martedì 30 novembre 2010

Truffavano Ue e ministeri per dirottare fondi dal Sud al Nord Italia

Il meccanismo era semplice: chiedere soldi all’Unione Europea per finanziare progetti di ricerca e inserimento occupazionale al Sud. In realtà, però, i fondi o finivano al Nord per altri progetti o nelle tasche di docenti universitari e manager che avevano, secondo l’accusa, orchestrato la truffa. Sul piatto ci sono oltre 30 milioni di euro, di cui 20 già erogati da Bruxelles. L’indagine è nata da una serie di controlli effettuati dal nucleo di polizia tributaria di Catanzaro su diverse imprese beneficiarie di soldi pubblici, concessi sia dal ministero dello Sviluppo sia da quello dell’Istruzione per la realizzazione di studi scientifici in Calabria. I militari della Guardia di Finanza hanno così scoperto che questi studi, lautamente finanziati, non sono mai stati svolti o sono stati fatti ma in altre sedi.

In manette sono finite otto persone, tra cui un docente dell’Università della Calabria Tra gli indagati ci sono altri sei titolari di cattedra di vari atenei italiani. In manette ancheil presidente del gruppo Silvateam di Mondovì (Cuneo). Si tratta di Antonio Battaglia, amministratore della Silvateam, che controlla le due società coinvolte nell’inchiesta, la Silva extracts e la Silvachimica. Il professore arrestato, invece, e’ Bruno De Cindio, di 64 anni, docente ordinario alla facoltà di Ingegneria. Complessivamente sono 36 le persone fisiche indagate e due le società.

In particolare, dalle indagini è emerso che i docenti univesitari avrebbero attestato falsamente che alcuni dipendenti della società Silva extracts avevano partecipato ad attivita’ di ricerca scientifica nelle loro Università. L’obiettivo era di ottenere finanziamenti per corsi fantasma al Sud da dirottere al Nord, in Piemonte.


Fonte:Il Sud


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Il meccanismo era semplice: chiedere soldi all’Unione Europea per finanziare progetti di ricerca e inserimento occupazionale al Sud. In realtà, però, i fondi o finivano al Nord per altri progetti o nelle tasche di docenti universitari e manager che avevano, secondo l’accusa, orchestrato la truffa. Sul piatto ci sono oltre 30 milioni di euro, di cui 20 già erogati da Bruxelles. L’indagine è nata da una serie di controlli effettuati dal nucleo di polizia tributaria di Catanzaro su diverse imprese beneficiarie di soldi pubblici, concessi sia dal ministero dello Sviluppo sia da quello dell’Istruzione per la realizzazione di studi scientifici in Calabria. I militari della Guardia di Finanza hanno così scoperto che questi studi, lautamente finanziati, non sono mai stati svolti o sono stati fatti ma in altre sedi.

In manette sono finite otto persone, tra cui un docente dell’Università della Calabria Tra gli indagati ci sono altri sei titolari di cattedra di vari atenei italiani. In manette ancheil presidente del gruppo Silvateam di Mondovì (Cuneo). Si tratta di Antonio Battaglia, amministratore della Silvateam, che controlla le due società coinvolte nell’inchiesta, la Silva extracts e la Silvachimica. Il professore arrestato, invece, e’ Bruno De Cindio, di 64 anni, docente ordinario alla facoltà di Ingegneria. Complessivamente sono 36 le persone fisiche indagate e due le società.

In particolare, dalle indagini è emerso che i docenti univesitari avrebbero attestato falsamente che alcuni dipendenti della società Silva extracts avevano partecipato ad attivita’ di ricerca scientifica nelle loro Università. L’obiettivo era di ottenere finanziamenti per corsi fantasma al Sud da dirottere al Nord, in Piemonte.


Fonte:Il Sud


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TG La7 3 giugno 2010 - Mario Monicelli sostiene i giovani in protesta contro i tagli alla Cultura


http://www.youtube.com/watch?v=0IGeBmMCa8s

Edizione delle ore 20,00 TG La7 del 3 giugno 2010
Mario Monicelli interviene come ospite all'istituto Rossellini e invita i giovani a muoversi e a "usare la loro forza per sovvertire e protestare"

Gli Allievi del Centro Sperimentale in protesta appoggiano gli Allievi dell'Istituto Rossellini!

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Edizione delle ore 20,00 TG La7 del 3 giugno 2010
Mario Monicelli interviene come ospite all'istituto Rossellini e invita i giovani a muoversi e a "usare la loro forza per sovvertire e protestare"

Gli Allievi del Centro Sperimentale in protesta appoggiano gli Allievi dell'Istituto Rossellini!

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Giornale dell'assedio di Gaeta (1860-1861) (Charles Garnier) - Prima parte



  • Ingresso barricato alla Batteria Cittadella. Sullo sfondo la Porta dell’Avanzata (o di Carlo III). Sulla sinistra i ruderi di una cappella dedicata a Pio IX ed oggi non più esistente. Fotografo Eugenio Sevaistre.


    29 novembre 1860

    Verso la punta del giorno una riconoscenza composta di 440 uomini, è uscita dalla poterna che da sul campo, era guidata dal tenente colonnello Migy comandante in altri tempi del secondo battaglione estero. Il generale Bosco ne aveva l'alta direzione. La metà del contingente si componeva di soldati esteri ed i cacciatori napolitani componevano il resto dell'effettivo diviso in tre colonne, questi 440 uomini dovevano visitare le colline e le valli al di là del campo. La colonna principale, quella del centro va sotto gli ordini di un vecchio capitano svizzero il signor Steiner. Le istruzioni date al tenente colonnello Migy gl'ingiungevàno d'evitare per quanto possibile il combattimento. Una riserva di 500 uomini era discesa sui falsi piani, per proteggere la ritirata quando l'esplorazione sarebbe finita. La colonna Steiner s'è bravamente slanciata la baionetta in canna, ha saltato un muro di trinceramenti, ha ucciso l'uffiziale ed i soldati d'un posto piemontese che ha ricusato di rendersi, ha percorso la valle di Calegno, il monte Atrafìna ed ha passato i Cappuccini, sostenendo il fuoco contro l'inimico che si svegliava e si riuniva in forze. In niun punto si sono scoverte batterie, le opere d'attacco sono dunque meno avanzate di quanto supponevasi. Acquistata questa certezza, non restava più che a rientrare in piazza. Tre battaglioni di bersaglieri hanno resa la ritirata un po' difficile; ma finalmente non s'è lasciato alcuno in mano al nemico. I Napoletani avevano fatto un prigioniero. L'affare era durato meno di due ore, delle granate provenienti dalla batteria Philipstad e Regina hanno fortemente appoggiata la ricognizione ed hanno seminato la morte in mezzo ai bersaglieri. Noi non possiamo conoscere perfettamente le perdite dell'inimico; ma deve avere un centinaio d'uomini fuori combattimento. I Napolitani hanno avuto tre soldati uccisi 21 feriti; di cui 5 uffiziali. Tra questi ultimi è il tenente colonnello Migy che conosceva da qualche tempo; una palla gli ha traversato il corpo, Migy è uno dei migliori uffiziali dell'armata. Questa mattina andava al fuoco con un magnifico sangue freddo, il sicaro in bocca; si teme che la sua ferita sia mortale. Un tenente svizzero col quale passai la serata di ieri il sig. Liegher, ha ricevuto una palla nel braccio. Gli spettatori sono stati distratti un momento da uno stuolo di oche che svolazzavano sul teatro di azione, mi si cita dn buffone che aveva una smisurata voglia di puntare un cannone contro quei volatili.
  • 28 novembre 1860

    Si gode la più dolce temperatura ed il sole ci tratta da figli prediletti. Io aveva in altri tempi passato la stagione d'autunno a Napoli, quest'è la più bella dell'anno. Nulla è paragonabile alla calma delle sere di Napoli in quest'epoca ed io n'aveva conservato una memoria che mi seguì nella patria. A Gaeta il clima è lo stesso; ma il golfo non è che uno stagno vicino a quello di Napoli. Le montagne che si drizzano innanzi a noi non seducono lo sguardo come la collina di Posilipo, le isole di Nisita, di Capri, di Procida e d'Ischia seminate sulle onde turchine qual nidi di verdura; la fortunata riva di Sorrento, i mammelloni ombrosi dì Castellammare, le montagne che circondano il Vesuvio, le colline di Capodimonte e del Campo Santo. E le notti! cosa dirò mai della loro ebrezza? quante volte siamo potuti restare sulla terrazza di un piano alto fino all'undici o mezzo notte, la testa scoperta anche alla metà del mese di dicembre ascoltando una cara voce ora spenta per sempre, o i melanconici motivi dei zampognai abruzzesi girandolando di Madonna in Madonna! Io non potrò mai dimenticare quelle notti di Napoli in qualunque riva io poggi la mia tenda... A Gaeta ecco molte notte consecutive che sono bellissime. La luna s'innalza tra gli alberi d'una fregata napolitana tristamente ancorata nel porto, i suoi raggi discreti riflettono sulla flotta francese e le navi spagnole i di cui fuochi risplendono dai boccaporti. Vi è ragione di credere che l'inimico mette a profitto questa clemenza della stazione, e che attivi le sue opere e però, dovrebbero essere più avanzate. Una tregua di un'ora ha avuto luogo questa mane per seppellire tre cadaveri che giacevano sul campo. Questa tregua era stato l'oggetto della missione del signor Pozzo di Borgo.
  • 27 novembre 1860

    Il signor Pozzo di Borgo, tenente dello Stato Maggiore discendente dal celebre diplomatico è stato inviato qual parlamentario al general Cialdini per dimandare una tregua onde seppellire dei cadaveri che da 10 o 12 giorni si trovavano su i parapetti. Egli ha avuto col generale piemontese una conversazione non sprovvista d'interessi. Cialdini gli ha detto di possedere il giornale di Massena, e ch'ei servivasene per dirigere l'assedio. Ma quest'assedio è molto più diffìcile nel 1860 che nel 1806 per diverse ragioni di cui principale questa: Massena aveva tra il suo campo e le fortificazioni della piazza, una montagna che copriva le sue trincee, neutralizzando in parte il tiro dei napoletani. Questa montagna è oggigiorno completamente spianata ed è sopra di essa che trovasi il campo. In tal modo i piemontesi dovranno scavare le loro trincee su di un pendìo discendendo la collina, operazione che offre poche eventualità di riuscita. Cialdini ha fatto osservare in seguito al giovine parlamentario, che Gaeta offre una posizione topografica eccezionale, ordinariamente le trincee si sviluppano a dritta ed a sinistra, tendendo ad ingrandire la linea d'attacco e circondare la piazza, e portante a disseminare i fuochi dalla difesa Qui, è tutto al contrario; a misura che gli assedianti avanzano il fuoco di attacco si restringe perchè la lingua di terra al di cui estremo è edificata Gaeta termina quasi in punta. La piazza s'ingrandisce in vece di restringersi quando l'inimico si avvicina ed i fuochi della difesa convergono su di un sol punto. Queste osservazioni del generale piemontese sono sensate. Cialdini ha detto con affettazione che i proiettili della piazza, non avevano cagionato alla sua piazza che guasti poco considerevoli. Ha soggiunto che ben presto si sentirebbero anche i suoi cannoni la di cui armonia sarebbe suffi¬cientemente imponente. L'inimico travaglia dietro la collina de' Cappuccini ed alle rovine di Sant'Agata; su questi due punti dei mortai debbono esser già stati situati, ed è perciò che il fuoco delle nostre batterie del Ponte di terra sono state dirette da quella parte. Per tutta questa sera il tiro è stato molto vivace, ed ho avuto luogo di credere che ha prodotto buon risultato. Le bombe e le granate arrivavano nei luoghi indicati, mi è sembrato però che i proiettili scoppiavano un po' tardi 15 o 20 minuti dopo la loro caduta. Sulle batterie della piazza sono trascurate talune precauzioni: i parapetti non sono tutti abbastanza guarniti, e ci sarebbe bisognato su quello delle spianate che sono in bitume o in macadam, spargere della paglia bagnata o del letame. Il tempo però vi sarebbe stato da potersi mettere in guardia.
  • 26 novembre 1860

    L'Avenir è ripartito per Civitavecchia, ma il Generale Salzano è restato. I generali Antonelli e Tabacco, la di cui dimissione era stata accettata si sono egualmente decisi a restare.
  • 25 novembre 1860

    Quel ch' è avvenuto questa notte sembra provare che l'inimico ha dell'intelligenza nella piazza; mai ne aveva dubitato. Si è molto parlato in quest'ultimi giorni d'effettuare tra breve una sortita e si supponeva che avesse luogo questa notte medesima. Avvertiti dalle loro spie i Piemontesi hanno nascosto nel borgo quattro battaglioni di fanteria, uno squadrone di cavalleria e dei cannoni. La sortita non ha avuto effetto ma tre batterie napolitane hanno tirato sul borgo per lo spazio di qualche ora. Una bomba ha incendiata una casa; la pioggia ha spento in seguito l'incendio. Durante la giornata quasi intiera abbiamo avuto dei tuoni e della pioggia. Questo cattivo tempo deve contrariare gli aggressori. Un parlamentario introdotto dalla parte di mare ha condotto 5 cappellani e 4 chirurgi appartenenti altra volta alla guarnigione di Capua. Gli si è dato in cambio i bersaglieri fatti prigionieri nel combattimento del 12 novembre.
  • 24 novembre 1860

    S. M. ha passato tre ore del pomeriggio malgrado la pioggia una rivista di tutte le truppe della guarnigione. S. M. era a cavallo, accompagnato dal conte di Trani a piedi. Il Ee stava pensieroso; l'avversità gli ha comunicato una maturità precoce e sotto il sorriso che avea ordinariamente sulle labbra vi si scorgono cocenti mozioni. L'Avenir è ritornato senza aver sbarcato il suo carico di uomini a Civitavecchia; il cattivo tempo non gli ha permesso di entrare in porto, o il capitano ha mancato di arditezza.
  • 23 novembre 1860

    Un uffiziale della squadra francese è stato sotterrato questa mattina nel campo santo situato sulla prima collina, presso del borgo. Una sospensione di fuoco fino alle 11 è stata graziosamente accordata dalle autorità militari della piazza per il compimento dela cerimonia funebre. Nella sera il fuoco è stato ripreso, da parte nostra era poco frequente. Mi semba che si sonnacchia nei due campi.
  • 22 novembre 1860

    Sempre più si scorge che la Città è mal vettovagliata; la maggior parte delle botteghe nelle quali si vendea qualche derrata alimentaria sono chiuse. Mai le amministrazioni Napolitane si sono distinte per previdenza e mancano d'altronde d'uomini pratici. Non sanno abbastanza girarsi, per servirmi di una espressione triviale ma energica. Cosa più facile sarebbe stata di trovare nella Piazza di Marsiglia tutto ciò di cui si poteva aver bisogno. Vero è che la mancanza di danaro risponde a molti rimproveri. Checché ne sia la vita costa cara a Gaeta. Spesso succede che delle famiglie sono sprovvedute di pane a due ore dopo il mezzodì e lo pagano fino a 10 grana al rotolo, 80 centesimi il chilogramma: I macellai non ammazzano quasi nulla e la cattiva vacca è presa a volo dagli uffiziali. I pomi di terra sono rari e si vendono 5 grana il rotolo; il riso non si trova sempre; i maccheroni 3 volte più cari di Napoli compariscono come un fenomeno meteorologico : i faggioli non si trovano che nelle case che hanno cura di fornirsene; i pesci non entrano quasi più. Di tanto in tanto, si vede una cassa di fichi o di uva secca che i compratori si disputano per acquistarla, dei sacchi di carbone orribile prodotto che rassomiglia alle cortecce d'alberi. Le castagne si facevano vedere agli angoli delle strade; ora sarebbe difficile trovare delle Ananas nel fondo delle casematte. Un pasticciere si arrischiò ancora ad infornare dei pasticcetti che furono senza gusto; il pasticciere disparve e con lui i pasticcetti. Gli albergatori non danno da mangiare che a quelle persone che portano essi stessi gli alimenti da preparare; quello ove io sono ad alloggiare fa solo eccezione per una dozzina di forestieri la maggior parte Francesi, venuti qui volontariamente per servire come uffiziali la causa dei loro principii. E Dio mio! che albergo! che cucine!... Oggi sono giunti dei pomi, poca uva, dei fichi e pochi maccheroni, dei quali ne siamo stati privi per 3 settimane. Tutto ciò è stato venduto ad alto prezzo. La razione del soldato consiste in un mezzo rotolo di panefresco di eccellente qualità una mezz'oncia di lardo e quattr'once di fagioli. I cavalli e le mule nuotano nella stessa abbondanza degli uomini. Una parte di questi animali è stata inviata negli stati Romani; non vi resta più avena o pochissima ve n'è. Molte di queste bestie periscono di fame; se ne vedono talune magre come i cavalli dell'Apocalisse, camminare malinconicamente per le strade, ficcare una porta o rosicchiare le tavole dei carri. Le stiratrici si astengano dal lavoro, mancando àmido interamente, non è possibile avere una camicia ben fatta. L'Avenir è partito per Civitavecchia portando delle famiglie degli uffiziali e dei cavalli. Il generale Salzano è nel numero dei passaggieri. E' stato interdetto ai pagani di salire sulle batterie; la stessa proibizione si è estesa su i soldati che non sono di servizio. Nulla di nuovo nelle operazioni di guerra se non le palle della batteria estera hanno tagliato un convoglio che passava a lunga distanza.
  • 21 novembre 1860

    S. A. R. la Contessa di Trapani è partita per Civitavecchia e Roma sull'avviso spagnolo il Vulcano. La Principessa porta con se i suoi figli tutti nell'infanzia. Un anno e mezzo prima la terra dell'esilio riceveva suo padre, il Gran Duca di Toscana, e i suoi fratelli, i Principi Ferdinando e Carlo, altre volte adorati in Firenze; è giunto la sua ora. Dio solo sa se ritornerà presso suo marito, o se il Principe raggiungerà lei. Questa sera ancora il corpo Diplomatico si è imbarcato su di un Vapore Prussiano che lo condurrà a Civitavecchia da dove si porterà a Roma. Il Ministro di Spagna fedele alla sua parola non si muove da qui. L'Arcivescovo di Gaeta, che da una settimana non coricavasi più nel suo palazzo, ma andava a passare le notti a bordo del bastimento Prussiano, è partito assieme al corpo diplomatico. E' un uomo di età avanzata, circostanza che giustifica fino ad un certo punto l'abbandono del suo gregge. Ciò che non è spiegabile, è che sua Riverenza, malgrado la scarsezza dei viveri, non abbia pensato ad accordare ai fedeli il permesso del grasso. Si distribuisce ai soldati la fittuccia della medaglia creata per perpetuare il ricordo della campagna del Volturno. La medaglia, che deve portare al rovescio i nomi di Caiazzo, Trifisco. Santa Maria, Sant'Angelo, Garigliano, non è stato possibile coniarla
  • 20 novembre 1860

    La Regina Maria Teresa, vedova di Ferdinando II, si è imbarcata sul trasporto Spagnuolo l'Alava, con sette dei suoi figli; il Conte di Girgenti, di 14 a 15 anni, il Conte di Bari di 8 anni, il Conte di Castelgirone, di circa 4 anni, le Principesse Maria Annunziata Isabella, nata nel 1843, Maria Clementina Immacolata, nel 1844, Maria Pia, figlioccia del Papa, nata nel 1849, e Maria Immacolata Luisa, nata al 1855. La reale famiglia va ad aspettare a Roma che la Provvidenza decide della sua sorte, come 12 anni prima, Pio IX, cacciato dalla rivoluzione, venne a domandare ospitalità a Gaeta. Il piccolo incidente che ripeteremo è avvenuto sulle batterie. Sua Maestà, volendo puntare, da se stesso si curvava su d'un cannone. E' l'uso qui d'incidere il nome dei Generali su i pezzi. Si trovò adunque che il cannone portava il nome di Nunziante. Sua Maestà si drizzò vivacemente e rivolse il capo senza dir nulla. Gli uffiziali presenti non comprendevano in sulle prime, ma uno sguardo lanciato da uno di loro sul pezzo li aiutò ad indovinare quel che aveva cagionato la sgradevole impressione al Re. Il nome è stato su' bito cancellato. Ho potuto osservare quale stima Bosco gode nell'armata: egli parlava questa mattina vicino al palazzo Reale, col Ministro d'Austria è stato circondato a distanza rispettosa da più di 300 soldati. Le imprese del Generale corrispondevano all'aspettazione dei soldati?
    • 19 novembre 1860

