE!

- ALLARME SALUTE: Incremento di casi di tumori e malformazioni negli ultimi decenni tra gli abitanti di Pianura, area molto popolosa della città di Napoli.
- CAUSA: Principale indiziato è la discarica di CONTRADA PISANI, rimasta attiva fino alla metà degli anni novanta, e riempita di amianto, resine industriali, rifiuti speciali, etc...
- PRESUNTI COLPEVOLI: Aziende soprattutto del Nord Italia che hanno utilizzato tale discarica come pattumiera di rifiuti legali ed ILLEGALI.



La Procura ha disposto nel 2008 il prelievo e l’analisi del terreno della cava (tramite il Ministero dell’Ambiente) per avvalorare l’ipotesi di DISASTRO COLPOSO ed eventuale correlazione tra l’aumento di PATOLOGIE TUMORALI e DECESSI nell’area di Pianura tra i suoi abitanti e lo scarico di rifiuti tossici avvenuto in Contrada Pisani.
Sono stati accertati diversi casi di linfoma di Hodgkin, una forma di tumore altamente letale.

Già dall’aprile 2008 erano attesi i risultati dei carotaggi che, se pure acquisiti, NON sono stati comunicati ai cittadini, che hanno il DIRITTO di sapere.

Il Ministero dell'Ambiente con D.M. dell'11 aprile 2008 ha indicato Pianura come sito di bonifica avente interesse nazionale. La zona è stata indicata come area da sottoporre ad interventi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale. Il Comune di Napoli investito dalla problematica ha indicato le aree da sottoporre a tali interventi, MA SENZA PREDISPORRE L'OPPORTUNA BONIFICA del suolo della cava. Il Comune ha evidenziato la necessità di una opportuna bonifica, cosa che avvalorerebbe indirettamente l’ipotesi dell'ESISTENZA di un PROBLEMA MOLTO SERIO di inquinamento che rimane tale ancora OGGI perchè NULLA E’ STATO FATTO.

E’ ORA CHE I CITTADINI NAPOLETANI FACCIANO SENTIRE LA LORO VOCE IN ITALIA, IN EUROPA E NEL MONDO.
BASTA CON LA RASSEGNAZIONE E L’IDEA DI NON ESSERE IN GRADO DI DECIDERE IL DESTINO DELLA NOSTRA VITA.
POSSIAMO SALVARCI. DOBBIAMO IMPEDIRE CHE LE NOSTRE FAMIGLIE SI AMMALINO, CHE LA TUA, LA MIA E LA NOSTRA VITA SIA CONSIDERATA ZERO.
NON VOGLIO MORIRE IN SILENZIO!!

Tante famiglie, colpite dalla tragedia di aver perso un proprio congiunto, sono chiuse nel dolore e nella rassegnazione, ma è NECESSARIO uscire dall’isolamento e comunicare la propria esperienza, perché cose del genere NON si verifichino mai più.

Intendiamo chiedere alle istituzioni di metterci al corrente della situazione di estrema gravità che stiamo vivendo e di intervenire IMMEDIATAMENTE per BONIFICARE l’area sotto accusa.

Intendiamo quindi proporre:

- una PETIZIONE firmata dai cittadini da presentare in
Comune per ottenere GIUSTIZIA!
- UNIRCI al procedimento già aperto alla Procura della Repubblica COME PARTE CIVILE per conoscere la Verità, per avere risposte e per individuare i RESPONSABILI.
- AZIONI GIURIDICHE a tutela dei nostri diritti già lesi.

Chiediamo la collaborazione di tutti i cittadini di Napoli.
Non deve essere più solo una battaglia degli abitanti di Pianura e delle zone limitrofe, ma di tutta Napoli. Porteremo la nostra battaglia in tutta Italia, in Europa, nel Mondo.

BASTA CON LA RASSEGNAZIONE!
RIPRENDIAMOCI IL NOSTRO TERRITORIO!
RIPRENDIAMOCI LE NOSTRE VITE!


OCEANUS onlus
COMITATO NOSTRANAPOLI
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ALLARME SALUTE: Incremento di casi di tumori e malformazioni negli ultimi decenni tra gli abitanti di Pianura, area molto popolosa della citta' di Napoli.
CAUSA: Principale indiziato e' la discarica di CONTRADA PISANI, rimasta attiva fino alla meta' degli anni novanta, e riempita di amianto, resine industriali, rifiuti speciali, etc...
PRESUNTI COLPEVOLI: Aziende soprattutto del Nord Italia che hanno utilizzato tale discarica come pattumiera di rifiuti legali ed ILLEGALI.
La Procura ha disposto il prelievo e l' analisi del terreno della cava di Contrada Pisani, l' ipotesi e' di DISASTRO COLPOSO, sara' poi il processo ad accertare o meno se esista una correlazione tra l' aumento di PATOLOGIE TUMORALI e DECESSI nell' area di Pianura tra i suoi abitanti e lo scarico di rifiuti tossici avvenuto in Contrada Pisani, a tal fine OCEANUS onlus, che sara' parte civile al processo, presentera' le cartelle cliniche dei residenti di pianura che hanno contratto PATOLOGIE TUMORALI.

ADERISCI A QUESTA BATTAGLIA DI DIGNITA' BASTA CON LA RASSEGNAZIONE! RIPRENDIAMOCI IL NOSTRO TERRITORIO! RIPRENDIAMOCI LE NOSTRE VITE!

http://www.facebook.com/profile.php?ref=name&id=1657766352#/group.php?gid=200995986688&ref=ts

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http://www.oceanus.it

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SI PUO' FIRMARE LA PETIZIONE ON-LINE AL SEGUENTE INDIRIZZO:


http://www.thepetitionsite.com/1/napoli-in-attesa-di-bonifica-si-muore




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- ALLARME SALUTE: Incremento di casi di tumori e malformazioni negli ultimi decenni tra gli abitanti di Pianura, area molto popolosa della città di Napoli.
- CAUSA: Principale indiziato è la discarica di CONTRADA PISANI, rimasta attiva fino alla metà degli anni novanta, e riempita di amianto, resine industriali, rifiuti speciali, etc...
- PRESUNTI COLPEVOLI: Aziende soprattutto del Nord Italia che hanno utilizzato tale discarica come pattumiera di rifiuti legali ed ILLEGALI.



La Procura ha disposto nel 2008 il prelievo e l’analisi del terreno della cava (tramite il Ministero dell’Ambiente) per avvalorare l’ipotesi di DISASTRO COLPOSO ed eventuale correlazione tra l’aumento di PATOLOGIE TUMORALI e DECESSI nell’area di Pianura tra i suoi abitanti e lo scarico di rifiuti tossici avvenuto in Contrada Pisani.
Sono stati accertati diversi casi di linfoma di Hodgkin, una forma di tumore altamente letale.

Già dall’aprile 2008 erano attesi i risultati dei carotaggi che, se pure acquisiti, NON sono stati comunicati ai cittadini, che hanno il DIRITTO di sapere.

Il Ministero dell'Ambiente con D.M. dell'11 aprile 2008 ha indicato Pianura come sito di bonifica avente interesse nazionale. La zona è stata indicata come area da sottoporre ad interventi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale. Il Comune di Napoli investito dalla problematica ha indicato le aree da sottoporre a tali interventi, MA SENZA PREDISPORRE L'OPPORTUNA BONIFICA del suolo della cava. Il Comune ha evidenziato la necessità di una opportuna bonifica, cosa che avvalorerebbe indirettamente l’ipotesi dell'ESISTENZA di un PROBLEMA MOLTO SERIO di inquinamento che rimane tale ancora OGGI perchè NULLA E’ STATO FATTO.

E’ ORA CHE I CITTADINI NAPOLETANI FACCIANO SENTIRE LA LORO VOCE IN ITALIA, IN EUROPA E NEL MONDO.
BASTA CON LA RASSEGNAZIONE E L’IDEA DI NON ESSERE IN GRADO DI DECIDERE IL DESTINO DELLA NOSTRA VITA.
POSSIAMO SALVARCI. DOBBIAMO IMPEDIRE CHE LE NOSTRE FAMIGLIE SI AMMALINO, CHE LA TUA, LA MIA E LA NOSTRA VITA SIA CONSIDERATA ZERO.
NON VOGLIO MORIRE IN SILENZIO!!

Tante famiglie, colpite dalla tragedia di aver perso un proprio congiunto, sono chiuse nel dolore e nella rassegnazione, ma è NECESSARIO uscire dall’isolamento e comunicare la propria esperienza, perché cose del genere NON si verifichino mai più.

Intendiamo chiedere alle istituzioni di metterci al corrente della situazione di estrema gravità che stiamo vivendo e di intervenire IMMEDIATAMENTE per BONIFICARE l’area sotto accusa.

Intendiamo quindi proporre:

- una PETIZIONE firmata dai cittadini da presentare in
Comune per ottenere GIUSTIZIA!
- UNIRCI al procedimento già aperto alla Procura della Repubblica COME PARTE CIVILE per conoscere la Verità, per avere risposte e per individuare i RESPONSABILI.
- AZIONI GIURIDICHE a tutela dei nostri diritti già lesi.

Chiediamo la collaborazione di tutti i cittadini di Napoli.
Non deve essere più solo una battaglia degli abitanti di Pianura e delle zone limitrofe, ma di tutta Napoli. Porteremo la nostra battaglia in tutta Italia, in Europa, nel Mondo.

BASTA CON LA RASSEGNAZIONE!
RIPRENDIAMOCI IL NOSTRO TERRITORIO!
RIPRENDIAMOCI LE NOSTRE VITE!


OCEANUS onlus
COMITATO NOSTRANAPOLI
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ALLARME SALUTE: Incremento di casi di tumori e malformazioni negli ultimi decenni tra gli abitanti di Pianura, area molto popolosa della citta' di Napoli.
CAUSA: Principale indiziato e' la discarica di CONTRADA PISANI, rimasta attiva fino alla meta' degli anni novanta, e riempita di amianto, resine industriali, rifiuti speciali, etc...
PRESUNTI COLPEVOLI: Aziende soprattutto del Nord Italia che hanno utilizzato tale discarica come pattumiera di rifiuti legali ed ILLEGALI.
La Procura ha disposto il prelievo e l' analisi del terreno della cava di Contrada Pisani, l' ipotesi e' di DISASTRO COLPOSO, sara' poi il processo ad accertare o meno se esista una correlazione tra l' aumento di PATOLOGIE TUMORALI e DECESSI nell' area di Pianura tra i suoi abitanti e lo scarico di rifiuti tossici avvenuto in Contrada Pisani, a tal fine OCEANUS onlus, che sara' parte civile al processo, presentera' le cartelle cliniche dei residenti di pianura che hanno contratto PATOLOGIE TUMORALI.

ADERISCI A QUESTA BATTAGLIA DI DIGNITA' BASTA CON LA RASSEGNAZIONE! RIPRENDIAMOCI IL NOSTRO TERRITORIO! RIPRENDIAMOCI LE NOSTRE VITE!

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http://www.oceanus.it

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SI PUO' FIRMARE LA PETIZIONE ON-LINE AL SEGUENTE INDIRIZZO:


http://www.thepetitionsite.com/1/napoli-in-attesa-di-bonifica-si-muore




Volontari per Gaeta e per il Sud



I meridionalisti, coloro che amano Gaeta, coloro che amano il sud, possono dare la propria disponibilità per lavorare sulle batterie e sui bastioni di Gaeta a titolo di volontariato. Meridionalisti, fatevi sentire, Gaeta vi aspetta. Potremmo organizzare squadre di volontari e ridare alla nostra amata Gaeta, simbolo del martirio del Sud,lo splendore che aveva fino al 1860. Poi fu seppellita da 160 mila bombe da Cialdini. Sui bastioni son rimaste le buche delle cannonate, a noi il compito di ripulirli dalle erbacce e dagli arbusti che da 148 anni li seppelliscono sotto una coltre di spine e di rami secchi. Lo stato cosiddetto unitario alla nostra città non ha dato un centesimo, al Piemonte ha regalato 500 milioni di euro per ripristinare i siti savoiardi.
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I meridionalisti, coloro che amano Gaeta, coloro che amano il sud, possono dare la propria disponibilità per lavorare sulle batterie e sui bastioni di Gaeta a titolo di volontariato. Meridionalisti, fatevi sentire, Gaeta vi aspetta. Potremmo organizzare squadre di volontari e ridare alla nostra amata Gaeta, simbolo del martirio del Sud,lo splendore che aveva fino al 1860. Poi fu seppellita da 160 mila bombe da Cialdini. Sui bastioni son rimaste le buche delle cannonate, a noi il compito di ripulirli dalle erbacce e dagli arbusti che da 148 anni li seppelliscono sotto una coltre di spine e di rami secchi. Lo stato cosiddetto unitario alla nostra città non ha dato un centesimo, al Piemonte ha regalato 500 milioni di euro per ripristinare i siti savoiardi.

