lunedì 23 agosto 2010

Melfi. I licenziati Fiat si presentano ai cancelli. Una lezione di dignità per Marchionne

Editoriale di Alesando Cardulli

"Noi non siamo parassiti, vogliamo il nostro posto di lavoro. Cosa significa vi paghiamo lo stipendio? Io la mattina mi voglio alzare e voglio sentirmi un uomo con la mia dignità, i miei diritti e i miei doveri". Sono parole pronunciate da Giovanni Barozzino uno dei licenziati dalla Fiat di Melfi e reintegrati dal giudice del lavoro insieme a Antonio Lamorte e Marco Pignatelli.

Lunedì si presenteranno ai cancelli della fabbrica nonostante il telegramma inviato loro dalla Fiat in cui si annuncia che saranno regolarmente pagati secondo contratto ma i cancelli dello stabilimento di Melfi non possono varcarli. Restino a casa perché l’azienda ha presentato ricorso contro il decreto che, dicono i tre operai e con loro la Fiom-Cgil, evidentemente la Fiat considera “ carta straccia”.

Il gruppo del Lingotto torna all’odio contro gli operai
A fronte delle parole di Barozzino, un operaio, una tuta blu, un uomo che lavora in uno dei pochi grandi stabilimenti del Mezzogiorno, fossimo Sergio Marchionne, manager raffinato, disinvolto, uno alla mano che non porta la cravatta ma un maglioncino, dicono ne abbia una serie per le diverse occasioni, andremmo a nasconderci. Sarebbe solo un recupero di dignità a fronte di una vigliaccata, segno dell’odio antioperaio che anima chi dirige il più grande gruppo industrial-finanziario con ramificazioni in tanti paese dove il lavoratore conta quanto il due di briscola, privo di tutele, di diritti e costa poco. E con il manager “ moderno”, quasi un riformista, dovrebbero nascondersi, non diciamo arrossire perché non ne sono capaci, tutti quei cialtroni, fra questi anche chi frequenta le istituzioni, che hanno condotto una offensiva di una violenza raramente riscontrabile nella storia sindacale italiana contro gli operai della Fiat, quelli di Pomigliano, di Melfi, di Termini Imerese in primo luogo, senza ovviamente tralasciare Miarafiori, con la Fiom, contro la Cgil.

Il fallimento degli accordi siglati da Cisl e Uil in combutta con il governo
Per un piatto di lenticchie , dopo l’accordo separato con il governo sulla contrattazione, Cisl e Uil hanno siglato un patto scellerato con Marchionne, rinunciando a diritti essenziali, quello di sciopero, quello di ammalarsi.
Hanno condotto una rabbiosa campagna , seguendo le orme della direzione Fiat, a Pomigliano perché Marchionne nella sua libido di potere facesse cappotto nel referendum in cui sai metalmeccanici si chiedeva di scegliere fra il posto di lavora e i diritti garantiti dai contratti, dalle leggi, dalla Costituzione. Da Pomigliano è venuta una lezione di dignità con un buon quaranta per cento che ha rifiutato il ricatto, è sceso in campo aperto, ha detto no. Da Melfi non è mai venuta meno la solidarietà, la lotta, per i diritti, il lavoro, il futuro dell’azienda, del gruppo. Il risultato degli accordi separati, della sciagurata politica del governo, di ministri come Sacconi che non ha tralasciato niente per far vedere quanto grande sia l’odio verso la Cgil, in particolare verso la Fiom. è sotto gli occhi di tutti. Cisl, Uil, governo e Confindustria, firmarono un patto che dovere consentire un netto aumento della produttività e, dei conseguenza, dicevano questi ignoranti che si spacciano per studiosi di politiche industriali, dei salari dei lavoratori. Il risultato: non c’è stato aumento di produttività, i salari non sono cresciuti, la contrattazione di secondo livello, venduta come il toccasana per la ripresa dell’industria, non è masi decollata. Era largamente prevedibile in un paese in cui parte consistente dell’economia si regge sulla piccola e piccolissima impresa ,per non parlare del lavoro nero e del precariato.

