sabato 8 maggio 2010

Ferro e fuoco al Sud. E chiamalo federalismo


di Lino Patruno

I ministri Calderoli e Bossi dicono che la Lega Nord non parteciperà alle feste per i 150 anni dell’Unità d’Italia, e noi tutti a scandalizzarci. Ma più ci scandalizziamo, più facciamo il loro gioco. Perché essi pensano a gasare i loro, mica al resto d’Italia. E proprio mentre il presidente Napolitano va a Quarto da dove il 5 maggio 1860 i Mille di Garibaldi partirono verso la Sicilia. E mentre un altro leghista doc, il neopresidente del Veneto, Zaia, approfitta della crisi greca per farci il suo supplemento di lezione: «gli operai tedeschi pagheranno la pensione di quelli greci. Così come veneti, lombardi ed emiliani lavorano di più, e da sempre, per sostenere la spesa pubblica delle regioni meridionali».
Sfugge al baldo Zaia che alla Grecia si presteranno anche soldi italiani, compresi quindi, vedi vedi, soldi meridionali. E gli sfugge che non è che veneti, lombardi ed emiliani lavorino di più, è che loro il lavoro ce l’hanno e i meridionali meno. E quanto a Calderoli, è un saggio Grande Vecchio come Andreotti a dirgli di non spararle grosse perché, se riguardiamo la storia, il Sud ha contribuito a fare l’Italia con i suoi morti nelle guerre, molti di più di quelli settentrionali.
È vero, perché si mandano sempre i poveri a morire. Ma il Sud, senatore, vi ha contribuito anche con la sua immane emigrazione, quando in venti milioni si tolsero dalle scatole consentendo al resto del Paese, anzitutto il Nord, di vivere meglio. E il Sud vi ha contribuito con la rapina che subì dopo l’unificazione. Oltre che con i calli alle mani.
Non ci saremmo aspettati che ad ammetterlo fosse un altro leghista da tv, Tosi, il sindaco che governa bene Verona. Il quale ha detto che l’unità d’Italia è «comunque un fatto positivo» (applausi). Aggiungendo che è stata però gestita al peggio: è certo che il Banco di Napoli, «la banca più ricca d’Europa, sia stata depredata dai Savoia». Ed è certo che in una «terra ricca di cultura e storia come la Sicilia il sentimento identitario sia stato comprato pur di soggiogarla a un’Italia centralista». Insomma, «non sono state rispettate le autonomie», danno cui si può oggi rimediare con un «federalismo vero». Riecco il leghista.
Bisognerebbe suggerire al buon Tosi che federalista era il loro amato Cattaneo, del quale si sono appropriati ignorando che pensava a un federalismo che oggi si potrebbe dire «solidale». E suggerirgli che furono politici e intellettuali meridionali nel 1861 a porre inutilmente il problema di politiche diverse per un Sud che non era affatto più povero ma appunto diverso dal Nord. Poi Tosi però tira fuori il suo «spirito animale» (che non è un insulto) dicendo che per imporre una buona gestione a regioni «amiche» come Campania, Calabria e Sicilia il governo Berlusconi potrebbe mandarvi dei commissari con poteri straordinari. Del tipo dei «mille uomini di ferro» dei quali parla in un recente libro il ministro Brunetta. Magari anche con un nuovo generale Cialdini che semini un po’ di ferro e fuoco e impicchi qualche brigante.
È vero che il Sud ha colpe innegabili. E che qualche fucilazione simbolica non sarebbe male per chi non fa altro che bussare a denari per distribuirli ad amici e clienti invece che per lo sviluppo. Ma è anche vero che sul pregiudizio non si può fondare una pacificazione. Della quale ha bisogno un’Italia spaccata in tutto. E anche nell’interesse del Nord impegnato ad arricchirsi proprio sul divario col Sud.
Anche un intellettuale di sinistra come il professor Pasquino ha parlato in una recente trasmissione di Sud cattivo e di Nord buono. E meno male che in questi stessi giorni sul giornale degli industriali, di sicuro non meridionalista, uno storico genovese dell’università di Torino, Sergio Luzzatto, ha scritto che dietro la guerra al brigantaggio ci fu una «vera, terribile, spietata guerra civile» al Sud.
Ma c’è dell’altro. E più grave. Emerge dal provvido reincontro col libro di una accreditata storica barese, Enrica Di Ciommo («I confini dell’identità. Teorie e modelli di nazione in Italia», Laterza ed.). Riguarda la cosiddetta «frattura di civiltà», come è stata costruita una egemonia del Nord sul Sud. Egemonia, che come tutte le egemonie, si basa solo relativamente su fatti reali. E che risale addirittura al ‘700, se non prima, quando in Europa la modernità era spacciata come settentrionale e l’arretratezza come meridionale.
Il pregiudizio fu poi fomentato e avallato dai giovani esuli meridionali che, seguendo il loro sentimento nazionale e patriottico, ripararono in Piemonte. E che trasmisero un’immagine di barbarie del loro Sud. Anche questo contribuì a giustificare quella brutale voglia di «influenza e dominio» sul Sud che portò a vere e proprie «pratiche di tipo coloniale» e alla pulizia etnica degli occupanti. L’autodenigrazione non è mai cessata, col Sud che ha sempre continuato a farsi del male anche così.

Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno
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di Lino Patruno

I ministri Calderoli e Bossi dicono che la Lega Nord non parteciperà alle feste per i 150 anni dell’Unità d’Italia, e noi tutti a scandalizzarci. Ma più ci scandalizziamo, più facciamo il loro gioco. Perché essi pensano a gasare i loro, mica al resto d’Italia. E proprio mentre il presidente Napolitano va a Quarto da dove il 5 maggio 1860 i Mille di Garibaldi partirono verso la Sicilia. E mentre un altro leghista doc, il neopresidente del Veneto, Zaia, approfitta della crisi greca per farci il suo supplemento di lezione: «gli operai tedeschi pagheranno la pensione di quelli greci. Così come veneti, lombardi ed emiliani lavorano di più, e da sempre, per sostenere la spesa pubblica delle regioni meridionali».
Sfugge al baldo Zaia che alla Grecia si presteranno anche soldi italiani, compresi quindi, vedi vedi, soldi meridionali. E gli sfugge che non è che veneti, lombardi ed emiliani lavorino di più, è che loro il lavoro ce l’hanno e i meridionali meno. E quanto a Calderoli, è un saggio Grande Vecchio come Andreotti a dirgli di non spararle grosse perché, se riguardiamo la storia, il Sud ha contribuito a fare l’Italia con i suoi morti nelle guerre, molti di più di quelli settentrionali.
È vero, perché si mandano sempre i poveri a morire. Ma il Sud, senatore, vi ha contribuito anche con la sua immane emigrazione, quando in venti milioni si tolsero dalle scatole consentendo al resto del Paese, anzitutto il Nord, di vivere meglio. E il Sud vi ha contribuito con la rapina che subì dopo l’unificazione. Oltre che con i calli alle mani.
Non ci saremmo aspettati che ad ammetterlo fosse un altro leghista da tv, Tosi, il sindaco che governa bene Verona. Il quale ha detto che l’unità d’Italia è «comunque un fatto positivo» (applausi). Aggiungendo che è stata però gestita al peggio: è certo che il Banco di Napoli, «la banca più ricca d’Europa, sia stata depredata dai Savoia». Ed è certo che in una «terra ricca di cultura e storia come la Sicilia il sentimento identitario sia stato comprato pur di soggiogarla a un’Italia centralista». Insomma, «non sono state rispettate le autonomie», danno cui si può oggi rimediare con un «federalismo vero». Riecco il leghista.
Bisognerebbe suggerire al buon Tosi che federalista era il loro amato Cattaneo, del quale si sono appropriati ignorando che pensava a un federalismo che oggi si potrebbe dire «solidale». E suggerirgli che furono politici e intellettuali meridionali nel 1861 a porre inutilmente il problema di politiche diverse per un Sud che non era affatto più povero ma appunto diverso dal Nord. Poi Tosi però tira fuori il suo «spirito animale» (che non è un insulto) dicendo che per imporre una buona gestione a regioni «amiche» come Campania, Calabria e Sicilia il governo Berlusconi potrebbe mandarvi dei commissari con poteri straordinari. Del tipo dei «mille uomini di ferro» dei quali parla in un recente libro il ministro Brunetta. Magari anche con un nuovo generale Cialdini che semini un po’ di ferro e fuoco e impicchi qualche brigante.
È vero che il Sud ha colpe innegabili. E che qualche fucilazione simbolica non sarebbe male per chi non fa altro che bussare a denari per distribuirli ad amici e clienti invece che per lo sviluppo. Ma è anche vero che sul pregiudizio non si può fondare una pacificazione. Della quale ha bisogno un’Italia spaccata in tutto. E anche nell’interesse del Nord impegnato ad arricchirsi proprio sul divario col Sud.
Anche un intellettuale di sinistra come il professor Pasquino ha parlato in una recente trasmissione di Sud cattivo e di Nord buono. E meno male che in questi stessi giorni sul giornale degli industriali, di sicuro non meridionalista, uno storico genovese dell’università di Torino, Sergio Luzzatto, ha scritto che dietro la guerra al brigantaggio ci fu una «vera, terribile, spietata guerra civile» al Sud.
Ma c’è dell’altro. E più grave. Emerge dal provvido reincontro col libro di una accreditata storica barese, Enrica Di Ciommo («I confini dell’identità. Teorie e modelli di nazione in Italia», Laterza ed.). Riguarda la cosiddetta «frattura di civiltà», come è stata costruita una egemonia del Nord sul Sud. Egemonia, che come tutte le egemonie, si basa solo relativamente su fatti reali. E che risale addirittura al ‘700, se non prima, quando in Europa la modernità era spacciata come settentrionale e l’arretratezza come meridionale.
Il pregiudizio fu poi fomentato e avallato dai giovani esuli meridionali che, seguendo il loro sentimento nazionale e patriottico, ripararono in Piemonte. E che trasmisero un’immagine di barbarie del loro Sud. Anche questo contribuì a giustificare quella brutale voglia di «influenza e dominio» sul Sud che portò a vere e proprie «pratiche di tipo coloniale» e alla pulizia etnica degli occupanti. L’autodenigrazione non è mai cessata, col Sud che ha sempre continuato a farsi del male anche così.

Fonte:La Gazzetta del Mezzogiorno
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