mercoledì 26 maggio 2010

IL COLONIALISMO NON E’ FINITO


L’italia è un paese strano. Il nord, oggi la parte più ricca, dopo aver spolpato il sud ora vuole buttare l’osso. I governi che si succedono fanno fatica a stare dietro la questione meridionale e quelle poche volte che se ne parla la colpa viene scaricata sui politici locali. Una domanda: ma non li avete messi li voi? Tutti in questi giorni, a partire dal Presidente della Repubblica, si affannano a ricercare un sentimento di italianità: una ricerca, a volte grottesca, di identità culturale del popolo italiano, che stranamente viene fuori solo quandi gioca la nazionale di calcio (figlio di Bossi a parte).
E poi c’è il sud, in stato comatoso da 150 anni. Gia, purtoppo per l’Italia (ovvero quella parte di terrtitorio cha va da Roma a salire in su) ci siamo anche noi “terroni”. Ma come, 150 anni fà avete fatto carte false per unire il paese, avete messo a ferro e fuoco il sud per costringerci a stare con voi ed ora volete abbandonarci al nostro destino? Ora è troppo comodo. Questo è un tipico atteggiamento colonialista. Prima si sfrutta fino all’osso e poi, quando non c’è più polpa, l'osso si butta via.
E certo che tenere forzatamente in vita attraverso il coma farmacologico il sud ha un suo costo. E allora in tempi di vacche magre è meglio una lenta eutanasia così ci si libera della zavorra e, allo stesso tempo, si fa cassa!
Ma come? Eutanasia in Italia? Già dimenticavo che in questo strano paese c’è anche la chiesa che si mette di traverso. Noi meridionali non abbiamo neanche il diritto di morire dignitosamente per porre fine alle nostre sofferenze. In fondo, e mi rivolgo alla chiesa, non è anche questa carità sociale?
Ma probabilmente, chiesa a parte, questo governo forse ci riesce ad ammazzarci tutti definitivamente, liberandosi finalmente di questa zavorra (cosi almeno la lega la smette di lamentarsi). Si perchè è proprio questo che si sta concretizzando al sud con l’ennesimo scippo alle regioni meridionali. Parliamo dei Fondi FAS (Fondi per le Aree Sottoutilizzate), che l'Europa aveva destinato allo sviluppo del Mezzogiorno d'Italia, per colmare i ritardi del Sud e che il Governo ha, invece, impegnato in opere pubbliche e iniziative a sostegno del nord del Paese e per soddisfare gli appetiti di Bossi e della Lega, provocando anche l'intervento della Corte dei Conti, che ha lanciato un vero e proprio grido di allarme sullo sperpero e sull'utilizzo innaturale di questi fondi.
Le risorse FAS inizialmente stanziate dalla finanziaria 2007 per il periodo di programmazione 2007-2013 ammontavano a 64,4 miliardi, poi drasticamente ridotte fino agli attuali 53,7 miliardi di cui solo 21,8 al sud, peraltro ancora bloccati, nonostante la Comunità europea abbia posto il vincolo di destinare l'85% dei fondi FAS proprio al Mezzogiorno. Tali risorse che servivano, ripetiamo, per recuperare il divario tra le aree ricche e quelle povere della Ue, devono essere spese entro il 2013, e rappresentano per il sud l’ultimo treno poichè dal 2013 l’Europa ridurrà i finanziamenti, per dedicarsi al sostegno dei nuovi membri dell’Est europeo.
