mercoledì 8 settembre 2010

Esce la Sicilia ed entra la Libia in Unicredit. La marginalizzazione del Sud nel business con il Colonnello

www.italiainformazioni.com

E’ come se, dopo il matrimonio, un membro della tua famiglia fosse entrato a fare parte di un’altra famiglia, perdendo il nome e l’appartenenza. Non è scomparso ma la sua vita non ha più niente a che vedere con il “nucleo” originario. E’ più o meno questo, romanticheria azzardata compresa, l’ottica con cui dalla Sicilia si guarda ad Unicredit, diventata Banca unica. Spazzato via il Banco di Sicilia, anche come marchio, l’istituto di credito siciliano con i suoi sportelli, risparmi, clienti e governance interna, continua a vivere nel Bancone di Piazza Cordusio.

La riforma strategica voluta dall’ad di Unicredit, Alessandro Profumo, ha fatto danno alla Sicilia per via del cambio di sede legale, che provoca il trasferimento dei versamenti fiscali, ben 250 milioni di euro l’anno, che vengono scippati dal magro portafogli regionale.


Ma c’è di più: per una singolare coincidenza, la dismissione del Banco di Sicilia è giunta a conclusione mentre dall’altra sponda del Mediterraneo, la Libia, incrementa la sua presenza in Unicredit, diventando il più importante azionista con il suo 7 per cento. Un incremento che ha dato vita a polemiche, seppure soft (nello stile del mondo della finanza), perché sarebbe stato bypassato un limite statutario, il 5 per cento, grazie ad un espediente messo in atto dai libici. L’acquisto di nuove azioni è stato fatto effettuato dalla Lia, una sigla che rappresenta fondi sovrani libici, al pari della Banca Centrale della Libia, azionista del pacchetto originario del 4,9 per cento. La Lega Nord non ha gradito, il Presidente di Unicredit Dieter Rampl nemmeno (all’oscuro dell’operazione). Al Presidente della Fondazione Banco di Sicilia (sopravvissuta all’annientamento), Gianni Puglisi, è toccata la difesa d’ufficio di Profumo. La politica rimanga fuori dalle vicende bancarie, ha raccomandato Puglisi. A meno che, aggiungiamo noi, non faccia ciò che desideriamo che faccia, perché è stata la politica a fare del Banco di Sicilia uno degli istituti di credito più importanti d’Europa, la politica a cancellarlo dal mondo del credito dopo un pellegrinaggio diventato una insopportabile agonia. E’ la politica a dare alle fondazioni un enorme potere e a farle sopravvivere agli istituti di credito di appartenenza, ed è infine la politica a scegliere gli amministratori delle Fondazioni, senza pretendere – di fato – nulla in cambio, o quasi.

La forte presenza libica in Unicredit non è certo un’operazione che comincia e finisce nel mondo della finanza. Essa accompagna il nuovo regime di relazioni fra il Colonnello Gheddafi e il Presidente del Consiglio italiano. Un business miliardario che verrà gestito da Tripoli e Roma e permetterà alle imprese “gradite” di goderne i benefici. E che si tratti di grossi affari non ci sono dubbi, se n’è avuto conferma nei giorni scorsi, quando le storiche piazze imprenditoriali dell’Isola (Catania in testa), hanno suonato i tamburi della pioggia, temendo di essere esclusi dalla partita libica.

E’ probabile che gli “avanzi” arrivino anche a qualche impresa siciliana se il Presidente della Regione, Raffaele Lombardo, ha inserito il “tema” nella sua agenda di lavoro in occasione dell’incontro – mercoledi – con il Capo del governo, Berlusconi. Avanzi, perché la Sicilia è fuori dal giro (cricche comprese), e non ha alcun peso politico, finanziario, industriale o altro.

La Fondazione Banco di Sicilia, presieduta da Gianni Puglisi, ha lo stesso ruolo del Ministro Rotondi nel governo Berlusconi: di testimonianza e di interdizione. Parla per conto di Profumo, ma non per conto della Sicilia. Ma a differenza di Rotondi che s’arrabbia ( ma passa prestissimo), Puglisi getta acqua sul fuoco (ha detto che la questione libica in Unicredit è una tempesta in un bicchiere d’acqua).

Nessun cenno all’uscita del Banco di Sicilia (e della Sicilia) dal “salotto” finanziario italiano (storia vecchia, ma attuale) e l’ingresso della Libia a vele spiegate. Si è realizzato il sogno di quel maresciallo dei carabinieri che in uno storico film di mafia, guadando la carta geografica dell’Italia sulla parete, provato dall’enormità del crimine che imperversava,nasconde con il palmo della mano aperto l’Isola e gode al pensiero che essa non esista.

La realtà geografica del confine “marittimo”, di dirimpettai di Tripoli, non può essere cancellata, ma l’esistenza in vita dell’Isola come entità politica sì, assai facilmente.

Unicredit rastrella risparmi siciliani, e va dove il core business comanda. La governance padana delle Fondazioni sorveglia e bacchetta senza infierire. Piazza Cordusio, in definitiva, è più che mai “nordica” e sta per accompagnare lo sbarco in Libia delle imprese padane.