      Una breve tregua è stata chiesta dal Generale Cialdini; si è accordata; essa durerà dalle sette del mattino alle cinque della sera. Il Generale Cialdini vuol dare il tempo agi abitanti del borgo di rifugiarsi in luogo sicuro. Questo sentimento d'umanità sarebbe lodevolissimo; bisognerebbe rallegrarsi col signor Cialdini con tanta più sollecitudine che è la prima volta che ne fa mostra; si aspettava meno da lui. Ma si è autorizzato a supporre che questa sospensione di fuoco avrà piuttosto profittato ai Piemontesi, che avranno travagliato senza esser inquietati dai cannoni della piazza. Questa notte, il Sottotenente Rieger, seguito da otto soldati svizzeri del 3° Battaglione estero e da due del 2°, à spinto una riconoscenza fino al Convento dei Cappuccini. Il nemico à tirato quà e là qualche colpo di fucile, ma finalmente la riconoscenza è riuscita: si sa ora che le opere d'istallazione delle batterie sono meno avanzate di quanto supponevasi. Il Generale Bosco è arrivato sul Vapore delle Messageries Imperiale. Libero della sua parola, accorre presso il suo Re quando gli altri l'abbandonavano. E' un avvenimento in Gaeta. Se Bosco si fosse trovato a Capua l'indomani della battaglia di Cajazzo, l'armata Reale avrebbe superato in una tappa la distanza che la separva da Napoli. Bosco à eccitato un po' di gelosia tra qualche uffiziale superiore poichè la sua condotta era una amara critica della loro; ma i soldati anno confidenza in lui. Dopo il trionfo della rivoluzione in Sicilia, ei conservava del prestigio anche tra la gente appartenente al campo opposto; il bel sesso pronunziava il suo nome con tenera inflessione di voce. Ho conosciuto a Palermo una nobile signora realista, che aveva una specie di culto per la sua fedeltà, e che parlava di lui colle lagrime agli occhi. Due casse piene d'oro sono state sbarcate questa sera; vengono da Roma e debbono contenere forti somme, poichè quattro marinai ne ànno potuto portare una sola. Questa risorsa era molto desiderata; le casse erano quasi vuote!
    • 18 novembre 1860

      Si travaglia nelle batterie Napolitane, ove molti cannoni non sono ancora inalzati su i loro affusti. Da molto tempo si avrebbe dovuto mettere tutto in istato di difesa. I lavori procedono lentamente, sarebbe facile impiegare maggior numero d'operai, visto l'effettivo della guarnigione. Silenzio da parte del nemico. Una bandiera nera è inalberata durante il giorno sugli ospedali militari; la notte, si accendono dei lanternoni affinchè il nemico rispetti quegli asili di dolore. Una nota del Ministro degli affari esteri ai rappresentanti delle Potenze, li ringrazia della prova di devozione che anno dato alla causa reale ed alla stessa persona di sua Maestà col venire a resiedere in Gaeta. Sua Maestà esprime la sua gratitudine non solamente ai Ministri, ma anche ai governi di cui sono gli interpreti. Non pertanto, il Re, non volendo esporre questi diplomatici alle conseguenze di un bombardamento l'invita a portarsi a Roma, ove saranno considerati ancora presso la real persona. Nello stesso tempo, delle distinzioni onorifiche sono conferite al corpo diplomatico. Il Nunzio Monsignor Giannelli, Arcivescovo in partibus di Sardin; il Conte Syccheay, Ministro d'Austria; il Principe Wolkoustry, Ministro di Russia, ed il Conte di Perpoucher, Ministro di Prussia, ricevono il gran cordone dell'ordine di San Gennaro, che non si suol dare per solito che ai Sovrani, benchè questa regola abbia talune volte avuto delle eccezioni. Il Conte di Loss, Ministro di Sassonia, era il gran cordone di S. Giorgio, ed il Cavaliere Frescobaldi, incaricato degli affari del gran Duca di Toscana, quello di Francesco I. Solleviamo ora il velo di questo mondo officiale: Le Eccellenze Loro si divertivano mediocramente a Gaeta, non avendo neanche più la facilità di andare a desinare a Mola. I loro sguardi si volgevano verso Roma, e venne loro in pensiero di domandare l'autorizzazione al Re di potervisi ritirare. Il caso era delicato, si discusse in piccola adunanza l'espediente per arrivare a questo scopo. I rappresentanti delle tre grandi Potenze Nordiche erano i più solleciti di sortire da qui: uno di loro fece intendere nel seguito del Re che sarebbero felici se Sua Maestà indovinasse ed esaudisse questo loro voto. Gli officiosi non mancarono di parlarne al Re, che sulle prime se ne mostrò urtato, indi, colla sua ordinaria bontà, accordò ciò che si desiderava, e decorò anche i Ministri, come dice il giornale di Gaeta. I Diplomatici non furono sodisfatti d'una semplice autorizzazione. Temendo a buon dritto che i loro Governi li rimproverassero e che il pubblico sospettasse del loro coraggio, fecero pregare Sua Maestà di cambiare l'autorizzazione in un formale invito. Sua Maestà condiscese anche a ciò, e l'invito di ritirarsi a Roma fu indirizzato collettivamente al Cor¬po Diplomatico dal Ministro degli affari esteri. Ecco qual'è la nuda verità; nulla mi obbligava a celarla. E' il momento di dire che il Ministro di Spagna, signor Bermudez di Castro, Marchese di Luna pratica una condotta molto più nobile, e cavalleresca dei suoi colleghi. Non solo non à preso parte in questi piccoli maneggi, ma à dichiarato non volere abbandonare mai il Re, correva gli stessi rischi, e che nell'ultimo giorno della lotta, se dovesse essere abbandonato dai suoi servitori, egli prenderebbe una pistola per mettersi al suo fianco. Non si potrebbe desiderare di più da questo perfetto gentiluomo, e si riconosce che il Marchese di Luna si rammenta che è del Paese del Cid. Il sig. di Luna non è incluso nella distribuzione dei gran cordoni, per la semplice ragione che ne è decorato da molto tempo.
    • 17 novembre 1860

      Gli uffìziali dei bastimenti Spagnuoli ancorati in rada assicurano che in questa giornata ed in quella del 16, ànno veduto trasportare più di 200 feriti Piemontesi. Il Re spinge troppo lungi gli scrupoli religiosi: il Signor Harrington di la Chesuage, tenente di artiglieria, metà Francese, metà Americano, arrivato da poco, aveva puntato ieri sera sei pezzi contro una chiesa del borgo; e sapendo che dei Piemontesi vi alloggiavano, si proponeva di farvi fuoco durante la notte; gli è stato ingiunto di rispettare la Chiesa. Un contadino che è entrato nella Piazza, racconta che ieri un grosso cannone rigato, messo in posizione dall'inimico, avrebbe fatto esplosione alla prima prova uccidendo o ferendo cinquantadue persone. Il Visconte di Sayve uffìziale Francese presso lo stato maggiore generale, fatto prigioniero pochi giorni sono, contro le leggi della guerra, nel mentre che il colonnello comandante il 3° battaglione cacciatori, al quale aveva portato un ordine, era in colloquio cogli uffìziali Piemontesi, à mandato qui una lettera per fare che si reclamasse in suo favore presso dal generale Cialdini. Buon numero di famiglie s'imbarcano per Civitavecchia, sul Dahomè. Vapore Marsigliese al servizio del Reale Governo. Molti uffìziali profittano di questa occasione per mettere in sicuro le loro preziose persone.
    • 16 novembre 1860

      In questo momento uno dei miei amici è andato da sua Maestà. Il Re, parlando, à sollevato una salvietta che copriva un piatto su di una tavola. Il piatto conteneva un pane dimezzato. Il Principe ne ha rotto un grosso pezzo e l'à morsicato a pieni denti, come avrebbe potuto farlo un collegiale affamato al ritorno della passeggiata. Questa semplicità Reale è d'un gusto squisito. Se mai sua Maestà leggesse il mio giornale, gli domando perdono di avervi frapposto quest'aneddoto.
    • 15 novembre 1860

      Le opere dell'inimico sono ben danneggiate. Forse una delle sue batterie i di cui cannoni non sono ancora situati, è stata rovesciata dalle bombe. Napolitane. Essi continuano a non rispondere. Dei rapporti venuti da Itri ci hanno fatto conoscere che molti feriti Piemontesi sono stati trasportati in questa località. Tre uffiziali sardi, se bisogna credere una diceria sparsa, sarebbero venuti a Gaeta, travestiti da uffiziali della marina Francese; visitate le batterie con tutte le faciltà desiderabili, come può farlo ogni abitante della città o straniero che risiede a Gaeta. Si sarebbe loro mostrato con cortese sollecitudine tutto ciò che desideravano vedere, ed anche avrebbero puntato i cannoni, in sulle prime la cosa sarebbe passata inosservata, ma i sicofanti sarebbero stati incontrati per istrada da vari ufficiali che avrebbero riconosciuto il travestimento. S'ignora se le audaci spie appartengono all'armata di Cialdini o alla squadra Sarda. Non è a meravigliarsi di simili fatti; tutto è possibile in questo Paese. Un giovane che era a Capua quando Garibaldi assediava quella Piazza, mi assicura che tutte le notti usciva da una poterna per visitare la sua innamorata a santa Maria, nel centro del Quartiere Garibaldino, e che rientrava senza attirare l'attenzione. Per ordinanza del governatore della Piazza, tutti quelli che usciranno dopo un ora di notte, cioè a dire dopo 6 ore della sera, dovrà essere munito d'una lanterna. Il Municipio à fatto annunziare a suon di tromba, che ogni giorno vi sarebbe un bastimento o delle barche per trasportare le persone che vogliano abbandonare la città. Un caffè à ottenuto l'autorizzazione di non chiudere che tardi nella sera, è un barlume di consolazione per gli uffìziali. Un'ordinanza del Ministro della guerra riduce gli uffìziali al soldo semplice. La tenuità dei mezzi del tesoro necessita questa misura economica, che à d'altronde numerosi antecedenti.
    • 14 novembre 1860

      Un violento uragano è scoppiato la passata notte. In questo momento un bravo uffiziale Francese, S. di Salvy, altra volta comandante d'un Vapore di commercio Marsigliese, il Protis, e recentemente nominato tenente di Vasciello nella Marina Napolitana, faceva a S. M. una proposizione altrettanto ardita che seducente: pregava la M. S. di volergli permettere di servirsi dei quattro Vapori che sono nel porto, per andare all'entrata del golfo ad impadronirsi di una corvetta Piemontese. Questa corvetta era isolata, i fulmini che si sono succeduti per tre o quattro ora e la profonda oscurità dileguata solamente dai lampi avrebbero coverto l'attacco, supponente anche che gli altri bastimenti Piemontesi ancorati innanzi Mola fossero in attenzione. Il Re dubitava del successo. Finalmente, S. M. rendendosi alla calorosa dimostrazione del signor Salvy, gli disse : « Ebbene! sia. Ac¬comodate ciò col Ministro della Marina ». Il signor Salvy corre dal Vice Ammiraglio del Re. Il signor del Re fa numerose obiezioni, e l'uffiziale Francese scoraggiato si ritira. A quest'ora, il Re avrebbe probabilmente una coverta di più, se Salvy avesse attenuto il mezzo di tentare la fortuna. Si à tanta poca abitudine dei colpi di mano! Un avviso della Piazza previene gli abitanti che vorranno lasciare la città, che debbono farsi immediatamente iscrivere alla cancelleria comunale.
    • 13 novembre 1860

      I Piemontesi continuano a travagliare all'erizione delle loro batterie. Sono stati inquietati in tutta la giornata da bombe e da granate. Il tiro è diretto con una precisione molto sodisfacente. Una bomba caduta vicino al convento dei Cappuccini, ha ucciso e ferito una cinquantina d'uomini, al dire di taluni uffìziali della squadra Francese, meglio situati di noi per giudicare dell'effetto. Il conte di Caserta, secondo fratello del Re e colonnello d'artiglieria, a tirato egli medesimo tre bombe dalla batteria Philipstad tutte tre sono arrivate giusto in mezzo ad un gruppo numeroso di Piemontesi. Alla terza quelli che non erano stati colpiti anno sollecitamente abbandonata la posizione. Questa notte anche i Piemontesi anno lanciato dei proiettili vuoti; una porzione à colpito le case del borgo, nel quale non resta che alcuni poveri abitanti, un'altra porzione si è perduta sui loro propri avamposti.
    • 12 novembre 1860

      Si scorge l'inimico travagliare sulle colline che prolungano l'istmo, da quanto può giudicarsi a distanza, il numero degli operai dev'essere di più di 2000, si costruiscono dei parapetti. E' destinato che la sventura seguirà passo a passo l'infelice Re. Questa giornata è stata piena di dispiaceri, e Francesco II à dovuto riportarsi col pensiero all'ultima sera del suo soggiorno in Napoli, quando le dimissioni piovevano sulla sua tavola e che nel suo palazzo, abbandonato dai cortigiani, le lampade si spegnevano per mancanza di una mano per fornir loro dell'olio. Il Generale Barbalonga à datti .la sua dimissione e lascia Gaeta. Simile condotta da parte di Barbalonga mi stupisce; io lo conosceva alquanto e lo credeva uno dei più sicuri uffiziali. Il Generale Colonna, nel quale i Principi riponevano la loro confidenza, l'ultimo di cui si sarebbe venuto in pensiero di dubitare, non si è contentato di presentare la sua dimissione à spinto l'ardire fino a scrivere al proprio Sovrano: che nel caso di non accettazione non doveva stupirsi di vedere le sue truppe passare al nemico. Il Generale Salzano, poco prima governatore di Capua, indi generale in capo dell'Armata di operazione incaricata di respingere i Piemontesi, e che ebbe a Teano un colloquio con Cialdini, si è dimesso dalle sue funzioni e va via. Il Colonnello Pianelli che comandava il 15° Battaglione Cacciatori, lo ha condotto al di là della prima collina e gli à fatto deporre le armi innanzi ai Piemontesi. L'effettivo del Battaglione era di circa mille uomini; 900 ànno ubbidito, 35 uffiziali erano presenti, 8 sono rientrati in Città. Pianelli in seguito si è diretto verso il Quartier Ge¬nerale di Cialdini per ricevere i ringraziamenti meritati. Pianelli è fratello del Generale dello stesso nome che essendo Ministro della Guerra di Napoli, preparò con Liborio Romano ed altri nobili personaggi il rovescio della Monarchia. Un grazioso piccolo combattimento è stato dato al di là del campo. Un mezzo Battaglioni Cacciatori scaglionati sulla collina, sosteneva il fuoco contro i Bersaglieri che erano sparsi sulla collina e nella valle, E' attacco dei Bersaglieri aveva per iscopo probabile di attirare l'attenzione della Piazza mentre che i Piemontesi preparano l'istallazione delle loro batterie. Il fuoco negli oliveti à durato tutta a giornata. I Cacciatori si battevano con aggiustatezza; io li guardava caricare col massimo sangue freddo e si avanzavano passo a passo. Sono stati rilevati quando sono stati stanchi. I Napoletani ànno perduto poche persone e ànno fatto 20 a 25 prigionieri. Ho veduto cadere dei Piemontesi; un istante i Bersaglieri sono fuggiti precipitosamente. Delle granate, lanciate ad intervalli dall'alto della batteria Regina, non tralasciavano d'inquietare l'inimico. Verso sera, i Piemontesi si sono mostrati in forza di 5 o 6 contro uno ed ànno riguadagnato terreno. I Cacciatori ànno indietreggiato lentamente; è notte, le porte loro sono state aperte e si coricarono quella sera nella casamatta sotto le batterie del fronte di terra. Durante il combattimento il Re stava sulla batteria della quale partivano le granate. Tutti i prigionieri Garibaldini rinchiusi nel Castello, sono stati oggi condotti a Mola ove sono stati scampiati con altrettanti prigionieri Napoletani. Il numero dei Garibaldini era di circa 1100 a 1200 tra i quali un figlio di Turr. Nello spazio della loro prigionia sono stati trattati con molta cura. Un ordine del Governatore della Piazza fìssa la chiusura dei caffè a due ore di notte, cioè a dire a sette ore della sera. Quest'ordine mi sembra poco conveniente; sarebbe opportuno in una città in cui i caffè sono dei ritrovi politici come lo erano in Francia negli anni 1848 e 1849, ma qui non si tratta di nulla di simile. Gaeta non à teatri, saloni non ve n'esistono, niuno può pensare a feste, come impiegar dunque le lunghe serate d'inverno? In Francia noi abbiamo almeno il conversare vicino al fuoco, ciò che chiamiamo col dolce nome di focolare, ma ciò non si conosce in Italia.
    • 11 novembre 1860

      I Piemontesi anno dato segno di vita questa notte. Sapendo che otto o dieci mila uomini sono sul campo, li anno salutato da 60 ad 80 obici a palle rigate, che, per la maggior parte anno oltrepassato il sito e sono andate a cadere nel mare. Mi anno detto che un soldato solo è stato ammazzato; ma questa mattina i Napolitani essendosi divertiti ad ammonticchiare i proiettili che non erano scoppiati, un esplosione ha ammazzato quattro uomini. La Piazza à risposto agli assedianti con 6 o 7 granate. Gli avamposti Piemontesi si sono approssimati fino alla Torre del Diavolo, vecchio fabbricato sulla strada di Mola. Tutti gli alberi che guarnivano lo spazio compreso tra le due cinte, verso la porta di terra sono stati tagliati: questa verdura rendeva alquanto gaia l'entrata della città; ora l'occhio si rattrista per questa necessaria devastazione.
    • 10 novembre 1860