REGGIA DELLE MERAVIGLIE-Gran ballo dei Borbone-Mostra La Reggia e Le Regine- PERCORSO MILITARE E MOMENTI SCENICI IN CASERTA

L’evento, promosso e organizzato dall’Ept, è in programma il 28 novembre con l’obiettivo di rilanciare la Reggia di Caserta in una dimensione internazionale.

Il Palazzo Reale e il centro della città capoluogo saranno il cuore dell’iniziativa, che farà rivivere la vita a corte, con una rievocazione del regno di Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria.
Gli appuntamenti programmati nella città sono finalizzati al coinvolgimento della comunità locale in un’operazione di ricostruzione del periodo borbonico.

Negli appartamenti storici, invece, gli eventi sono rivolti agli operatori turistici e ai giornalisti della stampa nazionale e internazionale.

Saranno tre le iniziative-chiave della “Reggia delle Meraviglie”:

Il Gran Ballo dei Borbone: 230 ballerini sfileranno e si esibiranno in abiti e su musiche d’epoca, mentre alcuni reparti rappresentativi dell’esercito borbonico completeranno la rievocazione dell’atmosfera del regno.



L’inedita mostra La Reggia e le Regine (28 Novembre 2009-10 Gennaio 2010) curata dalla Collezione Tirelli Costumi, una delle realtà più importanti al mondo per la realizzazione di abiti storici di grandi film. I 22 costumi in mostra ricostruiscono, attraverso gli abiti indossati dai regnanti di tutta Europa, anche l’intreccio di relazioni tra i Borbone e le altre case reali.
Il Workshop riservato a tour operator e giornalisti (la mattina del 28 novembre): oltre 120 operatori invitati in rappresentanza di 15 Paesi per presentare la Reggia di Caserta come destinazione turistica, inserita in un territorio che conserva grandi eccellenze, a partire dall’artigianato fino all’enogastronomia, con i prodotti vinicoli e l’industria casearia
Il giorno dopo gli operatori sarranno portati in visita per un educational tour a San Leucio,Casertavecchia e all'Acquedotto Carolino.

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13 Regg.to

COMUNICATO STAMPA – EPT- ASSOCIAZIONE CULTURALE BORBONICA

TERRA DI LAVORO

In collaborazione con l’Ente Provinciale per il Turismo di Caserta, in occasione del progetto per il rilancio della Reggia, “LA REGGIA DELLE MERAVIGLIE – IL GRAN BALLO DEI BORBONE” quale grande attrattore turistico-culturale che prevede per il giorno 28 novembre p.v. un evento spettacolare nel quale saranno invitati circa 300 tour operators internazionali, l’Associazione Culturale Borbonica “Terra di Lavoro” Delegazione del Movimento Neoborbonico, presieduta dal dr. POMPEO DE CHIARA, organizzerà una parata di circa 50 figuranti in uniforme militare d’epoca (il 13° Lucania e un reparto della Real Marina Borbonica) per le strade cittadine di Caserta con varie soste e momenti scenici quali il “Saluto alla Bandiera” dell’ex Regno delle Due Sicilie, il “Cambio della Guardia” davanti la Reggia Borbonica ed il “Picchetto d’onore” con spari a salve da cannoncino da campo e fucili d’epoca. La parata sarà guidata dal cap. Alessandro Romano, cultore di Storia Meridionale e collaboratore scientifico a vari programmi televisivi.

Il percorso per le vie cittadine si snoderà come segue:

PERCORSO MILITARE E MOMENTI SCENICI IN CASERTA

17,00 USCITA dalla REGGIA

- PIAZZA MARGHERITA

· SALUTO ALLA BANDIERA (storica del regno di Napoli) CON SPARI A SALVE

Ø VIA MAZZINI

- PIAZZA VANVITELLI

Ø VIA POLLIO

- PIAZZA DUOMO

- VIA SAN CARLO –

· Bar “DOLCEZZE REALI” (ex Bar Centore) – sosta per BRINDISI MILITARE

· Chiesetta Montevergine luogo della Battaglia del 1860 (Saluto alla Bandiera)

- MONUMENTO AI CADUTI (onore ai caduti di tutte le guerre)- CON SPARI A SALVE

Ø CORSO TRIESTE

Ø VIA SAN GIOVANNI

- PIAZZA RUGGIERO

Ø VIA REDENTORE

Ø VIA MAZZINI

- PIAZZA MARGHERITA (saluto alla Bandiera)

- SPAZIO ANTISTANTE LA REGGIA

– DUE CAMBI DELLA GUARDIA - SPARI A SALVE

19,00 - SALUTO ALLA CITTADINANZA

- RIENTRO NELLA REGGIA - DISPOSIZIONE LATERALE PER ACCOGLIENZA OSPITI CON SALUTO MILITARE


Gaeta
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L’evento, promosso e organizzato dall’Ept, è in programma il 28 novembre con l’obiettivo di rilanciare la Reggia di Caserta in una dimensione internazionale.

Il Palazzo Reale e il centro della città capoluogo saranno il cuore dell’iniziativa, che farà rivivere la vita a corte, con una rievocazione del regno di Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria.
Gli appuntamenti programmati nella città sono finalizzati al coinvolgimento della comunità locale in un’operazione di ricostruzione del periodo borbonico.

Negli appartamenti storici, invece, gli eventi sono rivolti agli operatori turistici e ai giornalisti della stampa nazionale e internazionale.

Saranno tre le iniziative-chiave della “Reggia delle Meraviglie”:

Il Gran Ballo dei Borbone: 230 ballerini sfileranno e si esibiranno in abiti e su musiche d’epoca, mentre alcuni reparti rappresentativi dell’esercito borbonico completeranno la rievocazione dell’atmosfera del regno.



L’inedita mostra La Reggia e le Regine (28 Novembre 2009-10 Gennaio 2010) curata dalla Collezione Tirelli Costumi, una delle realtà più importanti al mondo per la realizzazione di abiti storici di grandi film. I 22 costumi in mostra ricostruiscono, attraverso gli abiti indossati dai regnanti di tutta Europa, anche l’intreccio di relazioni tra i Borbone e le altre case reali.
Il Workshop riservato a tour operator e giornalisti (la mattina del 28 novembre): oltre 120 operatori invitati in rappresentanza di 15 Paesi per presentare la Reggia di Caserta come destinazione turistica, inserita in un territorio che conserva grandi eccellenze, a partire dall’artigianato fino all’enogastronomia, con i prodotti vinicoli e l’industria casearia
Il giorno dopo gli operatori sarranno portati in visita per un educational tour a San Leucio,Casertavecchia e all'Acquedotto Carolino.

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13 Regg.to

COMUNICATO STAMPA – EPT- ASSOCIAZIONE CULTURALE BORBONICA

TERRA DI LAVORO

In collaborazione con l’Ente Provinciale per il Turismo di Caserta, in occasione del progetto per il rilancio della Reggia, “LA REGGIA DELLE MERAVIGLIE – IL GRAN BALLO DEI BORBONE” quale grande attrattore turistico-culturale che prevede per il giorno 28 novembre p.v. un evento spettacolare nel quale saranno invitati circa 300 tour operators internazionali, l’Associazione Culturale Borbonica “Terra di Lavoro” Delegazione del Movimento Neoborbonico, presieduta dal dr. POMPEO DE CHIARA, organizzerà una parata di circa 50 figuranti in uniforme militare d’epoca (il 13° Lucania e un reparto della Real Marina Borbonica) per le strade cittadine di Caserta con varie soste e momenti scenici quali il “Saluto alla Bandiera” dell’ex Regno delle Due Sicilie, il “Cambio della Guardia” davanti la Reggia Borbonica ed il “Picchetto d’onore” con spari a salve da cannoncino da campo e fucili d’epoca. La parata sarà guidata dal cap. Alessandro Romano, cultore di Storia Meridionale e collaboratore scientifico a vari programmi televisivi.

Il percorso per le vie cittadine si snoderà come segue:

PERCORSO MILITARE E MOMENTI SCENICI IN CASERTA

17,00 USCITA dalla REGGIA

- PIAZZA MARGHERITA

· SALUTO ALLA BANDIERA (storica del regno di Napoli) CON SPARI A SALVE

Ø VIA MAZZINI

- PIAZZA VANVITELLI

Ø VIA POLLIO

- PIAZZA DUOMO

- VIA SAN CARLO –

· Bar “DOLCEZZE REALI” (ex Bar Centore) – sosta per BRINDISI MILITARE

· Chiesetta Montevergine luogo della Battaglia del 1860 (Saluto alla Bandiera)

- MONUMENTO AI CADUTI (onore ai caduti di tutte le guerre)- CON SPARI A SALVE

Ø CORSO TRIESTE

Ø VIA SAN GIOVANNI

- PIAZZA RUGGIERO

Ø VIA REDENTORE

Ø VIA MAZZINI

- PIAZZA MARGHERITA (saluto alla Bandiera)

- SPAZIO ANTISTANTE LA REGGIA

– DUE CAMBI DELLA GUARDIA - SPARI A SALVE

19,00 - SALUTO ALLA CITTADINANZA

- RIENTRO NELLA REGGIA - DISPOSIZIONE LATERALE PER ACCOGLIENZA OSPITI CON SALUTO MILITARE


Gaeta

venerdì 27 novembre 2009

2009, fuga da Dubai: La crisi arriva anche in paradiso



Questo reportage è pubblicato sul Venerdì di questa settimana

"Sono almeno duemila le macchine abbandonate all'aeroporto di Dubai, con le chiavi inserite nel quadro. I proprietari sono saliti su un aereo per non tornare mai più. Il deserto comincia la sua avanzata. Macchine abbandonate, ma anche carte di credito buttate nei cestini, vestiti lasciati negli armadi. Migliaia di persone ogni settimana lasciano la città...".

A parlare è un tassista nel romanzo reportage di Sergio Nazzaro, Dubai Confidential (Elliot, pp. 143, euro 16). Una voce diretta su quanto sta accadendo a Dubai da quando la crisi ha messo fine a una lunghissima sbornia: imprese che hanno smesso di costruire, investitori che reclamano i propri soldi e un Paese in cui tutto è emanazione della famiglia reale, improvvisamente indecisa sul ruolo da giocare. Chi deve restituire i soldi agli investitori? I costruttori o il governo, che ha smesso di garantire la realizzazione delle infrastrutture? Risultato, oggi Dubai è invasa di cause legali.

Racconta questi "tempi duri e ambigui", Nazzaro, napoletano di 36 anni, alle prese con un mondo, quello di Dubai, che frequenta ormai da quasi cinque anni come agente immobiliare. Un mondo dove, nel giro di poco tempo, "sono stati raggiunti record d'ogni tipo".
La compagnia aerea più efficiente (Emirates vanta anche un programma di voli eco-efficienti all'avanguardia), la metropolitana automatizzata più estesa (Dubai Metro, completamente sopraelevata e con un design avveniristico, è lunga settanta chilometri), l'isola artificiale più grande (Palm Island Jumeirah), la fontana più costosa (su Dubai Fountain, per dirne una, sono stati piazzati 6600 luci e cinquanta proiettori colorati), il grattacielo più alto (Burj Dubai, con i suoi 780 metri, ha battuto ogni primato).

