domenica 30 novembre 2008

Sostenere il P.I.L.

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Diventare parenti...

Si prosegue con le considerazioni su "Gli apparentamenti" di Antonio Ciano, scritto che stà diventando un vero e proprio "caso nazionale".

Comunque non volendo certo dare il via a nuove polemiche ci limitiamo a postare l'articolo inviatoci dall'amico Andrea Balìa, (che , conosciuto per il suo impegno, cogliamo l'occasione per invitare a Gaeta in occasione del "Pagate Savoia" , sicuramente non vorrà mancare.....) senza ulteriori (anche perchè evidentemente inutili ) considerazioni.....ecco l'articolo in questione...(PdSUD ER)

P.S.
: Specifico che il filmato allegato all'articolo non vuole essere canzonatorio verso nessuno, ma è solo autoironico indice di uno stato d'animo personale....

Diventare parenti...

Di Andrea Balìa

In effetti apparentamenti se la si va a smembrare come parola non significa altro che “diventare parenti”. Evidentemente i movimenti meridionalisti hanno mancanza d’affetto, voglia di sedersi ad un tavolo con parenti nuovi o ritrovati. Va bene che incombe Natale…

Io continuo a non capire, e confesso d’iniziare a nutrire seri dubbi sulle mie capacità di ”comprendonio” (come si usa dire con un brutto ma efficace termine) forse seriamente compromesse dall’età che incalza. L’altra sera, casualmente, vedevo in Tv su La7 il solito dibattito politico dove ho avuto l’occasione d’ascoltare Capezzone. Si, se ricordate bene è quel giovin signore ex radicale, tignoso come un cane abbaiante fino ad un anno fa, ora convertitosi al partito forzaitaliota e nelle cui liste eletto. Confesso d’aver seguito fin dal loro avvento sulla scena politica con interesse i Radicali. Con gli anni, come credo molti, pur condividendo alcune loro battaglie di libertà e legalitarie, ho sopportato – giusto per predisposizione ed apertura mentale – una veemenza dialettica di molti di loro talvolta irritante. Ma li giustificavo proprio ed in quanto perché radicali. Ora la dico tutta : va bene quanto ho detto, ma credetemi un radicale passato nelle fila forzaitaliote che conserva la sua veemenza dialettica (ora solo diversamente orientata perché forse fulminato sulla via di Damasco) credo sia quanto di più insopportabile possa esserci. Guardavo i visi e le espressioni della conduttrice e degli altri convenuti alla trasmissione, ed indipendentemente a quale forza politica appartenessero, erano tutte un programma tra il fastidio e la sopportazione malcelata. Mi immaginavo al loro posto e avevo contrazioni allo stomaco ed altro, finchè ho deciso, cambiando canale, di vedermi il finale d’un’altrettanta noiosa partita di calcio che però mi ha regalato la soddisfazione di veder perdere una titolata squadra del nord con una piccola squadra straniera. Volete mettere? Perché racconto questo?

Perché immagino che parente su parente c’è il rischio di dover dialogare (termine eccessivo..mi rendo conto) con un Capezzone e allora…Sembra che non si possa far più politica al Sud senza dover sottostare all’inciucio con le forze minoritarie governative. Ma cosa credete che Chiappori o un MpA si siano all’improvviso scoperti meridionalisti e interessati al Sud? O è più probabile che, annusando fermenti di meridionalismo in atto, siano venuti a cavalcare un’onda per razzolare qualche migliaio di voti? I comandanti delle brigate del Sud sperano invece d’essere loro a poter (o tentare di) sfruttare questi signori. Non per disistima …ma vi pare possibile o credibile? Da un lato mi si risponde : “eh...ma a non andare con questa gente è più facile. È’ più semplice stare da soli!” E’ più facile? Da quando in qua a salire sul carro di chi ha potere e vento in poppa sarebbe più difficile? Ripeto…mi starò rincoglionendo! Da un altro lato si dice : “…stiamo solo verificando…e poi cosa dovremmo fare? Prendere i fucili?”

E chi lo ha detto? Intanto dopo la Scozia, anche la Groenlandia sta per farcela a staccarsi dalla Danimarca, avendo il partito dell’autonomia ed indipendenza raggiunto nientemeno che il 75% di consenso. Noi no, ci siamo crogiolati in messe, suffragi, bandiere al vento, lacrime di memoria ed ora che abbiamo deciso non vediamo che scorciatoie. Molti siciliani vogliono e reclamano indipendenza (indipendentemente dal resto dell’altro Sud), ma noi facciamo finta di non sentire : Lombardo come siciliano è più suadente.

Una cosa sensata ho però letto : vediamoci, uniamoci, detta dal condottiero gaetano. Quella è la strada…altrimenti…buon Capezzone e auguri. Io non ci sarò e potrò fregiarmi del titolo fuori luogo d’intellettuale che già qualcuno mi ha impropriamente appioppato.

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Si prosegue con le considerazioni su "Gli apparentamenti" di Antonio Ciano, scritto che stà diventando un vero e proprio "caso nazionale".

Comunque non volendo certo dare il via a nuove polemiche ci limitiamo a postare l'articolo inviatoci dall'amico Andrea Balìa, (che , conosciuto per il suo impegno, cogliamo l'occasione per invitare a Gaeta in occasione del "Pagate Savoia" , sicuramente non vorrà mancare.....) senza ulteriori (anche perchè evidentemente inutili ) considerazioni.....ecco l'articolo in questione...(PdSUD ER)

P.S.
: Specifico che il filmato allegato all'articolo non vuole essere canzonatorio verso nessuno, ma è solo autoironico indice di uno stato d'animo personale....

Diventare parenti...