      Nulla di nuovo
    • 08 novembre 1860

      Per l'intelligenza di questo giornale io credo necessario scrivere a lunghi tratti il terreno sul quale i Piemontesi vogliono stabilire le loro operazioni di assedio: La città di Gaeta è costruita su di un capo che si avanza al ponente. Il golfo si arrotondisce fra Gaeta e Mola, quest'ultima località più a mezzogiorno, dista dalla prima di 5000 metri in linea diretta a traverso la rada, ma con una strada sinuosa la di cui lunghezza effettiva è in otto chilometri. La strada di Gaeta confina, non lungi da Mola, alla via consolare di Napoli a Roma, che si volge un po' più all'Oriente. All'Est di Mola e della via Romana, si elevano delle montagne distaccate dalla catena degli Appennini; questo è il fondo del quatro. Tra la via consolare e la strada della marina che mena a Gaeta, si elevano in anfiteatro delle colline delle quali qualcuna tiene proporzioni dei veri monti. Queste colline, il di cui aspetto non offre un'incanto mediocre, sono irregolarmente tagliate da precipizi e da valli. Di parte in parte crescono degli oliveti! la bianchezza delle case di campagna, sparse pei dintorni fa stacco colla di loro verdura. Delle creste sono completamente nude. Gaeta è divisa dalle colline da un campo di sabbia su base di rocca: là era prima Montesecco, che Ferdinando II tagliò. Da Gaeta al piede della collina, non si conta che 500 metri, e fra le due rive dell'istmo non vi sono più di 700 metri. Al piede della prima collina comincia il Borgo, che segue la tortuosità dapprima quasi insensibile della strada della marina, e che non à meno di due chilometri di lunghezza su di una profondità di 30 o 40 passi. La popolazione del Borgo eccede 15000 anime. Il Borgo e Gaeta non costituiscono che un comune. Io non so se questa descrizione renderà i miei lettori familiari coi luoghi che saranno il teatro dei combattimenti; ma in seguito la completerò necessariamente con altre indicazioni topografiche. Non avendo l'intenzione di fare un corso di geografia non avventurerò una descrizione di Gaeta. La città non contiene più di tre mila anime di popolazione civile. Essa non à alcuna meraviglia artistica. Costruita sul pendio del capo, essa non gode nemmeno della veduta del golfo; per iscorgerla, bisogna salire sul cammino che serpeggia la cresta della collina. Una montagna, la di cui base è abbastanza estesa e la di cui cima è coronata dalla grossa torre chiamata d'Orlando, domina contemporaneamente la città e le colline che saranno teatro d'operazione ai Piemontesi. I fianchi della montagna anno ricevuti tre ordini di batterie, è ciò che chiamasi fronte di terra. Il fronte di mare, tre volte più esteso, non à che un'ordine di batteria, eccettuato in alcuni punti dove avvene due sovrapposte. La difesa della piazza è stata divisa in due comandi. Il fronte di terra è affidato al Tenente Generale Riedmatten, bravo come la sua spada, devoto a Dio ed al suo Re; il fronte di mare è devoluto al Tenente Generale Sigrist, il fronte di terra non comprende che una sola sezione, che è sotto la direzione del colonnello Gabriele Ussani, uffiziale d'un raro merito, i di cui talenti e coraggio sono egualmente apprezzabili. Si conta sul fronte di terra 22 batterie. Ecco i loro nomi colla enumerazione delle loro bocche a fuoco: La batteria Trinità, tre obici cannoni da 80, due pezzi rigati da 4 ed un pezzo rigato da 12. Ridotto Trinità, dieci obici cannoni da 60. Transilvania, cinque obici cannoni da 60. Malpasso, due obici cannoni da 60. Sant'Andrea, cinque cannoni da 24, e sette mortai Piatta forma, quattro cannoni da 24 e due obici. Dritta Dente di sega, tre mortai. Dente di sega, dieci cannoni da 24. Malladrone, un cannone da 24, ed un obice cannone da 80. Avanzata, tre cannoni da 4, e due obici. Nuovo ridotto, quattro colombrine da 16, e quat¬tro obici. Fronte a scalone, tre cannoni da 12. Falsabraca Sant'Andrea, un cannone da 12, sette colombrine da 12 e quattro obici. Cinque piani, quattro cannoni da 24, e due obici. Cappelletti, quattro cannoni da 24, cinque obici cannoni da 60. Conca, quattro cannoni da 24, tre obici cannoni da 60, e due mortai. Pico, quattro obici cannoni da 80. San Giacomo, sette cannoni da 24. Philipstad, un cannone da 12, sei cannoni da 24, una colombrina da 12, due obici e tre mortai. Regina, un cannone da 24, trentotto obici cannoni da 60, ed un pezzo rigato da 12. Trabacco, tre obici cannoni da 60, e due mortai. Totale, il fronte di terra ha 54 cannoni da 24, o d'un calibro al di sotto, dodici colombrine, 76, obici cannoni da 60 o da 80, 16 obici, 4 pezzi rigati, 17 mor tai, sono 179 bocche a fuoco. Il fronte di mare è diviso in tre sezioni: l'una sotto il comando di S. A. R. il conte di Caserta, la seconda sotto il comando del Generale di Brigata Palumbo, e la terza sotto il comando del colonnello Garofalo. Ecco lo stato delle batterie: Duca di Calabria, 11 obici da 60. Torrion Francese, 11 obici cannoni da 80, e due cannoni da 12. Maria Teresa, 11 obici cannoni da 60. San Montano, cinque cannoni da 36. Guasta ferri inferiore, 3 obici e sei mortai. Santa Maria, 13 obici cannoni da 80, cinque can¬noni da 30, e due obici. Vico, 6 obici cannoni da 80, 4 cannoni da 30 e 5 cannoni da 24. Poterna, due colombrine da 24, e due obici. Gran Guardia, cinque pezzi da 36, un obice e due mortai. Ferdinando e Favorita, 18 obici cannoni da 80, un cannone da 30, tre obici cannoni da 60 e due cannoni da 12. Riserva, due cannoni da 30. Totale del fronte di mare: 82 obici cannoni da 60 o da 80, 44 pezzi da 36 o d'un calibro inferiore, 8 obici, e 8 mortai, sono 142 bocche a fuoco. Io non ho ancora parlato della batteria estera; essa appartiene al fronte di terra ed al fronte di mare; è un poco più indipendente delle altre, e non riceve ordini che da S. A. R. il conte di Caserta che non la lascia quasi mai. La batteria estera si suddivide così : Contro Guardia, tre cannoni da 15, due pezzi rigati da 12, ed un mortajo. Cittadella, 7 cannoni da 24 ed uno da 16. Cappelletti, quattro obici. Fianco basso, tre cannoni da 12, tre obici, un mortaio. Totale, 25 bocche a fuoco. Cosi Gaeta è difesa da 345 bocche a fuoco; è molto meno che si dice nei giornali esteri. La quantità delle bombe e delle palle piene è enorme; ma la polvere non è molta. La batteria estera era occupata da Svizzeri e Francesi. I miei lettori non saranno dispiaciuti di conoscere i nomi degli uffiziali; questi sono, per ranghi di gradi: M. M. Sury, Huober, Bertholet, Ferdinando di Charette, Vauthier, Harrington di la Chesuaye, Fonet e di Saint-Bris.
    • 07 novembre 1860

      Si è saputo che 15000 soldati, fra i quali metà dei battaglioni esteri, con armi e bagagli, anno superate la frontiera Ponteficia. Messi tra due fuochi dalle colonne Piemontesi e la Squadra, gli è stato intimato di rendersi. Essi erano estenuati di fatica, morenti di fame, ed avevano forzata la marcia per dei sentieri incogniti, dei precipizi e degli alpestri monti. Non ostante ciò ànno energicamente risposto non ricevere ordini che da Francesco II chè si trovavano ancora in gran numero per respingere delle ingiunzioni insultanti, e che se li riducevano alla disperazione, si aprivano una strada colla bajonetta. Bisogna dire che molti uffiziali generali erano ben lungi da dividere questi bei sentimenti; ma i soldati non domandavano loro nè consigli nè ordini. I Piemontesi meravigliati non anno osato attaccare queste truppe in disordine; nel mettere il piede sul suolo dello Stato Romano, essi anno dipositato le armi nelle mani dei francesi, che il generale Goyon aveva mandati in Terracina. Gli uffiziali hanno conservato le loro sciabole. I Napolitani si lodano dell'accoglienza dei soldati francesi; ma taluni uffiziali non ànno incontrato procedimenti dalla stessa cordialità. Tutto porta a credere che il tradimento di qualche capo non è estraneo alla ritirata delle truppe nello stato Romano. Nella giornata del 3, il Tenente Generale Casella, Ministro della guerra, si era condotto a Mola; egli aveva riuniti i Generali che vi si trovavano; loro aveva espressa la volontà del Re, che era che la colonna si ritirasse per andare a prendere posizione nelle vallate di S. Germano e di Sora. Questa era una eccellente idea e si avrebbe cosi evitato l'affollamento di molta truppa in Gaeta, e da S. Germano e da Sora si sarebbero guardati gli Abruzzi nel medesimo tempo che si avrebbero minacciati i fianchi e le spalle de' Piemontesi se essi avessero cominciato l'assedio di Gaeta. Disgraziatamente i Generali Colonna e Barbalonga fecero una forte opposizione, offrendo le loro demissioni se si fosse lasciato Mola. Il giorno seguente 4, allorché il Generale in Capo Salzano ordinò, per uniformarsi alla volontà Reale, di marciare verso Itri, i Generali Barbalonga e Colonna, invece di ubbidire, fecero discendere le loro Divisioni verso MonteSecco, alle porti della Piazza.
    • 5 e 6 Novembre 1860

      Regna in Gaeta una confusione ben naturale dopo tanti disastri. Una parte delle Truppe sono accampate avanti la città, sul campo, e dalla parte d'Itri: altre restano più lontane, ma non si sa dove. Delle colonne Piemontese si sono avanzate per la via d'Itri e delle Navi anno seguito la costa per operare per mare nello stesso scopo.
    • 04 novembre 1860

      La piccola città di Mola di Gaeta (l'antica Formia) bombardata fin da ieri da una squadra Piemontese di sette navi, benchè senza difesa e che le bombe avessero lasciato solamente le loro tracce negli ospedali e nelle proprietà private è stata abbandonata oggi dalle Truppe Reali. Nel momento in cui i Napoletani si ritiravano in disordine verso Gaeta, l'armata Sarda entrava in Mola per la via del Garigliano. Poca gente anno adempito al loro dovere. Conviene però accordare una onorata rinomanza, o piuttosto pagare un tributo funebre al Capitano Fèvot Comandante della batteria Svizzera. Si rese raramente giustizia al suo merito mentre viveva; il suo nome mi viene sotto la penna due ore dopo che è caduto sul campo di battaglia. Fèvot era Valdese. Nato nel protestantesimo, passò nei cattolici nel 1847, durante la guerra del Sonderbund. Dopo abbracciò il cattolicismo che ha costantemente praticato con fervore. Fu lui che creò l'eccellente batteria dei tre battaglioni esteri, e fu tanto contrariato, che nella sua indomabile energia fu venti volte per desistere dall'intrapresa. Invidiato da alcuni dei suoi compatriotti, che erano suoi superiori, non ottenne il dovutogli avanzamento, né alcuna decorazione brillò sul suo petto. Nel ritorno dal Garigliano, marciava alla testa della sua batteria. Arrivati ad un punto molto esposto al fuoco della Squadra Piemontese, gli artiglieri esitarono. Fèvot si rivolse verso essi e dice loro: Ragazzi noi abbiamo fatta tutta la campagna; ricordatevi che niuna palla v'è stata per noi. Situatemi qui due cannoni e rispondete a queste navi. Nel mentre che i due cannoni rigati tirano sulla squadra, il Capitano Févot fece superare egli stesso il passo diffìcile ad un altro pezzo: in sicurezza questo ritorna per prenderne un secondo. Dodici volte l'intrepido uffiziale passò sotto il cannoneggiamento nemico e giunse felicemente a Mola, ove drizzò la sua batteria. Caricava e puntava, allorché una palla d'un bersagliere gli traversò il corpo. Un artigliere lo sedette su d'un cassone ed egli continuò a comandare il fuoco, mentre spiegava la sua corona tra le dita. L'artigliere colpito mortalmente alla sua volta lasciò cadere il suo fardello: e nella confusione della ritirata l'infelice Fèvot già spirante fu schiacciato dalle vetture. Févot non è stato il solo che à mostrato bravura nella giornata che è per finire, ma la sua morte gli à accordato il dritto d'esser messo in prima linea. Da oggi, si può dire che l'assedio di Gaeta è incominciato. Gaeta è l'ultimo baluardo della monarchia o l'estremo rifugio dell'indipendenza dell'Italia meridionale. Messina è ancora in essere, ed il Forte di Civitella del Tronto negli Abruzzi non à capitolato; ma il giorno in cui Gaeta soccomberà, Civitella e Messina abbasseranno le loro bandiere. Io ò visto a Palermo la prima scena di questa rivoluzione; fin d'allora io presentiva con dolore che la causa alla quale mi son dedicato andava a subire un violento scacco, che questi Principi ai quali appar tengono le mìe più vive simpatie s'incamminavano verso l'abisso, ed io scriveva che se Garibaldi non era battuto in Palermo, la dinastia non tarderebbe sei mesi ad essere cacciate da Napoli. A Napoli ò assistito al compimento della mia sinistra profezia; e quando Francesco II salì sul vapore che doveva condurlo in Gaeta, fu una voce francese che fece sentire nel golfo l'ultimo grido di: Viva il Re! nel mentre che i rivoltosi si affrettavano d'illuminare le loro finestre in segno d'allegrezza. Io sarò ancora il testimone delle supreme lotte del Reame Siciliano abbandonato dai Sovrani d'Europa. Questa sera, sono entrato nella Cattedrale. Alcuni vechi soldati vi recitavano le litanie, della Vergine; ò rimarcato che anno ripetuto due volte con commozione: Consolatrìx afflictorum! Mi sono inteso commosso talmente, come se avessi inteso un discorso di Bossuet sulle umane vicissitudini e le rivoluzioni degli Imperi.

      Fonte: Gaeta150.org

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  • Ingresso barricato alla Batteria Cittadella. Sullo sfondo la Porta dell’Avanzata (o di Carlo III). Sulla sinistra i ruderi di una cappella dedicata a Pio IX ed oggi non più esistente. Fotografo Eugenio Sevaistre.


    29 novembre 1860

    Verso la punta del giorno una riconoscenza composta di 440 uomini, è uscita dalla poterna che da sul campo, era guidata dal tenente colonnello Migy comandante in altri tempi del secondo battaglione estero. Il generale Bosco ne aveva l'alta direzione. La metà del contingente si componeva di soldati esteri ed i cacciatori napolitani componevano il resto dell'effettivo diviso in tre colonne, questi 440 uomini dovevano visitare le colline e le valli al di là del campo. La colonna principale, quella del centro va sotto gli ordini di un vecchio capitano svizzero il signor Steiner. Le istruzioni date al tenente colonnello Migy gl'ingiungevàno d'evitare per quanto possibile il combattimento. Una riserva di 500 uomini era discesa sui falsi piani, per proteggere la ritirata quando l'esplorazione sarebbe finita. La colonna Steiner s'è bravamente slanciata la baionetta in canna, ha saltato un muro di trinceramenti, ha ucciso l'uffiziale ed i soldati d'un posto piemontese che ha ricusato di rendersi, ha percorso la valle di Calegno, il monte Atrafìna ed ha passato i Cappuccini, sostenendo il fuoco contro l'inimico che si svegliava e si riuniva in forze. In niun punto si sono scoverte batterie, le opere d'attacco sono dunque meno avanzate di quanto supponevasi. Acquistata questa certezza, non restava più che a rientrare in piazza. Tre battaglioni di bersaglieri hanno resa la ritirata un po' difficile; ma finalmente non s'è lasciato alcuno in mano al nemico. I Napoletani avevano fatto un prigioniero. L'affare era durato meno di due ore, delle granate provenienti dalla batteria Philipstad e Regina hanno fortemente appoggiata la ricognizione ed hanno seminato la morte in mezzo ai bersaglieri. Noi non possiamo conoscere perfettamente le perdite dell'inimico; ma deve avere un centinaio d'uomini fuori combattimento. I Napolitani hanno avuto tre soldati uccisi 21 feriti; di cui 5 uffiziali. Tra questi ultimi è il tenente colonnello Migy che conosceva da qualche tempo; una palla gli ha traversato il corpo, Migy è uno dei migliori uffiziali dell'armata. Questa mattina andava al fuoco con un magnifico sangue freddo, il sicaro in bocca; si teme che la sua ferita sia mortale. Un tenente svizzero col quale passai la serata di ieri il sig. Liegher, ha ricevuto una palla nel braccio. Gli spettatori sono stati distratti un momento da uno stuolo di oche che svolazzavano sul teatro di azione, mi si cita dn buffone che aveva una smisurata voglia di puntare un cannone contro quei volatili.
  • 28 novembre 1860

    Si gode la più dolce temperatura ed il sole ci tratta da figli prediletti. Io aveva in altri tempi passato la stagione d'autunno a Napoli, quest'è la più bella dell'anno. Nulla è paragonabile alla calma delle sere di Napoli in quest'epoca ed io n'aveva conservato una memoria che mi seguì nella patria. A Gaeta il clima è lo stesso; ma il golfo non è che uno stagno vicino a quello di Napoli. Le montagne che si drizzano innanzi a noi non seducono lo sguardo come la collina di Posilipo, le isole di Nisita, di Capri, di Procida e d'Ischia seminate sulle onde turchine qual nidi di verdura; la fortunata riva di Sorrento, i mammelloni ombrosi dì Castellammare, le montagne che circondano il Vesuvio, le colline di Capodimonte e del Campo Santo. E le notti! cosa dirò mai della loro ebrezza? quante volte siamo potuti restare sulla terrazza di un piano alto fino all'undici o mezzo notte, la testa scoperta anche alla metà del mese di dicembre ascoltando una cara voce ora spenta per sempre, o i melanconici motivi dei zampognai abruzzesi girandolando di Madonna in Madonna! Io non potrò mai dimenticare quelle notti di Napoli in qualunque riva io poggi la mia tenda... A Gaeta ecco molte notte consecutive che sono bellissime. La luna s'innalza tra gli alberi d'una fregata napolitana tristamente ancorata nel porto, i suoi raggi discreti riflettono sulla flotta francese e le navi spagnole i di cui fuochi risplendono dai boccaporti. Vi è ragione di credere che l'inimico mette a profitto questa clemenza della stazione, e che attivi le sue opere e però, dovrebbero essere più avanzate. Una tregua di un'ora ha avuto luogo questa mane per seppellire tre cadaveri che giacevano sul campo. Questa tregua era stato l'oggetto della missione del signor Pozzo di Borgo.
  • 27 novembre 1860

    Il signor Pozzo di Borgo, tenente dello Stato Maggiore discendente dal celebre diplomatico è stato inviato qual parlamentario al general Cialdini per dimandare una tregua onde seppellire dei cadaveri che da 10 o 12 giorni si trovavano su i parapetti. Egli ha avuto col generale piemontese una conversazione non sprovvista d'interessi. Cialdini gli ha detto di possedere il giornale di Massena, e ch'ei servivasene per dirigere l'assedio. Ma quest'assedio è molto più diffìcile nel 1860 che nel 1806 per diverse ragioni di cui principale questa: Massena aveva tra il suo campo e le fortificazioni della piazza, una montagna che copriva le sue trincee, neutralizzando in parte il tiro dei napoletani. Questa montagna è oggigiorno completamente spianata ed è sopra di essa che trovasi il campo. In tal modo i piemontesi dovranno scavare le loro trincee su di un pendìo discendendo la collina, operazione che offre poche eventualità di riuscita. Cialdini ha fatto osservare in seguito al giovine parlamentario, che Gaeta offre una posizione topografica eccezionale, ordinariamente le trincee si sviluppano a dritta ed a sinistra, tendendo ad ingrandire la linea d'attacco e circondare la piazza, e portante a disseminare i fuochi dalla difesa Qui, è tutto al contrario; a misura che gli assedianti avanzano il fuoco di attacco si restringe perchè la lingua di terra al di cui estremo è edificata Gaeta termina quasi in punta. La piazza s'ingrandisce in vece di restringersi quando l'inimico si avvicina ed i fuochi della difesa convergono su di un sol punto. Queste osservazioni del generale piemontese sono sensate. Cialdini ha detto con affettazione che i proiettili della piazza, non avevano cagionato alla sua piazza che guasti poco considerevoli. Ha soggiunto che ben presto si sentirebbero anche i suoi cannoni la di cui armonia sarebbe suffi¬cientemente imponente. L'inimico travaglia dietro la collina de' Cappuccini ed alle rovine di Sant'Agata; su questi due punti dei mortai debbono esser già stati situati, ed è perciò che il fuoco delle nostre batterie del Ponte di terra sono state dirette da quella parte. Per tutta questa sera il tiro è stato molto vivace, ed ho avuto luogo di credere che ha prodotto buon risultato. Le bombe e le granate arrivavano nei luoghi indicati, mi è sembrato però che i proiettili scoppiavano un po' tardi 15 o 20 minuti dopo la loro caduta. Sulle batterie della piazza sono trascurate talune precauzioni: i parapetti non sono tutti abbastanza guarniti, e ci sarebbe bisognato su quello delle spianate che sono in bitume o in macadam, spargere della paglia bagnata o del letame. Il tempo però vi sarebbe stato da potersi mettere in guardia.
  • 26 novembre 1860

    L'Avenir è ripartito per Civitavecchia, ma il Generale Salzano è restato. I generali Antonelli e Tabacco, la di cui dimissione era stata accettata si sono egualmente decisi a restare.
  • 25 novembre 1860

