lunedì 28 febbraio 2011

Su "Il Mattino" del 27 febbraio 2011 articolo di Gigi Di Fiore:"Dopo l'unità al sud l'armata di renitenti".



Fonte: Il Mattino del 27 febbraio 2011 pag.25
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Fonte: Il Mattino del 27 febbraio 2011 pag.25
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Risorgimento 1840 -1870 la Rivoluzione Italiana


http://www.youtube.com/watch?v=JVgZjucxj7I


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http://www.youtube.com/watch?v=JVgZjucxj7I


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Nucleare: il rischio che corre l’Italia è reale


Nucleare: il rischio che corre l'Italia è reale

Di Roberta Lemma


Tempo dodici mesi e il nucleare non sarà più soltanto una minaccia ma, una concreta realtà.

Circa 24 mila metri cubi di scorie radioattive, oltre 200 tonnellate di ossido di uranio misto a plutonio, stronzio e cesio. Ecco cosa nascondono al loro interno, nelle piscine di decadimento, le vecchie centrali chiuse che attendono d'esser bonificate. L'Italia non ha mai smesso di essere una Nazione nucleare, ha smesso di produrre, ma, non di lasciar che la propria terra, aria, venissero lentamente contaminati, giorno dopo giorno. I grandi governi, tramite gli esperti da loro scelti, chiamati e super pagati fanno sapere, con metodo propagandistico, di avere progetti validi per lo smaltimento di queste sostanze fortemente velenose per l'uomo e per l'ambiente. In realtà nessuno può rendere salutare ciò che è, per sua natura, maledettamente letale.

Non esistono centrali nucleari sicure, non esistono progetti di centrale nucleare che mettano al sicuro al 100% la popolazione, non esistono strutture in grado di resistere ai terremoti e ad ogni altro tipo di calamità naturale e, l'Italia, è fortemente sismica, fortemente a rischio alluvioni, cedimenti franosi.

La Corte Costituzionale ha stabilito che l'articolo 4, il quale proibiva alle regioni di entrare nella discussione per la "costruzione ed esercizio" delle centrali, non va bene, e stabilisce che le Regioni dovranno avere voce in capitolo sui siti scelti per le nuove centrali nucleari senza però avere il peso di un parere vincolante: ci aspettiamo, tolto il problema dei ''parei vincolanti'', venga tolto il timbro Top-Secret dall'elenco dei 52 siti proposti per il ritorno al nucleare.

'Se diamo retta alle Regioni nessuno le vuole, le vogliono tutti nella Regione a fianco''. Cosi' il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteoli, a margine del convegno 'Lazio ed energia, fra nucleare ed energie alternative', rispondendo a chi gli chiedeva se il governo potrebbe arrivare ad imporre la localizzazione di centrali nucleari in Regioni che si opporranno alla loro realizzazione.

Noi temiamo proprio questo e cioè, di vederci imporre il nucleare come ci hanno imposto di vivere tormentati dalle discariche, di vivere respirando i veleni delle loro fabbriche della morte. Del resto ad inquinare, avvelenare, gestire le stesse discariche, inceneritori, vecchie e nuove centrali nucleari chi sono? I colossi dell'economia nazionale e mondiale. Queste multinazionali, con la loro spregiudicata politica del profitto, con la loro potenza, gestiscono l'intero apparato politico in un diabolico scambio favore-voto - soldi. Dettano legge. Forti del fatto che il nostro ordinamento giuridico pecca di una strategica mancanza, il reato di disastro ambientale e attentato alla salute pubblica. Il nucleare in Italia, come in mezzo mondo occidentale, è un affare che coinvolge due gruppi prinicipalmente, uno francese, Areva, l'altro italiano, Impregilo e una moltitudine incontrollabile di scatole cinesi. A fare da garante, in Italia, la Sogin e Veronesi con la sua nomina alla presidenza alla Agenzia per la sicurezza nucleare. Due facce della stessa medaglia, la lobby super patners che mina tutto l'ordinamento costituizionale italiano. La lobby dei mega affari.

La presidentesse della Confindustria, Marcegaglia è ancor più diretta e spregiudicata: più efficienza, meno rinnovabili e ponti d'oro al nucleare. "Siamo dell'idea che il Paese debba investire in fonti rinnovabili ma su questo tema ci deve essere una graduale riduzione degli incentivi che sono tra i più alti d'Europa", precisa la Marcegaglia. Oltre alle rinnovabili e all'efficienza energetica, la presidente di Confindustria ha ribadito anche la necessità di "andare avanti sul nucleare". Alla Mercegaglia vogliamo ricordare che le famiglie italiane si trovano a pagare il più alto aggravio sulla bolletta dell'energia elettrica di Europa, finanziando la Sogin da tempo immemorabile, distribuendo premi di produzione inesistente, considerando che la sua funzione, smantellamento e bonifica dei siti nucleari chiusi nel 1987 non la ha mai svolta.

A conferma del progetto politico e affaristico italiano, l' inaugurazione della Scuola di Formazione Radioprotezione e Sicurezza di Sogin, collocata all'interno del sito di Caorso. Finora la Scuola ha gia' erogato oltre 30.000 ore di formazione, per circa 900 fruitori e 70 docenti, questi ultimi, tutti tecnici Sogin. Eppure la Sogin doveva essere smantellata e commissionata proprio a fronte dei suoi eccessivi costi senza produrre niente. Con la legge 99/09, la maggioranza aveva deciso il commissariamento della società e il suo riordino, con la vendita di rami d’azienda ad altre società a partecipazione pubblica. La ristrutturazione e lo snellimento dell’azienda non sono però mai avvenuti ed anzi, con il decreto nucleare, il ruolo della Sogin è stato rafforzato; è, infatti attribuito alla Sogin il compito di concordare con l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare la localizzazione e la progettazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi (la Sogin è dal 2003 che tenta di aprire un deposito nazionale per le scorie radioattive) e di svolgere in regime di monopolio pubblico le attività di decomissioning per le nuove centrali.

Il nuovo vertice della Sogin è rappresentato dall’AD Giuseppe Nucci, (vecchio ritorno già raggiunto da svariate interrogazioni parlamentari per il suo ruolo poco trasparente all'interno della Sogin) sostenuto da Tremonti e Lega, il Presidente Giancarlo Aragona e i consiglieri Bruno Mangiatori, Francesco Moro e Piero Risoluti. "Siamo impegnati - ha commentato l'Amministratore Delegato di Sogin Giuseppe Nucci - a fare della Scuola di Caorso un punto di eccellenza a livello nazionale, capace di dialogare con i migliori centri internazionali di settore". Brutti (Idv): Da Berlusconi disinformazione allarmante su energia (DIRE) Roma, 16 feb. - "Se questo e' il livello di informazione in materia di energia nucleare siamo seriamente preoccupati". Paolo Brutti, responsabile Ambiente dell'Italia dei Valori, esprime stupore per le affermazioni rilasciate dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi sul ritorno all'energia atomica.

Noi vogliamo rivolgere poche semplici domande al governo:

  1. Sarà Saluggia o Garigliano ad accogliere il deposito nazionale delle scorie radioattive?

  2. Che fine ha fatto quell'accordo tra Italia e Francia, che prevedeva entro il 31 dicembre 2020 un deposito nazionale per custodire scorie radioattive in Italia?

  3. Se non avete saputo risolvere il problema dello smaltimento delle vecchie scorie nucleari, dove e come pensate di smaltirne di nuove?

  4. La Sogin è pubblica o privata?

  5. Se pubblica, quanto costa agli italiani?

  6. Pensate di togliere, come sarebbe giusto, il sigillo del Segreto di Stato sul ritorno al nucleare in Italia, oppure, prevedete, di usare lo stesso sistema dittatoriale di sempre, lo stesso sistema che da 40 anni vi ha permesso di eludere la giustizia e la fiducia degli italiani, senza che ciò vi costringesse alle Vostre responsabilità?

  7. Le vecchie centrali nucleari, per cui Sogin è stata chiamata e pagata a smantellare e bonificare, senza che l'abbia fatto, saranno riattivate?


Tutto quanto vi è da sapere sulla Sogin. Possibile arrivare a questo in una nazione come l'Italia?


Fonte:Agoravox


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Nucleare: il rischio che corre l'Italia è reale

Di Roberta Lemma


Tempo dodici mesi e il nucleare non sarà più soltanto una minaccia ma, una concreta realtà.

Circa 24 mila metri cubi di scorie radioattive, oltre 200 tonnellate di ossido di uranio misto a plutonio, stronzio e cesio. Ecco cosa nascondono al loro interno, nelle piscine di decadimento, le vecchie centrali chiuse che attendono d'esser bonificate. L'Italia non ha mai smesso di essere una Nazione nucleare, ha smesso di produrre, ma, non di lasciar che la propria terra, aria, venissero lentamente contaminati, giorno dopo giorno. I grandi governi, tramite gli esperti da loro scelti, chiamati e super pagati fanno sapere, con metodo propagandistico, di avere progetti validi per lo smaltimento di queste sostanze fortemente velenose per l'uomo e per l'ambiente. In realtà nessuno può rendere salutare ciò che è, per sua natura, maledettamente letale.

Non esistono centrali nucleari sicure, non esistono progetti di centrale nucleare che mettano al sicuro al 100% la popolazione, non esistono strutture in grado di resistere ai terremoti e ad ogni altro tipo di calamità naturale e, l'Italia, è fortemente sismica, fortemente a rischio alluvioni, cedimenti franosi.

La Corte Costituzionale ha stabilito che l'articolo 4, il quale proibiva alle regioni di entrare nella discussione per la "costruzione ed esercizio" delle centrali, non va bene, e stabilisce che le Regioni dovranno avere voce in capitolo sui siti scelti per le nuove centrali nucleari senza però avere il peso di un parere vincolante: ci aspettiamo, tolto il problema dei ''parei vincolanti'', venga tolto il timbro Top-Secret dall'elenco dei 52 siti proposti per il ritorno al nucleare.

'Se diamo retta alle Regioni nessuno le vuole, le vogliono tutti nella Regione a fianco''. Cosi' il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteoli, a margine del convegno 'Lazio ed energia, fra nucleare ed energie alternative', rispondendo a chi gli chiedeva se il governo potrebbe arrivare ad imporre la localizzazione di centrali nucleari in Regioni che si opporranno alla loro realizzazione.

Noi temiamo proprio questo e cioè, di vederci imporre il nucleare come ci hanno imposto di vivere tormentati dalle discariche, di vivere respirando i veleni delle loro fabbriche della morte. Del resto ad inquinare, avvelenare, gestire le stesse discariche, inceneritori, vecchie e nuove centrali nucleari chi sono? I colossi dell'economia nazionale e mondiale. Queste multinazionali, con la loro spregiudicata politica del profitto, con la loro potenza, gestiscono l'intero apparato politico in un diabolico scambio favore-voto - soldi. Dettano legge. Forti del fatto che il nostro ordinamento giuridico pecca di una strategica mancanza, il reato di disastro ambientale e attentato alla salute pubblica. Il nucleare in Italia, come in mezzo mondo occidentale, è un affare che coinvolge due gruppi prinicipalmente, uno francese, Areva, l'altro italiano, Impregilo e una moltitudine incontrollabile di scatole cinesi. A fare da garante, in Italia, la Sogin e Veronesi con la sua nomina alla presidenza alla Agenzia per la sicurezza nucleare. Due facce della stessa medaglia, la lobby super patners che mina tutto l'ordinamento costituizionale italiano. La lobby dei mega affari.