Protettorato inglese sul finire del secolo, Dubai divenne uno dei sette Emirati Arabi Uniti nel 1971, ma la sua crescita vertiginosa inizia solo una quindicina di anni fa. E nel corso del tempo si lega sempre meno al petrolio, e sempre più al commercio e al turismo. Lo sviluppo immobiliare è frenetico, fondato su opere mirabolanti e anche più piccoli progetti, che, nell'insieme, arrivano a portare qui quasi un quarto di tutte le gru esistenti nel mondo.

Ma, nel corso del 2009, la crisi economica non ha lasciato scampo. I progetti di edilizia residenziale e commerciale, il cui completamento era previsto tra l'anno in corso e il 2012, sono in forse. Oltre il 50 per cento dei cantieri di Dubai ha subìto gravi ritardi (molti hanno chiuso). Persino la realizzazione del Burj Dabai - l'ultima meraviglia dell'emirato - è stata così accidentata, che la data dell'inaugurazione è stata annunciata e disdetta più volte.

Così il 45 per cento del personale impiegato nell'edilizia ha perso il lavoro. Si tratta per lo più di stranieri - provenienti principalmente da India, Pakistan e Bangladesh - da sempre pagati una miseria e confinati in "campi immensi, riservati alle abitazioni degli operai", e ora costretti a tornare nel Paese d'origine, senza alcuna garanzia.

Come racconta anche Nazzaro nel suo libro, a Dubai "non ci sono sindacati, lo sciopero non è ammesso, si lavora sotto il sole bruciante a 40 gradi". E, se ti licenziano, hai solo trenta giorni per trovarti un altro lavoro, altrimenti sei un clandestino e rischi l'arresto: ecco il perché delle auto abbandonate nel parcheggio dell'aeroporto, con tanto di chiavi inserite. Vero, però, che le morti sul lavoro sono meno che da noi: "Il governo è estremamente sensibile alle critiche. Di fronte ai dossier (come quello della ong Human Rights Watch del 2006, che denunciava la semischiavitù dei lavoratori impiegati nell'edilizia), che sono stati pubblicati in Occidente, hanno cominciato a preoccuparsi e a intervenire".

Il libro di Nazzaro racconta anche la Dubai dove "tutto è tenuto sotto controllo e le pene per chi "sgarra" sono aspre". Se guidi e hai bevuto, per esempio, "innanzitutto vieni frustato e, poi, ti fai almeno tre mesi di galera". Se emetti un assegno in bianco, "finisci dentro e ci resti finché non saldi il debito". Per non parlare dell'adulterio, "punito con il carcere". E questo nel Paese in cui la concentrazione di prostitute è la più alta del mondo.

Difficile, per un occidentale, comprendere certi meccanismi. "I primi tempi mi sentivo accerchiato" spiega ancora Nazzaro. "Poi ho scoperto che la parola tolleranza si può declinare in molti modi. E che questo Emirato ha rappresentato una grande speranza per tante persone, l'idea che un "incontro di civiltà" sia possibile. Ora la scommessa è che quella speranza non crolli miseramente a causa della crisi".


Fonte : LaRepubblica del 26/11/2009
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Questo reportage è pubblicato sul Venerdì di questa settimana

"Sono almeno duemila le macchine abbandonate all'aeroporto di Dubai, con le chiavi inserite nel quadro. I proprietari sono saliti su un aereo per non tornare mai più. Il deserto comincia la sua avanzata. Macchine abbandonate, ma anche carte di credito buttate nei cestini, vestiti lasciati negli armadi. Migliaia di persone ogni settimana lasciano la città...".

A parlare è un tassista nel romanzo reportage di Sergio Nazzaro, Dubai Confidential (Elliot, pp. 143, euro 16). Una voce diretta su quanto sta accadendo a Dubai da quando la crisi ha messo fine a una lunghissima sbornia: imprese che hanno smesso di costruire, investitori che reclamano i propri soldi e un Paese in cui tutto è emanazione della famiglia reale, improvvisamente indecisa sul ruolo da giocare. Chi deve restituire i soldi agli investitori? I costruttori o il governo, che ha smesso di garantire la realizzazione delle infrastrutture? Risultato, oggi Dubai è invasa di cause legali.

Racconta questi "tempi duri e ambigui", Nazzaro, napoletano di 36 anni, alle prese con un mondo, quello di Dubai, che frequenta ormai da quasi cinque anni come agente immobiliare. Un mondo dove, nel giro di poco tempo, "sono stati raggiunti record d'ogni tipo".
La compagnia aerea più efficiente (Emirates vanta anche un programma di voli eco-efficienti all'avanguardia), la metropolitana automatizzata più estesa (Dubai Metro, completamente sopraelevata e con un design avveniristico, è lunga settanta chilometri), l'isola artificiale più grande (Palm Island Jumeirah), la fontana più costosa (su Dubai Fountain, per dirne una, sono stati piazzati 6600 luci e cinquanta proiettori colorati), il grattacielo più alto (Burj Dubai, con i suoi 780 metri, ha battuto ogni primato).

Protettorato inglese sul finire del secolo, Dubai divenne uno dei sette Emirati Arabi Uniti nel 1971, ma la sua crescita vertiginosa inizia solo una quindicina di anni fa. E nel corso del tempo si lega sempre meno al petrolio, e sempre più al commercio e al turismo. Lo sviluppo immobiliare è frenetico, fondato su opere mirabolanti e anche più piccoli progetti, che, nell'insieme, arrivano a portare qui quasi un quarto di tutte le gru esistenti nel mondo.

Ma, nel corso del 2009, la crisi economica non ha lasciato scampo. I progetti di edilizia residenziale e commerciale, il cui completamento era previsto tra l'anno in corso e il 2012, sono in forse. Oltre il 50 per cento dei cantieri di Dubai ha subìto gravi ritardi (molti hanno chiuso). Persino la realizzazione del Burj Dabai - l'ultima meraviglia dell'emirato - è stata così accidentata, che la data dell'inaugurazione è stata annunciata e disdetta più volte.

Così il 45 per cento del personale impiegato nell'edilizia ha perso il lavoro. Si tratta per lo più di stranieri - provenienti principalmente da India, Pakistan e Bangladesh - da sempre pagati una miseria e confinati in "campi immensi, riservati alle abitazioni degli operai", e ora costretti a tornare nel Paese d'origine, senza alcuna garanzia.

Come racconta anche Nazzaro nel suo libro, a Dubai "non ci sono sindacati, lo sciopero non è ammesso, si lavora sotto il sole bruciante a 40 gradi". E, se ti licenziano, hai solo trenta giorni per trovarti un altro lavoro, altrimenti sei un clandestino e rischi l'arresto: ecco il perché delle auto abbandonate nel parcheggio dell'aeroporto, con tanto di chiavi inserite. Vero, però, che le morti sul lavoro sono meno che da noi: "Il governo è estremamente sensibile alle critiche. Di fronte ai dossier (come quello della ong Human Rights Watch del 2006, che denunciava la semischiavitù dei lavoratori impiegati nell'edilizia), che sono stati pubblicati in Occidente, hanno cominciato a preoccuparsi e a intervenire".

Il libro di Nazzaro racconta anche la Dubai dove "tutto è tenuto sotto controllo e le pene per chi "sgarra" sono aspre". Se guidi e hai bevuto, per esempio, "innanzitutto vieni frustato e, poi, ti fai almeno tre mesi di galera". Se emetti un assegno in bianco, "finisci dentro e ci resti finché non saldi il debito". Per non parlare dell'adulterio, "punito con il carcere". E questo nel Paese in cui la concentrazione di prostitute è la più alta del mondo.

Difficile, per un occidentale, comprendere certi meccanismi. "I primi tempi mi sentivo accerchiato" spiega ancora Nazzaro. "Poi ho scoperto che la parola tolleranza si può declinare in molti modi. E che questo Emirato ha rappresentato una grande speranza per tante persone, l'idea che un "incontro di civiltà" sia possibile. Ora la scommessa è che quella speranza non crolli miseramente a causa della crisi".


Fonte : LaRepubblica del 26/11/2009

Il Sindaco Raimondi : ci stiamo riprendendo Gaeta



Gaeta nel 1861 fu massacrata dai piemontesi che espropriarono e acquisirono tutti i beni demaniali al Regno di Sardegna. L'amministrazione comunale sta recuperando detti beni alla comunità. La Caserma Sant'Angelo è già stata consegnata al parco Regionale, e la regione ha stanziato 26 milioni di euro per riattivare la la ferrovia Formia-Gaeta. Prossimamente verrà portato in consiglio comunale la variante Avir, una fabbrica dismessa 28 anni fa insistente a pochi metri dalla spiaggia di Serapo.
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Gaeta nel 1861 fu massacrata dai piemontesi che espropriarono e acquisirono tutti i beni demaniali al Regno di Sardegna. L'amministrazione comunale sta recuperando detti beni alla comunità. La Caserma Sant'Angelo è già stata consegnata al parco Regionale, e la regione ha stanziato 26 milioni di euro per riattivare la la ferrovia Formia-Gaeta. Prossimamente verrà portato in consiglio comunale la variante Avir, una fabbrica dismessa 28 anni fa insistente a pochi metri dalla spiaggia di Serapo.

"La mafia sopravvive grazie alla politica" intervista di Sara Menafra a Giancarlo Caselli.


Procuratore Caselli, il governo ha fatto sapere che non cambierà le leggi sul concorso esterno in associazione mafiosa, smentendo una voce circolata in queste ore. Lei che quando era capo della procura di Palermo è stato protagonista di molte indagini sul rapporto tra mafia e politica, si sarà fatto un’idea.
Prendo atto con soddisfazione delle precisazioni di palazzo Chigi. In un primo momento, avevo temuto che ci fosse uno sviluppo di quanto il presidente Berlusconi aveva dichiarato l’11 settembre 2003, in una intervista al periodico inglese Spectator e alla Gazzetta di Rimini.
Ci ricordi di cosa si tratta.

Glielo leggo: «A Palermo, la nostra magistratura comunista, di sinistra, ha creato un reato, un tipo di delitto che non è nel codice; è il concorso esterno in associazione mafiosa...»
Il ministro degli interni Maroni ha annunciato invece che sulle norme antimafia, il governo si adopererà per produrre un testo unico che si occupi anche di riformare le procedure relative al sequestro dei beni.