    Quel ch' è avvenuto questa notte sembra provare che l'inimico ha dell'intelligenza nella piazza; mai ne aveva dubitato. Si è molto parlato in quest'ultimi giorni d'effettuare tra breve una sortita e si supponeva che avesse luogo questa notte medesima. Avvertiti dalle loro spie i Piemontesi hanno nascosto nel borgo quattro battaglioni di fanteria, uno squadrone di cavalleria e dei cannoni. La sortita non ha avuto effetto ma tre batterie napolitane hanno tirato sul borgo per lo spazio di qualche ora. Una bomba ha incendiata una casa; la pioggia ha spento in seguito l'incendio. Durante la giornata quasi intiera abbiamo avuto dei tuoni e della pioggia. Questo cattivo tempo deve contrariare gli aggressori. Un parlamentario introdotto dalla parte di mare ha condotto 5 cappellani e 4 chirurgi appartenenti altra volta alla guarnigione di Capua. Gli si è dato in cambio i bersaglieri fatti prigionieri nel combattimento del 12 novembre.
  • 24 novembre 1860

    S. M. ha passato tre ore del pomeriggio malgrado la pioggia una rivista di tutte le truppe della guarnigione. S. M. era a cavallo, accompagnato dal conte di Trani a piedi. Il Ee stava pensieroso; l'avversità gli ha comunicato una maturità precoce e sotto il sorriso che avea ordinariamente sulle labbra vi si scorgono cocenti mozioni. L'Avenir è ritornato senza aver sbarcato il suo carico di uomini a Civitavecchia; il cattivo tempo non gli ha permesso di entrare in porto, o il capitano ha mancato di arditezza.
  • 23 novembre 1860

    Un uffiziale della squadra francese è stato sotterrato questa mattina nel campo santo situato sulla prima collina, presso del borgo. Una sospensione di fuoco fino alle 11 è stata graziosamente accordata dalle autorità militari della piazza per il compimento dela cerimonia funebre. Nella sera il fuoco è stato ripreso, da parte nostra era poco frequente. Mi semba che si sonnacchia nei due campi.
  • 22 novembre 1860

    Sempre più si scorge che la Città è mal vettovagliata; la maggior parte delle botteghe nelle quali si vendea qualche derrata alimentaria sono chiuse. Mai le amministrazioni Napolitane si sono distinte per previdenza e mancano d'altronde d'uomini pratici. Non sanno abbastanza girarsi, per servirmi di una espressione triviale ma energica. Cosa più facile sarebbe stata di trovare nella Piazza di Marsiglia tutto ciò di cui si poteva aver bisogno. Vero è che la mancanza di danaro risponde a molti rimproveri. Checché ne sia la vita costa cara a Gaeta. Spesso succede che delle famiglie sono sprovvedute di pane a due ore dopo il mezzodì e lo pagano fino a 10 grana al rotolo, 80 centesimi il chilogramma: I macellai non ammazzano quasi nulla e la cattiva vacca è presa a volo dagli uffiziali. I pomi di terra sono rari e si vendono 5 grana il rotolo; il riso non si trova sempre; i maccheroni 3 volte più cari di Napoli compariscono come un fenomeno meteorologico : i faggioli non si trovano che nelle case che hanno cura di fornirsene; i pesci non entrano quasi più. Di tanto in tanto, si vede una cassa di fichi o di uva secca che i compratori si disputano per acquistarla, dei sacchi di carbone orribile prodotto che rassomiglia alle cortecce d'alberi. Le castagne si facevano vedere agli angoli delle strade; ora sarebbe difficile trovare delle Ananas nel fondo delle casematte. Un pasticciere si arrischiò ancora ad infornare dei pasticcetti che furono senza gusto; il pasticciere disparve e con lui i pasticcetti. Gli albergatori non danno da mangiare che a quelle persone che portano essi stessi gli alimenti da preparare; quello ove io sono ad alloggiare fa solo eccezione per una dozzina di forestieri la maggior parte Francesi, venuti qui volontariamente per servire come uffiziali la causa dei loro principii. E Dio mio! che albergo! che cucine!... Oggi sono giunti dei pomi, poca uva, dei fichi e pochi maccheroni, dei quali ne siamo stati privi per 3 settimane. Tutto ciò è stato venduto ad alto prezzo. La razione del soldato consiste in un mezzo rotolo di panefresco di eccellente qualità una mezz'oncia di lardo e quattr'once di fagioli. I cavalli e le mule nuotano nella stessa abbondanza degli uomini. Una parte di questi animali è stata inviata negli stati Romani; non vi resta più avena o pochissima ve n'è. Molte di queste bestie periscono di fame; se ne vedono talune magre come i cavalli dell'Apocalisse, camminare malinconicamente per le strade, ficcare una porta o rosicchiare le tavole dei carri. Le stiratrici si astengano dal lavoro, mancando àmido interamente, non è possibile avere una camicia ben fatta. L'Avenir è partito per Civitavecchia portando delle famiglie degli uffiziali e dei cavalli. Il generale Salzano è nel numero dei passaggieri. E' stato interdetto ai pagani di salire sulle batterie; la stessa proibizione si è estesa su i soldati che non sono di servizio. Nulla di nuovo nelle operazioni di guerra se non le palle della batteria estera hanno tagliato un convoglio che passava a lunga distanza.
  • 21 novembre 1860

    S. A. R. la Contessa di Trapani è partita per Civitavecchia e Roma sull'avviso spagnolo il Vulcano. La Principessa porta con se i suoi figli tutti nell'infanzia. Un anno e mezzo prima la terra dell'esilio riceveva suo padre, il Gran Duca di Toscana, e i suoi fratelli, i Principi Ferdinando e Carlo, altre volte adorati in Firenze; è giunto la sua ora. Dio solo sa se ritornerà presso suo marito, o se il Principe raggiungerà lei. Questa sera ancora il corpo Diplomatico si è imbarcato su di un Vapore Prussiano che lo condurrà a Civitavecchia da dove si porterà a Roma. Il Ministro di Spagna fedele alla sua parola non si muove da qui. L'Arcivescovo di Gaeta, che da una settimana non coricavasi più nel suo palazzo, ma andava a passare le notti a bordo del bastimento Prussiano, è partito assieme al corpo diplomatico. E' un uomo di età avanzata, circostanza che giustifica fino ad un certo punto l'abbandono del suo gregge. Ciò che non è spiegabile, è che sua Riverenza, malgrado la scarsezza dei viveri, non abbia pensato ad accordare ai fedeli il permesso del grasso. Si distribuisce ai soldati la fittuccia della medaglia creata per perpetuare il ricordo della campagna del Volturno. La medaglia, che deve portare al rovescio i nomi di Caiazzo, Trifisco. Santa Maria, Sant'Angelo, Garigliano, non è stato possibile coniarla
  • 20 novembre 1860

    La Regina Maria Teresa, vedova di Ferdinando II, si è imbarcata sul trasporto Spagnuolo l'Alava, con sette dei suoi figli; il Conte di Girgenti, di 14 a 15 anni, il Conte di Bari di 8 anni, il Conte di Castelgirone, di circa 4 anni, le Principesse Maria Annunziata Isabella, nata nel 1843, Maria Clementina Immacolata, nel 1844, Maria Pia, figlioccia del Papa, nata nel 1849, e Maria Immacolata Luisa, nata al 1855. La reale famiglia va ad aspettare a Roma che la Provvidenza decide della sua sorte, come 12 anni prima, Pio IX, cacciato dalla rivoluzione, venne a domandare ospitalità a Gaeta. Il piccolo incidente che ripeteremo è avvenuto sulle batterie. Sua Maestà, volendo puntare, da se stesso si curvava su d'un cannone. E' l'uso qui d'incidere il nome dei Generali su i pezzi. Si trovò adunque che il cannone portava il nome di Nunziante. Sua Maestà si drizzò vivacemente e rivolse il capo senza dir nulla. Gli uffiziali presenti non comprendevano in sulle prime, ma uno sguardo lanciato da uno di loro sul pezzo li aiutò ad indovinare quel che aveva cagionato la sgradevole impressione al Re. Il nome è stato su' bito cancellato. Ho potuto osservare quale stima Bosco gode nell'armata: egli parlava questa mattina vicino al palazzo Reale, col Ministro d'Austria è stato circondato a distanza rispettosa da più di 300 soldati. Le imprese del Generale corrispondevano all'aspettazione dei soldati?
    • 19 novembre 1860

      Una breve tregua è stata chiesta dal Generale Cialdini; si è accordata; essa durerà dalle sette del mattino alle cinque della sera. Il Generale Cialdini vuol dare il tempo agi abitanti del borgo di rifugiarsi in luogo sicuro. Questo sentimento d'umanità sarebbe lodevolissimo; bisognerebbe rallegrarsi col signor Cialdini con tanta più sollecitudine che è la prima volta che ne fa mostra; si aspettava meno da lui. Ma si è autorizzato a supporre che questa sospensione di fuoco avrà piuttosto profittato ai Piemontesi, che avranno travagliato senza esser inquietati dai cannoni della piazza. Questa notte, il Sottotenente Rieger, seguito da otto soldati svizzeri del 3° Battaglione estero e da due del 2°, à spinto una riconoscenza fino al Convento dei Cappuccini. Il nemico à tirato quà e là qualche colpo di fucile, ma finalmente la riconoscenza è riuscita: si sa ora che le opere d'istallazione delle batterie sono meno avanzate di quanto supponevasi. Il Generale Bosco è arrivato sul Vapore delle Messageries Imperiale. Libero della sua parola, accorre presso il suo Re quando gli altri l'abbandonavano. E' un avvenimento in Gaeta. Se Bosco si fosse trovato a Capua l'indomani della battaglia di Cajazzo, l'armata Reale avrebbe superato in una tappa la distanza che la separva da Napoli. Bosco à eccitato un po' di gelosia tra qualche uffiziale superiore poichè la sua condotta era una amara critica della loro; ma i soldati anno confidenza in lui. Dopo il trionfo della rivoluzione in Sicilia, ei conservava del prestigio anche tra la gente appartenente al campo opposto; il bel sesso pronunziava il suo nome con tenera inflessione di voce. Ho conosciuto a Palermo una nobile signora realista, che aveva una specie di culto per la sua fedeltà, e che parlava di lui colle lagrime agli occhi. Due casse piene d'oro sono state sbarcate questa sera; vengono da Roma e debbono contenere forti somme, poichè quattro marinai ne ànno potuto portare una sola. Questa risorsa era molto desiderata; le casse erano quasi vuote!
    • 18 novembre 1860

      Si travaglia nelle batterie Napolitane, ove molti cannoni non sono ancora inalzati su i loro affusti. Da molto tempo si avrebbe dovuto mettere tutto in istato di difesa. I lavori procedono lentamente, sarebbe facile impiegare maggior numero d'operai, visto l'effettivo della guarnigione. Silenzio da parte del nemico. Una bandiera nera è inalberata durante il giorno sugli ospedali militari; la notte, si accendono dei lanternoni affinchè il nemico rispetti quegli asili di dolore. Una nota del Ministro degli affari esteri ai rappresentanti delle Potenze, li ringrazia della prova di devozione che anno dato alla causa reale ed alla stessa persona di sua Maestà col venire a resiedere in Gaeta. Sua Maestà esprime la sua gratitudine non solamente ai Ministri, ma anche ai governi di cui sono gli interpreti. Non pertanto, il Re, non volendo esporre questi diplomatici alle conseguenze di un bombardamento l'invita a portarsi a Roma, ove saranno considerati ancora presso la real persona. Nello stesso tempo, delle distinzioni onorifiche sono conferite al corpo diplomatico. Il Nunzio Monsignor Giannelli, Arcivescovo in partibus di Sardin; il Conte Syccheay, Ministro d'Austria; il Principe Wolkoustry, Ministro di Russia, ed il Conte di Perpoucher, Ministro di Prussia, ricevono il gran cordone dell'ordine di San Gennaro, che non si suol dare per solito che ai Sovrani, benchè questa regola abbia talune volte avuto delle eccezioni. Il Conte di Loss, Ministro di Sassonia, era il gran cordone di S. Giorgio, ed il Cavaliere Frescobaldi, incaricato degli affari del gran Duca di Toscana, quello di Francesco I. Solleviamo ora il velo di questo mondo officiale: Le Eccellenze Loro si divertivano mediocramente a Gaeta, non avendo neanche più la facilità di andare a desinare a Mola. I loro sguardi si volgevano verso Roma, e venne loro in pensiero di domandare l'autorizzazione al Re di potervisi ritirare. Il caso era delicato, si discusse in piccola adunanza l'espediente per arrivare a questo scopo. I rappresentanti delle tre grandi Potenze Nordiche erano i più solleciti di sortire da qui: uno di loro fece intendere nel seguito del Re che sarebbero felici se Sua Maestà indovinasse ed esaudisse questo loro voto. Gli officiosi non mancarono di parlarne al Re, che sulle prime se ne mostrò urtato, indi, colla sua ordinaria bontà, accordò ciò che si desiderava, e decorò anche i Ministri, come dice il giornale di Gaeta. I Diplomatici non furono sodisfatti d'una semplice autorizzazione. Temendo a buon dritto che i loro Governi li rimproverassero e che il pubblico sospettasse del loro coraggio, fecero pregare Sua Maestà di cambiare l'autorizzazione in un formale invito. Sua Maestà condiscese anche a ciò, e l'invito di ritirarsi a Roma fu indirizzato collettivamente al Cor¬po Diplomatico dal Ministro degli affari esteri. Ecco qual'è la nuda verità; nulla mi obbligava a celarla. E' il momento di dire che il Ministro di Spagna, signor Bermudez di Castro, Marchese di Luna pratica una condotta molto più nobile, e cavalleresca dei suoi colleghi. Non solo non à preso parte in questi piccoli maneggi, ma à dichiarato non volere abbandonare mai il Re, correva gli stessi rischi, e che nell'ultimo giorno della lotta, se dovesse essere abbandonato dai suoi servitori, egli prenderebbe una pistola per mettersi al suo fianco. Non si potrebbe desiderare di più da questo perfetto gentiluomo, e si riconosce che il Marchese di Luna si rammenta che è del Paese del Cid. Il sig. di Luna non è incluso nella distribuzione dei gran cordoni, per la semplice ragione che ne è decorato da molto tempo.
    • 17 novembre 1860

      Gli uffìziali dei bastimenti Spagnuoli ancorati in rada assicurano che in questa giornata ed in quella del 16, ànno veduto trasportare più di 200 feriti Piemontesi. Il Re spinge troppo lungi gli scrupoli religiosi: il Signor Harrington di la Chesuage, tenente di artiglieria, metà Francese, metà Americano, arrivato da poco, aveva puntato ieri sera sei pezzi contro una chiesa del borgo; e sapendo che dei Piemontesi vi alloggiavano, si proponeva di farvi fuoco durante la notte; gli è stato ingiunto di rispettare la Chiesa. Un contadino che è entrato nella Piazza, racconta che ieri un grosso cannone rigato, messo in posizione dall'inimico, avrebbe fatto esplosione alla prima prova uccidendo o ferendo cinquantadue persone. Il Visconte di Sayve uffìziale Francese presso lo stato maggiore generale, fatto prigioniero pochi giorni sono, contro le leggi della guerra, nel mentre che il colonnello comandante il 3° battaglione cacciatori, al quale aveva portato un ordine, era in colloquio cogli uffìziali Piemontesi, à mandato qui una lettera per fare che si reclamasse in suo favore presso dal generale Cialdini. Buon numero di famiglie s'imbarcano per Civitavecchia, sul Dahomè. Vapore Marsigliese al servizio del Reale Governo. Molti uffìziali profittano di questa occasione per mettere in sicuro le loro preziose persone.
    • 16 novembre 1860

      In questo momento uno dei miei amici è andato da sua Maestà. Il Re, parlando, à sollevato una salvietta che copriva un piatto su di una tavola. Il piatto conteneva un pane dimezzato. Il Principe ne ha rotto un grosso pezzo e l'à morsicato a pieni denti, come avrebbe potuto farlo un collegiale affamato al ritorno della passeggiata. Questa semplicità Reale è d'un gusto squisito. Se mai sua Maestà leggesse il mio giornale, gli domando perdono di avervi frapposto quest'aneddoto.
    • 15 novembre 1860

      Le opere dell'inimico sono ben danneggiate. Forse una delle sue batterie i di cui cannoni non sono ancora situati, è stata rovesciata dalle bombe. Napolitane. Essi continuano a non rispondere. Dei rapporti venuti da Itri ci hanno fatto conoscere che molti feriti Piemontesi sono stati trasportati in questa località. Tre uffiziali sardi, se bisogna credere una diceria sparsa, sarebbero venuti a Gaeta, travestiti da uffiziali della marina Francese; visitate le batterie con tutte le faciltà desiderabili, come può farlo ogni abitante della città o straniero che risiede a Gaeta. Si sarebbe loro mostrato con cortese sollecitudine tutto ciò che desideravano vedere, ed anche avrebbero puntato i cannoni, in sulle prime la cosa sarebbe passata inosservata, ma i sicofanti sarebbero stati incontrati per istrada da vari ufficiali che avrebbero riconosciuto il travestimento. S'ignora se le audaci spie appartengono all'armata di Cialdini o alla squadra Sarda. Non è a meravigliarsi di simili fatti; tutto è possibile in questo Paese. Un giovane che era a Capua quando Garibaldi assediava quella Piazza, mi assicura che tutte le notti usciva da una poterna per visitare la sua innamorata a santa Maria, nel centro del Quartiere Garibaldino, e che rientrava senza attirare l'attenzione. Per ordinanza del governatore della Piazza, tutti quelli che usciranno dopo un ora di notte, cioè a dire dopo 6 ore della sera, dovrà essere munito d'una lanterna. Il Municipio à fatto annunziare a suon di tromba, che ogni giorno vi sarebbe un bastimento o delle barche per trasportare le persone che vogliano abbandonare la città. Un caffè à ottenuto l'autorizzazione di non chiudere che tardi nella sera, è un barlume di consolazione per gli uffìziali. Un'ordinanza del Ministro della guerra riduce gli uffìziali al soldo semplice. La tenuità dei mezzi del tesoro necessita questa misura economica, che à d'altronde numerosi antecedenti.
    • 14 novembre 1860

      Un violento uragano è scoppiato la passata notte. In questo momento un bravo uffiziale Francese, S. di Salvy, altra volta comandante d'un Vapore di commercio Marsigliese, il Protis, e recentemente nominato tenente di Vasciello nella Marina Napolitana, faceva a S. M. una proposizione altrettanto ardita che seducente: pregava la M. S. di volergli permettere di servirsi dei quattro Vapori che sono nel porto, per andare all'entrata del golfo ad impadronirsi di una corvetta Piemontese. Questa corvetta era isolata, i fulmini che si sono succeduti per tre o quattro ora e la profonda oscurità dileguata solamente dai lampi avrebbero coverto l'attacco, supponente anche che gli altri bastimenti Piemontesi ancorati innanzi Mola fossero in attenzione. Il Re dubitava del successo. Finalmente, S. M. rendendosi alla calorosa dimostrazione del signor Salvy, gli disse : « Ebbene! sia. Ac¬comodate ciò col Ministro della Marina ». Il signor Salvy corre dal Vice Ammiraglio del Re. Il signor del Re fa numerose obiezioni, e l'uffiziale Francese scoraggiato si ritira. A quest'ora, il Re avrebbe probabilmente una coverta di più, se Salvy avesse attenuto il mezzo di tentare la fortuna. Si à tanta poca abitudine dei colpi di mano! Un avviso della Piazza previene gli abitanti che vorranno lasciare la città, che debbono farsi immediatamente iscrivere alla cancelleria comunale.
    • 13 novembre 1860