La presidentesse della Confindustria, Marcegaglia è ancor più diretta e spregiudicata: più efficienza, meno rinnovabili e ponti d'oro al nucleare. "Siamo dell'idea che il Paese debba investire in fonti rinnovabili ma su questo tema ci deve essere una graduale riduzione degli incentivi che sono tra i più alti d'Europa", precisa la Marcegaglia. Oltre alle rinnovabili e all'efficienza energetica, la presidente di Confindustria ha ribadito anche la necessità di "andare avanti sul nucleare". Alla Mercegaglia vogliamo ricordare che le famiglie italiane si trovano a pagare il più alto aggravio sulla bolletta dell'energia elettrica di Europa, finanziando la Sogin da tempo immemorabile, distribuendo premi di produzione inesistente, considerando che la sua funzione, smantellamento e bonifica dei siti nucleari chiusi nel 1987 non la ha mai svolta.

A conferma del progetto politico e affaristico italiano, l' inaugurazione della Scuola di Formazione Radioprotezione e Sicurezza di Sogin, collocata all'interno del sito di Caorso. Finora la Scuola ha gia' erogato oltre 30.000 ore di formazione, per circa 900 fruitori e 70 docenti, questi ultimi, tutti tecnici Sogin. Eppure la Sogin doveva essere smantellata e commissionata proprio a fronte dei suoi eccessivi costi senza produrre niente. Con la legge 99/09, la maggioranza aveva deciso il commissariamento della società e il suo riordino, con la vendita di rami d’azienda ad altre società a partecipazione pubblica. La ristrutturazione e lo snellimento dell’azienda non sono però mai avvenuti ed anzi, con il decreto nucleare, il ruolo della Sogin è stato rafforzato; è, infatti attribuito alla Sogin il compito di concordare con l’Agenzia per la Sicurezza Nucleare la localizzazione e la progettazione del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi (la Sogin è dal 2003 che tenta di aprire un deposito nazionale per le scorie radioattive) e di svolgere in regime di monopolio pubblico le attività di decomissioning per le nuove centrali.

Il nuovo vertice della Sogin è rappresentato dall’AD Giuseppe Nucci, (vecchio ritorno già raggiunto da svariate interrogazioni parlamentari per il suo ruolo poco trasparente all'interno della Sogin) sostenuto da Tremonti e Lega, il Presidente Giancarlo Aragona e i consiglieri Bruno Mangiatori, Francesco Moro e Piero Risoluti. "Siamo impegnati - ha commentato l'Amministratore Delegato di Sogin Giuseppe Nucci - a fare della Scuola di Caorso un punto di eccellenza a livello nazionale, capace di dialogare con i migliori centri internazionali di settore". Brutti (Idv): Da Berlusconi disinformazione allarmante su energia (DIRE) Roma, 16 feb. - "Se questo e' il livello di informazione in materia di energia nucleare siamo seriamente preoccupati". Paolo Brutti, responsabile Ambiente dell'Italia dei Valori, esprime stupore per le affermazioni rilasciate dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi sul ritorno all'energia atomica.

Noi vogliamo rivolgere poche semplici domande al governo:

  1. Sarà Saluggia o Garigliano ad accogliere il deposito nazionale delle scorie radioattive?

  2. Che fine ha fatto quell'accordo tra Italia e Francia, che prevedeva entro il 31 dicembre 2020 un deposito nazionale per custodire scorie radioattive in Italia?

  3. Se non avete saputo risolvere il problema dello smaltimento delle vecchie scorie nucleari, dove e come pensate di smaltirne di nuove?

  4. La Sogin è pubblica o privata?

  5. Se pubblica, quanto costa agli italiani?

  6. Pensate di togliere, come sarebbe giusto, il sigillo del Segreto di Stato sul ritorno al nucleare in Italia, oppure, prevedete, di usare lo stesso sistema dittatoriale di sempre, lo stesso sistema che da 40 anni vi ha permesso di eludere la giustizia e la fiducia degli italiani, senza che ciò vi costringesse alle Vostre responsabilità?

  7. Le vecchie centrali nucleari, per cui Sogin è stata chiamata e pagata a smantellare e bonificare, senza che l'abbia fatto, saranno riattivate?


Tutto quanto vi è da sapere sulla Sogin. Possibile arrivare a questo in una nazione come l'Italia?


Fonte:Agoravox


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Berlusconi e la scuola pubblica, la profezia di Piero Calamandrei

Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto:

- rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.

- attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.

- dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico!

Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. » la fase più pericolosa di tutta l’operazione […]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito […].

Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell’art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: “Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato”. Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche […]. Ma poi c’è un’altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la “frode alla legge”, che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla […]. E venuta cos” fuori l’idea dell’assegno familiare, dell’assegno familiare scolastico.

Il ministro dell’Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a “stimolare” al massimo le spese non statali per l’insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno […].

Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? » un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica.

Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l’arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l’arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! […]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito“.

Piero Calamandrei, 1950

Parte del discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III congresso dell'Associazione a Difesa della Scuola Nazionale (ADSN) a Roma l'11 febbraio 1950.


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Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto:

- rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.

- attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.

- dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico!

Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. » la fase più pericolosa di tutta l’operazione […]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito […].

Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell’art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: “Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato”. Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche […]. Ma poi c’è un’altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la “frode alla legge”, che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla […]. E venuta cos” fuori l’idea dell’assegno familiare, dell’assegno familiare scolastico.

Il ministro dell’Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a “stimolare” al massimo le spese non statali per l’insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno […].

Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? » un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica.

Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l’arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l’arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! […]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito“.

Piero Calamandrei, 1950

Parte del discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III congresso dell'Associazione a Difesa della Scuola Nazionale (ADSN) a Roma l'11 febbraio 1950.


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Sky cancella lo speciale su 'Ndrangheta, affari e politica in Liguria, Emilia-Romagna e Piemonte?

Sky cancella lo speciale su 'Ndrangheta, affari & politica in Liguria, Emilia-Romagna e Piemonte?Pare proprio di sì... perché di mafia si deve parlare solo nell'ottica "criminale" e soprattutto se ne deve parlare come "puro" problema ordine pubblico... di fenomeno del sud, o anche magari della terra lombarda, ma se si vanno a toccare le "terre promesse" delle cosche, dove è palpabile che la 'ndrangheta è affari e politica, grande riciclaggio e voto di scambio, con una contiguità e complicità delle cosche assolutamente trasversali, coinvolgenti esponenti politici di centrodestra e centrosinistra, così come imprese e grandi cooperative, allora deve calare il silenzio...


Sino a ieri su Sky Tg24 andava in onda il promo dello speciale in due puntate 'NDRANGHETA, ULTIMA FERMATA A NORD sulle infiltrazioni negli appalti pubblici, condizionamento della politica, percezione del fenomeno da parte della gente... per capire che faccia ha la ndrangheta al Nord e quali sono i suoi affari. Programmazione ufficiale con primo appuntamento sulla LIGURIA per sabato 26 febbraio (ore 15:35 e replica alle 18.35) ed il secondo per sabato 5 marzo (sempre ore 15,35 e replica alle 18.35) su PIEMONTE ed EMILIA-ROMAGNA.

Poi ieri sera sul sito di SKY, nella programmazione tutto cambia, lo speciale sulla 'NDRANGHETA sparisce e compare quello sul Libano (manco la Libia)... Cosa sia successo non lo sappiamo, che la decisione di questo cambio sia della Direzione è scontato, solo il Direttore Responsabile può cambiare il palinsesto, decidere cosa mandare in onda e cosa invece oscurare. E pare proprio che lo speciale sulla 'NDRANGHETA, tra Liguria, Emilia-Romagna e Piemonte, con sguardo su affari e politica, sia stato deciso di oscurarlo.

Ecco che allora dovrebbe essere chiaro, ancora una volta, che se ci sono giornalisti che fanno il loro dovere per informare, ci sono anche Responsabili di emittenti e testate giornalistiche cosiddette "libere" che, invece, calpestano quel lavoro dei propri giornalisti ed il dovere di una libera informazione.
Non è il problema, come diciamo da tempo, delle trasmissioni "urlate" di opposizione al cosiddetto "regime" ma pienamente complementari (e quindi utili) allo stesso "regime", che urlando alla "censura" ma sono sempre in onda, è un problema più generale di una censura su fatti e realtà che alle due facce della stessa medaglia non è utile siano conosciute e che non a caso non viene tollerato vadano in onda!

PS
Un cambio di programma a poche ore dalla messa in onda, dopo la promozione dello stesso, non crediamo possa essere altro che un oscuramento. Diranno che è una questione tecnica o un semplice slittamento a data da destinarsi? Non lo sappiamo, e cosa (e chi) si è mosso per passare dal raccontare l'indicibile 'Ndrangheta al nord, col suo intreccio tra economia e politica, ad uno speciale sul Libano davvero vorremmo saperlo.

PS 2
Se invece è stato un errore tecnico, quello di cambiare la programmazione sul sito di SKY e stoppare il promo dello Speciale, allora la trasmissione andrà in onda regolamente... ma ci pare strano, inverosibile e curioso che una testata come SKY TG24 faccia confusione e non sappia più cosa manda in onda.

Fonte:Casa della legalità

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Sky cancella lo speciale su 'Ndrangheta, affari & politica in Liguria, Emilia-Romagna e Piemonte?Pare proprio di sì... perché di mafia si deve parlare solo nell'ottica "criminale" e soprattutto se ne deve parlare come "puro" problema ordine pubblico... di fenomeno del sud, o anche magari della terra lombarda, ma se si vanno a toccare le "terre promesse" delle cosche, dove è palpabile che la 'ndrangheta è affari e politica, grande riciclaggio e voto di scambio, con una contiguità e complicità delle cosche assolutamente trasversali, coinvolgenti esponenti politici di centrodestra e centrosinistra, così come imprese e grandi cooperative, allora deve calare il silenzio...


Sino a ieri su Sky Tg24 andava in onda il promo dello speciale in due puntate 'NDRANGHETA, ULTIMA FERMATA A NORD sulle infiltrazioni negli appalti pubblici, condizionamento della politica, percezione del fenomeno da parte della gente... per capire che faccia ha la ndrangheta al Nord e quali sono i suoi affari. Programmazione ufficiale con primo appuntamento sulla LIGURIA per sabato 26 febbraio (ore 15:35 e replica alle 18.35) ed il secondo per sabato 5 marzo (sempre ore 15,35 e replica alle 18.35) su PIEMONTE ed EMILIA-ROMAGNA.

Poi ieri sera sul sito di SKY, nella programmazione tutto cambia, lo speciale sulla 'NDRANGHETA sparisce e compare quello sul Libano (manco la Libia)... Cosa sia successo non lo sappiamo, che la decisione di questo cambio sia della Direzione è scontato, solo il Direttore Responsabile può cambiare il palinsesto, decidere cosa mandare in onda e cosa invece oscurare. E pare proprio che lo speciale sulla 'NDRANGHETA, tra Liguria, Emilia-Romagna e Piemonte, con sguardo su affari e politica, sia stato deciso di oscurarlo.

Ecco che allora dovrebbe essere chiaro, ancora una volta, che se ci sono giornalisti che fanno il loro dovere per informare, ci sono anche Responsabili di emittenti e testate giornalistiche cosiddette "libere" che, invece, calpestano quel lavoro dei propri giornalisti ed il dovere di una libera informazione.
Non è il problema, come diciamo da tempo, delle trasmissioni "urlate" di opposizione al cosiddetto "regime" ma pienamente complementari (e quindi utili) allo stesso "regime", che urlando alla "censura" ma sono sempre in onda, è un problema più generale di una censura su fatti e realtà che alle due facce della stessa medaglia non è utile siano conosciute e che non a caso non viene tollerato vadano in onda!

PS
Un cambio di programma a poche ore dalla messa in onda, dopo la promozione dello stesso, non crediamo possa essere altro che un oscuramento. Diranno che è una questione tecnica o un semplice slittamento a data da destinarsi? Non lo sappiamo, e cosa (e chi) si è mosso per passare dal raccontare l'indicibile 'Ndrangheta al nord, col suo intreccio tra economia e politica, ad uno speciale sul Libano davvero vorremmo saperlo.