Bisogna vedere cosa ci sarà nel progetto di Maroni. La richiesta di un testo unico è da anni sostenuta dai principali esponenti dell’Antimafia. La necessita di sfrondare, aggiornare, aggiungere anche in base all’esperienza è reale. Anche l’intervento sulle procedure di confisca è una richiesta storica. Il problema è valutare il merito. E’ un po’ come per il processo breve: chi è contrario ad abbreviare la durata dei processi? Nessuno. Tutto sta a vedere come.
Però è vero che il reato in se di "concorso esterno in associazione mafiosa" non esiste e ci si basa sulla giurisprudenza della Cassazione.
Per impostare correttamente il problema del cosiddetto concorso esterno non si può non partire dalla constatazione che a questa figura fece ampio ricorso il pool di giudici istruttori nel tribunale di Palermo, diretto prima da Chinnici, poi da Caponnetto, e formato, tra gli altri, da Falcone, Borsellino e Di Lello. In particolare nell’ordinanza sentenza del 17 luglio 1987, conclusiva del «Maxi-ter», sta testualmente scritto un concetto importante. Leggo anche questo, è a pagina 429: «Manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono – eventualmente – realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili – a titolo concorsuale – nel delitto di associazione mafiosa. Ed è proprio questa "convergenza di interessi" col potere mafioso... che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa nostra e nella sua natura di contropotere, nonché, correlativamente, della difficoltà incontrate nel reprimerne le manifestazioni criminali».
In sintesi?
Concorso esterno è un’espressione ormai correntemente adoperata ma dal punto di vista tecnico bisognerebbe parlare semplicemente di concorso. Si dice concorso esterno perché qui si tratta di un reato associativo, quindi c’è l’associato e c’è l’esterno all’associazione che concorre.
E non è una definizione labile?
Questo del concorso in associazione criminale o associazione a delinquere è un istituto che risale addirittura al 1875. La magistratura palermitana lo usò in sentenze sul brigantaggio. Poi è stato ripetutamente impiegato in processi per fatti di terrorismo. Infine, ci sono ripetute sentenze della Cassazione che affermano la legittimità della contestazione in relazione alla mafia, fissando dei paletti recisi. La spina dorsale del poteremafioso sta proprio in queste relazioni esterne, cioè nelle complicità e coperture.
Legami con la politica?
Relazioni esterne significa intreccio di interessi e favori con pezzi della politica, della finanza, della cultura, delle istituzioni. Questi legàmi sono, lo ripeto, la spina dorsale del poteremafioso. Altrimenti non staremmo qui a parlare di mafia. Non c’è banda che sia soltanto di gangster che duri più di 30 o 40 anni. Cosa nostra ha due secoli. E’quello che in altro modo dicono i giudici del pool nella sentenza che abbiamo citato. E queste relazioni esterne, quando ricorrono i presupposti in fatto e in diritto, sono il centro della contestazione di "concorso in" associazione mafiosa che allora viene definito "concorso esterno".
Le tante assoluzioni pesano sul dibattito in corso.
Ci sono state anche importanti sentenze di condanna o di prescrizione.
E le sentenze di assoluzione sul concorso esterno, riconoscono tutte la sussistenza dei fatti su cui si era basata l’accusa. Solo che per il giudicante, non sempre questi fatti sono sufficienti per affermare una responsabilità penale. Ma i fatti ci sono. E’ l’eterno dilemma: frequentare un mafioso è reato o non è reato? Per qualcuno lo è, per qualcun altro non lo è. Sono problemi processuali da risolvere caso per caso. Ma per favore, si parta dalla considerazione che il metodo che i pubblici ministeri adottano è sempre lo stesso. O i pm sono bravi quando si tratta di boss e diventano improvvisamente cretini quando si tratta di imputati eccellenti, oppure il problema sta altrove: prove oggettivamente più difficili o valutate con diversi criteri. Comunque le sentenze vanno lette una ad una. Soltanto nei paesi dittatoriali l’accusa deve avere sempre ragione.
Poi ci sono le prescrizioni, come quella della sentenza Andreotti.
La Corte di appello di Palermo, confermata in Cassazione, scrisse che fino al 1980 l’imputato aveva commesso il reato di associazione a delinquere con Cosa nostra. Molti sostengono che la prescrizione è rinunziabile. Qui il tema della rinuncia non si è mai posto.

Il pentito Spatuzza deporrà proprio nella sua sede, a Torino. Andrà ad assistere all’udienza?
No perché non mi occupo più di queste cose, faccio il procuratore a Torino, non a Palermo.

Fonte:
Il Manifesto
.
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Procuratore Caselli, il governo ha fatto sapere che non cambierà le leggi sul concorso esterno in associazione mafiosa, smentendo una voce circolata in queste ore. Lei che quando era capo della procura di Palermo è stato protagonista di molte indagini sul rapporto tra mafia e politica, si sarà fatto un’idea.
Prendo atto con soddisfazione delle precisazioni di palazzo Chigi. In un primo momento, avevo temuto che ci fosse uno sviluppo di quanto il presidente Berlusconi aveva dichiarato l’11 settembre 2003, in una intervista al periodico inglese Spectator e alla Gazzetta di Rimini.
Ci ricordi di cosa si tratta.

Glielo leggo: «A Palermo, la nostra magistratura comunista, di sinistra, ha creato un reato, un tipo di delitto che non è nel codice; è il concorso esterno in associazione mafiosa...»
Il ministro degli interni Maroni ha annunciato invece che sulle norme antimafia, il governo si adopererà per produrre un testo unico che si occupi anche di riformare le procedure relative al sequestro dei beni.

Bisogna vedere cosa ci sarà nel progetto di Maroni. La richiesta di un testo unico è da anni sostenuta dai principali esponenti dell’Antimafia. La necessita di sfrondare, aggiornare, aggiungere anche in base all’esperienza è reale. Anche l’intervento sulle procedure di confisca è una richiesta storica. Il problema è valutare il merito. E’ un po’ come per il processo breve: chi è contrario ad abbreviare la durata dei processi? Nessuno. Tutto sta a vedere come.
Però è vero che il reato in se di "concorso esterno in associazione mafiosa" non esiste e ci si basa sulla giurisprudenza della Cassazione.
Per impostare correttamente il problema del cosiddetto concorso esterno non si può non partire dalla constatazione che a questa figura fece ampio ricorso il pool di giudici istruttori nel tribunale di Palermo, diretto prima da Chinnici, poi da Caponnetto, e formato, tra gli altri, da Falcone, Borsellino e Di Lello. In particolare nell’ordinanza sentenza del 17 luglio 1987, conclusiva del «Maxi-ter», sta testualmente scritto un concetto importante. Leggo anche questo, è a pagina 429: «Manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono – eventualmente – realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili – a titolo concorsuale – nel delitto di associazione mafiosa. Ed è proprio questa "convergenza di interessi" col potere mafioso... che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa nostra e nella sua natura di contropotere, nonché, correlativamente, della difficoltà incontrate nel reprimerne le manifestazioni criminali».
In sintesi?
Concorso esterno è un’espressione ormai correntemente adoperata ma dal punto di vista tecnico bisognerebbe parlare semplicemente di concorso. Si dice concorso esterno perché qui si tratta di un reato associativo, quindi c’è l’associato e c’è l’esterno all’associazione che concorre.
E non è una definizione labile?
Questo del concorso in associazione criminale o associazione a delinquere è un istituto che risale addirittura al 1875. La magistratura palermitana lo usò in sentenze sul brigantaggio. Poi è stato ripetutamente impiegato in processi per fatti di terrorismo. Infine, ci sono ripetute sentenze della Cassazione che affermano la legittimità della contestazione in relazione alla mafia, fissando dei paletti recisi. La spina dorsale del poteremafioso sta proprio in queste relazioni esterne, cioè nelle complicità e coperture.
Legami con la politica?
Relazioni esterne significa intreccio di interessi e favori con pezzi della politica, della finanza, della cultura, delle istituzioni. Questi legàmi sono, lo ripeto, la spina dorsale del poteremafioso. Altrimenti non staremmo qui a parlare di mafia. Non c’è banda che sia soltanto di gangster che duri più di 30 o 40 anni. Cosa nostra ha due secoli. E’quello che in altro modo dicono i giudici del pool nella sentenza che abbiamo citato. E queste relazioni esterne, quando ricorrono i presupposti in fatto e in diritto, sono il centro della contestazione di "concorso in" associazione mafiosa che allora viene definito "concorso esterno".
Le tante assoluzioni pesano sul dibattito in corso.
Ci sono state anche importanti sentenze di condanna o di prescrizione.
E le sentenze di assoluzione sul concorso esterno, riconoscono tutte la sussistenza dei fatti su cui si era basata l’accusa. Solo che per il giudicante, non sempre questi fatti sono sufficienti per affermare una responsabilità penale. Ma i fatti ci sono. E’ l’eterno dilemma: frequentare un mafioso è reato o non è reato? Per qualcuno lo è, per qualcun altro non lo è. Sono problemi processuali da risolvere caso per caso. Ma per favore, si parta dalla considerazione che il metodo che i pubblici ministeri adottano è sempre lo stesso. O i pm sono bravi quando si tratta di boss e diventano improvvisamente cretini quando si tratta di imputati eccellenti, oppure il problema sta altrove: prove oggettivamente più difficili o valutate con diversi criteri. Comunque le sentenze vanno lette una ad una. Soltanto nei paesi dittatoriali l’accusa deve avere sempre ragione.
Poi ci sono le prescrizioni, come quella della sentenza Andreotti.
La Corte di appello di Palermo, confermata in Cassazione, scrisse che fino al 1980 l’imputato aveva commesso il reato di associazione a delinquere con Cosa nostra. Molti sostengono che la prescrizione è rinunziabile. Qui il tema della rinuncia non si è mai posto.

Il pentito Spatuzza deporrà proprio nella sua sede, a Torino. Andrà ad assistere all’udienza?
No perché non mi occupo più di queste cose, faccio il procuratore a Torino, non a Palermo.

Fonte:
Il Manifesto
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CENTOCINQUANTA ANNI FA: LA FINE DEI DUCATI (1859-2009)


Sabato 28 Novembre 2009 - Ore 15.30

CENTOCINQUANTA ANNI FA: LA FINE DEI DUCATI (1859-2009)

Parma - Sala Associazioni d'Arma, via Cavour 28

Relatori:
Elena Bianchini Braglia
, Presidente nazionale del Centro Studi sul Risorgimento e sugli Stati Preunitari
Corrado Camizzi, Presidente dell'Istituto per la Storia del Risorgimento di Parma
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Sabato 28 Novembre 2009 - Ore 15.30

CENTOCINQUANTA ANNI FA: LA FINE DEI DUCATI (1859-2009)

Parma - Sala Associazioni d'Arma, via Cavour 28

Relatori:
Elena Bianchini Braglia
, Presidente nazionale del Centro Studi sul Risorgimento e sugli Stati Preunitari
Corrado Camizzi, Presidente dell'Istituto per la Storia del Risorgimento di Parma

Il Real Esercito delle Due Sicilie tra il 1830 ed il 1861




Di Ilario Simonetta


Tra i primi provvedimenti adottati da Ferdinando II salito al trono l’8 novembre 1830 a soli venti anni, ci fu quello della ristrutturazione dell’Esercito che negli ultimi tempi aveva subito un processo involutivo veramente preoccupante. Il giovane Sovrano agì con estrema decisione e severità e non esitò, con un ordine del giorno, a chiedere le dimissioni di un gran numero di ufficiali inetti ed incapaci, richiamando in servizio, reintegrandoli nel grado e nelle funzioni, gran parte di coloro che si erano compromessi nei moti del 1820. Riammise in servizio, destando grande scalpore, anche il Tenente Generale Carlo Filangieri, convinto, a ragione, che solo un Esercito ben addestrato, con soldati disciplinati e motivati avrebbe potuto sostenere con lealtà e fedeltà il Trono e difendere l’autonomia e l’integrità dello Stato.

Alla riforma dell’Esercito Ferdinando si dedicò con vera passione. Visitava ed ispezionava sovente le caserme, si tratteneva affabilmente con i militari dei vari gradi dei quali conosceva tutti i nomi. In breve tempo questi militari impararono a stimare ed amare il loro giovane Sovrano.
Nel giro di 10 anni il rinnovamento dell’Esercito era praticamente concluso, con reparti disciplinati e fedeli alla Corona, ben addestrati, ben armati ed equipaggiati, degni insomma del più grande Stato Indipendente della Penisola, che godeva di grande prestigio in campo Europeo, nonostante i malevoli pareri di tanti storici di parte.
I progressi furono evidenti. È appena il caso di accennare che nel 1842, sorse primo in Italia, l’Opificio Meccanico e Pirotecnico, fu istituito l’Ufficio Telegrafico, nacquero nuovi reparti e specialità, quali il genio idraulico e terrestre, l’artiglieria costiera, i lancieri (specialità della Cavalleria), ed il superbo Corpo dei Cacciatori, i bersaglieri napoletani.


Il reclutamento e l’alimentazione dei Reparti

Il reclutamento obbligatorio fu introdotto nel 1810, sottoposto a revisione nel 1833 ed integrato con ulteriori provvedimenti nel 1837. Si stabilì che i Corpi del Real Esercito si reclutassero mediante la leva, l’arruolamento volontario e il prolungamento del servizio. Tutti i sudditi in età compresa tra i 18 ed i 25 anni erano soggetti all’obbligo del servizio militare, mediante estrazione a sorte nella misura di un prescelto ogni mille. Erano esclusi dalla leva di terra i distretti marittimi e le isole di Ponza e Ischia, destinati a fornire il contingente per la Real Armata di Mare. Per antico privilegio, i sudditi siciliani non erano soggetti agli obblighi di leva. Comunque, circa 12.000 siciliani servivano nell’Esercito in qualità di volontari. La durata del servizio militare era di 10 anni, di cui 5 in servizio attivo ed altri 5 in congedo illimitato nella riserva. Per la Cavalleria, il Genio, l’Artiglieria e la Gendarmeria, la ferma era di 8 anni, tutti di servizio attivo. L’arruolamento volontario e il prolungamento della ferma assorbiva un gran numero di aspiranti, tanto che la richiesta di coscritti era molto ridotta. Infatti, contro un gettito di circa 50.000 reclute, il contingente di leva non era superiore alle 12.000 unità.