      I Piemontesi continuano a travagliare all'erizione delle loro batterie. Sono stati inquietati in tutta la giornata da bombe e da granate. Il tiro è diretto con una precisione molto sodisfacente. Una bomba caduta vicino al convento dei Cappuccini, ha ucciso e ferito una cinquantina d'uomini, al dire di taluni uffìziali della squadra Francese, meglio situati di noi per giudicare dell'effetto. Il conte di Caserta, secondo fratello del Re e colonnello d'artiglieria, a tirato egli medesimo tre bombe dalla batteria Philipstad tutte tre sono arrivate giusto in mezzo ad un gruppo numeroso di Piemontesi. Alla terza quelli che non erano stati colpiti anno sollecitamente abbandonata la posizione. Questa notte anche i Piemontesi anno lanciato dei proiettili vuoti; una porzione à colpito le case del borgo, nel quale non resta che alcuni poveri abitanti, un'altra porzione si è perduta sui loro propri avamposti.
    • 12 novembre 1860

      Si scorge l'inimico travagliare sulle colline che prolungano l'istmo, da quanto può giudicarsi a distanza, il numero degli operai dev'essere di più di 2000, si costruiscono dei parapetti. E' destinato che la sventura seguirà passo a passo l'infelice Re. Questa giornata è stata piena di dispiaceri, e Francesco II à dovuto riportarsi col pensiero all'ultima sera del suo soggiorno in Napoli, quando le dimissioni piovevano sulla sua tavola e che nel suo palazzo, abbandonato dai cortigiani, le lampade si spegnevano per mancanza di una mano per fornir loro dell'olio. Il Generale Barbalonga à datti .la sua dimissione e lascia Gaeta. Simile condotta da parte di Barbalonga mi stupisce; io lo conosceva alquanto e lo credeva uno dei più sicuri uffiziali. Il Generale Colonna, nel quale i Principi riponevano la loro confidenza, l'ultimo di cui si sarebbe venuto in pensiero di dubitare, non si è contentato di presentare la sua dimissione à spinto l'ardire fino a scrivere al proprio Sovrano: che nel caso di non accettazione non doveva stupirsi di vedere le sue truppe passare al nemico. Il Generale Salzano, poco prima governatore di Capua, indi generale in capo dell'Armata di operazione incaricata di respingere i Piemontesi, e che ebbe a Teano un colloquio con Cialdini, si è dimesso dalle sue funzioni e va via. Il Colonnello Pianelli che comandava il 15° Battaglione Cacciatori, lo ha condotto al di là della prima collina e gli à fatto deporre le armi innanzi ai Piemontesi. L'effettivo del Battaglione era di circa mille uomini; 900 ànno ubbidito, 35 uffiziali erano presenti, 8 sono rientrati in Città. Pianelli in seguito si è diretto verso il Quartier Ge¬nerale di Cialdini per ricevere i ringraziamenti meritati. Pianelli è fratello del Generale dello stesso nome che essendo Ministro della Guerra di Napoli, preparò con Liborio Romano ed altri nobili personaggi il rovescio della Monarchia. Un grazioso piccolo combattimento è stato dato al di là del campo. Un mezzo Battaglioni Cacciatori scaglionati sulla collina, sosteneva il fuoco contro i Bersaglieri che erano sparsi sulla collina e nella valle, E' attacco dei Bersaglieri aveva per iscopo probabile di attirare l'attenzione della Piazza mentre che i Piemontesi preparano l'istallazione delle loro batterie. Il fuoco negli oliveti à durato tutta a giornata. I Cacciatori si battevano con aggiustatezza; io li guardava caricare col massimo sangue freddo e si avanzavano passo a passo. Sono stati rilevati quando sono stati stanchi. I Napoletani ànno perduto poche persone e ànno fatto 20 a 25 prigionieri. Ho veduto cadere dei Piemontesi; un istante i Bersaglieri sono fuggiti precipitosamente. Delle granate, lanciate ad intervalli dall'alto della batteria Regina, non tralasciavano d'inquietare l'inimico. Verso sera, i Piemontesi si sono mostrati in forza di 5 o 6 contro uno ed ànno riguadagnato terreno. I Cacciatori ànno indietreggiato lentamente; è notte, le porte loro sono state aperte e si coricarono quella sera nella casamatta sotto le batterie del fronte di terra. Durante il combattimento il Re stava sulla batteria della quale partivano le granate. Tutti i prigionieri Garibaldini rinchiusi nel Castello, sono stati oggi condotti a Mola ove sono stati scampiati con altrettanti prigionieri Napoletani. Il numero dei Garibaldini era di circa 1100 a 1200 tra i quali un figlio di Turr. Nello spazio della loro prigionia sono stati trattati con molta cura. Un ordine del Governatore della Piazza fìssa la chiusura dei caffè a due ore di notte, cioè a dire a sette ore della sera. Quest'ordine mi sembra poco conveniente; sarebbe opportuno in una città in cui i caffè sono dei ritrovi politici come lo erano in Francia negli anni 1848 e 1849, ma qui non si tratta di nulla di simile. Gaeta non à teatri, saloni non ve n'esistono, niuno può pensare a feste, come impiegar dunque le lunghe serate d'inverno? In Francia noi abbiamo almeno il conversare vicino al fuoco, ciò che chiamiamo col dolce nome di focolare, ma ciò non si conosce in Italia.
    • 11 novembre 1860

      I Piemontesi anno dato segno di vita questa notte. Sapendo che otto o dieci mila uomini sono sul campo, li anno salutato da 60 ad 80 obici a palle rigate, che, per la maggior parte anno oltrepassato il sito e sono andate a cadere nel mare. Mi anno detto che un soldato solo è stato ammazzato; ma questa mattina i Napolitani essendosi divertiti ad ammonticchiare i proiettili che non erano scoppiati, un esplosione ha ammazzato quattro uomini. La Piazza à risposto agli assedianti con 6 o 7 granate. Gli avamposti Piemontesi si sono approssimati fino alla Torre del Diavolo, vecchio fabbricato sulla strada di Mola. Tutti gli alberi che guarnivano lo spazio compreso tra le due cinte, verso la porta di terra sono stati tagliati: questa verdura rendeva alquanto gaia l'entrata della città; ora l'occhio si rattrista per questa necessaria devastazione.
    • 10 novembre 1860

      Nulla di nuovo
    • 08 novembre 1860

      Per l'intelligenza di questo giornale io credo necessario scrivere a lunghi tratti il terreno sul quale i Piemontesi vogliono stabilire le loro operazioni di assedio: La città di Gaeta è costruita su di un capo che si avanza al ponente. Il golfo si arrotondisce fra Gaeta e Mola, quest'ultima località più a mezzogiorno, dista dalla prima di 5000 metri in linea diretta a traverso la rada, ma con una strada sinuosa la di cui lunghezza effettiva è in otto chilometri. La strada di Gaeta confina, non lungi da Mola, alla via consolare di Napoli a Roma, che si volge un po' più all'Oriente. All'Est di Mola e della via Romana, si elevano delle montagne distaccate dalla catena degli Appennini; questo è il fondo del quatro. Tra la via consolare e la strada della marina che mena a Gaeta, si elevano in anfiteatro delle colline delle quali qualcuna tiene proporzioni dei veri monti. Queste colline, il di cui aspetto non offre un'incanto mediocre, sono irregolarmente tagliate da precipizi e da valli. Di parte in parte crescono degli oliveti! la bianchezza delle case di campagna, sparse pei dintorni fa stacco colla di loro verdura. Delle creste sono completamente nude. Gaeta è divisa dalle colline da un campo di sabbia su base di rocca: là era prima Montesecco, che Ferdinando II tagliò. Da Gaeta al piede della collina, non si conta che 500 metri, e fra le due rive dell'istmo non vi sono più di 700 metri. Al piede della prima collina comincia il Borgo, che segue la tortuosità dapprima quasi insensibile della strada della marina, e che non à meno di due chilometri di lunghezza su di una profondità di 30 o 40 passi. La popolazione del Borgo eccede 15000 anime. Il Borgo e Gaeta non costituiscono che un comune. Io non so se questa descrizione renderà i miei lettori familiari coi luoghi che saranno il teatro dei combattimenti; ma in seguito la completerò necessariamente con altre indicazioni topografiche. Non avendo l'intenzione di fare un corso di geografia non avventurerò una descrizione di Gaeta. La città non contiene più di tre mila anime di popolazione civile. Essa non à alcuna meraviglia artistica. Costruita sul pendio del capo, essa non gode nemmeno della veduta del golfo; per iscorgerla, bisogna salire sul cammino che serpeggia la cresta della collina. Una montagna, la di cui base è abbastanza estesa e la di cui cima è coronata dalla grossa torre chiamata d'Orlando, domina contemporaneamente la città e le colline che saranno teatro d'operazione ai Piemontesi. I fianchi della montagna anno ricevuti tre ordini di batterie, è ciò che chiamasi fronte di terra. Il fronte di mare, tre volte più esteso, non à che un'ordine di batteria, eccettuato in alcuni punti dove avvene due sovrapposte. La difesa della piazza è stata divisa in due comandi. Il fronte di terra è affidato al Tenente Generale Riedmatten, bravo come la sua spada, devoto a Dio ed al suo Re; il fronte di mare è devoluto al Tenente Generale Sigrist, il fronte di terra non comprende che una sola sezione, che è sotto la direzione del colonnello Gabriele Ussani, uffiziale d'un raro merito, i di cui talenti e coraggio sono egualmente apprezzabili. Si conta sul fronte di terra 22 batterie. Ecco i loro nomi colla enumerazione delle loro bocche a fuoco: La batteria Trinità, tre obici cannoni da 80, due pezzi rigati da 4 ed un pezzo rigato da 12. Ridotto Trinità, dieci obici cannoni da 60. Transilvania, cinque obici cannoni da 60. Malpasso, due obici cannoni da 60. Sant'Andrea, cinque cannoni da 24, e sette mortai Piatta forma, quattro cannoni da 24 e due obici. Dritta Dente di sega, tre mortai. Dente di sega, dieci cannoni da 24. Malladrone, un cannone da 24, ed un obice cannone da 80. Avanzata, tre cannoni da 4, e due obici. Nuovo ridotto, quattro colombrine da 16, e quat¬tro obici. Fronte a scalone, tre cannoni da 12. Falsabraca Sant'Andrea, un cannone da 12, sette colombrine da 12 e quattro obici. Cinque piani, quattro cannoni da 24, e due obici. Cappelletti, quattro cannoni da 24, cinque obici cannoni da 60. Conca, quattro cannoni da 24, tre obici cannoni da 60, e due mortai. Pico, quattro obici cannoni da 80. San Giacomo, sette cannoni da 24. Philipstad, un cannone da 12, sei cannoni da 24, una colombrina da 12, due obici e tre mortai. Regina, un cannone da 24, trentotto obici cannoni da 60, ed un pezzo rigato da 12. Trabacco, tre obici cannoni da 60, e due mortai. Totale, il fronte di terra ha 54 cannoni da 24, o d'un calibro al di sotto, dodici colombrine, 76, obici cannoni da 60 o da 80, 16 obici, 4 pezzi rigati, 17 mor tai, sono 179 bocche a fuoco. Il fronte di mare è diviso in tre sezioni: l'una sotto il comando di S. A. R. il conte di Caserta, la seconda sotto il comando del Generale di Brigata Palumbo, e la terza sotto il comando del colonnello Garofalo. Ecco lo stato delle batterie: Duca di Calabria, 11 obici da 60. Torrion Francese, 11 obici cannoni da 80, e due cannoni da 12. Maria Teresa, 11 obici cannoni da 60. San Montano, cinque cannoni da 36. Guasta ferri inferiore, 3 obici e sei mortai. Santa Maria, 13 obici cannoni da 80, cinque can¬noni da 30, e due obici. Vico, 6 obici cannoni da 80, 4 cannoni da 30 e 5 cannoni da 24. Poterna, due colombrine da 24, e due obici. Gran Guardia, cinque pezzi da 36, un obice e due mortai. Ferdinando e Favorita, 18 obici cannoni da 80, un cannone da 30, tre obici cannoni da 60 e due cannoni da 12. Riserva, due cannoni da 30. Totale del fronte di mare: 82 obici cannoni da 60 o da 80, 44 pezzi da 36 o d'un calibro inferiore, 8 obici, e 8 mortai, sono 142 bocche a fuoco. Io non ho ancora parlato della batteria estera; essa appartiene al fronte di terra ed al fronte di mare; è un poco più indipendente delle altre, e non riceve ordini che da S. A. R. il conte di Caserta che non la lascia quasi mai. La batteria estera si suddivide così : Contro Guardia, tre cannoni da 15, due pezzi rigati da 12, ed un mortajo. Cittadella, 7 cannoni da 24 ed uno da 16. Cappelletti, quattro obici. Fianco basso, tre cannoni da 12, tre obici, un mortaio. Totale, 25 bocche a fuoco. Cosi Gaeta è difesa da 345 bocche a fuoco; è molto meno che si dice nei giornali esteri. La quantità delle bombe e delle palle piene è enorme; ma la polvere non è molta. La batteria estera era occupata da Svizzeri e Francesi. I miei lettori non saranno dispiaciuti di conoscere i nomi degli uffiziali; questi sono, per ranghi di gradi: M. M. Sury, Huober, Bertholet, Ferdinando di Charette, Vauthier, Harrington di la Chesuaye, Fonet e di Saint-Bris.
    • 07 novembre 1860

      Si è saputo che 15000 soldati, fra i quali metà dei battaglioni esteri, con armi e bagagli, anno superate la frontiera Ponteficia. Messi tra due fuochi dalle colonne Piemontesi e la Squadra, gli è stato intimato di rendersi. Essi erano estenuati di fatica, morenti di fame, ed avevano forzata la marcia per dei sentieri incogniti, dei precipizi e degli alpestri monti. Non ostante ciò ànno energicamente risposto non ricevere ordini che da Francesco II chè si trovavano ancora in gran numero per respingere delle ingiunzioni insultanti, e che se li riducevano alla disperazione, si aprivano una strada colla bajonetta. Bisogna dire che molti uffiziali generali erano ben lungi da dividere questi bei sentimenti; ma i soldati non domandavano loro nè consigli nè ordini. I Piemontesi meravigliati non anno osato attaccare queste truppe in disordine; nel mettere il piede sul suolo dello Stato Romano, essi anno dipositato le armi nelle mani dei francesi, che il generale Goyon aveva mandati in Terracina. Gli uffiziali hanno conservato le loro sciabole. I Napolitani si lodano dell'accoglienza dei soldati francesi; ma taluni uffiziali non ànno incontrato procedimenti dalla stessa cordialità. Tutto porta a credere che il tradimento di qualche capo non è estraneo alla ritirata delle truppe nello stato Romano. Nella giornata del 3, il Tenente Generale Casella, Ministro della guerra, si era condotto a Mola; egli aveva riuniti i Generali che vi si trovavano; loro aveva espressa la volontà del Re, che era che la colonna si ritirasse per andare a prendere posizione nelle vallate di S. Germano e di Sora. Questa era una eccellente idea e si avrebbe cosi evitato l'affollamento di molta truppa in Gaeta, e da S. Germano e da Sora si sarebbero guardati gli Abruzzi nel medesimo tempo che si avrebbero minacciati i fianchi e le spalle de' Piemontesi se essi avessero cominciato l'assedio di Gaeta. Disgraziatamente i Generali Colonna e Barbalonga fecero una forte opposizione, offrendo le loro demissioni se si fosse lasciato Mola. Il giorno seguente 4, allorché il Generale in Capo Salzano ordinò, per uniformarsi alla volontà Reale, di marciare verso Itri, i Generali Barbalonga e Colonna, invece di ubbidire, fecero discendere le loro Divisioni verso MonteSecco, alle porti della Piazza.
    • 5 e 6 Novembre 1860

      Regna in Gaeta una confusione ben naturale dopo tanti disastri. Una parte delle Truppe sono accampate avanti la città, sul campo, e dalla parte d'Itri: altre restano più lontane, ma non si sa dove. Delle colonne Piemontese si sono avanzate per la via d'Itri e delle Navi anno seguito la costa per operare per mare nello stesso scopo.
    • 04 novembre 1860

      La piccola città di Mola di Gaeta (l'antica Formia) bombardata fin da ieri da una squadra Piemontese di sette navi, benchè senza difesa e che le bombe avessero lasciato solamente le loro tracce negli ospedali e nelle proprietà private è stata abbandonata oggi dalle Truppe Reali. Nel momento in cui i Napoletani si ritiravano in disordine verso Gaeta, l'armata Sarda entrava in Mola per la via del Garigliano. Poca gente anno adempito al loro dovere. Conviene però accordare una onorata rinomanza, o piuttosto pagare un tributo funebre al Capitano Fèvot Comandante della batteria Svizzera. Si rese raramente giustizia al suo merito mentre viveva; il suo nome mi viene sotto la penna due ore dopo che è caduto sul campo di battaglia. Fèvot era Valdese. Nato nel protestantesimo, passò nei cattolici nel 1847, durante la guerra del Sonderbund. Dopo abbracciò il cattolicismo che ha costantemente praticato con fervore. Fu lui che creò l'eccellente batteria dei tre battaglioni esteri, e fu tanto contrariato, che nella sua indomabile energia fu venti volte per desistere dall'intrapresa. Invidiato da alcuni dei suoi compatriotti, che erano suoi superiori, non ottenne il dovutogli avanzamento, né alcuna decorazione brillò sul suo petto. Nel ritorno dal Garigliano, marciava alla testa della sua batteria. Arrivati ad un punto molto esposto al fuoco della Squadra Piemontese, gli artiglieri esitarono. Fèvot si rivolse verso essi e dice loro: Ragazzi noi abbiamo fatta tutta la campagna; ricordatevi che niuna palla v'è stata per noi. Situatemi qui due cannoni e rispondete a queste navi. Nel mentre che i due cannoni rigati tirano sulla squadra, il Capitano Févot fece superare egli stesso il passo diffìcile ad un altro pezzo: in sicurezza questo ritorna per prenderne un secondo. Dodici volte l'intrepido uffiziale passò sotto il cannoneggiamento nemico e giunse felicemente a Mola, ove drizzò la sua batteria. Caricava e puntava, allorché una palla d'un bersagliere gli traversò il corpo. Un artigliere lo sedette su d'un cassone ed egli continuò a comandare il fuoco, mentre spiegava la sua corona tra le dita. L'artigliere colpito mortalmente alla sua volta lasciò cadere il suo fardello: e nella confusione della ritirata l'infelice Fèvot già spirante fu schiacciato dalle vetture. Févot non è stato il solo che à mostrato bravura nella giornata che è per finire, ma la sua morte gli à accordato il dritto d'esser messo in prima linea. Da oggi, si può dire che l'assedio di Gaeta è incominciato. Gaeta è l'ultimo baluardo della monarchia o l'estremo rifugio dell'indipendenza dell'Italia meridionale. Messina è ancora in essere, ed il Forte di Civitella del Tronto negli Abruzzi non à capitolato; ma il giorno in cui Gaeta soccomberà, Civitella e Messina abbasseranno le loro bandiere. Io ò visto a Palermo la prima scena di questa rivoluzione; fin d'allora io presentiva con dolore che la causa alla quale mi son dedicato andava a subire un violento scacco, che questi Principi ai quali appar tengono le mìe più vive simpatie s'incamminavano verso l'abisso, ed io scriveva che se Garibaldi non era battuto in Palermo, la dinastia non tarderebbe sei mesi ad essere cacciate da Napoli. A Napoli ò assistito al compimento della mia sinistra profezia; e quando Francesco II salì sul vapore che doveva condurlo in Gaeta, fu una voce francese che fece sentire nel golfo l'ultimo grido di: Viva il Re! nel mentre che i rivoltosi si affrettavano d'illuminare le loro finestre in segno d'allegrezza. Io sarò ancora il testimone delle supreme lotte del Reame Siciliano abbandonato dai Sovrani d'Europa. Questa sera, sono entrato nella Cattedrale. Alcuni vechi soldati vi recitavano le litanie, della Vergine; ò rimarcato che anno ripetuto due volte con commozione: Consolatrìx afflictorum! Mi sono inteso commosso talmente, come se avessi inteso un discorso di Bossuet sulle umane vicissitudini e le rivoluzioni degli Imperi.