PS 2
Se invece è stato un errore tecnico, quello di cambiare la programmazione sul sito di SKY e stoppare il promo dello Speciale, allora la trasmissione andrà in onda regolamente... ma ci pare strano, inverosibile e curioso che una testata come SKY TG24 faccia confusione e non sappia più cosa manda in onda.

Fonte:Casa della legalità

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domenica 27 febbraio 2011

Ultimi nel mondo sviluppato, ultimi nel mondo libero


“Tra le principali sette economie al mondo, l’Italia è quella che è cresciuta meno: ha avuto un +1,3% rispetto al quarto trimestre del 2009, mentre la Germania ha segnato la crescita più forte +4%”. Un altro record infranto, l’Italia è il fanalino di coda delle economie del mondo sviluppato. Nelle classifiche della libertà di informazione stilate da Freedom House, l’Italia lotta in fondo alla classifica con qualche regime africano. Una posizione simile è occupata dal nostro Paese in merito alla lotta alla corruzione, mentre per fortuna nessuno stila le classifiche in materia di libertà civili.
10 anni di Berlusconi si pagano così, con l’essere diventati i recordman mondiali del segno meno. Economia in coma, conti pubblici sempre più in pericolo, si raschia il fondo del barile fino a che arriverà qualche redde rationem, magari nella forma di un altro prelievo forzoso sui conti correnti. Il declino morale dell’Italia spaventa proprio perché la fine non sembra mai arrivare, così come il fondo dove stiamo precipitando.
Ai tempi della sua discesa in campo Berlusconi aveva promesso la modernizzazione dell’Italia, un Paese con governi stabili, crescita duratura, milioni di posti di lavoro creati e tutta un’altra seria di promesse drammaticamente mancate. Dopo dieci anni di regno quasi ininterrotto il risveglio dall’incubo sembra già ora troppo tardivo, ed il mistero della longevità berlusconiana nonostante fallimenti così lampanti rimane uno dei segreti meglio custoditi al mondo.

Fonte:Giornalettismo

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“Tra le principali sette economie al mondo, l’Italia è quella che è cresciuta meno: ha avuto un +1,3% rispetto al quarto trimestre del 2009, mentre la Germania ha segnato la crescita più forte +4%”. Un altro record infranto, l’Italia è il fanalino di coda delle economie del mondo sviluppato. Nelle classifiche della libertà di informazione stilate da Freedom House, l’Italia lotta in fondo alla classifica con qualche regime africano. Una posizione simile è occupata dal nostro Paese in merito alla lotta alla corruzione, mentre per fortuna nessuno stila le classifiche in materia di libertà civili.
10 anni di Berlusconi si pagano così, con l’essere diventati i recordman mondiali del segno meno. Economia in coma, conti pubblici sempre più in pericolo, si raschia il fondo del barile fino a che arriverà qualche redde rationem, magari nella forma di un altro prelievo forzoso sui conti correnti. Il declino morale dell’Italia spaventa proprio perché la fine non sembra mai arrivare, così come il fondo dove stiamo precipitando.
Ai tempi della sua discesa in campo Berlusconi aveva promesso la modernizzazione dell’Italia, un Paese con governi stabili, crescita duratura, milioni di posti di lavoro creati e tutta un’altra seria di promesse drammaticamente mancate. Dopo dieci anni di regno quasi ininterrotto il risveglio dall’incubo sembra già ora troppo tardivo, ed il mistero della longevità berlusconiana nonostante fallimenti così lampanti rimane uno dei segreti meglio custoditi al mondo.

Fonte:Giornalettismo

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Milleproroghe: Vendola, ennesimo vergognoso scippo al Mezzogiorno!

Parole chiare e totalmente condivisibili dal Governatore della Puglia :

Bari, 15 feb. - (Adnkronos) - ''E' l'ennesimo vergognoso scippo perpetrato ai danni del Mezzogiorno''. Cosi' il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, ha commentato da Bruxelles il maxi emendamento sul decreto Milleproroghe presentato oggi dal governo al Senato e sul quale e' stata posta la fiducia. ''Un vero e proprio crimine - ha aggiunto - ai danni degli allevatori, degli agricoltori, degli alluvionati della Puglia e della Campania, di tutti i cittadini delle regioni del Sud che ancora una volta vengono letteralmente derubati in nome e per conto di un asse politico Pdl-Lega che sottrae al Sud per beneficiare il Nord.
Invece di dimettersi, il Governo, sempre piu' lontano dal Paese reale, continua a porre la fiducia su provvedimenti indifendibili che spaccano in due l'Italia mettendo a serio rischio la tenuta democratica del Paese''.


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Parole chiare e totalmente condivisibili dal Governatore della Puglia :

Bari, 15 feb. - (Adnkronos) - ''E' l'ennesimo vergognoso scippo perpetrato ai danni del Mezzogiorno''. Cosi' il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, ha commentato da Bruxelles il maxi emendamento sul decreto Milleproroghe presentato oggi dal governo al Senato e sul quale e' stata posta la fiducia. ''Un vero e proprio crimine - ha aggiunto - ai danni degli allevatori, degli agricoltori, degli alluvionati della Puglia e della Campania, di tutti i cittadini delle regioni del Sud che ancora una volta vengono letteralmente derubati in nome e per conto di un asse politico Pdl-Lega che sottrae al Sud per beneficiare il Nord.
Invece di dimettersi, il Governo, sempre piu' lontano dal Paese reale, continua a porre la fiducia su provvedimenti indifendibili che spaccano in due l'Italia mettendo a serio rischio la tenuta democratica del Paese''.


Nella prossima puntata di "La Storia siamo noi", in onda su Rai 3, intervista con Gigi Di Fiore





Da ieri sera, Gianni Minoli ha inaugurato su Rai 3 la serie di puntate de "La storia siamo noi" sul Risorgimento.


Segnaliamo che nella puntata di venerdì 4 marzo, con inizio alle ore 23, andrà in onda la puntata "Ippolito Nievo - inchiesta sui Mille" con una ampia intervista allo scrittore Gigi Di Fiore.
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Da ieri sera, Gianni Minoli ha inaugurato su Rai 3 la serie di puntate de "La storia siamo noi" sul Risorgimento.


Segnaliamo che nella puntata di venerdì 4 marzo, con inizio alle ore 23, andrà in onda la puntata "Ippolito Nievo - inchiesta sui Mille" con una ampia intervista allo scrittore Gigi Di Fiore.

Morti per la nostra repubblica.

L'Italia repubblicana rende omaggio ai re Savoia che procurarono milioni di morti. Vergogna!!!
La nostra terra è piena di croci di soldati e civili che hanno combattuto per la nostra libertà e per la nostra repubblica. Dalla nostra terra sgorga ancora il sangue dei vinti.
Antonio Ciano



http://www.youtube.com/watch?v=ly1vOJJQRwE

Un cimitero di croci, soldati ammazzati nello sbarco di Anzio per darci la libertà e la repubblica. Questi soldati hanno combattuto per noi, come combatterono per noi i nostri partigiani. Fummo chiamati briganti dai savoia nel 1860, banditi nel 1943. Furono sterminate intere popolazioni. Vi furono un milione di morti, 25 milioni di emigranti, una vera pulizia etnica, una diaspora che nemmeno il popolo ebraico ha subito. Maledetti savoia! Diceva Montanelli che i Savoia sono come le patate. La parte migliore è sottoterra. Diciamo noi che quella parte migliore deve essere rimossa. Le salme di Vittorio Emanuele II e di Umberto I° devono essere traslate a Fenestrelle, il Lager ove morirono 56.000 soldati napolitani che non vollero tradire il loro Re ed il loro giuramento. Via dal Tempio dei Grandi, erano solo assassini feroci.

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L'Italia repubblicana rende omaggio ai re Savoia che procurarono milioni di morti. Vergogna!!!
La nostra terra è piena di croci di soldati e civili che hanno combattuto per la nostra libertà e per la nostra repubblica. Dalla nostra terra sgorga ancora il sangue dei vinti.
Antonio Ciano



http://www.youtube.com/watch?v=ly1vOJJQRwE

Un cimitero di croci, soldati ammazzati nello sbarco di Anzio per darci la libertà e la repubblica. Questi soldati hanno combattuto per noi, come combatterono per noi i nostri partigiani. Fummo chiamati briganti dai savoia nel 1860, banditi nel 1943. Furono sterminate intere popolazioni. Vi furono un milione di morti, 25 milioni di emigranti, una vera pulizia etnica, una diaspora che nemmeno il popolo ebraico ha subito. Maledetti savoia! Diceva Montanelli che i Savoia sono come le patate. La parte migliore è sottoterra. Diciamo noi che quella parte migliore deve essere rimossa. Le salme di Vittorio Emanuele II e di Umberto I° devono essere traslate a Fenestrelle, il Lager ove morirono 56.000 soldati napolitani che non vollero tradire il loro Re ed il loro giuramento. Via dal Tempio dei Grandi, erano solo assassini feroci.

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DISUNITÀ D’ITALIA: LE FRANE DEL SUD DIVERSE DAL NORD

Il governo toglie 100 milioni di euro alle Regioni meridionali e li trasferisce al Nord. Le vittime dei disastri non hanno località. Migliaia di case abusive minacciano Campania e Calabria.


Di Nunzio Ingiusto

Qualcosa non torna nella politica del governo per l’ambiente e la tutela del territorio. La capacità di rispettare i programmi non sembra proprio nelle corde di chi continua a sentirsi investito di responsabilità popolare. Nonostante gli scandali. Quando ci capita di affrontare lutti e tragedie, i proclami e le dichiarazioni solenni sono dispensati a piene mani. È retorica nazionale, a molti non dispiace. Davanti a crolli, distruzioni ed allagamenti le responsabilità sono declamate dalle tribune più autorevoli. I proclami possono essere smentiti, e in fondo a chi importa più. Succede, quindi, che per la salvaguardia del territorio, si reputi più utile il pallottoliere che la memoria. Che la lista delle disgrazie debba ricevere un punteggio politico-territoriale. Che, in definitiva, l’Italia resti disunita per malasorte, scelte economiche, convenienze elettorali.

Allora da Roma si destinano a Liguria e Veneto 100 milioni di euro prendendoli dai 1000 del Fondo Fas ( Fondi aree sottoulizzate) assegnato al dissesto idrogeologico del Mezzogiorno. Il Sud prende una sberla. Un gioco di prestigio contabile che offende la memoria di decine di vittime, prima ancora dei cittadini. Tra questi i familiari di morti per smottamenti, straripamenti, voragini. Si sono sentiti ripetere che quella costata la vita ai loro cari era l’ultima; che il governo diceva “basta alle tragedie annunciate”. Eh sì che si ricordano Sarno, il disastro di Messina, le frane della Calabria, le mille alluvioni. Le vittime non hanno località, l’innaturale sacrificio della loro vita scuote la sensibilità di tutti. Le leggi ci tutelano e devono garantire l’incolumità in ogni luogo di vita, di lavoro, di svago. Ma un decreto in approvazione in Parlamento, stabilisce che per pagare i danni si prendono soldi dalla prevenzione.

Un non senso colossale , con il Nord che si difende e il Sud che paga. I ministri dell’Ambiente e dell’Economia giocano d’astuzia, ma non danno prova di buoni giocatori. La presunta abilità di scontentare pochi, diventa raggiro per molti. Per i comuni che aspettano soldi promessi, per le Regioni che hanno pianificato gli interventi, per milioni di cittadini che continueranno a non sentirsi sicuri. Eppure la Prestigiacomo ha lavorato per un piano di prevenzione. Era riuscita trovare 1000 miliardi di euro per partire. Aveva messo il Sud in testa agli interventi e c’era il fondo Fas . Invece l’emendamento approvato sposta i soldi da una parte all’altra. A rigor di logica non dovrebbe essere contento il Ministro, perché le va riconosciuto il merito di essersi adoperata per una pianificazione. E di averla anche difesa.

