sabato 21 agosto 2010

Non serve insultare il Sud


di GIANFRANCO VIESTI

È opinione diffusa che le regioni del Mezzogiorno hanno a propria disposizione immense risorse finanziarie, dai fondi europei e nazionali. Che tali risorse giacciono da molti anni inutilizzate. E che questo accade perché le classi dirigenti del Sud sono composte da cialtroni – come ha elegantemente sostenuto il Ministro dell’Economia – che non sono in grado di programmarle e spenderle. Ed è conseguente convinzione che al Sud siano state destinate sin troppe risorse per lo sviluppo, e che sarebbe opportuno ridurle. Questa opinione rimbalza di bocca in bocca, dalle pagine dei grandi quotidiani nazionali alle opinioni espresse dai rappresentanti politici e di governo. Viene assunta dall’opinione pubblica come una verità indiscussa.

E invece – se a qualcuno interessano ancora i fatti e i numeri – è abbastanza semplice scoprire che è falsa.

Guardiamo al passato recente, e concentriamoci sull’avanzamento finanziario. Prossimamente guarderemo anche al presente e al futuro. Non è questo l’aspetto più importante: ciò che conta davvero è la qualità degli interventi e il loro effetto per il benessere dei cittadini e la competitività delle imprese. Ma occorre occuparsi anche dell’avanzamento finanziario, perché è di questo che si discute molto.

Le risorse per lo sviluppo del Mezzogiorno degli anni scorsi provenivano da due grandi origini: i fondi comunitari; i fondi cosiddetti FAS, cioè nazionali. La domanda è: è vero che queste risorse giacciono inutilizzate, o, peggio, vengono perse? La risposta è no. I fondi europei 2000-06 sono stati integralmente impegnati e spesi, nonostante esistano regole comunitarie piuttosto stringenti circa le tempistiche di utilizzo.
A fine 2008 l’Italia aveva perso, per il mancato rispetto di queste regole, solo 100 milioni di euro, cioè lo 0,33% del totale, percentuale significativamente inferiore alla media europea. Certo, l’avanzamento finanziario è stato ottenuto, soprattutto dai Ministeri, rendicontando progetti “coerenti” già realizzati, ma anche questo è un tema – pur fondamentale – che merita un discorso a sé.

E i fondi FAS? Nella polemica politica si torna spesso su questo aspetto, e si sostiene che giacciono abbandonati nei cassetti delle regioni. Non è così. Il più recente monitoraggio, contenuto nel Rapporto Annuale del Dipartimento per lo Sviluppo (DPS), presentato dal Ministro Fitto lo scorso 15 luglio, illustra la seguente situazione. A partire dal 1999 e fino al 31 dicembre 2009 sono stati programmati interventi nel Mezzogiorno per 51 miliardi di euro; i fondi FAS sono serviti per finanziare poco più di un terzo del costo di questi interventi.

A che punto siamo? Il 27% degli interventi è stato completato. Per il 46% i lavori sono in corso. E per l’11% gli interventi sono stati aggiudicati e prossimi all’avvio. Quindi circa l’85% delle risorse sono state destinate ad interventi già completati o in corso. Il rimanente 15% degli interventi è ancora in fase progettuale, ed in particolare per il 5% non è stata ancora approvata la progettazione preliminare. E’ interessante comparare questi dati con quello che è avvenuto nelle regioni del CentroNord. I dati sono appena migliori. Gli interventi completati sono il 32% (contro 27%); quelli in corso 50% (contro 46%); al contrario gli interventi ancora in fase progettuale sono il 12% (contro il 15%).

Sorpresa! Fra amministratori cialtroni e non cialtroni le differenze sono tutto sommato limitate. E’ interessante, ancora, notare che le cose vanno meno bene nel Mezzogiorno per i grandi progetti infrastrutturali di trasporto – quelli di responsabilità dell’ANAS e delle Ferrovie - per i quali circa un quarto delle risorse è fermo nella fase progettuale degli interventi. Molto migliore l’avanzamento dei progetti che riguardano risorse culturali e naturali. Sono numeri soddisfacenti? Assolutamente no. I tempi che intercorrono fra la programmazione degli interventi e il loro completamento sono lunghissimi. Ma questo accade in tutto il paese. Lo stesso rapporto del DPS ci informa (confermando dati già forniti dall’Associazione Nazionale dei costruttori) che i tempi di attuazione delle opere pubbliche in Italia sono eterni.

Per completare un’opera di valore superiore a 100 milioni di euro occorrono in media oltre 10 anni. Persino per le opere piccolissime, sotto il milione di euro, ci vogliono tre anni e mezzo. Colpa dei meridionali cialtroni? Non proprio. “Il quadro che emerge mostra un’Italia a più facce, nella quale non esiste unicamente la dicotomia Nord-Sud; l’analisi mostra che i ritardi nella realizzazione delle opere interessano sia regioni meridionali (Basilicata, Sicilia, Campania), sia regioni dell’Italia centrale (Umbria, Toscana, Liguria) in chiaro ritardo”.

Conclusione: insultare il Mezzogiorno serve per una facile polemica politica; ma non permette di capire quali sono i veri problemi del paese. Un paese ormai quasi incapace di progettuare e realizzare infrastrutture. Problemi un po’ più intensi al Sud, ma che ne minano complessivamente le prospettive di sviluppo a tutte le latitudini.