La Nunziatella

La formazione degli Ufficiali era affidata al Real Collegio Militare con sede nel monastero dell’Annunziatella a Pizzofalcone. L’Istituto fu fondato nel 1786 da Ferdinando IV ed era orientato essenzialmente alla formazione degli Ufficiali di Artiglieria e del Genio. Gli allievi ammessa in età dai 10 ai 12 anni, per legge dovevano essere figli di Ufficiali Superiori, Capitani inclusi o appartenenti alla nobiltà. Successivamente furono ammessi anche i figli degli Ufficiali subalterni e appartenenti alla borghesia. L’allievo doveva corrispondere una retta annuale di 180 Ducati, pari a circa 1350 €, più 100 Ducati il 1° anno, per il corredo. Il numero di allievi era di 170 effettivi, divisi in quattro compagnie ed inquadrati da Ufficiali, Sottufficiali e da allievi scelti dei corsi superiori. I corsi avevano una durata di 8 anni, al termine dei quali, gli allievi sostenevano un esame di idoneità. Veniva quindi stilata una graduatoria e gli allievi migliori erano assegnati all’Artiglieria e al Genio, mentre gli altri venivano assegnati alle altre Armi. Chi non superava l’esame, transitava nei vari reparti in qualità di Sottufficiale, o veniva congedato. Gli insegnanti, militari e civili, erano di prim’ordine.


La ristrutturazione degli organici.

Con il Real Decreto del 21 giugno 1833, furono apportate importanti modifiche agli organici e, negli anni successivi furono costituiti tre nuovi reggimenti di Fanteria di linea , quali:

– il 13° Lucania, nel 1840;
– il 14° Sannio ed il 15° Messapia, entrambi nell’agosto del 1859.
(lastrina con organico tipo del Rgt. di Fanteria e le denominazioni dei vari reggimenti).
Superbi, nelle loro uniformi erano i reparti di Cavalleria inquadrati in 7 Reggimenti: due di Ussari, due di Lancieri e tre di Dragoni (lastrina con organico del Rgt. di Cavalleria ), più un quarto Reggimento in tempo di guerra.
A livello di eccellenza erano i reparti di Artiglieria e Genio e le loro specialità.
Nell’organico dell’Esercito non va dimenticato il Reggimento Real Marina, antesignano dei moderni Marines e che fu il primo in Italia. Infatti, un reparto omologo verrà creato dall’Esercito Italiano solo nel 1861. Il Reggimento Real Marina fu protagonista nel 1848 di un’operazione anfibia tesa a riconquistare la Sicilia a cominciare da Messina, ove un presidio Borbonico resisteva eroicamente da tempo all’assedio operato dai rivoltosi siciliani. Con un’operazione di sbarco molto ardita, i fanti di mare costituirono una testa di ponte sulle spiagge sotto un intenso fuoco avversario, consentendo alle truppe del Gen. Filangieri di organizzare la riconquista dell’Isola.
Dell’Esercito facevano parte anche 4 Reggimenti Svizzeri, chiamati dai napoletani “Titò”, che dal 1825 presero il posto degli Austriaci. Erano truppe fedelissime e nelle quali Ferdinando II poneva la più completa fiducia. Il trattamento loro riservato era migliore di quello dei soldati napoletani. Erano indubbiamente dei privilegiati, ma costituivano un sicuro e solido puntello. I fatti tragici delle giornate del 1848 a Napoli, in Sicilia, in Calabria, confermarono l’assoluta fedeltà di queste truppe alla Corona. Successivamente, questo feeling si interruppe improvvisamente e sanguinosamente nel 1859, subito dopo la morte di Ferdinando II, in seguito all’ammutinamento del 1°; 2° e 3° Reggimento. La causa scatenante che determinò la rivolta e che causò decine di morti e centinaia di feriti, fu apparentemente causato dai nuovi accordi tra i Cantoni di arruolamento e la Corona Napoletana. Si stabiliva, infatti, che nelle bandiere dei reparti Svizzeri non dovevano più essere apposti gli emblemi dei Cantoni di reclutamento. Ma ai tragici accadimenti non furono estranee le oscure manovre di agenti sabaudi, tendenti a minare le basi dei nuclei più compatti dell’organizzazione militare borbonica. La prova evidente di tali sospetti sta nel fatto che nelle tasche degli svizzeri morti e feriti furono trovate un consistente numero di monete d’oro. La rivolta fu stroncata dall’intervento dei reparti Napoletani e dal 4° Reggimento svizzero estraneo ai fatti. I reparti ammutinatisi furono sciolti e sostituiti con altre unità composte da militari esteri, specie bavaresi, e gli elementi rimasti fedeli provenienti dai disciolti reggimenti elvetici. Furono quindi creati tre Battaglioni di Cacciatori Bersaglieri Esteri, più un quarto di Veterani.


Trattamento economico

Le paghe dei militari napoletani, anche se inferiori a quelle dei loro colleghi svizzeri erano comunque superiori a quelle percepite dai pari grado dell’Armata Sarda. Ad esempio, un Colonnello dell’Esercito Borbonico, percepiva una paga superiore del 7,9% rispetto a quella di un pari grado piemontese. Nel grado di Tenente, lo scarto era del 2%. Le paghe degli Ufficiali, comprensive delle varie indennità erano le seguenti:
- Colonnello: ducati 1524 pari a € 13.830;
- Ten. Col.: ducati 1056 pari a € 9.577;
- Maggiore: ducati 900 pari a € 8.162;
- Capitano: ducati 600 pari a € 5.442;
- Tenente: ducati 372 pari a € 3.380.
Sullo stipendio base gravava una ritenuta del 2% che concorreva a formare il fondo pensioni. I Sottufficiali delle Due Sicilie percepivano uno stipendio superiore del 20% rispetto ai pari grado dell’Armata Sarda. Nel grado di caporale, il divario era del 14%, mentre le paghe dei soldati dei due eserciti si equivalevano. È da notare inoltre, che il valore della moneta era, nelle Due Sicilie , più elevato che nel Piemonte e che il sistema dei prezzi era abbastanza stabile, specie per i generi di più largo consumo. Oggi queste paghe che possono apparire modeste, si rapportavano ad un costo della vita assai contenuto e si possono considerare adeguate al contesto socio-economico del Regno. Sul piano economico quindi, lo status di militare, offriva un tenore di vita soddisfacente e ciò spiega, almeno in parte, l’esistenza di un gran numero di volontari e raffermati.


Aspetti della vita quotidiana.

Il vitto, veniva distribuito una volta al giorno alle 9.30 del mattino. La qualità era buona e le razioni, generose, comprendevano sempre, pasta in brodo e al sugo di carne. La carne (240 grammi) veniva sostituita il venerdì dal baccalà. Il pane era distribuito ogni due giorni in ragione di 650 grammi al giorno. Per il pasto serale i militari dovevano provvedere in proprio. Il rancio veniva consumato in camerata utilizzando appositi tavoli a quattro posti e veniva portato in loco dal personale delle cucine che, dopo mezz’ora, provvedevano a ritirare le stoviglie. Gli Ufficiali e i Sottufficiali consumavano il pasto unico nella giornata presso le rispettive mense. L’eventuale pasto serale era a pagamento. Il vitto degli Ufficiali e dei Sottufficiali era più vario nell’assortimento e, in genere, comprendeva una minestra, due piatti di carne, due di verdure, dessert, pane, formaggio, frutta e vino. Le condizioni igieniche collettive ed individuali venivano controllate con continue ispezioni e controlli tendenti ad accertare il rispetto delle più elementari norme d’igiene imposte dalla vita in collettività. Nei mesi estivi, i soldati dovevano effettuare i cosiddetti bagni di pulizia che, per i più ritrosi e pudici potevano ridursi al solo lavaggio delle estremità inferiori. Ogni giovedì della settimana, venivano controllati il taglio dei capelli, la pulizia del collo, delle orecchie e dei piedi. Tali ispezioni erano ripetute anche durante le marce. Ogni settimana c’era il cambio della biancheria personale. Il militare versava al caporale di servizio gli effetti sporchi da inviare in lavanderia, che venivano restituiti il sabato successivo. Ogni anno erano previste le visite sanitarie generali a cura del 1° Chirurgo del Reggimento che disponeva d’autorità i ricoveri del caso. Ogni mattina, alla sveglia, il caporale di settimana al grido di “Chi è malato?” chiamava coloro che intendevano chiedere visita medica, i quali venivano poi avviati all’infermeria del Reggimento o all’Ospedale.
Nelle caserme le camerate erano spaziose, riscaldate e ispezionate con frequenza. Due piantoni detti “quartiglieri”, designati giornalmente e agli ordini di un caporale di quartiere, provvedevano alla sorveglianza dei locali. I soldati dormivano su un pagliericcio riempito di paglia lunga che veniva cambiata ogni 3 mesi. Il pagliericcio era posto su una lettiera formata da due supporti in ferro che sostenevano tre tavole di legno per il fondo. Erano previste le lenzuola e, dal 15 ottobre al 15 aprile, una coperta di lana. Il posto letto era completato da una mensola di legno detta “cappellinaio”, dove il soldato sistemava gli effetti di equipaggiamento lasciando ben visibile la targhetta riportante il nome e il numero di matricola.
La giornata iniziava alla sveglia che, a seconda della stagione, variava da mezz’ora prima dell’alba, all’alba. Dopo mezz’ora dalla sveglia c’era la visita medica e quindi le varie istruzioni fino alle 09.30, ora di distribuzione del rancio. Alle ore 13 d’inverno e alle 15 d’estate, i militari si recavano in libera uscita per poi rientrare in caserma mezz’ora prima del tramonto. La giornata si chiudeva due ore e mezzo dopo la ritirata con il silenzio.
L’addestramento era meticoloso e quotidiano, tranne il sabato, i giorni festivi ed in quelli particolarmente caldi o freddi, ovvero con pioggia molto forte. Nei mesi estivi, i soldati venivano istruiti anche al nuoto. Due volte alla settimana avevano luogo i “Campi di Brigata” con affardellamento completo.
Il venerdì alle 13, le truppe si recavano al Campo di Marte, dove il Re in persona dopo aver passato in rivista i reparti, assumeva la direzione delle esercitazioni. Al termine, il Re non mancava di premiare i reparti che si erano particolarmente distinti. Non di rado, le truppe stanche e sudate erano trattenute per la recita delle preghiere serali.