A Caserta il 25 gennaio scorso, ha ricordato che alla Campania sono state destinate risorse per 62,680 milioni di euro per l’ambiente “ma anche 17 milioni per la difesa del suolo ed il dissesto idrogeologico“. Oggi si cambia. Liguria e Veneto vengono prima. I conti per le regioni meridionali possono essere rifatti e la prevenzione dei disastri rinviata ad altra data. Forse ad un altro governo. La necessità di intervenire è una voce del deserto di chi è strutturalmente e funzionalmente chiamato ad agire. Mentre in Parlamento si spostavano i soldi, i consorzi di bonifica lanciavano l’allarme per la devastazione del territorio. Lo Stato deve muoversi, perché l’Italia è malata di pressione della popolazione e abusivismo edilizio. Si controlla poco o nulla.

Badate, hanno detto, che negli ultimi sei anni in Campania e Calabria sono stati contati 41 mila abusi edilizi con una media di sei al giorno. Non si può restare fermi . Le cifre sono amare. Nessuno vorrebbe scorrerle, a maggior ragione quando ci sia adopera per non farle diminuire. Ma le frane del Sud sono diverse da quelle del Nord.
(Fonte foto: Rete Internet)

Autore: Nunzio Ingiusto


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Il governo toglie 100 milioni di euro alle Regioni meridionali e li trasferisce al Nord. Le vittime dei disastri non hanno località. Migliaia di case abusive minacciano Campania e Calabria.


Di Nunzio Ingiusto

Qualcosa non torna nella politica del governo per l’ambiente e la tutela del territorio. La capacità di rispettare i programmi non sembra proprio nelle corde di chi continua a sentirsi investito di responsabilità popolare. Nonostante gli scandali. Quando ci capita di affrontare lutti e tragedie, i proclami e le dichiarazioni solenni sono dispensati a piene mani. È retorica nazionale, a molti non dispiace. Davanti a crolli, distruzioni ed allagamenti le responsabilità sono declamate dalle tribune più autorevoli. I proclami possono essere smentiti, e in fondo a chi importa più. Succede, quindi, che per la salvaguardia del territorio, si reputi più utile il pallottoliere che la memoria. Che la lista delle disgrazie debba ricevere un punteggio politico-territoriale. Che, in definitiva, l’Italia resti disunita per malasorte, scelte economiche, convenienze elettorali.

Allora da Roma si destinano a Liguria e Veneto 100 milioni di euro prendendoli dai 1000 del Fondo Fas ( Fondi aree sottoulizzate) assegnato al dissesto idrogeologico del Mezzogiorno. Il Sud prende una sberla. Un gioco di prestigio contabile che offende la memoria di decine di vittime, prima ancora dei cittadini. Tra questi i familiari di morti per smottamenti, straripamenti, voragini. Si sono sentiti ripetere che quella costata la vita ai loro cari era l’ultima; che il governo diceva “basta alle tragedie annunciate”. Eh sì che si ricordano Sarno, il disastro di Messina, le frane della Calabria, le mille alluvioni. Le vittime non hanno località, l’innaturale sacrificio della loro vita scuote la sensibilità di tutti. Le leggi ci tutelano e devono garantire l’incolumità in ogni luogo di vita, di lavoro, di svago. Ma un decreto in approvazione in Parlamento, stabilisce che per pagare i danni si prendono soldi dalla prevenzione.

Un non senso colossale , con il Nord che si difende e il Sud che paga. I ministri dell’Ambiente e dell’Economia giocano d’astuzia, ma non danno prova di buoni giocatori. La presunta abilità di scontentare pochi, diventa raggiro per molti. Per i comuni che aspettano soldi promessi, per le Regioni che hanno pianificato gli interventi, per milioni di cittadini che continueranno a non sentirsi sicuri. Eppure la Prestigiacomo ha lavorato per un piano di prevenzione. Era riuscita trovare 1000 miliardi di euro per partire. Aveva messo il Sud in testa agli interventi e c’era il fondo Fas . Invece l’emendamento approvato sposta i soldi da una parte all’altra. A rigor di logica non dovrebbe essere contento il Ministro, perché le va riconosciuto il merito di essersi adoperata per una pianificazione. E di averla anche difesa.

A Caserta il 25 gennaio scorso, ha ricordato che alla Campania sono state destinate risorse per 62,680 milioni di euro per l’ambiente “ma anche 17 milioni per la difesa del suolo ed il dissesto idrogeologico“. Oggi si cambia. Liguria e Veneto vengono prima. I conti per le regioni meridionali possono essere rifatti e la prevenzione dei disastri rinviata ad altra data. Forse ad un altro governo. La necessità di intervenire è una voce del deserto di chi è strutturalmente e funzionalmente chiamato ad agire. Mentre in Parlamento si spostavano i soldi, i consorzi di bonifica lanciavano l’allarme per la devastazione del territorio. Lo Stato deve muoversi, perché l’Italia è malata di pressione della popolazione e abusivismo edilizio. Si controlla poco o nulla.

Badate, hanno detto, che negli ultimi sei anni in Campania e Calabria sono stati contati 41 mila abusi edilizi con una media di sei al giorno. Non si può restare fermi . Le cifre sono amare. Nessuno vorrebbe scorrerle, a maggior ragione quando ci sia adopera per non farle diminuire. Ma le frane del Sud sono diverse da quelle del Nord.
(Fonte foto: Rete Internet)

Autore: Nunzio Ingiusto


sabato 26 febbraio 2011

Fondi Ue, una dote a rischio (non solo al sud)

Francoforte

di Giulio Ambrosetti(I ritardi nella spesa dei fondi europei non sono addebitabili solo alle Regioni).

La posta in gioco è alta: 100 miliardi di euro (compresi i Fas). Le regioni meridionali sono spesso in ritardo ma la responsabilità è anche dello Stato, tenuto a partecipare agli investimenti. Viaggio con sorprese nel labirinto delle risorse comunitarie.

Mettere in moto la ‘macchina’ non è stato facile. In primo luogo, a causa di una congiuntura economica internazionale negativa. Per non parlare del contesto nazionale, altrettanto problematico. Ma alla fine la Programmazione dei fondi europei 2007-2013 è partita. E le cose, nonostante le tante ‘Cassandre’, vanno evolvendo verso scenari tutto sommato positivi. Con sullo sfondo una novità di non poco conto, rispetto ad Agenda 2000, ovvero rispetto alla spesa dei fondi europei 2000-2006, e cioè, l’obiettivo, ambizioso quanto importante, di programmare l’impiego di tutti gli interventi finanziari previsti nel Mezzogiorno fino al 2013.

Se con Agenda 2000 – per entrare subito nel merito delle novità rispetto al recente passato – non sono mancate le sovrapposizioni tra interventi con i fondi europei e interventi finanziati con risorse nazionali o regionali (in pratica, opere finanziate due volte, con confusione e inevitabile perdita di tempo), con l’avvio del nuovo programma questo non dovrebbe più accadere, perché la programmazione è ormai unica: fondi europei, risorse nazionali (a cominciare dai Fas, i fondi per le aree sottoutilizzate) e via continuando vengono programmati e utilizzati con un’unica regia.

Mettendo dentro tutte le risorse disponibili, a cominciare dai fondi europei (e relativo cofinanziamento da parte di Stato e Regioni) e dal Fas, si dovrebbe arrivare a una previsione di spesa pari a circa 100 miliardi di euro. Il condizionale è d’obbligo perché, com’è risaputo, il governo nazionale ha creato non pochi problemi con la gestione del Fas. Una parte non certo secondaria di questi fondi, è noto, è stata utilizzata per finalità che nulla hanno a che vedere con il Mezzogiorno (è altrettanto noto che le risorse del Fas dovrebbero essere ripartite per l’85% al Sud e per il 15% al Centro-Nord: ma le cose, finora, non sono andate così).

Le incertezze del governo nazionale in materia di gestione del Fas hanno creato almeno due problemi. Primo: una riduzione degli stessi fondi per le aree sottoutilizzate destinate al Meridione. Secondo: ritardi nella programmazione. Questo secondo aspetto merita una breve digressione. Si parla spesso, in alcuni casi a ragione, dei ritardi delle regioni del Sud Italia nella spesa dei fondi europei. Ma, chissà perché, non si parla mai dei ritardi che il governo nazionale ha creato nella programmazione della spesa di tutte le risorse destinate al Sud. Come già accennato, Bruxelles impone la programmazione di tutte le risorse finanziarie.

I ritardi del governo nazionale – che peraltro non ha ancora erogato il Fas alle regioni del Sud – ha impedito alle stesse regioni del Mezzogiorno (il riferimento, ovviamente, è alle regioni ad Obiettivo convergenza: Campania, Sicilia, Puglia e Calabria) di programmare correttamente la spesa di tutte le risorse. E di farlo, soprattutto, nei tempi previsti. Già, i tempi lunghi. Legati alla già citata congiuntura internazionale sfavorevole che ha provocato un ritardo della spesa dei fondi in tutta l’Europa (e non solo nel Sud d’Italia, come qualche osservatore non proprio disinteressato ha provato a far credere).

Non sono mancati i problemi interni: a cominciare dal terremoto che ha colpito l’Abruzzo. Poi le recenti elezioni regionali (l’instabilità istituzionale non agevola la spesa dei fondi europei: anzi). E, ancora, la sovrapposizione tra la ‘coda’ di Agenda 2000 (prorogata al 2009) e l’avvio della nuova Programmazione.
Quindi una sorta di contraddizione in termini – altro argomento chissà perché non molto ‘gettonato’ – tra un ‘Patto di stabilità’, che impone vincoli alla spesa, e i programmi comunitari che invece puntano all’accelerazione della spesa. Due ‘monadi senza finestre’ destinate, se non ‘corrette’, ad andare in rotta di collisione. Sempre per la cronaca – e nel rispetto della verità dei fatti – va detto che, per scoraggiare i ritardi, l’Unione Europea impone oggi il cosiddetto disimpegno automatico: chi non utilizza le risorse nei tempi previsti le perde.

Ma gli stessi uffici di Bruxelles, a fronte dei ritardi accumulati da tutte le regioni europee coinvolte nel Programma, hanno concesso una sorta di sanatoria. Cosicché nessuna regione, fino ad oggi, ha perduto un solo euro (per la cronaca, sempre contrariamente a certe informazioni errate messe in giro, le regioni del Sud d’Italia sarebbero state le meno colpite dall’eventuale applicazione del disimpegno automatico, perché, almeno fino a qualche mese fa, il tasso di attivazione dei Programmi, nel nostro Mezzogiorno, era più alto rispetto alla media: 38% nel Sud Italia contro una media europea del 27%).

Nel complesso, le risorse disponibili per i nuovi Programmi comunitari ammontano a 60,5 miliardi di euro (43,6 per l’Obiettivo convergenza, 15,8 per l’Obiettivo competitività e 1,1 per l’Obiettivo cooperazione). Circa 28,8 miliardi sono a carico dell’Ue, mentre 31,7 miliardi sono a valere sul cofinaziamento nazionale. Oggi per fondi strutturali s’intendono il Fesr (Fondo europeo di sviluppo regionale) e l’Fse (Fondo sociale europeo). Psr (Piano di sviluppo rurale) e Fep (Fondo europeo per la pesca) non sono strutturali. Ciascun fondo gode di autonomia di gestione. Nella nuova Programmazione non avrebbero dovuto esserci i Pon (Piano operativi nazionali) ripristinati con un ‘blitz. Mentre la novità è rappresentata dai Piani operativi interregionali nazionali (Poin).