Fonte:ItaliaInformazioni


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E’ come se, dopo il matrimonio, un membro della tua famiglia fosse entrato a fare parte di un’altra famiglia, perdendo il nome e l’appartenenza. Non è scomparso ma la sua vita non ha più niente a che vedere con il “nucleo” originario. E’ più o meno questo, romanticheria azzardata compresa, l’ottica con cui dalla Sicilia si guarda ad Unicredit, diventata Banca unica. Spazzato via il Banco di Sicilia, anche come marchio, l’istituto di credito siciliano con i suoi sportelli, risparmi, clienti e governance interna, continua a vivere nel Bancone di Piazza Cordusio.

La riforma strategica voluta dall’ad di Unicredit, Alessandro Profumo, ha fatto danno alla Sicilia per via del cambio di sede legale, che provoca il trasferimento dei versamenti fiscali, ben 250 milioni di euro l’anno, che vengono scippati dal magro portafogli regionale.


Ma c’è di più: per una singolare coincidenza, la dismissione del Banco di Sicilia è giunta a conclusione mentre dall’altra sponda del Mediterraneo, la Libia, incrementa la sua presenza in Unicredit, diventando il più importante azionista con il suo 7 per cento. Un incremento che ha dato vita a polemiche, seppure soft (nello stile del mondo della finanza), perché sarebbe stato bypassato un limite statutario, il 5 per cento, grazie ad un espediente messo in atto dai libici. L’acquisto di nuove azioni è stato fatto effettuato dalla Lia, una sigla che rappresenta fondi sovrani libici, al pari della Banca Centrale della Libia, azionista del pacchetto originario del 4,9 per cento. La Lega Nord non ha gradito, il Presidente di Unicredit Dieter Rampl nemmeno (all’oscuro dell’operazione). Al Presidente della Fondazione Banco di Sicilia (sopravvissuta all’annientamento), Gianni Puglisi, è toccata la difesa d’ufficio di Profumo. La politica rimanga fuori dalle vicende bancarie, ha raccomandato Puglisi. A meno che, aggiungiamo noi, non faccia ciò che desideriamo che faccia, perché è stata la politica a fare del Banco di Sicilia uno degli istituti di credito più importanti d’Europa, la politica a cancellarlo dal mondo del credito dopo un pellegrinaggio diventato una insopportabile agonia. E’ la politica a dare alle fondazioni un enorme potere e a farle sopravvivere agli istituti di credito di appartenenza, ed è infine la politica a scegliere gli amministratori delle Fondazioni, senza pretendere – di fato – nulla in cambio, o quasi.

La forte presenza libica in Unicredit non è certo un’operazione che comincia e finisce nel mondo della finanza. Essa accompagna il nuovo regime di relazioni fra il Colonnello Gheddafi e il Presidente del Consiglio italiano. Un business miliardario che verrà gestito da Tripoli e Roma e permetterà alle imprese “gradite” di goderne i benefici. E che si tratti di grossi affari non ci sono dubbi, se n’è avuto conferma nei giorni scorsi, quando le storiche piazze imprenditoriali dell’Isola (Catania in testa), hanno suonato i tamburi della pioggia, temendo di essere esclusi dalla partita libica.

E’ probabile che gli “avanzi” arrivino anche a qualche impresa siciliana se il Presidente della Regione, Raffaele Lombardo, ha inserito il “tema” nella sua agenda di lavoro in occasione dell’incontro – mercoledi – con il Capo del governo, Berlusconi. Avanzi, perché la Sicilia è fuori dal giro (cricche comprese), e non ha alcun peso politico, finanziario, industriale o altro.

La Fondazione Banco di Sicilia, presieduta da Gianni Puglisi, ha lo stesso ruolo del Ministro Rotondi nel governo Berlusconi: di testimonianza e di interdizione. Parla per conto di Profumo, ma non per conto della Sicilia. Ma a differenza di Rotondi che s’arrabbia ( ma passa prestissimo), Puglisi getta acqua sul fuoco (ha detto che la questione libica in Unicredit è una tempesta in un bicchiere d’acqua).

Nessun cenno all’uscita del Banco di Sicilia (e della Sicilia) dal “salotto” finanziario italiano (storia vecchia, ma attuale) e l’ingresso della Libia a vele spiegate. Si è realizzato il sogno di quel maresciallo dei carabinieri che in uno storico film di mafia, guadando la carta geografica dell’Italia sulla parete, provato dall’enormità del crimine che imperversava,nasconde con il palmo della mano aperto l’Isola e gode al pensiero che essa non esista.

La realtà geografica del confine “marittimo”, di dirimpettai di Tripoli, non può essere cancellata, ma l’esistenza in vita dell’Isola come entità politica sì, assai facilmente.

Unicredit rastrella risparmi siciliani, e va dove il core business comanda. La governance padana delle Fondazioni sorveglia e bacchetta senza infierire. Piazza Cordusio, in definitiva, è più che mai “nordica” e sta per accompagnare lo sbarco in Libia delle imprese padane.


Fonte:ItaliaInformazioni


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