      Fonte: Gaeta150.org

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lunedì 29 novembre 2010

Neomeridionalismo e Felicità - Da una società del ben-avere ad una del ben-essere

Ricevo e posto con condivisione:



Di Prof.Cataldo Godano
Università Napoli tre


La ricostruzione della identità del sud del nostro paese è emersa dai meandri oscuri in cui era stata cacciata dalla storiografia ufficiale e si è imposta come questione prioritaria per il rilancio della questione meridionale come problema politico da affrontare e risolvere. E‟ quindi diventata ineludibile la necessità di ricostruzione storica del risorgimento e dei fatti postrisorgimentali. Io vorrei qui porre l‟accento su un ulteriore aspetto utile alla ridefinizione di una identità forte del mezzogiorno d‟Italia: la questione della felicità.

Il primo passo da compiere è riconoscere che al sud si vive meglio e non solo per gli evidenti fattori climatici che lo rendono attrattivo, ma soprattutto per la qualità e l‟estensione delle relazioni interpersonali che il popolo meridionale è in grado di instaurare.
Lo stereotipo del meridionale come „uomo di cuore‟ è una riduzione ad aspetto folkloristico di questa capacità di relazionarsi all‟altro che altrove non si osserva. Due questioni correlate a quest‟aspetto meritano la nostra attenzione:

Al sud esiste una rete di relazioni sociali molto più estesa che altrove. Dove ad esempio è possibile lasciare andare un bambino per strada certi che qualcuno si occuperà di lui, se non in un quartiere popolare delle città meridionali? Anche qui uno stereotipo imposto sempre come un aspetto folkloristico ha una grande rilevanza socio-economica da ripensare e rivalutare.

La grande flessibilità del tessuto sociale consente sia di accogliere con facilità il diverso da se (si veda ad esempio l‟elevata densità di „femminielli‟ nei quartieri popolari di Napoli) sia di trovare soluzioni concrete ai problemi posti ad esempio dall‟assenza dello Stato che la scellerata gestione della cosa pubblica da parte dei piemontesi ha imposto al sud nel post-risorgimento. Come al solito un aspetto socio-economico di grandissima rilevanza è stato trasformato in un aspetto di folklore diventando ad esempio la famosa „arte di arrangiarsi‟ napoletana.

Quando il sud riesce a produrre positività questa viene sempre squalificata e ridotta folklore. La capacita relazionale ed il tessuto sociale che di questa si alimenta, sono una enorme ricchezza spesso ridotta ad elemento di costume e non valorizzata al giusto livello. La verità è che al sud si ha una migliore qualità della vita, al sud si è più felici!!

La felicità non deve qui essere vista come un qualcosa di difficilmente definibile e estremamente legata alla soggettività individuale, al contrario essa è talmente concreta ed oggettiva da essere addirittura misurabile. La felicità soggettiva, intesa come percezione
del grado di soddisfazione delle proprie aspettative, può essere misurata tramite dei semplici questionari (si veda ad esempio l‟enorme lavoro svolto dal Global Social Survey negli Usa). Ma la sua misurazione può essere eseguita anche tramite parametri oggettivi quali ad esempio il tasso di suicidi, la diffusione della droga o dell‟alcolismo, etc.

Le statistiche sulle misure di felicità rivelano un dato quantomeno sconcertante, esiste una correlazione inversa tra prosperità economica e felicità, i paesi più felici sono la Nigeria seguita dal Vietnam, il Messico e la Colombia. Sembrerebbe quindi che il denaro non compra la felicità. E‟ ovvio che questa affermazione non implica l‟inversa ovvero „chi non ha denaro è felice‟. Il punto è che maggiore è la prosperità economica minore è il tempo dedicato alle relazioni sociali e alla cura dell‟ambiente in cui si vive. Questo aspetto meriterebbe un approfondimento che non può essere fatto in questa sede, ci basti per il momento osservare l‟esistenza di un meccanismo perverso attraverso il quale compensiamo la mancanza di affettività con maggiori consumi, e più consumiamo più ci rinchiudiamo in una sfera privata diminuendo le relazioni sociali e l‟affettività. Un celebre pubblicitario ebbe a dire “Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”. Si crea così un circolo vizioso dal quale sembra impossibile uscire. Ci si può chiedere attraverso quale meccanismo siamo spinti a rinunciare alla felicità in cambio di denaro.

La risposta la fornisce Serge Latouche nel libro „L‟invenzione dell‟economia‟. In chiave neo-weberiana Latouche spiega la nascita del capitalismo come una trasformazione in chiave positiva del concetto di amor proprio che prima della rivoluzione industriale aveva una accezione del tutto negativa e dopo ne acquisisce una positiva. In altri termini il capitalismo nasce da una visione egoista delle relazioni sociali e da una trasformazione dei rapporti umani in chiave privatistica. E‟ solo in una sfera privata che cresce il bisogno di consumo il quale fa crescere il Pil del paese in cui si vive. Ma a che prezzo? Fino a quando saremo disposti a sacrificare la nostra felicità sull‟altare della prosperità economica?

Il prezzo che paghiamo è enorme sia in termini di felicità soggettiva ed oggettiva sia in termini di distruzione dell‟ambiente. Per poter aumentare il nostro reddito siamo disposti a vivere in città sempre più sporche ed insicure, siamo disposti a trascorrere sempre più tempo in mezzi di trasporto sempre più insufficienti, siamo disposti a ridurre il tempo di vita per far crescere quello di lavoro. In questo processo acquistiamo sempre più beni privati e ne perdiamo sempre più di comuni come ad esempio un ambiente pulito in cui vivere. Che fare?

Per dirla con Stefano Bartolini („Manifesto per la felicità‟) è necessario passare da una società del ben-avere ad una del ben-essere. Un primo passo dovrebbe essere quello di abbandonare il Pil come indicatore di benessere di un paese e sostituirlo con indicatori di
felicità più consoni a descrivere il benessere reale delle persone. Ma la questione decisiva è quella di avere uno sguardo più attento all‟ambiente in cui viviamo. Il modello di sviluppo privatistico ed egoista si fonda su una possibilità di crescita infinita. Al contrario bisogna fare i conti col fatto che il nostro pianeta ha dimensioni finite e che finite sono le risorse a nostra disposizione. La risposta non può quindi che essere quella che Serge Latouche chiama una decrescita serena. Esiste un nesso strettissimo tra decrescita e società basata sulle relazioni umane. Più tempo dedichiamo a queste, più tempo recuperiamo alla vita, meno ne dedichiamo al lavoro e alla produzione di prosperità economica, meno inquiniamo e rendiamo invivibile il nostro pianeta. La chiave di volta per non lasciare una impronta ecologica insopportabile per i nostri figli, è la necessità di tornare ai livelli di consumo degli anni 60-70 riducendo i consumi intermedi (trasporti, energia, imballaggi, pubblicità) e lasciando inalterati quelli finali.

Lo strumento economico per consentire una decrescita serena è la localizzazione delle attività economiche. E‟ cioè necessario legare i processi economici al territorio e alle reali necessità della popolazione che in quel territorio vive. Un esempio semplice e concreto di questo processo di localizzazione sono i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) che, acquistando le merci direttamente dal produttore agricolo, consentono un controllo diretto sulla loro qualità con un enorme vantaggio per il cittadino che acquisisce serenità rispetto a ciò che magia, il pagamento di un prezzo equo per il produttore che non sarà più strozzato dalla distribuzione e la riduzione dei consumi intermedi (trasporto, pubblicità) che favorisce la decrescita serena e lo sviluppo di una società relazionale.

Lo strumento politico è il federalismo, quello vero! Quindi non quello teso alla salvaguardia delle risorse economiche di un Nord ricco che elargirebbe denaro ad un Sud povero e depresso (sappiamo tutti che non è così), ma un federalismo volto alla salvaguardia di un territorio e di un ambiente in cui le persone possano essere più felici.

Io credo che questo possa e debba essere il nocciolo di un pensiero neomeridionalista moderno e all‟avanguardia e che ci consenta allo stesso tempo di fare i conti con la crisi della politica. La storia degli ultimi 50 anni ha visto sempre più una politica asservita al malaffare e alla crescita della sfera privatistica della vita. Questo ha portato ad una sempre maggiore allontanamento delle persone dalla politica vista sia come questione riguardante i pochi eletti destinati a gestire il potere ed il malaffare, ma anche come qualcosa di troppo lontano dalla propria sfera privata e dalla individuale frenesia per una sempre maggiore prosperità economica individuale.

L‟introduzione di nuovi contenuti politici, di una maggiore attenzione alla felicità delle persone e alle relazioni sociali, di una visione post-politica (destra e sinistra sono solo delle indicazioni stradali), possono essere lo strumento di un riavvicinamento della gente alla politica e di una espressione di un voto più libero e consapevole.

Benvenuto Partito del Sud!

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Università Napoli tre


La ricostruzione della identità del sud del nostro paese è emersa dai meandri oscuri in cui era stata cacciata dalla storiografia ufficiale e si è imposta come questione prioritaria per il rilancio della questione meridionale come problema politico da affrontare e risolvere. E‟ quindi diventata ineludibile la necessità di ricostruzione storica del risorgimento e dei fatti postrisorgimentali. Io vorrei qui porre l‟accento su un ulteriore aspetto utile alla ridefinizione di una identità forte del mezzogiorno d‟Italia: la questione della felicità.

Il primo passo da compiere è riconoscere che al sud si vive meglio e non solo per gli evidenti fattori climatici che lo rendono attrattivo, ma soprattutto per la qualità e l‟estensione delle relazioni interpersonali che il popolo meridionale è in grado di instaurare.
Lo stereotipo del meridionale come „uomo di cuore‟ è una riduzione ad aspetto folkloristico di questa capacità di relazionarsi all‟altro che altrove non si osserva. Due questioni correlate a quest‟aspetto meritano la nostra attenzione:

Al sud esiste una rete di relazioni sociali molto più estesa che altrove. Dove ad esempio è possibile lasciare andare un bambino per strada certi che qualcuno si occuperà di lui, se non in un quartiere popolare delle città meridionali? Anche qui uno stereotipo imposto sempre come un aspetto folkloristico ha una grande rilevanza socio-economica da ripensare e rivalutare.

La grande flessibilità del tessuto sociale consente sia di accogliere con facilità il diverso da se (si veda ad esempio l‟elevata densità di „femminielli‟ nei quartieri popolari di Napoli) sia di trovare soluzioni concrete ai problemi posti ad esempio dall‟assenza dello Stato che la scellerata gestione della cosa pubblica da parte dei piemontesi ha imposto al sud nel post-risorgimento. Come al solito un aspetto socio-economico di grandissima rilevanza è stato trasformato in un aspetto di folklore diventando ad esempio la famosa „arte di arrangiarsi‟ napoletana.

Quando il sud riesce a produrre positività questa viene sempre squalificata e ridotta folklore. La capacita relazionale ed il tessuto sociale che di questa si alimenta, sono una enorme ricchezza spesso ridotta ad elemento di costume e non valorizzata al giusto livello. La verità è che al sud si ha una migliore qualità della vita, al sud si è più felici!!

La felicità non deve qui essere vista come un qualcosa di difficilmente definibile e estremamente legata alla soggettività individuale, al contrario essa è talmente concreta ed oggettiva da essere addirittura misurabile. La felicità soggettiva, intesa come percezione
del grado di soddisfazione delle proprie aspettative, può essere misurata tramite dei semplici questionari (si veda ad esempio l‟enorme lavoro svolto dal Global Social Survey negli Usa). Ma la sua misurazione può essere eseguita anche tramite parametri oggettivi quali ad esempio il tasso di suicidi, la diffusione della droga o dell‟alcolismo, etc.

Le statistiche sulle misure di felicità rivelano un dato quantomeno sconcertante, esiste una correlazione inversa tra prosperità economica e felicità, i paesi più felici sono la Nigeria seguita dal Vietnam, il Messico e la Colombia. Sembrerebbe quindi che il denaro non compra la felicità. E‟ ovvio che questa affermazione non implica l‟inversa ovvero „chi non ha denaro è felice‟. Il punto è che maggiore è la prosperità economica minore è il tempo dedicato alle relazioni sociali e alla cura dell‟ambiente in cui si vive. Questo aspetto meriterebbe un approfondimento che non può essere fatto in questa sede, ci basti per il momento osservare l‟esistenza di un meccanismo perverso attraverso il quale compensiamo la mancanza di affettività con maggiori consumi, e più consumiamo più ci rinchiudiamo in una sfera privata diminuendo le relazioni sociali e l‟affettività. Un celebre pubblicitario ebbe a dire “Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”. Si crea così un circolo vizioso dal quale sembra impossibile uscire. Ci si può chiedere attraverso quale meccanismo siamo spinti a rinunciare alla felicità in cambio di denaro.

La risposta la fornisce Serge Latouche nel libro „L‟invenzione dell‟economia‟. In chiave neo-weberiana Latouche spiega la nascita del capitalismo come una trasformazione in chiave positiva del concetto di amor proprio che prima della rivoluzione industriale aveva una accezione del tutto negativa e dopo ne acquisisce una positiva. In altri termini il capitalismo nasce da una visione egoista delle relazioni sociali e da una trasformazione dei rapporti umani in chiave privatistica. E‟ solo in una sfera privata che cresce il bisogno di consumo il quale fa crescere il Pil del paese in cui si vive. Ma a che prezzo? Fino a quando saremo disposti a sacrificare la nostra felicità sull‟altare della prosperità economica?

Il prezzo che paghiamo è enorme sia in termini di felicità soggettiva ed oggettiva sia in termini di distruzione dell‟ambiente. Per poter aumentare il nostro reddito siamo disposti a vivere in città sempre più sporche ed insicure, siamo disposti a trascorrere sempre più tempo in mezzi di trasporto sempre più insufficienti, siamo disposti a ridurre il tempo di vita per far crescere quello di lavoro. In questo processo acquistiamo sempre più beni privati e ne perdiamo sempre più di comuni come ad esempio un ambiente pulito in cui vivere. Che fare?

Per dirla con Stefano Bartolini („Manifesto per la felicità‟) è necessario passare da una società del ben-avere ad una del ben-essere. Un primo passo dovrebbe essere quello di abbandonare il Pil come indicatore di benessere di un paese e sostituirlo con indicatori di
felicità più consoni a descrivere il benessere reale delle persone. Ma la questione decisiva è quella di avere uno sguardo più attento all‟ambiente in cui viviamo. Il modello di sviluppo privatistico ed egoista si fonda su una possibilità di crescita infinita. Al contrario bisogna fare i conti col fatto che il nostro pianeta ha dimensioni finite e che finite sono le risorse a nostra disposizione. La risposta non può quindi che essere quella che Serge Latouche chiama una decrescita serena. Esiste un nesso strettissimo tra decrescita e società basata sulle relazioni umane. Più tempo dedichiamo a queste, più tempo recuperiamo alla vita, meno ne dedichiamo al lavoro e alla produzione di prosperità economica, meno inquiniamo e rendiamo invivibile il nostro pianeta. La chiave di volta per non lasciare una impronta ecologica insopportabile per i nostri figli, è la necessità di tornare ai livelli di consumo degli anni 60-70 riducendo i consumi intermedi (trasporti, energia, imballaggi, pubblicità) e lasciando inalterati quelli finali.

Lo strumento economico per consentire una decrescita serena è la localizzazione delle attività economiche. E‟ cioè necessario legare i processi economici al territorio e alle reali necessità della popolazione che in quel territorio vive. Un esempio semplice e concreto di questo processo di localizzazione sono i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) che, acquistando le merci direttamente dal produttore agricolo, consentono un controllo diretto sulla loro qualità con un enorme vantaggio per il cittadino che acquisisce serenità rispetto a ciò che magia, il pagamento di un prezzo equo per il produttore che non sarà più strozzato dalla distribuzione e la riduzione dei consumi intermedi (trasporto, pubblicità) che favorisce la decrescita serena e lo sviluppo di una società relazionale.

Lo strumento politico è il federalismo, quello vero! Quindi non quello teso alla salvaguardia delle risorse economiche di un Nord ricco che elargirebbe denaro ad un Sud povero e depresso (sappiamo tutti che non è così), ma un federalismo volto alla salvaguardia di un territorio e di un ambiente in cui le persone possano essere più felici.

Io credo che questo possa e debba essere il nocciolo di un pensiero neomeridionalista moderno e all‟avanguardia e che ci consenta allo stesso tempo di fare i conti con la crisi della politica. La storia degli ultimi 50 anni ha visto sempre più una politica asservita al malaffare e alla crescita della sfera privatistica della vita. Questo ha portato ad una sempre maggiore allontanamento delle persone dalla politica vista sia come questione riguardante i pochi eletti destinati a gestire il potere ed il malaffare, ma anche come qualcosa di troppo lontano dalla propria sfera privata e dalla individuale frenesia per una sempre maggiore prosperità economica individuale.

L‟introduzione di nuovi contenuti politici, di una maggiore attenzione alla felicità delle persone e alle relazioni sociali, di una visione post-politica (destra e sinistra sono solo delle indicazioni stradali), possono essere lo strumento di un riavvicinamento della gente alla politica e di una espressione di un voto più libero e consapevole.

Benvenuto Partito del Sud!

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"Sabati Briganteschi" - Villa Castelli (BR)


http://www.facebook.com/video/video.php?v=1399098192471

Gigi Di Fiore (giornalista e scrittore) presenta il suo libro "Gli Ultimi giorni di Gaeta" - Villa Castelli (BR) 27.11.2010


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Gigi Di Fiore (giornalista e scrittore) presenta il suo libro "Gli Ultimi giorni di Gaeta" - Villa Castelli (BR) 27.11.2010


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Che fine fanno i FAS?

Di Paolo Monarca


I fondi per il Sud? Alla scuola della moglie di Bossi. Lo sperpero denunciato da un paio di deputati

Che fine fanno i FAS?

Campania e Puglia, campioni di spesa a sei zeri per megaconcerti e notti bianche, saranno pure Regioni “sprecone” per usare eufemisticamente un’espressione del leghista con manifeste simpatie neo-nazionalsocialiste Borghezio, allora, forse, sarebbe bene che le risorse Fas (Fondi per le aree sottosviluppate) continuino a viaggiare in silenzio in direzione univoca verso il settentrione? Senza proteste, sia che si tratti di quote latte o di improbabili scuole padane quando non della ristrutturazione di pollai di inizio secolo? Qualche voce di protesta si leva ancora.

''E' davvero paradossale lo spettacolo offerto oggi dalla fantomatica Libera scuola dei popoli padani guidata dalla moglie di Umberto Bossi e finanziata con 800mila euro provenienti dal Fondo aree sottoutilizzate – dice all’Asca il deputato Pd e vicepresidente della commissione Finanze della Camera, Sergio D’Antoni -. Questa Lega (omissis) pretende di dare lezioni sulla scuola, ma ancora una volta si mette in cattedra coi soldi del Sud''. I fondi stanziati dalla Commissione Bilancio del Senato in favore della scuola Bosina, o Libera Scuola dei Popoli Padani fondata nel 1998 da Manuela Marrone non raccolgono molte altre critiche. Ma ''nel merito - avverte almeno D'Antoni - siamo di fronte a un sistema che dequalifica l'offerta formativa, chiude gli orizzonti agli studenti e allenta gli stessi cardini dell'Unità nazionale. E quanto al metodo c'è solo da rilevare ancora una volta la faccia tosta di chi condanna i furbi solo a parole, facendo parte della categoria a pieno titolo. Un drammatico segno dei tempi, quote latte docet''.

Ma cosa sono questi Fas? Il Fondo per le aree sottoutilizzate è lo strumento di finanziamento del governo per le aree sottoutilizzate del paese e raccoglie risorse nazionali aggiuntive, ordinarie e comunitarie. Lo scopo della spesa è la ripresa della competitività e della produttività nelle aree obiettivo. La legge finanziaria stabilisce le risorse e il Comitato interministeriale per la programmazione economica o Cipe (presieduto dal Presidente del Consiglio e composto dai ministri economici) le assegna. La Finanziaria 2007 ha previsto una riprogrammazione unitaria del fondo per il periodo 2007-2013, tramite Quadro Strategico Nazionale. In altre parole i Fas sono il vero tesoro del governo, che al quinto punto programmatico metteva lo sviluppo del Sud. Ed ecco cosa dice il ministro veneto all’Agricoltura Giancarlo Galan a Paolo Mainiero del Mattino in una recente intervista sulla ripartizione dei fondi Cipe, 21 miliardi al Nord e 200 milioni al Sud: “Non so se a Sud ci sono opere così importanti e già avviate in grado di attirare i fondi Cipe” e manco a torto Galan ammette che ci sarebbe pure l’autostrada Salerno Reggio Calabria ma “è un’opera che ingoia soldi a quantità e i cui tempi di realizzazione sono biblici”.