Uniformi e armamento

Le riforme apportate da Ferdinando II a partire dal 1830, modificarono l’aspetto del soldato Napoletano. Le nuove uniformi si rifacevano allo stile francese e tale influenza rimase evidente fino alla caduta del Regno. Anche i distintivi di grado che rimasero in vigore fino al 1861, si rifacevano al modello francese. Dal 1841 gli Ufficiali adottarono la goliera in metallo quale distintivo di servizio, in luogo della settecentesca sciarpa bianca e rossa, che rimase in uso solo per i Generali. Sempre in quegli anni venivano fissati i colori per le uniformi e cioè: divisa blu scuro per tutti i corpi ad eccezione dei Cacciatori per i quali era di colore verde e degli svizzeri che indossavano una giacca scarlatta. I pantaloni erano rosso scuro per la gran tenuta della Fanteria della Guardia Reale e di quella di Linea, celeste per gli svizzeri, blu scuro per il Genio e l’Artiglieria ed infine grigi per i Cacciatori. I pantaloni estivi erano per tutti di colore bianco. Le ghette erano di panno nero d’inverno e di tela bianca in estate. L’abito a falde detto “giamberga” era comune a quasi tutti i corpi, era ad un solo petto chiuso da nove bottoni. Le falde per le uniformi della Cavalleria erano, per motivi pratici, molto ridotte. Le uniformi per la Cavalleria non si discostavano molto da quelle francesi, costituite da un abito a due petti con pettorina per i lancieri, mentre gli Ussari della Guardia Reale indossavano un “dolmann” blu chiaro (in napoletano “dolmanda”)con cordelline bianche. I Cacciatori a piedi e i Tiragliatori della Guardia Reale, indossavano un corto giubbetto di panno verde senza falde. I Reggimenti dei Granatieri, Cacciatori e Guardie del Corpo, aggiungevano sulla bottoniera del petto nove “brandeburghi” di lana bianca, che erano gialli per la truppa e di filato d’argento e d’oro per gli Ufficiali.
Per la maggior parte dei reparti, il copricapo adottato era lo shakot in feltro nero con visiera e guarnizioni in cuoio nero, filettature laterali in oro ed argento per gli Ufficiali, rosse per la truppa. Nella parte frontale compariva un fregio in ottone indicante la specialità o il reggimento di appartenenza. Per la Cavalleria erano adottati elmi per i Dragoni, Guardie del Corpo e Carabinieri. I Lancieri usavano la Czapka, mentre gli Ussari e i Cacciatori lo Shakot. Alcuni reparti, in occasione di eventi particolari, usavano con la gran tenuta un colbacco nero di pelo d’orso. In inverno e con il cattivo tempo, veniva indossato un cappotto di panno grigio-azzurrognolo o blu, a seconda dei corpi, mentre per la Cavalleria era di panno bianco con un’ampia mantellina detta “ pellegrina”. Il copricapo, in caso di pioggia era ricoperto da una fodera di tela cerata nera sulla quale era dipinto il fregio dell’unità.


Equipaggiamento

L’equipaggiamento individuale era costituito da uno zaino detto “mucciglia”, dalle buffetterie e da una bandoliera con giberna. Tutto il materiale era in cuoio. Lo zaino conteneva l’insieme dei capi di vestiario e del corredo. Sulla parte superiore trovava posto una fodera con anima circolare per avvolgere il cappotto e altri capi di corredo che non entravano nello zaino. Il tutto era assicurato allo zaino con apposite cinghie passanti in cuoio. Le buffetterie comprendevano una tracolla in cuoio bianco per sostenere al fianco la sciabola o la baionetta, nonché una bandoliera con giberna per la custodia delle cartucce e l’occorrente per la pulizia delle armi. Facevano infine parte dell’equipaggiamento un tascapane in tela e una borraccia di forma lenticolare in vetro soffiato ricoperta di spesso cuoio.

Armamento

Le armi erano prodotte esclusivamente dalle industrie del Regno con materiali provenienti in massima parte dalle miniere di Pazzano e di Stilo in Provincia di Catanzaro e, in minore quantità dall’Isola d’Elba. È il caso di sottolineare, che il ferro calabrese era giudicato il migliore, dopo quello svedese. Il Real Stabilimento di Mongiana, con un’area coperta di circa 16.000 m2 e con una manodopera di 600 unità era la ferriera più importante del Regno. Questo opificio, produceva la quasi totalità del ferro e dell’acciaio che veniva poi lavorato dalle Industrie di Stato. Molti erano gli opifici per la costruzione di armi bianche, da fuoco portatili, di artiglierie, affusti, carriaggi e materiali da ponte. Le armi bianche e quelle da fuoco individuali, tutte di ottima fattura, erano prodotte presso la fabbrica di armi di Torre Annunziata e assemblate presso la Montatura d’Armi di Napoli. In un anno, venivano prodotte 11.000 armi da fuoco e 3.000 armi bianche. Presso l’Arsenale di Napoli si costruivano gli affusti per le artiglierie, carriaggi e materiali da ponte. Per quanto riguarda questi ultimi materiali, notevole era un parco ponti che, con solo 60 barche di un modello particolare, consentiva l’allestimento di un ponte che avrebbe permesso il superamento del fiume Po in qualsiasi punto. Altri arsenali minori erano attivi a Palermo e Messina, mentre a Capua era dislocato un opificio pirotecnico. Presso Castel Nuovo, a Napoli, la Reale Fonderia produceva bocche da fuoco in bronzo. Essa, a partire dal 1835, fu sottoposta a continui ammodernamenti, con la messa in funzione di forni Wilkinson e, nel 1841 furono attivati altri forni e macchinari che consentivano la costruzione di cannoni in ferro. Sempre nel 1841, iniziò l’attività l’Opificio Meccanico di Pietrarsa, per la produzione di materiale per l’Artiglieria e il Genio nonché di rotaie ferroviarie. L’Opificio contava ben 1050 addetti ed una superficie coperta di 34.000 m2. La produzione degli esplosivi avveniva presso la Real Fabbrica di Polveri di Torre Annunziata che vantava una tradizione plurisecolare, essendo nata nel 1652. Dal 1854 venne costituito un nuovo stabilimento a Scafati. Le polveri venivano quindi stoccate nella polveriera centrale di Baia e in quelle di Napoli, Capri, Capua, Gaeta, Palermo, Messina e Siracusa.
Le armi bianche in uso derivavano dal modello 1820; ammodernate a partire dal 1830, restarono invariate sino al 1861. I Generali avevano in dotazione delle scimitarre di stile orientale e di pregevole fattura introdotte nel periodo Murattiano. I reparti a cavallo adottarono le sciabole a lama dritta di derivazione francese, ad eccezione degli Ussari della Guardia del Corpo che mantennero la sciabola modello 1796 inglese. I Lancieri oltre alla lancia, erano armati di una sciabola con lama leggermente curva, mentre le truppe appiedate erano equipaggiate con il tradizionale briquet a lama larga con fornimenti in ottone e fodero in pelle nera. Particolari erano le daghe dei Guastatori con l’impugnatura forgiata a testa di leone e lama a sega, mentre sontuose ed elaboratissime erano le sciabole da parata dei “Tamburi maggiori”. Negli anni ’50, con l’introduzione delle prime carabine che sostituirono in alcuni Corpi i lunghi fucili, furono distribuite le caratteristiche sciabole-baionetta. Le armi da fuoco portatili, subirono un processo di ammodernamento che iniziato nella metà degli anni ’30, durò circa un decennio. Si passò dalle armi con sistema di accensione a pietra focaia, a quelle con accensione a luminello con capsule a fulminante. La trasformazione interessò anche la rigatura delle canne, a tutto vantaggio della gittata e della precisione del tiro (lastrina con fucili). Alcuni Corpi, come la Cavalleria, continuarono ad avere carabine a pietra focaia, forse in considerazione della scarsa possibilità di utilizzo delle armi da fuoco in battaglia. Molti reparti a cavallo, erano armate con una coppia di pistole da cavalleria.
Per quanto attiene alle artiglierie, a partire dal 1835, sotto l’impulso del Gen. Filangieri, Direttore dei Corpi Facoltativi, l’Esercito Borbonico dette inizio ad un vasto programma di rinnovamento dei materiali di Artiglieria. Furono effettuati studi sul sistema Francese del 1827 e su quello Piemontese del 1830. La riforma Napoletana optò per un sistema simile a quello francese, ma con profonde modifiche e innovazioni razionali dovute al Ten. Col. Landi, allora Direttore dell’Arsenale di Napoli.
A seconda dell’impiego le Artiglierie erano suddivise in:
- Artiglieria da Campagna, con Batterie da posizione e da battaglia;
- Artiglieria da Montagna. Questo tipo di Artiglieria armò anche le batterie per le Operazioni anfibie;
- Artiglierie da assedio o da Piazza. Era dotata di cannoni da 12 libbre (122 mm) lunghi.
- Artiglieria per la difesa da Costa. Impiegava cannoni da 12 libbre e obici da 80 e 30 libbre per il lancio di granate.
Anche nell’Artiglieria Napoletana furono attivati studi per il perfezionamento delle bocche da fuoco, nonché per l’applicazione della rigatura. Nel 1859/’60, nell’Arsenale di Napoli, si costruirono cannoni rigati in bronzo utilizzando macchinari ideati dal Colonnello Afan De Rivera. Artiglierie di questo tipo vennero impiegate nella difesa della Piazzaforte di Gaeta e, dopo la caduta del Regno, alcune di esse furono cedute allo Stato Pontificio.


Conclusioni

Il Real Esercito delle Due Sicilie fu un organismo militare che non ebbe nulla da invidiare a tanti altri. Come altri, visse eventi ora propizi, ora contrari, nelle alte sfere ebbe ottimi Generali, ma anche personaggi mediocri sia sul piano professionale che su quello della dignità personale. Cito per tutti il caso clamoroso del Generale Pianell, Ministro della Guerra di Re Francesco II, che all’avvicinarsi delle bande garibaldine, il 2 settembre 1860, rassegnò le dimissioni nelle mani del giovane Sovrano, mostrandosi qualche tempo dopo disinvoltamente per le strade di Napoli con l’uniforme ed i gradi di Generale di Divisione del neo costituito Esercito Italiano. Per contro, l’Esercito Napoletano annoverò moltissimi eccellenti Ufficiali, specie nei gradi intermedi e bassi che alla caduta del Regno, fedeli al giuramento prestato al loro Re, rifiutarono il passaggio nell’Esercito Italiano nel quale potevano mantenere l’anzianità di grado e la paga acquisiti e si avviarono verso un futuro di dura prigionia e di stenti indicibili. Lo stesso discorso vale per i Sottufficiali e la truppa che, guidati da capi valenti e coraggiosi, diedero sempre prova di fedeltà, disciplina ed eroismo, seguendo il loro giovane Re negli epici 102 giorni di Gaeta e resistendo ad oltranza nelle fortezze di Messina e Civitella del Tronto. La storia recente, ci ha insegnato che qualche altra monarchia, di fronte ad eventi altrettanto tragici che hanno segnato la nostra Nazione, non ha saputo dimostrare la stessa dignità ed eroismo dell’ultimo Re delle Due Sicilie. L’Italia ufficiale, dopo 148 anni da quegli avvenimenti, disconosce ancora ed ignora le molte gloriose imprese dell’Esercito Napoletano, per esaltare solo quelle dell’antagonista. Il suo dramma è stato trasformato in farsa avente per titolo “l’Esercito di Franceschiello” e le battute e le innumerevoli derisorie barzellette sono tuttora circolanti. Gli eroi del Volturno, di Chiazzo, di Gaeta, di Messina, di Civitella del Tronto, i martiri di Fenestrelle, di San Maurizio Canavese e di tanti altri lager dei Savoia, chiedono dopo quasi un secolo e mezzo, rispetto e giustizia. Li chiedono all’Italia tutta, ma in modo particolare a noi, figli del Sud .

Fonte:Associazione Due Sicilie Troja

SegnalazioneASDS

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Di Ilario Simonetta


Tra i primi provvedimenti adottati da Ferdinando II salito al trono l’8 novembre 1830 a soli venti anni, ci fu quello della ristrutturazione dell’Esercito che negli ultimi tempi aveva subito un processo involutivo veramente preoccupante. Il giovane Sovrano agì con estrema decisione e severità e non esitò, con un ordine del giorno, a chiedere le dimissioni di un gran numero di ufficiali inetti ed incapaci, richiamando in servizio, reintegrandoli nel grado e nelle funzioni, gran parte di coloro che si erano compromessi nei moti del 1820. Riammise in servizio, destando grande scalpore, anche il Tenente Generale Carlo Filangieri, convinto, a ragione, che solo un Esercito ben addestrato, con soldati disciplinati e motivati avrebbe potuto sostenere con lealtà e fedeltà il Trono e difendere l’autonomia e l’integrità dello Stato.

Alla riforma dell’Esercito Ferdinando si dedicò con vera passione. Visitava ed ispezionava sovente le caserme, si tratteneva affabilmente con i militari dei vari gradi dei quali conosceva tutti i nomi. In breve tempo questi militari impararono a stimare ed amare il loro giovane Sovrano.
Nel giro di 10 anni il rinnovamento dell’Esercito era praticamente concluso, con reparti disciplinati e fedeli alla Corona, ben addestrati, ben armati ed equipaggiati, degni insomma del più grande Stato Indipendente della Penisola, che godeva di grande prestigio in campo Europeo, nonostante i malevoli pareri di tanti storici di parte.
I progressi furono evidenti. È appena il caso di accennare che nel 1842, sorse primo in Italia, l’Opificio Meccanico e Pirotecnico, fu istituito l’Ufficio Telegrafico, nacquero nuovi reparti e specialità, quali il genio idraulico e terrestre, l’artiglieria costiera, i lancieri (specialità della Cavalleria), ed il superbo Corpo dei Cacciatori, i bersaglieri napoletani.