Il manager Fiat sogna l’operaio macchina impersonato da Charlot
Fallito quel patto scellerato, il nuovo accordo, quello fra sindacati e Marchionne, sostenuto dal ministro Sacconi, sta dando quei risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Il manager della Fiat, un maniaco della produttività ad ogni costo, sogna l’operaio-macchina, quello di cui Charlot ha dato una immagine memorabile, quell’omino dagli occhi tristi, con i baffetti, che stringe bulloni in modo sempre più veloce, perde il ritmo e per recuperare finisce negli ingranaggi. Marchionne per affermare il suo potere incontrastato anche a fronte di una sentenza di un giudice, paga il salario a tre operai pur che non entrino in fabbrica, non producano. Ma loro, gli assenteisti di cui parla sempre Marchionne, i fannulloni direbbe il ministro Brunetta, guarda caso, vogliono lavorare, rivendicano la dignità di essere lavoratori. La loro presenza ai cancelli della fabbrica di Melfi assume uno straordinario valore simbolico nel paese in cui spadroneggiano le varie “ cricche”, il capo del governo si mette la Costituzione sotto le scarpe, un Marchionne qualsiasi vuol dettare la “ sua” legge, parla perfino uno come il portavoce del Pdl, Capezzone che non ha niente da dire ma lo dice, il capo dei leghisti vuol rompere l’unità d’Italia costruendo la megaregione Padania e in cambio offre a Berlusconi il via libera sulle leggi che gli consentano di eludere i processi in corso. Le loro parole sono un segnale di speranza. Ci dicono che c’è un Italia diversa da quella berlusconiana, un Italia democratica, che non si rassegna, che non ci sta, dove in tanti , tantissimi, la mattina si vogliono alzare e, come dice Giovanni Barozzino, sentirsi uomini, con la loro dignità,i loro diritti, i loro doveri.


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Editoriale di Alesando Cardulli

"Noi non siamo parassiti, vogliamo il nostro posto di lavoro. Cosa significa vi paghiamo lo stipendio? Io la mattina mi voglio alzare e voglio sentirmi un uomo con la mia dignità, i miei diritti e i miei doveri". Sono parole pronunciate da Giovanni Barozzino uno dei licenziati dalla Fiat di Melfi e reintegrati dal giudice del lavoro insieme a Antonio Lamorte e Marco Pignatelli.

Lunedì si presenteranno ai cancelli della fabbrica nonostante il telegramma inviato loro dalla Fiat in cui si annuncia che saranno regolarmente pagati secondo contratto ma i cancelli dello stabilimento di Melfi non possono varcarli. Restino a casa perché l’azienda ha presentato ricorso contro il decreto che, dicono i tre operai e con loro la Fiom-Cgil, evidentemente la Fiat considera “ carta straccia”.

Il gruppo del Lingotto torna all’odio contro gli operai
A fronte delle parole di Barozzino, un operaio, una tuta blu, un uomo che lavora in uno dei pochi grandi stabilimenti del Mezzogiorno, fossimo Sergio Marchionne, manager raffinato, disinvolto, uno alla mano che non porta la cravatta ma un maglioncino, dicono ne abbia una serie per le diverse occasioni, andremmo a nasconderci. Sarebbe solo un recupero di dignità a fronte di una vigliaccata, segno dell’odio antioperaio che anima chi dirige il più grande gruppo industrial-finanziario con ramificazioni in tanti paese dove il lavoratore conta quanto il due di briscola, privo di tutele, di diritti e costa poco. E con il manager “ moderno”, quasi un riformista, dovrebbero nascondersi, non diciamo arrossire perché non ne sono capaci, tutti quei cialtroni, fra questi anche chi frequenta le istituzioni, che hanno condotto una offensiva di una violenza raramente riscontrabile nella storia sindacale italiana contro gli operai della Fiat, quelli di Pomigliano, di Melfi, di Termini Imerese in primo luogo, senza ovviamente tralasciare Miarafiori, con la Fiom, contro la Cgil.