Dei Fas se n’è occupato anche e già a maggio Primo di Nicola per l’Espresso, con un’inchiesta dal titolo inequivocabile: “Scippo al Sud” ovvero “decine di miliardi destinati al Mezzogiorno usati per altri scopi. Dai trasporti sul lago di Garda ai debiti del Campidoglio”. Eccone l’incipit: “Un tesoro da oltre 50 miliardi di euro disponibile solo negli ultimi due anni. Che poteva servire per terminare eterne incompiute come l'autostrada Salerno-Reggio Calabria e che invece è andato a finanziare i trasporti del lago di Garda e i disavanzi delle Ferrovie dello Stato. Una montagna di denaro che avrebbe dovuto rilanciare l'economia del Sud e che è stata utilizzata per risanare gli sperperi e i buchi di bilancio dei Comuni di Roma e Catania e la copertura finanziaria dell'abolizione dell'Ici. Un fiume di denaro destinato a colmare i ritardi delle zone sottoutilizzate del Paese impiegato invece per pagare le multe delle quote latte degli allevatori settentrionali cari ai leghisti e la privatizzazione della compagnia di navigazione Tirrenia”. Opere che “niente hanno a che fare con gli obiettivi istituzionali” dei Fas, “un andazzo che, nonostante qualche isolata protesta, è andato sinora avanti indisturbato fino alla soglia della provocazione. Come per gli sconti di benzina e gasolio concessi agli automobilisti di Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige, denunciati dal deputato Pd Ludovico Vico”. Da queste stesse pagine anche il senatore Giovanni Leghini, Pd, tuona: "Il Fas è usato come un bancomat, i soldi impropriamente sottratti al Sud solo negli ultimi due anni sono circa 37 miliardi”.

Ed eccone un risicato estratto conto con le voci più importanti dalla medesima inchiesta, per i soli ultimi tre anni: al 2007 il governo Prodi riprogramma le risorse per il Meridione e con la Finanziaria stanzia a carico del Fas 64 miliardi 379 milioni, ma all'inizio del 2008 Prodi esce di scena e “rientra in gioco Berlusconi”. “A fine 2008 il Fondo si vede sottrarre 12 miliardi 963 milioni per finanziare una serie di provvedimenti tra cui quelli che foraggiano le aziende viticole siciliane carissime al sottosegretario Micciché (150 milioni); l'acquisto di velivoli antincendio (altri 150); la proroga della rottamazione dei frigoriferi (935 milioni); l'emergenza rifiuti in Campania (450); i disavanzi dei Comuni di Roma (500) e Catania (140); la copertura degli oneri del servizio sanitario (1 miliardo 309 milioni); le agevolazioni per i terremotati di Umbria e Marche (55 milioni) e la copertura degli oneri per l'assunzione dei ricercatori universitari (63)”. “Un altro taglio da un miliardo e mezzo arriva per una serie di spese tra cui quelle per il G8 in Sardegna (100 milioni) marchiato dagli scandali; per l'alluvione in Piemonte e Valle d'Aosta (50 milioni); la copertura degli oneri del decreto anticrisi 2008; gli interventi per la banda larga e per il finanziamento dell'abolizione dell'Ici (50 milioni)”.

Al 2008 Berlusconi e Tremonti riprogrammano e concentrano le risorse Fas su obiettivi "prioritari”. Quindi il Fondo per il sostegno all'economia reale finanziato con 9 miliardi “va a coprire le uscite per il termovalorizzatore di Acerra (355 milioni); il G8 alla Maddalena (50 milioni)”; di “circa 4 miliardi per il terremoto in Abruzzo; 150 milioni per gli interventi dell'Istituto di sviluppo agroalimentare amministrato dal leghista Nicola Cecconato; 220 di contributo alla fondazione siciliana Rimed per la ricerca biotecnologica e biomedica”. Mentre “dal fondo Infrastrutture (12 miliardi 356 milioni di dotazione iniziale) 390 milioni vanno alla privatizzazione della società Tirrenia; 960 per finanziare gli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato; un altro miliardo 440 milioni per i contratti di servizio di Trenitalia; 15 milioni per gli interventi in favore delle fiere di Bari, Verona, Foggia, Padova; 330 milioni vanno a garantire la media-lunga percorrenza di Trenitalia; 200 l'edilizia carceraria (penitenziari in Emilia Romagna, Veneto e Liguria) e per mettere in sicurezza quella scolastica; 12 milioni al trasporto nei laghi Maggiore, Garda e Como” ed ancora finanzia l'alta velocità Milano-Verona e Milano-Genova; la metro di Bologna; il tunnel del Frejus e la Pedemontana Lecco-Bergamo e le opere dell'Expo 2015 “che comprendono il prolungamento di due linee della metropolitana milanese per 451 milioni; i 58 milioni della linea C di quella di Roma; i 50 per la laguna di Venezia; l'adeguamento degli edifici dei carabinieri di Parma (5); quello dei sistemi metropolitani di Parma, Brescia, Bologna e Torino (110); la metrotranvia di Bologna (54 milioni); 408 milioni per la ricostruzione all'Aquila; un miliardo 300 milioni a favore della società Stretto di Messina. E non per le spese di costruzione della grande opera più discussa degli ultimi 20 anni, ma solo per consentire alla società di cominciare a funzionare”.Alla scuola Bosina tutte le classi sono composte da un massimo di 15 alunni.

L’ultima novità: è stata approvata, per il servizio mensa, l’introduzione, una volta al mese, di un piatto della cucina tipica varesina. Isole felici, insomma.

Fonte:Agoravox

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Di Paolo Monarca


I fondi per il Sud? Alla scuola della moglie di Bossi. Lo sperpero denunciato da un paio di deputati

Che fine fanno i FAS?

Campania e Puglia, campioni di spesa a sei zeri per megaconcerti e notti bianche, saranno pure Regioni “sprecone” per usare eufemisticamente un’espressione del leghista con manifeste simpatie neo-nazionalsocialiste Borghezio, allora, forse, sarebbe bene che le risorse Fas (Fondi per le aree sottosviluppate) continuino a viaggiare in silenzio in direzione univoca verso il settentrione? Senza proteste, sia che si tratti di quote latte o di improbabili scuole padane quando non della ristrutturazione di pollai di inizio secolo? Qualche voce di protesta si leva ancora.

''E' davvero paradossale lo spettacolo offerto oggi dalla fantomatica Libera scuola dei popoli padani guidata dalla moglie di Umberto Bossi e finanziata con 800mila euro provenienti dal Fondo aree sottoutilizzate – dice all’Asca il deputato Pd e vicepresidente della commissione Finanze della Camera, Sergio D’Antoni -. Questa Lega (omissis) pretende di dare lezioni sulla scuola, ma ancora una volta si mette in cattedra coi soldi del Sud''. I fondi stanziati dalla Commissione Bilancio del Senato in favore della scuola Bosina, o Libera Scuola dei Popoli Padani fondata nel 1998 da Manuela Marrone non raccolgono molte altre critiche. Ma ''nel merito - avverte almeno D'Antoni - siamo di fronte a un sistema che dequalifica l'offerta formativa, chiude gli orizzonti agli studenti e allenta gli stessi cardini dell'Unità nazionale. E quanto al metodo c'è solo da rilevare ancora una volta la faccia tosta di chi condanna i furbi solo a parole, facendo parte della categoria a pieno titolo. Un drammatico segno dei tempi, quote latte docet''.

Ma cosa sono questi Fas? Il Fondo per le aree sottoutilizzate è lo strumento di finanziamento del governo per le aree sottoutilizzate del paese e raccoglie risorse nazionali aggiuntive, ordinarie e comunitarie. Lo scopo della spesa è la ripresa della competitività e della produttività nelle aree obiettivo. La legge finanziaria stabilisce le risorse e il Comitato interministeriale per la programmazione economica o Cipe (presieduto dal Presidente del Consiglio e composto dai ministri economici) le assegna. La Finanziaria 2007 ha previsto una riprogrammazione unitaria del fondo per il periodo 2007-2013, tramite Quadro Strategico Nazionale. In altre parole i Fas sono il vero tesoro del governo, che al quinto punto programmatico metteva lo sviluppo del Sud. Ed ecco cosa dice il ministro veneto all’Agricoltura Giancarlo Galan a Paolo Mainiero del Mattino in una recente intervista sulla ripartizione dei fondi Cipe, 21 miliardi al Nord e 200 milioni al Sud: “Non so se a Sud ci sono opere così importanti e già avviate in grado di attirare i fondi Cipe” e manco a torto Galan ammette che ci sarebbe pure l’autostrada Salerno Reggio Calabria ma “è un’opera che ingoia soldi a quantità e i cui tempi di realizzazione sono biblici”.

Dei Fas se n’è occupato anche e già a maggio Primo di Nicola per l’Espresso, con un’inchiesta dal titolo inequivocabile: “Scippo al Sud” ovvero “decine di miliardi destinati al Mezzogiorno usati per altri scopi. Dai trasporti sul lago di Garda ai debiti del Campidoglio”. Eccone l’incipit: “Un tesoro da oltre 50 miliardi di euro disponibile solo negli ultimi due anni. Che poteva servire per terminare eterne incompiute come l'autostrada Salerno-Reggio Calabria e che invece è andato a finanziare i trasporti del lago di Garda e i disavanzi delle Ferrovie dello Stato. Una montagna di denaro che avrebbe dovuto rilanciare l'economia del Sud e che è stata utilizzata per risanare gli sperperi e i buchi di bilancio dei Comuni di Roma e Catania e la copertura finanziaria dell'abolizione dell'Ici. Un fiume di denaro destinato a colmare i ritardi delle zone sottoutilizzate del Paese impiegato invece per pagare le multe delle quote latte degli allevatori settentrionali cari ai leghisti e la privatizzazione della compagnia di navigazione Tirrenia”. Opere che “niente hanno a che fare con gli obiettivi istituzionali” dei Fas, “un andazzo che, nonostante qualche isolata protesta, è andato sinora avanti indisturbato fino alla soglia della provocazione. Come per gli sconti di benzina e gasolio concessi agli automobilisti di Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia e Trentino Alto Adige, denunciati dal deputato Pd Ludovico Vico”. Da queste stesse pagine anche il senatore Giovanni Leghini, Pd, tuona: "Il Fas è usato come un bancomat, i soldi impropriamente sottratti al Sud solo negli ultimi due anni sono circa 37 miliardi”.

Ed eccone un risicato estratto conto con le voci più importanti dalla medesima inchiesta, per i soli ultimi tre anni: al 2007 il governo Prodi riprogramma le risorse per il Meridione e con la Finanziaria stanzia a carico del Fas 64 miliardi 379 milioni, ma all'inizio del 2008 Prodi esce di scena e “rientra in gioco Berlusconi”. “A fine 2008 il Fondo si vede sottrarre 12 miliardi 963 milioni per finanziare una serie di provvedimenti tra cui quelli che foraggiano le aziende viticole siciliane carissime al sottosegretario Micciché (150 milioni); l'acquisto di velivoli antincendio (altri 150); la proroga della rottamazione dei frigoriferi (935 milioni); l'emergenza rifiuti in Campania (450); i disavanzi dei Comuni di Roma (500) e Catania (140); la copertura degli oneri del servizio sanitario (1 miliardo 309 milioni); le agevolazioni per i terremotati di Umbria e Marche (55 milioni) e la copertura degli oneri per l'assunzione dei ricercatori universitari (63)”. “Un altro taglio da un miliardo e mezzo arriva per una serie di spese tra cui quelle per il G8 in Sardegna (100 milioni) marchiato dagli scandali; per l'alluvione in Piemonte e Valle d'Aosta (50 milioni); la copertura degli oneri del decreto anticrisi 2008; gli interventi per la banda larga e per il finanziamento dell'abolizione dell'Ici (50 milioni)”.

Al 2008 Berlusconi e Tremonti riprogrammano e concentrano le risorse Fas su obiettivi "prioritari”. Quindi il Fondo per il sostegno all'economia reale finanziato con 9 miliardi “va a coprire le uscite per il termovalorizzatore di Acerra (355 milioni); il G8 alla Maddalena (50 milioni)”; di “circa 4 miliardi per il terremoto in Abruzzo; 150 milioni per gli interventi dell'Istituto di sviluppo agroalimentare amministrato dal leghista Nicola Cecconato; 220 di contributo alla fondazione siciliana Rimed per la ricerca biotecnologica e biomedica”. Mentre “dal fondo Infrastrutture (12 miliardi 356 milioni di dotazione iniziale) 390 milioni vanno alla privatizzazione della società Tirrenia; 960 per finanziare gli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato; un altro miliardo 440 milioni per i contratti di servizio di Trenitalia; 15 milioni per gli interventi in favore delle fiere di Bari, Verona, Foggia, Padova; 330 milioni vanno a garantire la media-lunga percorrenza di Trenitalia; 200 l'edilizia carceraria (penitenziari in Emilia Romagna, Veneto e Liguria) e per mettere in sicurezza quella scolastica; 12 milioni al trasporto nei laghi Maggiore, Garda e Como” ed ancora finanzia l'alta velocità Milano-Verona e Milano-Genova; la metro di Bologna; il tunnel del Frejus e la Pedemontana Lecco-Bergamo e le opere dell'Expo 2015 “che comprendono il prolungamento di due linee della metropolitana milanese per 451 milioni; i 58 milioni della linea C di quella di Roma; i 50 per la laguna di Venezia; l'adeguamento degli edifici dei carabinieri di Parma (5); quello dei sistemi metropolitani di Parma, Brescia, Bologna e Torino (110); la metrotranvia di Bologna (54 milioni); 408 milioni per la ricostruzione all'Aquila; un miliardo 300 milioni a favore della società Stretto di Messina. E non per le spese di costruzione della grande opera più discussa degli ultimi 20 anni, ma solo per consentire alla società di cominciare a funzionare”.Alla scuola Bosina tutte le classi sono composte da un massimo di 15 alunni.

L’ultima novità: è stata approvata, per il servizio mensa, l’introduzione, una volta al mese, di un piatto della cucina tipica varesina. Isole felici, insomma.

Fonte:Agoravox

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domenica 28 novembre 2010

Intervento di chiusura e sintesi Stati Generali del Sud - Palermo 14 novembre 2010









Come da registrazione su Radio Radicale:




Intervento di Natale Cuccurese :


Volevo chiudere questa due giorni di lavoro degli Stati Generali del Sud e ricapitolare quanto emerso, molto brevemente, soprattutto per specificare bene, visto che c'è ancora confusione, una confusione che è creata ad arte come tutti ben sappiamo.

Il PdSUD è da sempre un partito federalista cattaneano, invito tutti a controllare su internet il ns. programma politico, non è mai stato un partito indipendentista.
Al nostro interno c'è si una rispettata corrente indipendentista, ma è minoritaria, fra l'altro io vengo dal nord, dall' Emilia, e ricordo anche che i meridionali al nord sono circa 12 milioni e non possiamo certo pensare di abbandonarli al loro destino.
Da soli, come sempre, l'anno scorso abbiamo già partecipato ad elezioni comunali in provincia di Mantova , Mantova sede del parlamento del nord, ottenendo fra l'altro ottimi risultati .
Siamo come PdSUD, da sempre, per la costituzione di una macroregione del Sud in un'italia realmente federale , non con il federalismo fiscale leghista, ma con un federalismo vero.
Noi , come spesso dice il nostro Presidente Ciano, festeggiamo la repubblica nata il 02 giugno 1946 e rispettiamo la sua costituzione, anche se, pensiamo solo allo statuto e alla sua applicazione...o meglio mancata applicazione, molti ideali di quella costituzione sono stati traditi; quindi a nostro avviso non va certamente cambiata la costituzione, ma va solo realmente applicata in ogni sua parte, in una trasformazione dello stato in senso federalista con la creazione di una macroregione del sud, come afferma anche Ruffolo nel suo ultimo libro, macroregione a cui eventualmente estendere lo Statuto Siciliano.
In altre parole, per noi, questo paese va riformato nell'interesse di tutti i suoi cittadini indistintamente dal sud al nord, siamo tutti uguali e tutti con gli stessi diritti, anche di fronte alla legge, anche se questo qualcuno se lo scorda.

Altro aspetto è quello storico.
Alcuni ci hanno "accusato" di essere neoborbonici, addirittura Rizzo e Stella poco tempo fa hanno definito sul Corriere della Sera il nostro presidente Ciano un estremista borbonico, quando sappiamo tutti che è un repubblicano convinto.
Ultimamente non si contano gli attacchi della grande stampa del nord e le accuse di neoborbonismo.Tutto ciò è falso e strumentale.
La nostra rivalutazione della storia passata si basa su fatti oggettivi e su di un processo aggregativo e di riscoperta di orgoglio di popolo che deve appoggiare su solide basi progettuali le proprie fondamenta,
proprio perché vogliono cancellare l’identità del nostro popolo che ancora comunque resiste difendendo le proprie tradizioni.
Ricordo a questo proposito che la Lega nord ha dovuto inventarsi una nazione, la Padania, un’eroe, Alberto da Giussano, per dare credibilità storica alle proprie rivendicazioni.
Noi che abbiamo una storia millenaria , eroi veri a profusione non dovremmo ricordare le ragioni storiche delle nostre rivendicazioni…? I reali motivi della costruzione della cosiddetta minorità meridionale ? I reali motivi dell’emigrazione o meglio diaspora del popolo meridionale che ricordiamo inizia solo dopo il 1860 ? I reali motivi del crescere e proliferare delle mafie?…qui mi ricollego a quanto appena detto dall'amico Sindaco di Bari Michele Emiliano..il fatto che prima del 1860 la nostra nazione economicamente fosse una delle più ricche d' Europa?.. e così via, potrei continuare per ore citando i tanti primati economici e culturali che aveva la nostra nazione prima del 186o.
In definitiva degli eredi Borbone ci può interessare anche poco o nulla, ma guai a chi tocca la nostra storia gloriosa, che è una storia di dignità e prestigio del nostro popolo.
Ed è per questo che noi esaltiamo e ricordiamo i resistenti di Gaeta, i nostri partigiani che chiamarono Briganti, i soldati contadini del sud delle guerre mondiali e coloniali, mandati al macello senza pietà, i morti per lo Statuto in Sicilia, i Martiri di via Macheda , quasi tutti minorenni, i tanti massacri anche nel napoletano, gli "scugnizzi" che a Napoli cacciarono via i nazisti, i tanti magistrati, poliziotti, carabinieri, finanzieri quasi tutti del sud, che hanno versato il loro sangue per combattere la bestia mafiosa.
Non dobbiamo dimenticare i loro nomi, ed è su questi esempi che dobbiamo rifondare la nostra società per riprenderci il futuro che ci spetta.

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Come da registrazione su Radio Radicale:




Intervento di Natale Cuccurese :


Volevo chiudere questa due giorni di lavoro degli Stati Generali del Sud e ricapitolare quanto emerso, molto brevemente, soprattutto per specificare bene, visto che c'è ancora confusione, una confusione che è creata ad arte come tutti ben sappiamo.