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di GIANFRANCO VIESTI

È opinione diffusa che le regioni del Mezzogiorno hanno a propria disposizione immense risorse finanziarie, dai fondi europei e nazionali. Che tali risorse giacciono da molti anni inutilizzate. E che questo accade perché le classi dirigenti del Sud sono composte da cialtroni – come ha elegantemente sostenuto il Ministro dell’Economia – che non sono in grado di programmarle e spenderle. Ed è conseguente convinzione che al Sud siano state destinate sin troppe risorse per lo sviluppo, e che sarebbe opportuno ridurle. Questa opinione rimbalza di bocca in bocca, dalle pagine dei grandi quotidiani nazionali alle opinioni espresse dai rappresentanti politici e di governo. Viene assunta dall’opinione pubblica come una verità indiscussa.

E invece – se a qualcuno interessano ancora i fatti e i numeri – è abbastanza semplice scoprire che è falsa.

Guardiamo al passato recente, e concentriamoci sull’avanzamento finanziario. Prossimamente guarderemo anche al presente e al futuro. Non è questo l’aspetto più importante: ciò che conta davvero è la qualità degli interventi e il loro effetto per il benessere dei cittadini e la competitività delle imprese. Ma occorre occuparsi anche dell’avanzamento finanziario, perché è di questo che si discute molto.

Le risorse per lo sviluppo del Mezzogiorno degli anni scorsi provenivano da due grandi origini: i fondi comunitari; i fondi cosiddetti FAS, cioè nazionali. La domanda è: è vero che queste risorse giacciono inutilizzate, o, peggio, vengono perse? La risposta è no. I fondi europei 2000-06 sono stati integralmente impegnati e spesi, nonostante esistano regole comunitarie piuttosto stringenti circa le tempistiche di utilizzo.
A fine 2008 l’Italia aveva perso, per il mancato rispetto di queste regole, solo 100 milioni di euro, cioè lo 0,33% del totale, percentuale significativamente inferiore alla media europea. Certo, l’avanzamento finanziario è stato ottenuto, soprattutto dai Ministeri, rendicontando progetti “coerenti” già realizzati, ma anche questo è un tema – pur fondamentale – che merita un discorso a sé.

E i fondi FAS? Nella polemica politica si torna spesso su questo aspetto, e si sostiene che giacciono abbandonati nei cassetti delle regioni. Non è così. Il più recente monitoraggio, contenuto nel Rapporto Annuale del Dipartimento per lo Sviluppo (DPS), presentato dal Ministro Fitto lo scorso 15 luglio, illustra la seguente situazione. A partire dal 1999 e fino al 31 dicembre 2009 sono stati programmati interventi nel Mezzogiorno per 51 miliardi di euro; i fondi FAS sono serviti per finanziare poco più di un terzo del costo di questi interventi.

A che punto siamo? Il 27% degli interventi è stato completato. Per il 46% i lavori sono in corso. E per l’11% gli interventi sono stati aggiudicati e prossimi all’avvio. Quindi circa l’85% delle risorse sono state destinate ad interventi già completati o in corso. Il rimanente 15% degli interventi è ancora in fase progettuale, ed in particolare per il 5% non è stata ancora approvata la progettazione preliminare. E’ interessante comparare questi dati con quello che è avvenuto nelle regioni del CentroNord. I dati sono appena migliori. Gli interventi completati sono il 32% (contro 27%); quelli in corso 50% (contro 46%); al contrario gli interventi ancora in fase progettuale sono il 12% (contro il 15%).

Sorpresa! Fra amministratori cialtroni e non cialtroni le differenze sono tutto sommato limitate. E’ interessante, ancora, notare che le cose vanno meno bene nel Mezzogiorno per i grandi progetti infrastrutturali di trasporto – quelli di responsabilità dell’ANAS e delle Ferrovie - per i quali circa un quarto delle risorse è fermo nella fase progettuale degli interventi. Molto migliore l’avanzamento dei progetti che riguardano risorse culturali e naturali. Sono numeri soddisfacenti? Assolutamente no. I tempi che intercorrono fra la programmazione degli interventi e il loro completamento sono lunghissimi. Ma questo accade in tutto il paese. Lo stesso rapporto del DPS ci informa (confermando dati già forniti dall’Associazione Nazionale dei costruttori) che i tempi di attuazione delle opere pubbliche in Italia sono eterni.

Per completare un’opera di valore superiore a 100 milioni di euro occorrono in media oltre 10 anni. Persino per le opere piccolissime, sotto il milione di euro, ci vogliono tre anni e mezzo. Colpa dei meridionali cialtroni? Non proprio. “Il quadro che emerge mostra un’Italia a più facce, nella quale non esiste unicamente la dicotomia Nord-Sud; l’analisi mostra che i ritardi nella realizzazione delle opere interessano sia regioni meridionali (Basilicata, Sicilia, Campania), sia regioni dell’Italia centrale (Umbria, Toscana, Liguria) in chiaro ritardo”.

Conclusione: insultare il Mezzogiorno serve per una facile polemica politica; ma non permette di capire quali sono i veri problemi del paese. Un paese ormai quasi incapace di progettuare e realizzare infrastrutture. Problemi un po’ più intensi al Sud, ma che ne minano complessivamente le prospettive di sviluppo a tutte le latitudini.


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