Vediamo adesso alcuni dei risultati ottenuti grazie alla gestione dei programmi nel Sud d’Italia.Ricerca - Il 2010 ha registrato l’avvio di importanti interventi quali il sostegno alla ricerca industriale (465 milioni di euro) e il finanziamento dei distretti tecnologici e dei laboratori pubblicoprivati (915 milioni di euro). Il primo bando, in particolare, ha registrato una forte domanda da parte di imprese e strutture per la ricerca, con un investimento complessivo pari a circa 6 miliardi di euro. Il secondo bando intende individuare i migliori modelli di aggregazione pubblicoprivata esistenti nei territori di Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, valorizzandoli e potenziandoli attraverso interventi di sostegno alle attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale.

Altri interventi conclusi riguardano il cofinanziamento, sempre per Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, dei bandi ‘Efficienza Energetica’, ‘Mobilità Sostenibile’ e ‘Made in Italy’ per la realizzazione dei Progetti di Innovazione industriale nazionali nelle aree tematiche individuate dal Programma nazionale Industria 2015 – Nello specifico, risultano decretati 8 progetti agevolati con risorse aggiuntive Pon, per un ammontare pari a 13,6 milioni di euro di impegno. A dicembre dello scorso anno è stato pubblicato un bando, per ulteriori 100 milioni di euro, per l’innovazione e la competitività del tessuto produttivo di grandi e piccole medie imprese.

Istruzione – L’accesso ai finanziamenti dei Programmi nazionali a titolarità del ministero dell’Istruzione, da parte delle istituzioni scolastiche, è subordinato all’iscrizione al sistema di valutazione nazionale predisposto dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi) e alla predisposizione di una scheda di autodiagnosi che riveli i punti di criticità sui quali progettare gli interventi. Ciò allo scopo di promuovere l’utilizzo degli strumenti di valutazione da parte delle scuole, per migliorare l’efficacia degli interventi.

Il Pon Fesr si focalizza sugli interventi orientati a diffondere l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione (ambienti attrezzati e strumenti informatici); migliorare la qualità degli ambienti scolastici, con riguardo agli aspetti di ecosostenibilità e sicurezza; promuovere l’inclusione sociale, attraverso l’apertura delle scuole al territorio. Significativi alcuni dati di realizzazione negli ultimi due anni di attività, sia per il Pon Competenze per lo Sviluppo, sia per il Pon Ambienti per l’apprendimento:
- 152.000 partecipanti ad interventi per migliorare le competenze dei docenti;
- 500.000 partecipanti ad interventi per migliorare i livelli di conoscenza e competenza dei giovani;
- 240.000 studenti coinvolti in attività volte a promuovere il successo scolastico, le pari opportunità e l’inclusione sociale;
- 52.000 genitori partecipanti ad interventi per sensibilizzare e coinvolgere i genitori.
- 100.000 adulti in formazione per il recupero dell’istruzione di base.
Anche l’impegno economico correlato è rilevante e significativo: sono stati, infatti, stanziati circa 85 mila euro in media per ciascuna scuola per ogni anno scolastico dal 2007.

Il Programma operativo finanziato dal Fesr ha permesso, inoltre, di realizzare circa 12 mila laboratori, in media tre laboratori per scuola, per un importo complessivo di 236.486.332,78 euro con una media di 33.000 euro per ciascuna scuola. Grande l’attenzione è dedicata alle energie rinnovabili e al risparmio energetico. Lo stanziamento ammonta a circa 4 miliardi di euro. Parte consistente di tali risorse (1.607 milioni) è concentrata nel Programma Interregionale (Poin) ‘Energie rinnovabili e risparmio energetico’, una nuova forma di intervento basata sulla collaborazione istituzionale tra Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e due amministrazioni centrali (ministero dello Sviluppo Economico e ministero dell’Ambiente).

Obiettivo: aumentare la quota di energia consumata proveniente da fonti rinnovabili e migliorare l’efficienza energetica. Si punta al potenziamento e alla modernizzazione delle reti di distribuzione di energia; agli incentivi all’indotto produttivo e al risparmio energetico; e ai progetti specifici a valenza dimostrativa nella produzione e nel risparmio energetico.

Fonte:Il Sud


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Francoforte

di Giulio Ambrosetti(I ritardi nella spesa dei fondi europei non sono addebitabili solo alle Regioni).

La posta in gioco è alta: 100 miliardi di euro (compresi i Fas). Le regioni meridionali sono spesso in ritardo ma la responsabilità è anche dello Stato, tenuto a partecipare agli investimenti. Viaggio con sorprese nel labirinto delle risorse comunitarie.

Mettere in moto la ‘macchina’ non è stato facile. In primo luogo, a causa di una congiuntura economica internazionale negativa. Per non parlare del contesto nazionale, altrettanto problematico. Ma alla fine la Programmazione dei fondi europei 2007-2013 è partita. E le cose, nonostante le tante ‘Cassandre’, vanno evolvendo verso scenari tutto sommato positivi. Con sullo sfondo una novità di non poco conto, rispetto ad Agenda 2000, ovvero rispetto alla spesa dei fondi europei 2000-2006, e cioè, l’obiettivo, ambizioso quanto importante, di programmare l’impiego di tutti gli interventi finanziari previsti nel Mezzogiorno fino al 2013.

Se con Agenda 2000 – per entrare subito nel merito delle novità rispetto al recente passato – non sono mancate le sovrapposizioni tra interventi con i fondi europei e interventi finanziati con risorse nazionali o regionali (in pratica, opere finanziate due volte, con confusione e inevitabile perdita di tempo), con l’avvio del nuovo programma questo non dovrebbe più accadere, perché la programmazione è ormai unica: fondi europei, risorse nazionali (a cominciare dai Fas, i fondi per le aree sottoutilizzate) e via continuando vengono programmati e utilizzati con un’unica regia.

Mettendo dentro tutte le risorse disponibili, a cominciare dai fondi europei (e relativo cofinanziamento da parte di Stato e Regioni) e dal Fas, si dovrebbe arrivare a una previsione di spesa pari a circa 100 miliardi di euro. Il condizionale è d’obbligo perché, com’è risaputo, il governo nazionale ha creato non pochi problemi con la gestione del Fas. Una parte non certo secondaria di questi fondi, è noto, è stata utilizzata per finalità che nulla hanno a che vedere con il Mezzogiorno (è altrettanto noto che le risorse del Fas dovrebbero essere ripartite per l’85% al Sud e per il 15% al Centro-Nord: ma le cose, finora, non sono andate così).

Le incertezze del governo nazionale in materia di gestione del Fas hanno creato almeno due problemi. Primo: una riduzione degli stessi fondi per le aree sottoutilizzate destinate al Meridione. Secondo: ritardi nella programmazione. Questo secondo aspetto merita una breve digressione. Si parla spesso, in alcuni casi a ragione, dei ritardi delle regioni del Sud Italia nella spesa dei fondi europei. Ma, chissà perché, non si parla mai dei ritardi che il governo nazionale ha creato nella programmazione della spesa di tutte le risorse destinate al Sud. Come già accennato, Bruxelles impone la programmazione di tutte le risorse finanziarie.

I ritardi del governo nazionale – che peraltro non ha ancora erogato il Fas alle regioni del Sud – ha impedito alle stesse regioni del Mezzogiorno (il riferimento, ovviamente, è alle regioni ad Obiettivo convergenza: Campania, Sicilia, Puglia e Calabria) di programmare correttamente la spesa di tutte le risorse. E di farlo, soprattutto, nei tempi previsti. Già, i tempi lunghi. Legati alla già citata congiuntura internazionale sfavorevole che ha provocato un ritardo della spesa dei fondi in tutta l’Europa (e non solo nel Sud d’Italia, come qualche osservatore non proprio disinteressato ha provato a far credere).

Non sono mancati i problemi interni: a cominciare dal terremoto che ha colpito l’Abruzzo. Poi le recenti elezioni regionali (l’instabilità istituzionale non agevola la spesa dei fondi europei: anzi). E, ancora, la sovrapposizione tra la ‘coda’ di Agenda 2000 (prorogata al 2009) e l’avvio della nuova Programmazione.
Quindi una sorta di contraddizione in termini – altro argomento chissà perché non molto ‘gettonato’ – tra un ‘Patto di stabilità’, che impone vincoli alla spesa, e i programmi comunitari che invece puntano all’accelerazione della spesa. Due ‘monadi senza finestre’ destinate, se non ‘corrette’, ad andare in rotta di collisione. Sempre per la cronaca – e nel rispetto della verità dei fatti – va detto che, per scoraggiare i ritardi, l’Unione Europea impone oggi il cosiddetto disimpegno automatico: chi non utilizza le risorse nei tempi previsti le perde.

Ma gli stessi uffici di Bruxelles, a fronte dei ritardi accumulati da tutte le regioni europee coinvolte nel Programma, hanno concesso una sorta di sanatoria. Cosicché nessuna regione, fino ad oggi, ha perduto un solo euro (per la cronaca, sempre contrariamente a certe informazioni errate messe in giro, le regioni del Sud d’Italia sarebbero state le meno colpite dall’eventuale applicazione del disimpegno automatico, perché, almeno fino a qualche mese fa, il tasso di attivazione dei Programmi, nel nostro Mezzogiorno, era più alto rispetto alla media: 38% nel Sud Italia contro una media europea del 27%).

Nel complesso, le risorse disponibili per i nuovi Programmi comunitari ammontano a 60,5 miliardi di euro (43,6 per l’Obiettivo convergenza, 15,8 per l’Obiettivo competitività e 1,1 per l’Obiettivo cooperazione). Circa 28,8 miliardi sono a carico dell’Ue, mentre 31,7 miliardi sono a valere sul cofinaziamento nazionale. Oggi per fondi strutturali s’intendono il Fesr (Fondo europeo di sviluppo regionale) e l’Fse (Fondo sociale europeo). Psr (Piano di sviluppo rurale) e Fep (Fondo europeo per la pesca) non sono strutturali. Ciascun fondo gode di autonomia di gestione. Nella nuova Programmazione non avrebbero dovuto esserci i Pon (Piano operativi nazionali) ripristinati con un ‘blitz. Mentre la novità è rappresentata dai Piani operativi interregionali nazionali (Poin).

Vediamo adesso alcuni dei risultati ottenuti grazie alla gestione dei programmi nel Sud d’Italia.Ricerca - Il 2010 ha registrato l’avvio di importanti interventi quali il sostegno alla ricerca industriale (465 milioni di euro) e il finanziamento dei distretti tecnologici e dei laboratori pubblicoprivati (915 milioni di euro). Il primo bando, in particolare, ha registrato una forte domanda da parte di imprese e strutture per la ricerca, con un investimento complessivo pari a circa 6 miliardi di euro. Il secondo bando intende individuare i migliori modelli di aggregazione pubblicoprivata esistenti nei territori di Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, valorizzandoli e potenziandoli attraverso interventi di sostegno alle attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale.

Altri interventi conclusi riguardano il cofinanziamento, sempre per Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, dei bandi ‘Efficienza Energetica’, ‘Mobilità Sostenibile’ e ‘Made in Italy’ per la realizzazione dei Progetti di Innovazione industriale nazionali nelle aree tematiche individuate dal Programma nazionale Industria 2015 – Nello specifico, risultano decretati 8 progetti agevolati con risorse aggiuntive Pon, per un ammontare pari a 13,6 milioni di euro di impegno. A dicembre dello scorso anno è stato pubblicato un bando, per ulteriori 100 milioni di euro, per l’innovazione e la competitività del tessuto produttivo di grandi e piccole medie imprese.