Dal 2008 ad oggi il governo Berlusconi ha accentuato enormemente la pratica di utilizzare le disponibilità del FAS come un “bancomat” improprio, a copertura degli oneri di numerose disposizioni legislative. I soldi sono serviti per ridurre il debito pubblico, per gli ammortizzatori sociali in deroga (dei 4 miliardi, 3 vanno alle Regioni del Nord, dove è maggiore la quantità di ore di cassa integrazione in seguito alla recessione), per tagliare l’Ici, per finanziare le new town in Abruzzo, per il G8 (mai realizzato, e che è costato da solo oltre 300 milioni di euro), per il termovalorizzatore di Acerra, per il credito alle piccole imprese, per pagare le multe dei produttori (del Nord) che non hanno rispettato le quote latte, per la riqualificazione energetica degli immobili, per l’emergenza rifiuti di Napoli, per ripianare i buchi di bilancio di Roma e Catania, per veicoli per il soccorso civile, per l’edilizia carceraria, per finanziare il Servizio sanitario nazionale, per l’Alitalia, per l’aeroporto Dal Molin (dove gli americani intendono costruire una nuova base militare), per la privatizzazione delle Tirrenia, per risanare le Ferrovie dello Stato (che contemporaneamente hanno disposto la soppressione di dodici treni a lunga percorrenza dalla Calabria verso Milano e Torino). Persino per gli sconti su benzina e gasolio concessi agli automobilisti di Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige.
Poco importa se i dati sulla recessione dimostrano che la crisi colpisce più duramente il Sud del Nord: il Mezzogiorno d’Italia è il grande assente della manovra di finanza pubblica.
A questo punto, dei fondi Fas nazionali, non resta quasi niente. Ma anche i fondi regionali vengono intaccati. Solo un esempio: i tagli del governo alla scuola, hanno costretto le Regioni a intervenire, con una nuova forma di welfare destinato ai docenti, i cosiddetti Contratti di solidarietà. Solo la Campania ha impiegato per i propri docenti disoccupati ben 20 milioni di euro. Pagati con fondi strutturali.
Ma che vi fosse un grossa sperequazione nella distribuzione della spesa pubblica tra Nord e Sud è noto da 150 anni, tanto che già nei primi anni di unità lo Stato spendeva mediamente 50 lire per ogni cittadino del Nord e 15 per quello del Sud. Si calcola che l’ingiustizia fiscale sia costata al Sud 100 milioni/anno: nel 1901 il Mezzogiorno produceva un redito pari al 22/23 % di quello complessivo italiano, ma pagava imposte sul reddito pari al 35/37% di tutte le imposte sul reddito precette in Italia. Successivamente le cose non sono cambiate, così, nel primo decennio del secolo ventesimo, una provincia depressa come quella di Potenza pagava più tasse d’Udine e la provincia di Salerno, ormai lontana dalla floridezza dell'epoca borbonica essendo state chiuse cartiere e manifatture, pagava più tasse della ricca Como. L’iniquo sistema fiscale provocò ovviamente una grossa differenza tra nord e sud. La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu assolutamente ingiusta perchè non omogenea dal Nord al Sud; il primo venne avvantaggiato, il secondo penalizzato.
Persino un unitarista convinto come Giustino Fortunato nel 1899, scrive: “L’unità d’Italia ... è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali“. Gli fece eco Gaetano Salvemini un anno più tardi: “Se dall’unità d’Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata…è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone“.
Un esempio su tutti di come avvenne lo strozzamento dell’economia meridionale è l’episodio risalente al 15 Ottobre del 1860 e relativo al decreto di concessione per la costruzione di strade ferrate al sud in favore della Società Adami e Lemmi di Livorno (quest’ultimo futuro potentissimo Gran Maestro della Massoneria Italiana). Con tale decreto, le precedenti convenzioni con le ditte meridionali furono annullate nonostante i lavori fossero a buon punto tanto che tutte le gallerie e i ponti erano già stati costruiti. Per Adriano Lemmi si era mosso addirittura Giuseppe Mazzini con una lettera di raccomandazione, antesignana di tangentopoli, nella quale si invitava ad accontentare il massone perchè “dove altri farebbe suo pro d’ogni frutto d’impresa, egli mira a fondare la Cassa del partito e non la sua”.