Il PdSUD è da sempre un partito federalista cattaneano, invito tutti a controllare su internet il ns. programma politico, non è mai stato un partito indipendentista.
Al nostro interno c'è si una rispettata corrente indipendentista, ma è minoritaria, fra l'altro io vengo dal nord, dall' Emilia, e ricordo anche che i meridionali al nord sono circa 12 milioni e non possiamo certo pensare di abbandonarli al loro destino.
Da soli, come sempre, l'anno scorso abbiamo già partecipato ad elezioni comunali in provincia di Mantova , Mantova sede del parlamento del nord, ottenendo fra l'altro ottimi risultati .
Siamo come PdSUD, da sempre, per la costituzione di una macroregione del Sud in un'italia realmente federale , non con il federalismo fiscale leghista, ma con un federalismo vero.
Noi , come spesso dice il nostro Presidente Ciano, festeggiamo la repubblica nata il 02 giugno 1946 e rispettiamo la sua costituzione, anche se, pensiamo solo allo statuto e alla sua applicazione...o meglio mancata applicazione, molti ideali di quella costituzione sono stati traditi; quindi a nostro avviso non va certamente cambiata la costituzione, ma va solo realmente applicata in ogni sua parte, in una trasformazione dello stato in senso federalista con la creazione di una macroregione del sud, come afferma anche Ruffolo nel suo ultimo libro, macroregione a cui eventualmente estendere lo Statuto Siciliano.
In altre parole, per noi, questo paese va riformato nell'interesse di tutti i suoi cittadini indistintamente dal sud al nord, siamo tutti uguali e tutti con gli stessi diritti, anche di fronte alla legge, anche se questo qualcuno se lo scorda.

Altro aspetto è quello storico.
Alcuni ci hanno "accusato" di essere neoborbonici, addirittura Rizzo e Stella poco tempo fa hanno definito sul Corriere della Sera il nostro presidente Ciano un estremista borbonico, quando sappiamo tutti che è un repubblicano convinto.
Ultimamente non si contano gli attacchi della grande stampa del nord e le accuse di neoborbonismo.Tutto ciò è falso e strumentale.
La nostra rivalutazione della storia passata si basa su fatti oggettivi e su di un processo aggregativo e di riscoperta di orgoglio di popolo che deve appoggiare su solide basi progettuali le proprie fondamenta,
proprio perché vogliono cancellare l’identità del nostro popolo che ancora comunque resiste difendendo le proprie tradizioni.
Ricordo a questo proposito che la Lega nord ha dovuto inventarsi una nazione, la Padania, un’eroe, Alberto da Giussano, per dare credibilità storica alle proprie rivendicazioni.
Noi che abbiamo una storia millenaria , eroi veri a profusione non dovremmo ricordare le ragioni storiche delle nostre rivendicazioni…? I reali motivi della costruzione della cosiddetta minorità meridionale ? I reali motivi dell’emigrazione o meglio diaspora del popolo meridionale che ricordiamo inizia solo dopo il 1860 ? I reali motivi del crescere e proliferare delle mafie?…qui mi ricollego a quanto appena detto dall'amico Sindaco di Bari Michele Emiliano..il fatto che prima del 1860 la nostra nazione economicamente fosse una delle più ricche d' Europa?.. e così via, potrei continuare per ore citando i tanti primati economici e culturali che aveva la nostra nazione prima del 186o.
In definitiva degli eredi Borbone ci può interessare anche poco o nulla, ma guai a chi tocca la nostra storia gloriosa, che è una storia di dignità e prestigio del nostro popolo.
Ed è per questo che noi esaltiamo e ricordiamo i resistenti di Gaeta, i nostri partigiani che chiamarono Briganti, i soldati contadini del sud delle guerre mondiali e coloniali, mandati al macello senza pietà, i morti per lo Statuto in Sicilia, i Martiri di via Macheda , quasi tutti minorenni, i tanti massacri anche nel napoletano, gli "scugnizzi" che a Napoli cacciarono via i nazisti, i tanti magistrati, poliziotti, carabinieri, finanzieri quasi tutti del sud, che hanno versato il loro sangue per combattere la bestia mafiosa.
Non dobbiamo dimenticare i loro nomi, ed è su questi esempi che dobbiamo rifondare la nostra società per riprenderci il futuro che ci spetta.

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La’ndrangheta e i briganti - Due storie separate in casa

Le aree dei due fenomeni non coincidono. In Sila i contadini occupavano le terre. Ai picciotti l’Aspromonte

Il patriota calabrese Banedetto Musolino e Giuseppe Garibaldi

Corrado Alvaro nel 1925 scriveva che «i forestieri, quando si ricordano della Calabria, parlano sovratutto dei briganti. Ma, per la verità, pochi sanno che cosa sia stato veramente il brigantaggio e come sia nato». Oggi un forestiero che si dovesse ricordare della Calabria parlerebbe della strage di Duisburg dove furono uccise sei persone di San Luca, il comune dov' era nato Alvaro, o della riunione di 'ndrangheta svoltasi nel settembre 2009 sempre a San Luca sotto la statua della Madonna della Montagna nel santuario di Polsi, nel cuore dell' Aspromonte, santuario e Madonna sacri per gli 'ndranghetisti. Molti sono convinti che la 'ndrangheta sia una filiazione del brigantaggio, che i picciotti siano i figli legittimi, gli eredi naturali dei briganti. E' così? Per rispondere dobbiamo andare indietro di 150 anni e vedere cosa successe nei primi anni dopo che l'Italia fu unita. Garibaldi sbarcò in Calabria all'alba del 19 agosto 1860 a Melito Porto Salvo, a due passi da Reggio Calabria. Senza bisogno di combattere, perché l'esercito borbonico si liquefece come neve al sole, attraversò la regione come un fulmine. Poco prima di arrivare in Basilicata, il 31 di agosto, a Rogliano emanò un decreto di poche righe: «Gli abitanti poveri di Cosenza e Casali esercitino gratuitamente gli usi di pascolo e di semina nelle terre demaniali della Sila. E ciò provvisoriamente sino a definitiva disposizione». Era arrivato preceduto da buona fama per quello che aveva fatto in Sicilia con il decreto del 2 giugno con il quale aveva stabilito che i combattenti per la libertà avrebbero ricevuto in compenso quote di terra del demanio pubblico. I contadini calabresi accolsero Garibaldi sventolando le bandiere tricolori. Speravano in un cambiamento delle loro condizioni di vita e Garibaldi, con il decreto di Rogliano, pareva aver compreso il problema.

Il ferimento di Garibaldi sull'Aspromonte
Il decreto era un compromesso perché conteneva il dissenso contadino emergente senza toccare l'essenza della questione della proprietà delle terre. Da parte loro i proprietari, i baroni della Sila, erano in allarme. A Savelli, prima ancora dell'arrivo di Garibaldi, il 16 agosto, i contadini avevano invaso le terre comunali sospinti dal suono delle campane del Santissimo crocifisso. Donato Morelli, che Garibaldi aveva posto a governatore della Calabria Citra, l'attuale provincia di Cosenza, a distanza di cinque giorni emanò un decreto di interpretazione che di fatto annullò l'efficacia di quanto aveva stabilito Garibaldi. Morelli apparteneva a una famiglia accusata di aver usurpato terreni in Sila, e insieme ad altri grandi usurpatori come i Berlingieri, i Barracco, i Lucifero, gli Albani si era schierato contro i Borbone perché tutti ne temevano la politica silana. In provincia di Cosenza avevano dato vita a un comitato liberale che era a tutti gli effetti un «comitato di usurpatori», com'ebbe a scrivere lo storico Antonino Basile. «Gli usurpatori della Sila sono ladri in giamberga». Così li aveva bollati Vincenzo Padula, il prete di Acri che fu tra i primi a sollevare i temi di quella che sarebbe stata chiamata da lì a poco questione meridionale. I proprietari terrieri avevano paura dei «comunisti », di quei contadini analfabeti che, pur non avendo letto una riga del Manifesto di Marx ed Engels, avevano occupato le terre nel 1848 rivendicandone la divisione, il possesso, la messa a coltura di quelle abbandonate. La questione della terra era stata per lungo tempo sollevata da contadini ridotti in miseria ed abbrutiti. Diomede Pantaleoni, inviato in Calabria, nel 1861 scrisse al ministro dell'Interno Marco Minghetti parole chiare sulla Sila dove esisteva «uno stato sociale che colpendo di povertà soverchia una classe la spinge al delitto e al brigantaggio». C'erano dei rimedi a tutto ciò e li indicava: «un saggio governo debbe operare una riforma sociale ad evitare una rivoluzione sociale». I nuovi governanti non ascoltarono Pantaleoni, preferirono affrontare con le armi i contadini e li bollarono come briganti, un marchio infamante. Fu un tragico errore perché le ragioni del brigante diventarono le ragioni del popolo che aiutò i briganti in tanti modi. Li aiutarono anche borbonici e clericali. Era la seconda volta; già dopo l'invasione francese a inizio secolo la Calabria era stata teatro di un vastissimo brigantaggio che diede filo da torcere ai francesi.

Il brigantaggio fu un fatto di popolo che interessò metà della Calabria, dalla provincia di Cosenza alle attuali province di Catanzaro e di Crotone. E l'altra metà? L'altra metà era estranea al brigantaggio. La provincia di Reggio Calabria aveva ben altri problemi. Il prefetto Giuseppe Cornero scriveva di camorristi che tra il giugno e il luglio 1861 «infestavano in deplorevole modo questa città». Due anni dopo, da Gallico, comune di 5.000 abitanti, si seppe che uno «sparuto numero» di camorristi spadroneggiava al punto che i cittadini si sentivano «minacciati nella vita» e costretti a non parlare e a non fare denunce alle autorità. Emergeva una presenza criminale che agiva sotto traccia, che pochi valutarono nella sua pericolosità sociale perché convinti che fosse composta solo dagli strati sociali più poveri e miserabili. Non calcolarono il mutamento che sarebbe intervenuto nel giovane diventato picciotto quando, bardato dei segni esteriori del suo rango — «fazzoletto annodato al collo, solini piegati, cappellino tondo sotto le cui falde si vede il ciuffo dei bravi» —, prendeva «un'aria spavalda e provocante; e armato dell'indispensabile "mollettone", coltello provvisto di molla a lama chiusa, e del rasoio a manico fermo, s'impone». La descrizione la dobbiamo a un medico di Reggio Calabria, Francesco Melari, che per ragioni della sua professione frequentava tutti gli strati sociali della città. Invisibili per alcuni, erano ben visibili per altri. Nel 1869 le elezioni amministrative di Reggio Calabria furono annullate per brogli elettorali dovuti a una interferenza dei mafiosi che furono utilizzati nella competizione politica. Il primo comune sciolto per mafia! In Aspromonte la 'ndrangheta progrediva utilizzando l'immagine di uno Stato che appariva ed era lontano. Sin da allora — come le altre mafie del resto—si presentava come un'associazione capace di governare territori e di selezionare le classi dirigenti o condizionandole oppure eliminando fisicamente quelli che non s'adeguavano. Le zone di brigantaggio e quelle di mafia non coincidono, sono diverse, non sono sovrapponibili. Sono fisicamente distanti. Nella Sila e nelle terre del latifondo ci furono briganti oppure contadini che occupavano le terre, ma non c'era 'ndrangheta. In Aspromonte ci furono picciotti non briganti, tranne la meteora di Giuseppe Musolino che giganteggiò a fine secolo e fu chiamato «u rre d'Asprumunti ».

Ma allora perché è nata la leggenda della relazione tra 'ndrangheta e brigantaggio? Semplicemente perché tornava comodo agli uomini d'onore, alla perenne ricerca del consenso, ingentilire le loro origini e presentarsi come gli eredi dei briganti che nell'immaginario popolare continuano ancora oggi a godere di una rappresentazione ben diversa da quella che si trova nelle carte dei processi o di polizia dell'epoca. I briganti sopravvivono come uomini tutti d'un pezzo, coraggiosi, giovani che sanno vendicare le ingiustizie e che sanno andare alla macchia per vivere una vita libera e senza padroni. Alla fine del decennio il brigantaggio era pressoché scomparso, mentre la 'ndrangheta spiccava il salto nel nuovo Stato dove sarebbe cresciuta con la complicità delle classi dominanti per giungere sino a noi. I briganti sono confinati nei libri di storia e nei musei, gli 'ndranghetisti hanno invaso l'Italia e il mondo.

Enzo Ciconte

Fonte :Corriere della Sera del 31 ottobre 2010


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Le aree dei due fenomeni non coincidono. In Sila i contadini occupavano le terre. Ai picciotti l’Aspromonte

Il patriota calabrese Banedetto Musolino e Giuseppe Garibaldi

Corrado Alvaro nel 1925 scriveva che «i forestieri, quando si ricordano della Calabria, parlano sovratutto dei briganti. Ma, per la verità, pochi sanno che cosa sia stato veramente il brigantaggio e come sia nato». Oggi un forestiero che si dovesse ricordare della Calabria parlerebbe della strage di Duisburg dove furono uccise sei persone di San Luca, il comune dov' era nato Alvaro, o della riunione di 'ndrangheta svoltasi nel settembre 2009 sempre a San Luca sotto la statua della Madonna della Montagna nel santuario di Polsi, nel cuore dell' Aspromonte, santuario e Madonna sacri per gli 'ndranghetisti. Molti sono convinti che la 'ndrangheta sia una filiazione del brigantaggio, che i picciotti siano i figli legittimi, gli eredi naturali dei briganti. E' così? Per rispondere dobbiamo andare indietro di 150 anni e vedere cosa successe nei primi anni dopo che l'Italia fu unita. Garibaldi sbarcò in Calabria all'alba del 19 agosto 1860 a Melito Porto Salvo, a due passi da Reggio Calabria. Senza bisogno di combattere, perché l'esercito borbonico si liquefece come neve al sole, attraversò la regione come un fulmine. Poco prima di arrivare in Basilicata, il 31 di agosto, a Rogliano emanò un decreto di poche righe: «Gli abitanti poveri di Cosenza e Casali esercitino gratuitamente gli usi di pascolo e di semina nelle terre demaniali della Sila. E ciò provvisoriamente sino a definitiva disposizione». Era arrivato preceduto da buona fama per quello che aveva fatto in Sicilia con il decreto del 2 giugno con il quale aveva stabilito che i combattenti per la libertà avrebbero ricevuto in compenso quote di terra del demanio pubblico. I contadini calabresi accolsero Garibaldi sventolando le bandiere tricolori. Speravano in un cambiamento delle loro condizioni di vita e Garibaldi, con il decreto di Rogliano, pareva aver compreso il problema.

Il ferimento di Garibaldi sull'Aspromonte
Il decreto era un compromesso perché conteneva il dissenso contadino emergente senza toccare l'essenza della questione della proprietà delle terre. Da parte loro i proprietari, i baroni della Sila, erano in allarme. A Savelli, prima ancora dell'arrivo di Garibaldi, il 16 agosto, i contadini avevano invaso le terre comunali sospinti dal suono delle campane del Santissimo crocifisso. Donato Morelli, che Garibaldi aveva posto a governatore della Calabria Citra, l'attuale provincia di Cosenza, a distanza di cinque giorni emanò un decreto di interpretazione che di fatto annullò l'efficacia di quanto aveva stabilito Garibaldi. Morelli apparteneva a una famiglia accusata di aver usurpato terreni in Sila, e insieme ad altri grandi usurpatori come i Berlingieri, i Barracco, i Lucifero, gli Albani si era schierato contro i Borbone perché tutti ne temevano la politica silana. In provincia di Cosenza avevano dato vita a un comitato liberale che era a tutti gli effetti un «comitato di usurpatori», com'ebbe a scrivere lo storico Antonino Basile. «Gli usurpatori della Sila sono ladri in giamberga». Così li aveva bollati Vincenzo Padula, il prete di Acri che fu tra i primi a sollevare i temi di quella che sarebbe stata chiamata da lì a poco questione meridionale. I proprietari terrieri avevano paura dei «comunisti », di quei contadini analfabeti che, pur non avendo letto una riga del Manifesto di Marx ed Engels, avevano occupato le terre nel 1848 rivendicandone la divisione, il possesso, la messa a coltura di quelle abbandonate. La questione della terra era stata per lungo tempo sollevata da contadini ridotti in miseria ed abbrutiti. Diomede Pantaleoni, inviato in Calabria, nel 1861 scrisse al ministro dell'Interno Marco Minghetti parole chiare sulla Sila dove esisteva «uno stato sociale che colpendo di povertà soverchia una classe la spinge al delitto e al brigantaggio». C'erano dei rimedi a tutto ciò e li indicava: «un saggio governo debbe operare una riforma sociale ad evitare una rivoluzione sociale». I nuovi governanti non ascoltarono Pantaleoni, preferirono affrontare con le armi i contadini e li bollarono come briganti, un marchio infamante. Fu un tragico errore perché le ragioni del brigante diventarono le ragioni del popolo che aiutò i briganti in tanti modi. Li aiutarono anche borbonici e clericali. Era la seconda volta; già dopo l'invasione francese a inizio secolo la Calabria era stata teatro di un vastissimo brigantaggio che diede filo da torcere ai francesi.

Il brigantaggio fu un fatto di popolo che interessò metà della Calabria, dalla provincia di Cosenza alle attuali province di Catanzaro e di Crotone. E l'altra metà? L'altra metà era estranea al brigantaggio. La provincia di Reggio Calabria aveva ben altri problemi. Il prefetto Giuseppe Cornero scriveva di camorristi che tra il giugno e il luglio 1861 «infestavano in deplorevole modo questa città». Due anni dopo, da Gallico, comune di 5.000 abitanti, si seppe che uno «sparuto numero» di camorristi spadroneggiava al punto che i cittadini si sentivano «minacciati nella vita» e costretti a non parlare e a non fare denunce alle autorità. Emergeva una presenza criminale che agiva sotto traccia, che pochi valutarono nella sua pericolosità sociale perché convinti che fosse composta solo dagli strati sociali più poveri e miserabili. Non calcolarono il mutamento che sarebbe intervenuto nel giovane diventato picciotto quando, bardato dei segni esteriori del suo rango — «fazzoletto annodato al collo, solini piegati, cappellino tondo sotto le cui falde si vede il ciuffo dei bravi» —, prendeva «un'aria spavalda e provocante; e armato dell'indispensabile "mollettone", coltello provvisto di molla a lama chiusa, e del rasoio a manico fermo, s'impone». La descrizione la dobbiamo a un medico di Reggio Calabria, Francesco Melari, che per ragioni della sua professione frequentava tutti gli strati sociali della città. Invisibili per alcuni, erano ben visibili per altri. Nel 1869 le elezioni amministrative di Reggio Calabria furono annullate per brogli elettorali dovuti a una interferenza dei mafiosi che furono utilizzati nella competizione politica. Il primo comune sciolto per mafia! In Aspromonte la 'ndrangheta progrediva utilizzando l'immagine di uno Stato che appariva ed era lontano. Sin da allora — come le altre mafie del resto—si presentava come un'associazione capace di governare territori e di selezionare le classi dirigenti o condizionandole oppure eliminando fisicamente quelli che non s'adeguavano. Le zone di brigantaggio e quelle di mafia non coincidono, sono diverse, non sono sovrapponibili. Sono fisicamente distanti. Nella Sila e nelle terre del latifondo ci furono briganti oppure contadini che occupavano le terre, ma non c'era 'ndrangheta. In Aspromonte ci furono picciotti non briganti, tranne la meteora di Giuseppe Musolino che giganteggiò a fine secolo e fu chiamato «u rre d'Asprumunti ».

Ma allora perché è nata la leggenda della relazione tra 'ndrangheta e brigantaggio? Semplicemente perché tornava comodo agli uomini d'onore, alla perenne ricerca del consenso, ingentilire le loro origini e presentarsi come gli eredi dei briganti che nell'immaginario popolare continuano ancora oggi a godere di una rappresentazione ben diversa da quella che si trova nelle carte dei processi o di polizia dell'epoca. I briganti sopravvivono come uomini tutti d'un pezzo, coraggiosi, giovani che sanno vendicare le ingiustizie e che sanno andare alla macchia per vivere una vita libera e senza padroni. Alla fine del decennio il brigantaggio era pressoché scomparso, mentre la 'ndrangheta spiccava il salto nel nuovo Stato dove sarebbe cresciuta con la complicità delle classi dominanti per giungere sino a noi. I briganti sono confinati nei libri di storia e nei musei, gli 'ndranghetisti hanno invaso l'Italia e il mondo.

Enzo Ciconte

Fonte :Corriere della Sera del 31 ottobre 2010


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