Istruzione – L’accesso ai finanziamenti dei Programmi nazionali a titolarità del ministero dell’Istruzione, da parte delle istituzioni scolastiche, è subordinato all’iscrizione al sistema di valutazione nazionale predisposto dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi) e alla predisposizione di una scheda di autodiagnosi che riveli i punti di criticità sui quali progettare gli interventi. Ciò allo scopo di promuovere l’utilizzo degli strumenti di valutazione da parte delle scuole, per migliorare l’efficacia degli interventi.

Il Pon Fesr si focalizza sugli interventi orientati a diffondere l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione (ambienti attrezzati e strumenti informatici); migliorare la qualità degli ambienti scolastici, con riguardo agli aspetti di ecosostenibilità e sicurezza; promuovere l’inclusione sociale, attraverso l’apertura delle scuole al territorio. Significativi alcuni dati di realizzazione negli ultimi due anni di attività, sia per il Pon Competenze per lo Sviluppo, sia per il Pon Ambienti per l’apprendimento:
- 152.000 partecipanti ad interventi per migliorare le competenze dei docenti;
- 500.000 partecipanti ad interventi per migliorare i livelli di conoscenza e competenza dei giovani;
- 240.000 studenti coinvolti in attività volte a promuovere il successo scolastico, le pari opportunità e l’inclusione sociale;
- 52.000 genitori partecipanti ad interventi per sensibilizzare e coinvolgere i genitori.
- 100.000 adulti in formazione per il recupero dell’istruzione di base.
Anche l’impegno economico correlato è rilevante e significativo: sono stati, infatti, stanziati circa 85 mila euro in media per ciascuna scuola per ogni anno scolastico dal 2007.

Il Programma operativo finanziato dal Fesr ha permesso, inoltre, di realizzare circa 12 mila laboratori, in media tre laboratori per scuola, per un importo complessivo di 236.486.332,78 euro con una media di 33.000 euro per ciascuna scuola. Grande l’attenzione è dedicata alle energie rinnovabili e al risparmio energetico. Lo stanziamento ammonta a circa 4 miliardi di euro. Parte consistente di tali risorse (1.607 milioni) è concentrata nel Programma Interregionale (Poin) ‘Energie rinnovabili e risparmio energetico’, una nuova forma di intervento basata sulla collaborazione istituzionale tra Calabria, Campania, Puglia e Sicilia e due amministrazioni centrali (ministero dello Sviluppo Economico e ministero dell’Ambiente).

Obiettivo: aumentare la quota di energia consumata proveniente da fonti rinnovabili e migliorare l’efficienza energetica. Si punta al potenziamento e alla modernizzazione delle reti di distribuzione di energia; agli incentivi all’indotto produttivo e al risparmio energetico; e ai progetti specifici a valenza dimostrativa nella produzione e nel risparmio energetico.

Fonte:Il Sud


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Quote latte: supermulta in arrivo per l’Italia. Grazie alla Lega

- di Paolo Ribichini -

Per difendere una delle lobby che sostengono il Carroccio, il governo proroga la scadenza del pagamento delle multe. E lo fa con i soldi della ricerca

cobas latte e1298486123328 Quote latte: supermulta in arrivo per l’Italia. Grazie alla LegaEssere furbi conviene. Soprattutto quando il governo fa di tutto per non punire chi “ci prova”. Nel decreto Milleproroghe si ritorna a parlare di quote latte. Quando sembrava che fosse una questione sepolta dal tempo, ecco che la Lega la rispolvera. Sfruttando il suo accresciuto peso specifico nella maggioranza ha inserito un emendamento al decreto che prevede una ulteriore proroga, per il pagamento delle multe da parte di chi aveva violato il tetto massimo, al 30 giugno 2011, per un valore complessivo di 280 milioni di euro. E a pagare per pochi furbi saranno tutti i cittadini.

Un po’ di storia. Le quote latte vengono stabilite nel 1984 a livello europeo. Si tratta di una soglia oltre la quale gli allevatori possono continuare a produrre latte ma a costo di un tributo molto elevato che di fatto disincentiva una produzione eccedente. Le quote latte si sono rese necessarie per tenere alto il prezzo del latte in modo da favorire gli stessi produttori europei. Ad ogni paese è stata assegnata una quota in base alla produzione dell’anno precedente calcolata sulla cessione di latte dagli allevatori ai trasformatori. All’Italia è stata fissata una quota pari a 8.823 migliaia di tonnellate di latte. Mentre per gli allevatori questo limite appariva troppo stringente, i vari ministri dell’Agricoltura che si sono succeduti negli anni seguenti hanno di fatto incentivato il superamento della quota, spiegando che sarebbe stato il Paese ad accollarsi il costo delle “multe”. Questa politica che strizzava un occhio a chi violava la normativa europea, è proseguita fino al 1995, quando la Finlandia, nuovo membro della Ue, ha sollevato la questione di fronte alla Corte di Giustizia. Gli allevatori che avevano sforato, quindi, sono stati costretti a versare il dovuto. Dopo anni di proteste e di rinvii, nel 2003 si giunse ad un compromesso tra Roma, Bruxelles e gli allevatori: le “multe” sarebbero state pagate con una rateizzazione trentennale, senza interessi. Molti allevatori, legati alle principali associazioni di categoria, hanno accettato, mentre una parte minoritaria (541 produttori di latte) ma non ininfluente (i cosiddetti Cobas del Latte) tutt’oggi si rifiuta di versare il dovuto.

Ora è l’Italia a rischiare una multa. Se il decreto dovesse essere approvato con l’emendamento “incriminato”, l’Italia rischia “l’apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea”, come spiega il ministro dell’Agricoltura Giancarlo Galan. Il nostro Paese sarebbe costretto a pagare una salatissima multa (un miliardo di euro, secondo alcuni analisti) per venire incontro a quegli allevatori che rappresentano in alcune aree agricole del nord il nucleo fondamentale della base elettorale leghista. Ma al danno si aggiungerebbe la beffa. Lo stesso ministro Galan è convinto che tutto ciò “minerebbe la credibilità che attualmente ha il nostro Paese in Europa”. Così, la stessa posizione del ministro a livello europeo “risulterebbe assai indebolita se passasse l’ennesima ‘furbata all’italiana’, volta a premiare chi non rispetta le normative comunitarie”.

Tutti contro l’emendamento. Oltre al ministro, sono contrarie all’emendamento le principali organizzazioni agricole, Coldiretti, Confagricoltura e Cia e, come era prevedibile, i parlamentari dell’opposizione. Per Ernesto Carbone del Pd si tratta di un “emendamento salva-ladri”. “La proroga delle multe sulle quote latte è del tutto ingiustificata e appare ancora più grave se si considera che nello stesso provvedimento non sono stati accolti importanti emendamenti di interesse agricolo sull’attività delle associazioni degli allevatori e sul gasolio”, sostiene il presidente di Coldiretti Varese Fernando Fiori.

Finanziare la proroga con i soldi della ricerca sul cancro. E come se non bastasse, per finanziare la dilazione il governo utilizzerà 5 dei 50 milioni previsti per la ricerca sul cancro. Una contrazione del 10% dei soldi a disposizione nel fondo istituito dalla Finanziaria 2011 per “interventi urgenti finalizzati al riequilibrio socio-economico, allo sviluppo dei territori, alle attività di ricerca, alle attività di assistenza, ricerca e cura dei malati oncologici e alla promozione di attività sportive, culturali e sociali”. Un danno doppio: ai malati oncologici e agli allevatori onesti che hanno sempre rispettato le quote, nonostante fossero inique.

Fonte:http://www.dirittodicritica.com/2011/02/24/milleproroghe-quote-latte-multa


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- di Paolo Ribichini -

Per difendere una delle lobby che sostengono il Carroccio, il governo proroga la scadenza del pagamento delle multe. E lo fa con i soldi della ricerca

cobas latte e1298486123328 Quote latte: supermulta in arrivo per l’Italia. Grazie alla LegaEssere furbi conviene. Soprattutto quando il governo fa di tutto per non punire chi “ci prova”. Nel decreto Milleproroghe si ritorna a parlare di quote latte. Quando sembrava che fosse una questione sepolta dal tempo, ecco che la Lega la rispolvera. Sfruttando il suo accresciuto peso specifico nella maggioranza ha inserito un emendamento al decreto che prevede una ulteriore proroga, per il pagamento delle multe da parte di chi aveva violato il tetto massimo, al 30 giugno 2011, per un valore complessivo di 280 milioni di euro. E a pagare per pochi furbi saranno tutti i cittadini.

Un po’ di storia. Le quote latte vengono stabilite nel 1984 a livello europeo. Si tratta di una soglia oltre la quale gli allevatori possono continuare a produrre latte ma a costo di un tributo molto elevato che di fatto disincentiva una produzione eccedente. Le quote latte si sono rese necessarie per tenere alto il prezzo del latte in modo da favorire gli stessi produttori europei. Ad ogni paese è stata assegnata una quota in base alla produzione dell’anno precedente calcolata sulla cessione di latte dagli allevatori ai trasformatori. All’Italia è stata fissata una quota pari a 8.823 migliaia di tonnellate di latte. Mentre per gli allevatori questo limite appariva troppo stringente, i vari ministri dell’Agricoltura che si sono succeduti negli anni seguenti hanno di fatto incentivato il superamento della quota, spiegando che sarebbe stato il Paese ad accollarsi il costo delle “multe”. Questa politica che strizzava un occhio a chi violava la normativa europea, è proseguita fino al 1995, quando la Finlandia, nuovo membro della Ue, ha sollevato la questione di fronte alla Corte di Giustizia. Gli allevatori che avevano sforato, quindi, sono stati costretti a versare il dovuto. Dopo anni di proteste e di rinvii, nel 2003 si giunse ad un compromesso tra Roma, Bruxelles e gli allevatori: le “multe” sarebbero state pagate con una rateizzazione trentennale, senza interessi. Molti allevatori, legati alle principali associazioni di categoria, hanno accettato, mentre una parte minoritaria (541 produttori di latte) ma non ininfluente (i cosiddetti Cobas del Latte) tutt’oggi si rifiuta di versare il dovuto.

Ora è l’Italia a rischiare una multa. Se il decreto dovesse essere approvato con l’emendamento “incriminato”, l’Italia rischia “l’apertura di una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea”, come spiega il ministro dell’Agricoltura Giancarlo Galan. Il nostro Paese sarebbe costretto a pagare una salatissima multa (un miliardo di euro, secondo alcuni analisti) per venire incontro a quegli allevatori che rappresentano in alcune aree agricole del nord il nucleo fondamentale della base elettorale leghista. Ma al danno si aggiungerebbe la beffa. Lo stesso ministro Galan è convinto che tutto ciò “minerebbe la credibilità che attualmente ha il nostro Paese in Europa”. Così, la stessa posizione del ministro a livello europeo “risulterebbe assai indebolita se passasse l’ennesima ‘furbata all’italiana’, volta a premiare chi non rispetta le normative comunitarie”.

Tutti contro l’emendamento. Oltre al ministro, sono contrarie all’emendamento le principali organizzazioni agricole, Coldiretti, Confagricoltura e Cia e, come era prevedibile, i parlamentari dell’opposizione. Per Ernesto Carbone del Pd si tratta di un “emendamento salva-ladri”. “La proroga delle multe sulle quote latte è del tutto ingiustificata e appare ancora più grave se si considera che nello stesso provvedimento non sono stati accolti importanti emendamenti di interesse agricolo sull’attività delle associazioni degli allevatori e sul gasolio”, sostiene il presidente di Coldiretti Varese Fernando Fiori.