Il reclutamento e l’alimentazione dei Reparti

Il reclutamento obbligatorio fu introdotto nel 1810, sottoposto a revisione nel 1833 ed integrato con ulteriori provvedimenti nel 1837. Si stabilì che i Corpi del Real Esercito si reclutassero mediante la leva, l’arruolamento volontario e il prolungamento del servizio. Tutti i sudditi in età compresa tra i 18 ed i 25 anni erano soggetti all’obbligo del servizio militare, mediante estrazione a sorte nella misura di un prescelto ogni mille. Erano esclusi dalla leva di terra i distretti marittimi e le isole di Ponza e Ischia, destinati a fornire il contingente per la Real Armata di Mare. Per antico privilegio, i sudditi siciliani non erano soggetti agli obblighi di leva. Comunque, circa 12.000 siciliani servivano nell’Esercito in qualità di volontari. La durata del servizio militare era di 10 anni, di cui 5 in servizio attivo ed altri 5 in congedo illimitato nella riserva. Per la Cavalleria, il Genio, l’Artiglieria e la Gendarmeria, la ferma era di 8 anni, tutti di servizio attivo. L’arruolamento volontario e il prolungamento della ferma assorbiva un gran numero di aspiranti, tanto che la richiesta di coscritti era molto ridotta. Infatti, contro un gettito di circa 50.000 reclute, il contingente di leva non era superiore alle 12.000 unità.

La Nunziatella

La formazione degli Ufficiali era affidata al Real Collegio Militare con sede nel monastero dell’Annunziatella a Pizzofalcone. L’Istituto fu fondato nel 1786 da Ferdinando IV ed era orientato essenzialmente alla formazione degli Ufficiali di Artiglieria e del Genio. Gli allievi ammessa in età dai 10 ai 12 anni, per legge dovevano essere figli di Ufficiali Superiori, Capitani inclusi o appartenenti alla nobiltà. Successivamente furono ammessi anche i figli degli Ufficiali subalterni e appartenenti alla borghesia. L’allievo doveva corrispondere una retta annuale di 180 Ducati, pari a circa 1350 €, più 100 Ducati il 1° anno, per il corredo. Il numero di allievi era di 170 effettivi, divisi in quattro compagnie ed inquadrati da Ufficiali, Sottufficiali e da allievi scelti dei corsi superiori. I corsi avevano una durata di 8 anni, al termine dei quali, gli allievi sostenevano un esame di idoneità. Veniva quindi stilata una graduatoria e gli allievi migliori erano assegnati all’Artiglieria e al Genio, mentre gli altri venivano assegnati alle altre Armi. Chi non superava l’esame, transitava nei vari reparti in qualità di Sottufficiale, o veniva congedato. Gli insegnanti, militari e civili, erano di prim’ordine.


La ristrutturazione degli organici.

Con il Real Decreto del 21 giugno 1833, furono apportate importanti modifiche agli organici e, negli anni successivi furono costituiti tre nuovi reggimenti di Fanteria di linea , quali:

– il 13° Lucania, nel 1840;
– il 14° Sannio ed il 15° Messapia, entrambi nell’agosto del 1859.
(lastrina con organico tipo del Rgt. di Fanteria e le denominazioni dei vari reggimenti).
Superbi, nelle loro uniformi erano i reparti di Cavalleria inquadrati in 7 Reggimenti: due di Ussari, due di Lancieri e tre di Dragoni (lastrina con organico del Rgt. di Cavalleria ), più un quarto Reggimento in tempo di guerra.
A livello di eccellenza erano i reparti di Artiglieria e Genio e le loro specialità.
Nell’organico dell’Esercito non va dimenticato il Reggimento Real Marina, antesignano dei moderni Marines e che fu il primo in Italia. Infatti, un reparto omologo verrà creato dall’Esercito Italiano solo nel 1861. Il Reggimento Real Marina fu protagonista nel 1848 di un’operazione anfibia tesa a riconquistare la Sicilia a cominciare da Messina, ove un presidio Borbonico resisteva eroicamente da tempo all’assedio operato dai rivoltosi siciliani. Con un’operazione di sbarco molto ardita, i fanti di mare costituirono una testa di ponte sulle spiagge sotto un intenso fuoco avversario, consentendo alle truppe del Gen. Filangieri di organizzare la riconquista dell’Isola.
Dell’Esercito facevano parte anche 4 Reggimenti Svizzeri, chiamati dai napoletani “Titò”, che dal 1825 presero il posto degli Austriaci. Erano truppe fedelissime e nelle quali Ferdinando II poneva la più completa fiducia. Il trattamento loro riservato era migliore di quello dei soldati napoletani. Erano indubbiamente dei privilegiati, ma costituivano un sicuro e solido puntello. I fatti tragici delle giornate del 1848 a Napoli, in Sicilia, in Calabria, confermarono l’assoluta fedeltà di queste truppe alla Corona. Successivamente, questo feeling si interruppe improvvisamente e sanguinosamente nel 1859, subito dopo la morte di Ferdinando II, in seguito all’ammutinamento del 1°; 2° e 3° Reggimento. La causa scatenante che determinò la rivolta e che causò decine di morti e centinaia di feriti, fu apparentemente causato dai nuovi accordi tra i Cantoni di arruolamento e la Corona Napoletana. Si stabiliva, infatti, che nelle bandiere dei reparti Svizzeri non dovevano più essere apposti gli emblemi dei Cantoni di reclutamento. Ma ai tragici accadimenti non furono estranee le oscure manovre di agenti sabaudi, tendenti a minare le basi dei nuclei più compatti dell’organizzazione militare borbonica. La prova evidente di tali sospetti sta nel fatto che nelle tasche degli svizzeri morti e feriti furono trovate un consistente numero di monete d’oro. La rivolta fu stroncata dall’intervento dei reparti Napoletani e dal 4° Reggimento svizzero estraneo ai fatti. I reparti ammutinatisi furono sciolti e sostituiti con altre unità composte da militari esteri, specie bavaresi, e gli elementi rimasti fedeli provenienti dai disciolti reggimenti elvetici. Furono quindi creati tre Battaglioni di Cacciatori Bersaglieri Esteri, più un quarto di Veterani.


Trattamento economico

Le paghe dei militari napoletani, anche se inferiori a quelle dei loro colleghi svizzeri erano comunque superiori a quelle percepite dai pari grado dell’Armata Sarda. Ad esempio, un Colonnello dell’Esercito Borbonico, percepiva una paga superiore del 7,9% rispetto a quella di un pari grado piemontese. Nel grado di Tenente, lo scarto era del 2%. Le paghe degli Ufficiali, comprensive delle varie indennità erano le seguenti:
- Colonnello: ducati 1524 pari a € 13.830;
- Ten. Col.: ducati 1056 pari a € 9.577;
- Maggiore: ducati 900 pari a € 8.162;
- Capitano: ducati 600 pari a € 5.442;
- Tenente: ducati 372 pari a € 3.380.
Sullo stipendio base gravava una ritenuta del 2% che concorreva a formare il fondo pensioni. I Sottufficiali delle Due Sicilie percepivano uno stipendio superiore del 20% rispetto ai pari grado dell’Armata Sarda. Nel grado di caporale, il divario era del 14%, mentre le paghe dei soldati dei due eserciti si equivalevano. È da notare inoltre, che il valore della moneta era, nelle Due Sicilie , più elevato che nel Piemonte e che il sistema dei prezzi era abbastanza stabile, specie per i generi di più largo consumo. Oggi queste paghe che possono apparire modeste, si rapportavano ad un costo della vita assai contenuto e si possono considerare adeguate al contesto socio-economico del Regno. Sul piano economico quindi, lo status di militare, offriva un tenore di vita soddisfacente e ciò spiega, almeno in parte, l’esistenza di un gran numero di volontari e raffermati.


Aspetti della vita quotidiana.

Il vitto, veniva distribuito una volta al giorno alle 9.30 del mattino. La qualità era buona e le razioni, generose, comprendevano sempre, pasta in brodo e al sugo di carne. La carne (240 grammi) veniva sostituita il venerdì dal baccalà. Il pane era distribuito ogni due giorni in ragione di 650 grammi al giorno. Per il pasto serale i militari dovevano provvedere in proprio. Il rancio veniva consumato in camerata utilizzando appositi tavoli a quattro posti e veniva portato in loco dal personale delle cucine che, dopo mezz’ora, provvedevano a ritirare le stoviglie. Gli Ufficiali e i Sottufficiali consumavano il pasto unico nella giornata presso le rispettive mense. L’eventuale pasto serale era a pagamento. Il vitto degli Ufficiali e dei Sottufficiali era più vario nell’assortimento e, in genere, comprendeva una minestra, due piatti di carne, due di verdure, dessert, pane, formaggio, frutta e vino. Le condizioni igieniche collettive ed individuali venivano controllate con continue ispezioni e controlli tendenti ad accertare il rispetto delle più elementari norme d’igiene imposte dalla vita in collettività. Nei mesi estivi, i soldati dovevano effettuare i cosiddetti bagni di pulizia che, per i più ritrosi e pudici potevano ridursi al solo lavaggio delle estremità inferiori. Ogni giovedì della settimana, venivano controllati il taglio dei capelli, la pulizia del collo, delle orecchie e dei piedi. Tali ispezioni erano ripetute anche durante le marce. Ogni settimana c’era il cambio della biancheria personale. Il militare versava al caporale di servizio gli effetti sporchi da inviare in lavanderia, che venivano restituiti il sabato successivo. Ogni anno erano previste le visite sanitarie generali a cura del 1° Chirurgo del Reggimento che disponeva d’autorità i ricoveri del caso. Ogni mattina, alla sveglia, il caporale di settimana al grido di “Chi è malato?” chiamava coloro che intendevano chiedere visita medica, i quali venivano poi avviati all’infermeria del Reggimento o all’Ospedale.
Nelle caserme le camerate erano spaziose, riscaldate e ispezionate con frequenza. Due piantoni detti “quartiglieri”, designati giornalmente e agli ordini di un caporale di quartiere, provvedevano alla sorveglianza dei locali. I soldati dormivano su un pagliericcio riempito di paglia lunga che veniva cambiata ogni 3 mesi. Il pagliericcio era posto su una lettiera formata da due supporti in ferro che sostenevano tre tavole di legno per il fondo. Erano previste le lenzuola e, dal 15 ottobre al 15 aprile, una coperta di lana. Il posto letto era completato da una mensola di legno detta “cappellinaio”, dove il soldato sistemava gli effetti di equipaggiamento lasciando ben visibile la targhetta riportante il nome e il numero di matricola.
La giornata iniziava alla sveglia che, a seconda della stagione, variava da mezz’ora prima dell’alba, all’alba. Dopo mezz’ora dalla sveglia c’era la visita medica e quindi le varie istruzioni fino alle 09.30, ora di distribuzione del rancio. Alle ore 13 d’inverno e alle 15 d’estate, i militari si recavano in libera uscita per poi rientrare in caserma mezz’ora prima del tramonto. La giornata si chiudeva due ore e mezzo dopo la ritirata con il silenzio.
L’addestramento era meticoloso e quotidiano, tranne il sabato, i giorni festivi ed in quelli particolarmente caldi o freddi, ovvero con pioggia molto forte. Nei mesi estivi, i soldati venivano istruiti anche al nuoto. Due volte alla settimana avevano luogo i “Campi di Brigata” con affardellamento completo.
Il venerdì alle 13, le truppe si recavano al Campo di Marte, dove il Re in persona dopo aver passato in rivista i reparti, assumeva la direzione delle esercitazioni. Al termine, il Re non mancava di premiare i reparti che si erano particolarmente distinti. Non di rado, le truppe stanche e sudate erano trattenute per la recita delle preghiere serali.