Il fallimento degli accordi siglati da Cisl e Uil in combutta con il governo
Per un piatto di lenticchie , dopo l’accordo separato con il governo sulla contrattazione, Cisl e Uil hanno siglato un patto scellerato con Marchionne, rinunciando a diritti essenziali, quello di sciopero, quello di ammalarsi.
Hanno condotto una rabbiosa campagna , seguendo le orme della direzione Fiat, a Pomigliano perché Marchionne nella sua libido di potere facesse cappotto nel referendum in cui sai metalmeccanici si chiedeva di scegliere fra il posto di lavora e i diritti garantiti dai contratti, dalle leggi, dalla Costituzione. Da Pomigliano è venuta una lezione di dignità con un buon quaranta per cento che ha rifiutato il ricatto, è sceso in campo aperto, ha detto no. Da Melfi non è mai venuta meno la solidarietà, la lotta, per i diritti, il lavoro, il futuro dell’azienda, del gruppo. Il risultato degli accordi separati, della sciagurata politica del governo, di ministri come Sacconi che non ha tralasciato niente per far vedere quanto grande sia l’odio verso la Cgil, in particolare verso la Fiom. è sotto gli occhi di tutti. Cisl, Uil, governo e Confindustria, firmarono un patto che dovere consentire un netto aumento della produttività e, dei conseguenza, dicevano questi ignoranti che si spacciano per studiosi di politiche industriali, dei salari dei lavoratori. Il risultato: non c’è stato aumento di produttività, i salari non sono cresciuti, la contrattazione di secondo livello, venduta come il toccasana per la ripresa dell’industria, non è masi decollata. Era largamente prevedibile in un paese in cui parte consistente dell’economia si regge sulla piccola e piccolissima impresa ,per non parlare del lavoro nero e del precariato.

Il manager Fiat sogna l’operaio macchina impersonato da Charlot
Fallito quel patto scellerato, il nuovo accordo, quello fra sindacati e Marchionne, sostenuto dal ministro Sacconi, sta dando quei risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Il manager della Fiat, un maniaco della produttività ad ogni costo, sogna l’operaio-macchina, quello di cui Charlot ha dato una immagine memorabile, quell’omino dagli occhi tristi, con i baffetti, che stringe bulloni in modo sempre più veloce, perde il ritmo e per recuperare finisce negli ingranaggi. Marchionne per affermare il suo potere incontrastato anche a fronte di una sentenza di un giudice, paga il salario a tre operai pur che non entrino in fabbrica, non producano. Ma loro, gli assenteisti di cui parla sempre Marchionne, i fannulloni direbbe il ministro Brunetta, guarda caso, vogliono lavorare, rivendicano la dignità di essere lavoratori. La loro presenza ai cancelli della fabbrica di Melfi assume uno straordinario valore simbolico nel paese in cui spadroneggiano le varie “ cricche”, il capo del governo si mette la Costituzione sotto le scarpe, un Marchionne qualsiasi vuol dettare la “ sua” legge, parla perfino uno come il portavoce del Pdl, Capezzone che non ha niente da dire ma lo dice, il capo dei leghisti vuol rompere l’unità d’Italia costruendo la megaregione Padania e in cambio offre a Berlusconi il via libera sulle leggi che gli consentano di eludere i processi in corso. Le loro parole sono un segnale di speranza. Ci dicono che c’è un Italia diversa da quella berlusconiana, un Italia democratica, che non si rassegna, che non ci sta, dove in tanti , tantissimi, la mattina si vogliono alzare e, come dice Giovanni Barozzino, sentirsi uomini, con la loro dignità,i loro diritti, i loro doveri.


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