Finanziare la proroga con i soldi della ricerca sul cancro. E come se non bastasse, per finanziare la dilazione il governo utilizzerà 5 dei 50 milioni previsti per la ricerca sul cancro. Una contrazione del 10% dei soldi a disposizione nel fondo istituito dalla Finanziaria 2011 per “interventi urgenti finalizzati al riequilibrio socio-economico, allo sviluppo dei territori, alle attività di ricerca, alle attività di assistenza, ricerca e cura dei malati oncologici e alla promozione di attività sportive, culturali e sociali”. Un danno doppio: ai malati oncologici e agli allevatori onesti che hanno sempre rispettato le quote, nonostante fossero inique.

Fonte:http://www.dirittodicritica.com/2011/02/24/milleproroghe-quote-latte-multa


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Benigni e «Fratelli d'Italia», dubbi su una lezione di storia

Di Alberto Mario Banti

Roberto Benigni a Sanremo: ma certo, quello che voleva bene a Berlinguer! Quello che - con gentile soavità - insieme a Troisi scherzava su Fratelli d'Italia ... Che trasformazione! Sorprendente! Eh sì, giacché giovedì 17 febbraio «sul palco dell'Ariston», come si dice in queste circostanze, non ha fatto solo l'esegesi dell'Inno di Mameli. Ha fatto di più. Ha fatto un'apologia appassionata dei valori politici e morali proposti dall'Inno. E - come ha detto qualcuno - ci ha anche impartito una lezione di storia. Una «memorabile» lezione di storia, se volessimo usare il lessico del comico.
Bene. E che cosa abbiamo imparato da questa lezione di storia? Che noi italiani e italiane del 2011 discendiamo addirittura dai Romani, i quali si sono distinti per aver posseduto un esercito bellissimo, che incuteva paura a tutti. Che discendiamo anche dai combattenti della Lega lombarda (1176); dai palermitani che si sono ribellati agli angioini nel Vespro del lunedì di Pasqua del 1282; da Francesco Ferrucci, morto nel 1530 nella difesa di Firenze; e da Balilla, ragazzino che nel 1746 avvia una rivolta a Genova contro gli austriaci. Interessante. Da storico, francamente non lo sapevo. Cioè non sapevo che tutte queste persone, che ritenevo avessero combattuto per tutt'altri motivi, in realtà avessero combattuto già per la costruzione della nazione italiana. Pensavo che questa fosse la versione distorta della storia nazionale offerta dai leader e dagli intellettuali nazionalisti dell'Ottocento. E che un secolo di ricerca storica avesse mostrato l'infondatezza di tale pretesa. E invece, vedi un po' che si va a scoprire in una sola serata televisiva.
Ma c'è dell'altro. Abbiamo scoperto che tutti questi «italiani» erano buoni, sfruttati e oppressi da stranieri violenti, selvaggi e stupratori - stranieri che di volta in volta erano tedeschi, francesi, austriaci o spagnoli. E anche questa è una nozione interessante, una di quelle che cancellano in un colpo solo i sentimenti di apertura all'Europa e al mondo che hanno positivamente caratterizzato l'azione politica degli ultimi quarant'anni.
Poi abbiamo anche capito che dobbiamo sentire un brivido di emozione speciale quando, passeggiando per il Louvre o per qualche altro museo straniero, ci troviamo di fronte a un quadro, che so, di Tiziano o di Tintoretto: e questo perché quelli sono pittori «italiani» e noi, in qualche modo, discendiamo da loro. Che strano: questa mi è sembrata una nozione veramente curiosa: io mi emoziono anche di fronte alle tele di altri, di Dürer, di Goya o di Manet, per dire: che sia irriducibilmente anti-patriottico?
E infine abbiamo capito qual è il valore fondamentale che ci rende italiani e italiane, e che ci deve far amare i combattenti del Risorgimento: la mistica del sacrificio eroico, la morte data ai nemici, la morte di se stessi sull'altare della madre-patria, la militarizzazione bellicista della politica. Ecco. Da tempo sostengo che il recupero acritico del Risorgimento come mito fondativo della Repubblica italiana fa correre il rischio di rimettere in circuito valori pericolosi come sono quelli incorporati dal nazionalismo ottocentesco: l'idea della nazione come comunità di discendenza; una nazione che esiste se non ab aeterno, almeno dalla notte dei tempi; l'idea della guerra come valore fondamentale della maschilità patriottica; l'idea della comunità politica come sistema di differenze: «noi» siamo «noi» e siamo uniti, perché contrapposti a «quegli altri», gli stranieri, che sono diversi da noi, e per questo sono pericolosi per l'integrità della nostra comunità.
Ciascuna di queste idee messa nel circuito di una società com'è la nostra, attraversata da intensi processi migratori, può diventare veramente tossica: può indurre a pensare che difendere l'identità italiana implichi difendersi dagli «altri», che - in quanto diversi - sono anche pericolosi; può indurre a fantasticare di una speciale peculiarità, se non di una superiorità, della cultura italiana; invita ad avere una visione chiusa ed esclusiva della comunità politica alla quale apparteniamo; e soprattutto induce a valorizzare ideali bellici che, nel contesto attuale, mi sembrano quanto meno fuori luogo.
Ecco, con la performance di Benigni mi sembra che il rischio di una riattualizzazione del peggior nazionalismo stia diventando reale: tanto più in considerazione della reazione entusiastica che ha accolto l'esibizione del comico, quasi come se Benigni avesse detto cose che tutti avevano nel cuore da chissà quanto tempo. Ora se questi qualcuno sono i ministri La Russa o Meloni, la cosa non può sorprendere, venendo questi due politici da una militanza che ha sempre coltivato i valori nazionalisti. Ma quando a costoro si uniscono anche innumerevoli politici e commentatori di sinistra, molti dei quali anche ex comunisti, ebbene c'è da restare veramente stupefatti.
Verrebbe da chieder loro: ma che ne è stato dell'internazionalismo, del pacifismo, dell'europeismo, dell'apertura solidale che ha caratterizzato la migliore cultura democratica dei decenni passati? Perché non credo proprio che un simile bagaglio di valori sia conciliabile con queste forme di neo-nazionalismo. Con il suo lunghissimo monologo, infatti, Benigni - pur essendosi dichiarato contrario al nazionalismo - sembra in sostanza averci invitato a contrastare il nazionalismo padano rispolverando un nazionalismo italiano uguale a quello leghista nel sistema dei valori e contrario a quello solo per ciò che concerne l'area geopolitica di riferimento.
Beh, speriamo che il successo di Benigni sia il successo di una sera. Perché abbracciare la soluzione di un neo-nazionalismo italiano vorrebbe dire infilarsi dritti dritti nella più perniciosa delle culture politiche che hanno popolato la storia dell'Italia dal Risorgimento al fascismo.


Fonte:Il Manifesto


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Di Alberto Mario Banti

Roberto Benigni a Sanremo: ma certo, quello che voleva bene a Berlinguer! Quello che - con gentile soavità - insieme a Troisi scherzava su Fratelli d'Italia ... Che trasformazione! Sorprendente! Eh sì, giacché giovedì 17 febbraio «sul palco dell'Ariston», come si dice in queste circostanze, non ha fatto solo l'esegesi dell'Inno di Mameli. Ha fatto di più. Ha fatto un'apologia appassionata dei valori politici e morali proposti dall'Inno. E - come ha detto qualcuno - ci ha anche impartito una lezione di storia. Una «memorabile» lezione di storia, se volessimo usare il lessico del comico.
Bene. E che cosa abbiamo imparato da questa lezione di storia? Che noi italiani e italiane del 2011 discendiamo addirittura dai Romani, i quali si sono distinti per aver posseduto un esercito bellissimo, che incuteva paura a tutti. Che discendiamo anche dai combattenti della Lega lombarda (1176); dai palermitani che si sono ribellati agli angioini nel Vespro del lunedì di Pasqua del 1282; da Francesco Ferrucci, morto nel 1530 nella difesa di Firenze; e da Balilla, ragazzino che nel 1746 avvia una rivolta a Genova contro gli austriaci. Interessante. Da storico, francamente non lo sapevo. Cioè non sapevo che tutte queste persone, che ritenevo avessero combattuto per tutt'altri motivi, in realtà avessero combattuto già per la costruzione della nazione italiana. Pensavo che questa fosse la versione distorta della storia nazionale offerta dai leader e dagli intellettuali nazionalisti dell'Ottocento. E che un secolo di ricerca storica avesse mostrato l'infondatezza di tale pretesa. E invece, vedi un po' che si va a scoprire in una sola serata televisiva.
Ma c'è dell'altro. Abbiamo scoperto che tutti questi «italiani» erano buoni, sfruttati e oppressi da stranieri violenti, selvaggi e stupratori - stranieri che di volta in volta erano tedeschi, francesi, austriaci o spagnoli. E anche questa è una nozione interessante, una di quelle che cancellano in un colpo solo i sentimenti di apertura all'Europa e al mondo che hanno positivamente caratterizzato l'azione politica degli ultimi quarant'anni.
Poi abbiamo anche capito che dobbiamo sentire un brivido di emozione speciale quando, passeggiando per il Louvre o per qualche altro museo straniero, ci troviamo di fronte a un quadro, che so, di Tiziano o di Tintoretto: e questo perché quelli sono pittori «italiani» e noi, in qualche modo, discendiamo da loro. Che strano: questa mi è sembrata una nozione veramente curiosa: io mi emoziono anche di fronte alle tele di altri, di Dürer, di Goya o di Manet, per dire: che sia irriducibilmente anti-patriottico?
E infine abbiamo capito qual è il valore fondamentale che ci rende italiani e italiane, e che ci deve far amare i combattenti del Risorgimento: la mistica del sacrificio eroico, la morte data ai nemici, la morte di se stessi sull'altare della madre-patria, la militarizzazione bellicista della politica. Ecco. Da tempo sostengo che il recupero acritico del Risorgimento come mito fondativo della Repubblica italiana fa correre il rischio di rimettere in circuito valori pericolosi come sono quelli incorporati dal nazionalismo ottocentesco: l'idea della nazione come comunità di discendenza; una nazione che esiste se non ab aeterno, almeno dalla notte dei tempi; l'idea della guerra come valore fondamentale della maschilità patriottica; l'idea della comunità politica come sistema di differenze: «noi» siamo «noi» e siamo uniti, perché contrapposti a «quegli altri», gli stranieri, che sono diversi da noi, e per questo sono pericolosi per l'integrità della nostra comunità.
Ciascuna di queste idee messa nel circuito di una società com'è la nostra, attraversata da intensi processi migratori, può diventare veramente tossica: può indurre a pensare che difendere l'identità italiana implichi difendersi dagli «altri», che - in quanto diversi - sono anche pericolosi; può indurre a fantasticare di una speciale peculiarità, se non di una superiorità, della cultura italiana; invita ad avere una visione chiusa ed esclusiva della comunità politica alla quale apparteniamo; e soprattutto induce a valorizzare ideali bellici che, nel contesto attuale, mi sembrano quanto meno fuori luogo.
Ecco, con la performance di Benigni mi sembra che il rischio di una riattualizzazione del peggior nazionalismo stia diventando reale: tanto più in considerazione della reazione entusiastica che ha accolto l'esibizione del comico, quasi come se Benigni avesse detto cose che tutti avevano nel cuore da chissà quanto tempo. Ora se questi qualcuno sono i ministri La Russa o Meloni, la cosa non può sorprendere, venendo questi due politici da una militanza che ha sempre coltivato i valori nazionalisti. Ma quando a costoro si uniscono anche innumerevoli politici e commentatori di sinistra, molti dei quali anche ex comunisti, ebbene c'è da restare veramente stupefatti.
Verrebbe da chieder loro: ma che ne è stato dell'internazionalismo, del pacifismo, dell'europeismo, dell'apertura solidale che ha caratterizzato la migliore cultura democratica dei decenni passati? Perché non credo proprio che un simile bagaglio di valori sia conciliabile con queste forme di neo-nazionalismo. Con il suo lunghissimo monologo, infatti, Benigni - pur essendosi dichiarato contrario al nazionalismo - sembra in sostanza averci invitato a contrastare il nazionalismo padano rispolverando un nazionalismo italiano uguale a quello leghista nel sistema dei valori e contrario a quello solo per ciò che concerne l'area geopolitica di riferimento.
Beh, speriamo che il successo di Benigni sia il successo di una sera. Perché abbracciare la soluzione di un neo-nazionalismo italiano vorrebbe dire infilarsi dritti dritti nella più perniciosa delle culture politiche che hanno popolato la storia dell'Italia dal Risorgimento al fascismo.