Fonte:Come voglio la mia città
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L’italia è un paese strano. Il nord, oggi la parte più ricca, dopo aver spolpato il sud ora vuole buttare l’osso. I governi che si succedono fanno fatica a stare dietro la questione meridionale e quelle poche volte che se ne parla la colpa viene scaricata sui politici locali. Una domanda: ma non li avete messi li voi? Tutti in questi giorni, a partire dal Presidente della Repubblica, si affannano a ricercare un sentimento di italianità: una ricerca, a volte grottesca, di identità culturale del popolo italiano, che stranamente viene fuori solo quandi gioca la nazionale di calcio (figlio di Bossi a parte).
E poi c’è il sud, in stato comatoso da 150 anni. Gia, purtoppo per l’Italia (ovvero quella parte di terrtitorio cha va da Roma a salire in su) ci siamo anche noi “terroni”. Ma come, 150 anni fà avete fatto carte false per unire il paese, avete messo a ferro e fuoco il sud per costringerci a stare con voi ed ora volete abbandonarci al nostro destino? Ora è troppo comodo. Questo è un tipico atteggiamento colonialista. Prima si sfrutta fino all’osso e poi, quando non c’è più polpa, l'osso si butta via.
E certo che tenere forzatamente in vita attraverso il coma farmacologico il sud ha un suo costo. E allora in tempi di vacche magre è meglio una lenta eutanasia così ci si libera della zavorra e, allo stesso tempo, si fa cassa!
Ma come? Eutanasia in Italia? Già dimenticavo che in questo strano paese c’è anche la chiesa che si mette di traverso. Noi meridionali non abbiamo neanche il diritto di morire dignitosamente per porre fine alle nostre sofferenze. In fondo, e mi rivolgo alla chiesa, non è anche questa carità sociale?
Ma probabilmente, chiesa a parte, questo governo forse ci riesce ad ammazzarci tutti definitivamente, liberandosi finalmente di questa zavorra (cosi almeno la lega la smette di lamentarsi). Si perchè è proprio questo che si sta concretizzando al sud con l’ennesimo scippo alle regioni meridionali. Parliamo dei Fondi FAS (Fondi per le Aree Sottoutilizzate), che l'Europa aveva destinato allo sviluppo del Mezzogiorno d'Italia, per colmare i ritardi del Sud e che il Governo ha, invece, impegnato in opere pubbliche e iniziative a sostegno del nord del Paese e per soddisfare gli appetiti di Bossi e della Lega, provocando anche l'intervento della Corte dei Conti, che ha lanciato un vero e proprio grido di allarme sullo sperpero e sull'utilizzo innaturale di questi fondi.
Le risorse FAS inizialmente stanziate dalla finanziaria 2007 per il periodo di programmazione 2007-2013 ammontavano a 64,4 miliardi, poi drasticamente ridotte fino agli attuali 53,7 miliardi di cui solo 21,8 al sud, peraltro ancora bloccati, nonostante la Comunità europea abbia posto il vincolo di destinare l'85% dei fondi FAS proprio al Mezzogiorno. Tali risorse che servivano, ripetiamo, per recuperare il divario tra le aree ricche e quelle povere della Ue, devono essere spese entro il 2013, e rappresentano per il sud l’ultimo treno poichè dal 2013 l’Europa ridurrà i finanziamenti, per dedicarsi al sostegno dei nuovi membri dell’Est europeo.