Uniformi e armamento

Le riforme apportate da Ferdinando II a partire dal 1830, modificarono l’aspetto del soldato Napoletano. Le nuove uniformi si rifacevano allo stile francese e tale influenza rimase evidente fino alla caduta del Regno. Anche i distintivi di grado che rimasero in vigore fino al 1861, si rifacevano al modello francese. Dal 1841 gli Ufficiali adottarono la goliera in metallo quale distintivo di servizio, in luogo della settecentesca sciarpa bianca e rossa, che rimase in uso solo per i Generali. Sempre in quegli anni venivano fissati i colori per le uniformi e cioè: divisa blu scuro per tutti i corpi ad eccezione dei Cacciatori per i quali era di colore verde e degli svizzeri che indossavano una giacca scarlatta. I pantaloni erano rosso scuro per la gran tenuta della Fanteria della Guardia Reale e di quella di Linea, celeste per gli svizzeri, blu scuro per il Genio e l’Artiglieria ed infine grigi per i Cacciatori. I pantaloni estivi erano per tutti di colore bianco. Le ghette erano di panno nero d’inverno e di tela bianca in estate. L’abito a falde detto “giamberga” era comune a quasi tutti i corpi, era ad un solo petto chiuso da nove bottoni. Le falde per le uniformi della Cavalleria erano, per motivi pratici, molto ridotte. Le uniformi per la Cavalleria non si discostavano molto da quelle francesi, costituite da un abito a due petti con pettorina per i lancieri, mentre gli Ussari della Guardia Reale indossavano un “dolmann” blu chiaro (in napoletano “dolmanda”)con cordelline bianche. I Cacciatori a piedi e i Tiragliatori della Guardia Reale, indossavano un corto giubbetto di panno verde senza falde. I Reggimenti dei Granatieri, Cacciatori e Guardie del Corpo, aggiungevano sulla bottoniera del petto nove “brandeburghi” di lana bianca, che erano gialli per la truppa e di filato d’argento e d’oro per gli Ufficiali.
Per la maggior parte dei reparti, il copricapo adottato era lo shakot in feltro nero con visiera e guarnizioni in cuoio nero, filettature laterali in oro ed argento per gli Ufficiali, rosse per la truppa. Nella parte frontale compariva un fregio in ottone indicante la specialità o il reggimento di appartenenza. Per la Cavalleria erano adottati elmi per i Dragoni, Guardie del Corpo e Carabinieri. I Lancieri usavano la Czapka, mentre gli Ussari e i Cacciatori lo Shakot. Alcuni reparti, in occasione di eventi particolari, usavano con la gran tenuta un colbacco nero di pelo d’orso. In inverno e con il cattivo tempo, veniva indossato un cappotto di panno grigio-azzurrognolo o blu, a seconda dei corpi, mentre per la Cavalleria era di panno bianco con un’ampia mantellina detta “ pellegrina”. Il copricapo, in caso di pioggia era ricoperto da una fodera di tela cerata nera sulla quale era dipinto il fregio dell’unità.


Equipaggiamento

L’equipaggiamento individuale era costituito da uno zaino detto “mucciglia”, dalle buffetterie e da una bandoliera con giberna. Tutto il materiale era in cuoio. Lo zaino conteneva l’insieme dei capi di vestiario e del corredo. Sulla parte superiore trovava posto una fodera con anima circolare per avvolgere il cappotto e altri capi di corredo che non entravano nello zaino. Il tutto era assicurato allo zaino con apposite cinghie passanti in cuoio. Le buffetterie comprendevano una tracolla in cuoio bianco per sostenere al fianco la sciabola o la baionetta, nonché una bandoliera con giberna per la custodia delle cartucce e l’occorrente per la pulizia delle armi. Facevano infine parte dell’equipaggiamento un tascapane in tela e una borraccia di forma lenticolare in vetro soffiato ricoperta di spesso cuoio.

Armamento

Le armi erano prodotte esclusivamente dalle industrie del Regno con materiali provenienti in massima parte dalle miniere di Pazzano e di Stilo in Provincia di Catanzaro e, in minore quantità dall’Isola d’Elba. È il caso di sottolineare, che il ferro calabrese era giudicato il migliore, dopo quello svedese. Il Real Stabilimento di Mongiana, con un’area coperta di circa 16.000 m2 e con una manodopera di 600 unità era la ferriera più importante del Regno. Questo opificio, produceva la quasi totalità del ferro e dell’acciaio che veniva poi lavorato dalle Industrie di Stato. Molti erano gli opifici per la costruzione di armi bianche, da fuoco portatili, di artiglierie, affusti, carriaggi e materiali da ponte. Le armi bianche e quelle da fuoco individuali, tutte di ottima fattura, erano prodotte presso la fabbrica di armi di Torre Annunziata e assemblate presso la Montatura d’Armi di Napoli. In un anno, venivano prodotte 11.000 armi da fuoco e 3.000 armi bianche. Presso l’Arsenale di Napoli si costruivano gli affusti per le artiglierie, carriaggi e materiali da ponte. Per quanto riguarda questi ultimi materiali, notevole era un parco ponti che, con solo 60 barche di un modello particolare, consentiva l’allestimento di un ponte che avrebbe permesso il superamento del fiume Po in qualsiasi punto. Altri arsenali minori erano attivi a Palermo e Messina, mentre a Capua era dislocato un opificio pirotecnico. Presso Castel Nuovo, a Napoli, la Reale Fonderia produceva bocche da fuoco in bronzo. Essa, a partire dal 1835, fu sottoposta a continui ammodernamenti, con la messa in funzione di forni Wilkinson e, nel 1841 furono attivati altri forni e macchinari che consentivano la costruzione di cannoni in ferro. Sempre nel 1841, iniziò l’attività l’Opificio Meccanico di Pietrarsa, per la produzione di materiale per l’Artiglieria e il Genio nonché di rotaie ferroviarie. L’Opificio contava ben 1050 addetti ed una superficie coperta di 34.000 m2. La produzione degli esplosivi avveniva presso la Real Fabbrica di Polveri di Torre Annunziata che vantava una tradizione plurisecolare, essendo nata nel 1652. Dal 1854 venne costituito un nuovo stabilimento a Scafati. Le polveri venivano quindi stoccate nella polveriera centrale di Baia e in quelle di Napoli, Capri, Capua, Gaeta, Palermo, Messina e Siracusa.
Le armi bianche in uso derivavano dal modello 1820; ammodernate a partire dal 1830, restarono invariate sino al 1861. I Generali avevano in dotazione delle scimitarre di stile orientale e di pregevole fattura introdotte nel periodo Murattiano. I reparti a cavallo adottarono le sciabole a lama dritta di derivazione francese, ad eccezione degli Ussari della Guardia del Corpo che mantennero la sciabola modello 1796 inglese. I Lancieri oltre alla lancia, erano armati di una sciabola con lama leggermente curva, mentre le truppe appiedate erano equipaggiate con il tradizionale briquet a lama larga con fornimenti in ottone e fodero in pelle nera. Particolari erano le daghe dei Guastatori con l’impugnatura forgiata a testa di leone e lama a sega, mentre sontuose ed elaboratissime erano le sciabole da parata dei “Tamburi maggiori”. Negli anni ’50, con l’introduzione delle prime carabine che sostituirono in alcuni Corpi i lunghi fucili, furono distribuite le caratteristiche sciabole-baionetta. Le armi da fuoco portatili, subirono un processo di ammodernamento che iniziato nella metà degli anni ’30, durò circa un decennio. Si passò dalle armi con sistema di accensione a pietra focaia, a quelle con accensione a luminello con capsule a fulminante. La trasformazione interessò anche la rigatura delle canne, a tutto vantaggio della gittata e della precisione del tiro (lastrina con fucili). Alcuni Corpi, come la Cavalleria, continuarono ad avere carabine a pietra focaia, forse in considerazione della scarsa possibilità di utilizzo delle armi da fuoco in battaglia. Molti reparti a cavallo, erano armate con una coppia di pistole da cavalleria.
Per quanto attiene alle artiglierie, a partire dal 1835, sotto l’impulso del Gen. Filangieri, Direttore dei Corpi Facoltativi, l’Esercito Borbonico dette inizio ad un vasto programma di rinnovamento dei materiali di Artiglieria. Furono effettuati studi sul sistema Francese del 1827 e su quello Piemontese del 1830. La riforma Napoletana optò per un sistema simile a quello francese, ma con profonde modifiche e innovazioni razionali dovute al Ten. Col. Landi, allora Direttore dell’Arsenale di Napoli.
A seconda dell’impiego le Artiglierie erano suddivise in:
- Artiglieria da Campagna, con Batterie da posizione e da battaglia;
- Artiglieria da Montagna. Questo tipo di Artiglieria armò anche le batterie per le Operazioni anfibie;
- Artiglierie da assedio o da Piazza. Era dotata di cannoni da 12 libbre (122 mm) lunghi.
- Artiglieria per la difesa da Costa. Impiegava cannoni da 12 libbre e obici da 80 e 30 libbre per il lancio di granate.
Anche nell’Artiglieria Napoletana furono attivati studi per il perfezionamento delle bocche da fuoco, nonché per l’applicazione della rigatura. Nel 1859/’60, nell’Arsenale di Napoli, si costruirono cannoni rigati in bronzo utilizzando macchinari ideati dal Colonnello Afan De Rivera. Artiglierie di questo tipo vennero impiegate nella difesa della Piazzaforte di Gaeta e, dopo la caduta del Regno, alcune di esse furono cedute allo Stato Pontificio.


Conclusioni

Il Real Esercito delle Due Sicilie fu un organismo militare che non ebbe nulla da invidiare a tanti altri. Come altri, visse eventi ora propizi, ora contrari, nelle alte sfere ebbe ottimi Generali, ma anche personaggi mediocri sia sul piano professionale che su quello della dignità personale. Cito per tutti il caso clamoroso del Generale Pianell, Ministro della Guerra di Re Francesco II, che all’avvicinarsi delle bande garibaldine, il 2 settembre 1860, rassegnò le dimissioni nelle mani del giovane Sovrano, mostrandosi qualche tempo dopo disinvoltamente per le strade di Napoli con l’uniforme ed i gradi di Generale di Divisione del neo costituito Esercito Italiano. Per contro, l’Esercito Napoletano annoverò moltissimi eccellenti Ufficiali, specie nei gradi intermedi e bassi che alla caduta del Regno, fedeli al giuramento prestato al loro Re, rifiutarono il passaggio nell’Esercito Italiano nel quale potevano mantenere l’anzianità di grado e la paga acquisiti e si avviarono verso un futuro di dura prigionia e di stenti indicibili. Lo stesso discorso vale per i Sottufficiali e la truppa che, guidati da capi valenti e coraggiosi, diedero sempre prova di fedeltà, disciplina ed eroismo, seguendo il loro giovane Re negli epici 102 giorni di Gaeta e resistendo ad oltranza nelle fortezze di Messina e Civitella del Tronto. La storia recente, ci ha insegnato che qualche altra monarchia, di fronte ad eventi altrettanto tragici che hanno segnato la nostra Nazione, non ha saputo dimostrare la stessa dignità ed eroismo dell’ultimo Re delle Due Sicilie. L’Italia ufficiale, dopo 148 anni da quegli avvenimenti, disconosce ancora ed ignora le molte gloriose imprese dell’Esercito Napoletano, per esaltare solo quelle dell’antagonista. Il suo dramma è stato trasformato in farsa avente per titolo “l’Esercito di Franceschiello” e le battute e le innumerevoli derisorie barzellette sono tuttora circolanti. Gli eroi del Volturno, di Chiazzo, di Gaeta, di Messina, di Civitella del Tronto, i martiri di Fenestrelle, di San Maurizio Canavese e di tanti altri lager dei Savoia, chiedono dopo quasi un secolo e mezzo, rispetto e giustizia. Li chiedono all’Italia tutta, ma in modo particolare a noi, figli del Sud .

Fonte:Associazione Due Sicilie Troja

SegnalazioneASDS

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