Fonte:Il Manifesto


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Mistero : il Nuovo Ordine Mondiale


http://www.youtube.com/watch?v=60qupJnYn1c&feature=feedf

Puntata di Mistero, su Italia 1, del 22/02/2011...Il NWO (nuovo ordine mondiale) comanda davvero il mondo?


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http://www.youtube.com/watch?v=60qupJnYn1c&feature=feedf

Puntata di Mistero, su Italia 1, del 22/02/2011...Il NWO (nuovo ordine mondiale) comanda davvero il mondo?


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Un fiore per tutti nell’Italia unita

di LINO PATRUNO

Non si sa come andrà a finire, ma è avvenuto. Per la prima volta nella storia d’Italia, una popolare trasmissione televisiva come “Porta a porta” ha invitato a parteciparvi il Movimento neoborbonico. Che aveva chiesto il diritto di replica dopo la cavalcata patriottica di Benigni al festival di Sanremo. Poi la guerra civile libica ha fatto rinviare la puntata.

Ora, dire Neoborbonici non è dire una cosa qualsiasi. Forse è più facile che il diavolo in persona sia invitato in una chiesa, che il nome “neoborbonico” sia pronunciato: è più bestemmia questa. Se si vuole trovare un aggettivo sgradevole e unanimemente condannato, eccolo: borbonico. Per dire inetto. inefficiente, arretrato, cialtronesco. Leggi borboniche. Burocrazia borbonica. Comportamento borbonico. Per finire alla polizia borbonica o alle carceri borboniche. L’Impero del Male. Lasciamo stare l’inviato di Cavour che, sceso a Napoli come all’inferno, poi disse: ci conviene imitarla, questa amministrazione borbonica. E lasciamo stare tutto il corredo di “viva o’ rre”, di bandiere gigliate, di rievocazioni gloriose. Sia pure in un Paese in cui c’è una Lega Nord il cui statuto all’articolo uno dichiara: il nostro obiettivo è la secessione.

E cui si concede non solo di pulirsi il didietro col tricolore, ma di essere forza determinante al governo di un Paese che dichiaratamente vuole spaccare.

Ferdinando IV - Re di Napoli

Ma “neoborbonico” non si può dire. Nostalgici, passatisti, patetici. Una vergogna da tenere chiusa in una stanza come nei film dell’orrore. E completamente cancellata dalla storia. Premettiamo: dei Borbone ci può interessare tanto quanto. Così come della polemica se da loro si stesse meglio o peggio, in un secolo in cui non è che abbondassero Stati campioni del benessere o personaggi campioni di democrazia. Lasciamo stare la polemica su chi fosse più ricco. E lasciamo stare la verità storica che i Borbone non è che avessero minacciato nessuno, anzi si videro i garibaldini in casa senza una dichiarazione di guerra e senza che avessero mai detto: no, l’Italia non la vogliamo. Anzi si trattava, e neanche segretamente, per farla insieme e federale. Ma mentre si trattava, qualcuno sparò. Diciamo che la storia si fa anche così. E che un’Italia disunita non avrebbe fatto grandi passi in avanti.

Lasciamo stare tutto. Ma la memoria è un’altra cosa. E non si può negare a nessuno. E nessun Paese che si voglia definire Paese, e unito per giunta, può permettersi di tener fuori una parte della sua storia. E non farne i conti. Negli Stati Uniti si è combattuta, e contemporaneamente al Risorgimento, la più atroce guerra civile del mondo occidentale a parte il genocidio dei nativi, gli “indiani” dei film western. Ma hanno riconosciuto le ragioni dei perdenti e la loro festa nazionale la festeggiano tutti insieme. Così la Francia con la sua Rivoluzione. E la Germania. E la Spagna. E l’Inghilterra dopo i Puritani di Cromwell. E la stessa federale Svizzera, nata da un massacro fra i Cantoni. Ma anche in Italia si comincia a riconoscere pari dignità ai morti di Salò, che stavano dalla parte sbagliata ma chi combatte va rispettato perché combatte e basta.

Non un ricordo, non una lapide, non un cenno sui libri di scuola, non un fiore per i meridionali che morirono per la loro terra. E non c’entrano neanche i briganti, che vennero dopo e sono altra cosa. Ci possono essere morti di serie A e morti di serie B? E’ vero che si cominciò a criticare il Risorgimento nel momento stesso in cui lo si faceva. Ma poi c’è anche un Risorgimento tradito che 150 anni dopo si legge ovunque nel Sud, e non solo nei numeri del divario.

Tutto questo anima i, pardon, Neoborbonici, e gli altri movimenti meridionali, le cui voglie di secessione non sono neanche

Alberto da Giussano

lontanamente paragonabili a quelle della Lega Nord.

E che comunque buttare come polvere sotto il tappeto non serve a nessuno. Perché sono molti, e appassionati, e convinti fino alla commozione. Da capire più che demonizzare, perché rappresentano anch’essi un Sud tenuto sempre ai margini dal resto del Paese, fuori dall’Italia unita che va a festeggiare se stessa peraltro nella più grande disunità possibile.

Se questo è oscurantismo neoborbonico, si dica pure. Chissà se è neoborbonico chi si attende che, quando un capo del governo si alza al mattino, la prima cosa che faccia è guardare una cartina e vedere dove nel Sud manca un’autostrada o un binario. E agire.

Guardare la cartina e vedere dove i giovani non hanno lavoro e sono una generazione perduta. Guardare la cartina e vedere dove la criminalità è più forte dello Stato che non c’è. Tutti i capi dei governi, da 150 anni, avrebbero dovuto e, a conti fatti, non l’hanno fatto.

Obiezione: ma proprio ora dobbiamo parlarne, ora che dobbiamo invece riscoprire le ragioni dello stare insieme in questo Paese? Appunto, il problema è stare insieme, e come. E poi, se non ora, quando?

da La Gazzetta del Mezzogiorno del 25 febbraio 2011

Fonte: Ondadelsud


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di LINO PATRUNO

Non si sa come andrà a finire, ma è avvenuto. Per la prima volta nella storia d’Italia, una popolare trasmissione televisiva come “Porta a porta” ha invitato a parteciparvi il Movimento neoborbonico. Che aveva chiesto il diritto di replica dopo la cavalcata patriottica di Benigni al festival di Sanremo. Poi la guerra civile libica ha fatto rinviare la puntata.

Ora, dire Neoborbonici non è dire una cosa qualsiasi. Forse è più facile che il diavolo in persona sia invitato in una chiesa, che il nome “neoborbonico” sia pronunciato: è più bestemmia questa. Se si vuole trovare un aggettivo sgradevole e unanimemente condannato, eccolo: borbonico. Per dire inetto. inefficiente, arretrato, cialtronesco. Leggi borboniche. Burocrazia borbonica. Comportamento borbonico. Per finire alla polizia borbonica o alle carceri borboniche. L’Impero del Male. Lasciamo stare l’inviato di Cavour che, sceso a Napoli come all’inferno, poi disse: ci conviene imitarla, questa amministrazione borbonica. E lasciamo stare tutto il corredo di “viva o’ rre”, di bandiere gigliate, di rievocazioni gloriose. Sia pure in un Paese in cui c’è una Lega Nord il cui statuto all’articolo uno dichiara: il nostro obiettivo è la secessione.

E cui si concede non solo di pulirsi il didietro col tricolore, ma di essere forza determinante al governo di un Paese che dichiaratamente vuole spaccare.

Ferdinando IV - Re di Napoli

Ma “neoborbonico” non si può dire. Nostalgici, passatisti, patetici. Una vergogna da tenere chiusa in una stanza come nei film dell’orrore. E completamente cancellata dalla storia. Premettiamo: dei Borbone ci può interessare tanto quanto. Così come della polemica se da loro si stesse meglio o peggio, in un secolo in cui non è che abbondassero Stati campioni del benessere o personaggi campioni di democrazia. Lasciamo stare la polemica su chi fosse più ricco. E lasciamo stare la verità storica che i Borbone non è che avessero minacciato nessuno, anzi si videro i garibaldini in casa senza una dichiarazione di guerra e senza che avessero mai detto: no, l’Italia non la vogliamo. Anzi si trattava, e neanche segretamente, per farla insieme e federale. Ma mentre si trattava, qualcuno sparò. Diciamo che la storia si fa anche così. E che un’Italia disunita non avrebbe fatto grandi passi in avanti.

Lasciamo stare tutto. Ma la memoria è un’altra cosa. E non si può negare a nessuno. E nessun Paese che si voglia definire Paese, e unito per giunta, può permettersi di tener fuori una parte della sua storia. E non farne i conti. Negli Stati Uniti si è combattuta, e contemporaneamente al Risorgimento, la più atroce guerra civile del mondo occidentale a parte il genocidio dei nativi, gli “indiani” dei film western. Ma hanno riconosciuto le ragioni dei perdenti e la loro festa nazionale la festeggiano tutti insieme. Così la Francia con la sua Rivoluzione. E la Germania. E la Spagna. E l’Inghilterra dopo i Puritani di Cromwell. E la stessa federale Svizzera, nata da un massacro fra i Cantoni. Ma anche in Italia si comincia a riconoscere pari dignità ai morti di Salò, che stavano dalla parte sbagliata ma chi combatte va rispettato perché combatte e basta.

Non un ricordo, non una lapide, non un cenno sui libri di scuola, non un fiore per i meridionali che morirono per la loro terra. E non c’entrano neanche i briganti, che vennero dopo e sono altra cosa. Ci possono essere morti di serie A e morti di serie B? E’ vero che si cominciò a criticare il Risorgimento nel momento stesso in cui lo si faceva. Ma poi c’è anche un Risorgimento tradito che 150 anni dopo si legge ovunque nel Sud, e non solo nei numeri del divario.

Tutto questo anima i, pardon, Neoborbonici, e gli altri movimenti meridionali, le cui voglie di secessione non sono neanche

Alberto da Giussano

lontanamente paragonabili a quelle della Lega Nord.

E che comunque buttare come polvere sotto il tappeto non serve a nessuno. Perché sono molti, e appassionati, e convinti fino alla commozione. Da capire più che demonizzare, perché rappresentano anch’essi un Sud tenuto sempre ai margini dal resto del Paese, fuori dall’Italia unita che va a festeggiare se stessa peraltro nella più grande disunità possibile.

Se questo è oscurantismo neoborbonico, si dica pure. Chissà se è neoborbonico chi si attende che, quando un capo del governo si alza al mattino, la prima cosa che faccia è guardare una cartina e vedere dove nel Sud manca un’autostrada o un binario. E agire.

Guardare la cartina e vedere dove i giovani non hanno lavoro e sono una generazione perduta. Guardare la cartina e vedere dove la criminalità è più forte dello Stato che non c’è. Tutti i capi dei governi, da 150 anni, avrebbero dovuto e, a conti fatti, non l’hanno fatto.

Obiezione: ma proprio ora dobbiamo parlarne, ora che dobbiamo invece riscoprire le ragioni dello stare insieme in questo Paese? Appunto, il problema è stare insieme, e come. E poi, se non ora, quando?

da La Gazzetta del Mezzogiorno del 25 febbraio 2011

Fonte: Ondadelsud


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