Dal 2008 ad oggi il governo Berlusconi ha accentuato enormemente la pratica di utilizzare le disponibilità del FAS come un “bancomat” improprio, a copertura degli oneri di numerose disposizioni legislative. I soldi sono serviti per ridurre il debito pubblico, per gli ammortizzatori sociali in deroga (dei 4 miliardi, 3 vanno alle Regioni del Nord, dove è maggiore la quantità di ore di cassa integrazione in seguito alla recessione), per tagliare l’Ici, per finanziare le new town in Abruzzo, per il G8 (mai realizzato, e che è costato da solo oltre 300 milioni di euro), per il termovalorizzatore di Acerra, per il credito alle piccole imprese, per pagare le multe dei produttori (del Nord) che non hanno rispettato le quote latte, per la riqualificazione energetica degli immobili, per l’emergenza rifiuti di Napoli, per ripianare i buchi di bilancio di Roma e Catania, per veicoli per il soccorso civile, per l’edilizia carceraria, per finanziare il Servizio sanitario nazionale, per l’Alitalia, per l’aeroporto Dal Molin (dove gli americani intendono costruire una nuova base militare), per la privatizzazione delle Tirrenia, per risanare le Ferrovie dello Stato (che contemporaneamente hanno disposto la soppressione di dodici treni a lunga percorrenza dalla Calabria verso Milano e Torino). Persino per gli sconti su benzina e gasolio concessi agli automobilisti di Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige.
Poco importa se i dati sulla recessione dimostrano che la crisi colpisce più duramente il Sud del Nord: il Mezzogiorno d’Italia è il grande assente della manovra di finanza pubblica.
A questo punto, dei fondi Fas nazionali, non resta quasi niente. Ma anche i fondi regionali vengono intaccati. Solo un esempio: i tagli del governo alla scuola, hanno costretto le Regioni a intervenire, con una nuova forma di welfare destinato ai docenti, i cosiddetti Contratti di solidarietà. Solo la Campania ha impiegato per i propri docenti disoccupati ben 20 milioni di euro. Pagati con fondi strutturali.
Ma che vi fosse un grossa sperequazione nella distribuzione della spesa pubblica tra Nord e Sud è noto da 150 anni, tanto che già nei primi anni di unità lo Stato spendeva mediamente 50 lire per ogni cittadino del Nord e 15 per quello del Sud. Si calcola che l’ingiustizia fiscale sia costata al Sud 100 milioni/anno: nel 1901 il Mezzogiorno produceva un redito pari al 22/23 % di quello complessivo italiano, ma pagava imposte sul reddito pari al 35/37% di tutte le imposte sul reddito precette in Italia. Successivamente le cose non sono cambiate, così, nel primo decennio del secolo ventesimo, una provincia depressa come quella di Potenza pagava più tasse d’Udine e la provincia di Salerno, ormai lontana dalla floridezza dell'epoca borbonica essendo state chiuse cartiere e manifatture, pagava più tasse della ricca Como. L’iniquo sistema fiscale provocò ovviamente una grossa differenza tra nord e sud. La politica fiscale perseguita dallo Stato unitario fu assolutamente ingiusta perchè non omogenea dal Nord al Sud; il primo venne avvantaggiato, il secondo penalizzato.
Persino un unitarista convinto come Giustino Fortunato nel 1899, scrive: “L’unità d’Italia ... è stata, purtroppo, la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico, sano e profittevole. L’unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente all’opinione di tutti, che lo Stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che nelle meridionali“. Gli fece eco Gaetano Salvemini un anno più tardi: “Se dall’unità d’Italia il Mezzogiorno è stato rovinato, Napoli è stata addirittura assassinata…è caduta in una crisi che ha tolto il pane a migliaia e migliaia di persone“.
Un esempio su tutti di come avvenne lo strozzamento dell’economia meridionale è l’episodio risalente al 15 Ottobre del 1860 e relativo al decreto di concessione per la costruzione di strade ferrate al sud in favore della Società Adami e Lemmi di Livorno (quest’ultimo futuro potentissimo Gran Maestro della Massoneria Italiana). Con tale decreto, le precedenti convenzioni con le ditte meridionali furono annullate nonostante i lavori fossero a buon punto tanto che tutte le gallerie e i ponti erano già stati costruiti. Per Adriano Lemmi si era mosso addirittura Giuseppe Mazzini con una lettera di raccomandazione, antesignana di tangentopoli, nella quale si invitava ad accontentare il massone perchè “dove altri farebbe suo pro d’ogni frutto d’impresa, egli mira a fondare la Cassa del partito e non la sua”.

Fonte:Come voglio la mia città
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