Di Andrea Balìa

In effetti apparentamenti se la si va a smembrare come parola non significa altro che “diventare parenti”. Evidentemente i movimenti meridionalisti hanno mancanza d’affetto, voglia di sedersi ad un tavolo con parenti nuovi o ritrovati. Va bene che incombe Natale…

Io continuo a non capire, e confesso d’iniziare a nutrire seri dubbi sulle mie capacità di ”comprendonio” (come si usa dire con un brutto ma efficace termine) forse seriamente compromesse dall’età che incalza. L’altra sera, casualmente, vedevo in Tv su La7 il solito dibattito politico dove ho avuto l’occasione d’ascoltare Capezzone. Si, se ricordate bene è quel giovin signore ex radicale, tignoso come un cane abbaiante fino ad un anno fa, ora convertitosi al partito forzaitaliota e nelle cui liste eletto. Confesso d’aver seguito fin dal loro avvento sulla scena politica con interesse i Radicali. Con gli anni, come credo molti, pur condividendo alcune loro battaglie di libertà e legalitarie, ho sopportato – giusto per predisposizione ed apertura mentale – una veemenza dialettica di molti di loro talvolta irritante. Ma li giustificavo proprio ed in quanto perché radicali. Ora la dico tutta : va bene quanto ho detto, ma credetemi un radicale passato nelle fila forzaitaliote che conserva la sua veemenza dialettica (ora solo diversamente orientata perché forse fulminato sulla via di Damasco) credo sia quanto di più insopportabile possa esserci. Guardavo i visi e le espressioni della conduttrice e degli altri convenuti alla trasmissione, ed indipendentemente a quale forza politica appartenessero, erano tutte un programma tra il fastidio e la sopportazione malcelata. Mi immaginavo al loro posto e avevo contrazioni allo stomaco ed altro, finchè ho deciso, cambiando canale, di vedermi il finale d’un’altrettanta noiosa partita di calcio che però mi ha regalato la soddisfazione di veder perdere una titolata squadra del nord con una piccola squadra straniera. Volete mettere? Perché racconto questo?

Perché immagino che parente su parente c’è il rischio di dover dialogare (termine eccessivo..mi rendo conto) con un Capezzone e allora…Sembra che non si possa far più politica al Sud senza dover sottostare all’inciucio con le forze minoritarie governative. Ma cosa credete che Chiappori o un MpA si siano all’improvviso scoperti meridionalisti e interessati al Sud? O è più probabile che, annusando fermenti di meridionalismo in atto, siano venuti a cavalcare un’onda per razzolare qualche migliaio di voti? I comandanti delle brigate del Sud sperano invece d’essere loro a poter (o tentare di) sfruttare questi signori. Non per disistima …ma vi pare possibile o credibile? Da un lato mi si risponde : “eh...ma a non andare con questa gente è più facile. È’ più semplice stare da soli!” E’ più facile? Da quando in qua a salire sul carro di chi ha potere e vento in poppa sarebbe più difficile? Ripeto…mi starò rincoglionendo! Da un altro lato si dice : “…stiamo solo verificando…e poi cosa dovremmo fare? Prendere i fucili?”

E chi lo ha detto? Intanto dopo la Scozia, anche la Groenlandia sta per farcela a staccarsi dalla Danimarca, avendo il partito dell’autonomia ed indipendenza raggiunto nientemeno che il 75% di consenso. Noi no, ci siamo crogiolati in messe, suffragi, bandiere al vento, lacrime di memoria ed ora che abbiamo deciso non vediamo che scorciatoie. Molti siciliani vogliono e reclamano indipendenza (indipendentemente dal resto dell’altro Sud), ma noi facciamo finta di non sentire : Lombardo come siciliano è più suadente.

Una cosa sensata ho però letto : vediamoci, uniamoci, detta dal condottiero gaetano. Quella è la strada…altrimenti…buon Capezzone e auguri. Io non ci sarò e potrò fregiarmi del titolo fuori luogo d’intellettuale che già qualcuno mi ha impropriamente appioppato.

Mafia a Reggio Emilia e al Nord: Sen. Beppe Lumia



Intervista di Matteo Incerti al senatore Beppe Lumia, già presidente della Commissione antimafia dal 2000 al 2001 e vicepresidente dal 2006 al 2008. Vive sottoscorta dopo che si è scoperto che Bernardo Provenzano progettava un attentato nei suoi confronti.
Con questa intervista, rilasciata a Reggionelweb, si è aperta la preannunciata conferenza Di Sonia Alfano del 29/11/08 svoltasi a Reggio Emilia e di cui domani forniremo ampio resoconto.
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Intervista di Matteo Incerti al senatore Beppe Lumia, già presidente della Commissione antimafia dal 2000 al 2001 e vicepresidente dal 2006 al 2008. Vive sottoscorta dopo che si è scoperto che Bernardo Provenzano progettava un attentato nei suoi confronti.
Con questa intervista, rilasciata a Reggionelweb, si è aperta la preannunciata conferenza Di Sonia Alfano del 29/11/08 svoltasi a Reggio Emilia e di cui domani forniremo ampio resoconto.

LaRouche: l'intelligence britannico sta dietro il massacro di Mumbai. È urgente capire che cos’altro stiano tramando!

Ovviamente non prendiamo per oro colato le tesi di Lyndon LaRouche, però le proponiamo come spunto di riflessione (PdSUD ER)


l massacro di Mumbai avviene proprio durante gli ultimi giorni del mandato presidenziale di Bush, durante i quali ci aspettiamo il peggio a livello globale, ha dichiarato Lyndon LaRouche. E i britannici sono molto eccitati, di questi tempi. A causa delle connivenze tra servizi segreti del Pakistan (ISI) e della Gran Bretagna (MI-6), i fatti di Mumbai non sarebbero potuti accadere senza il coinvolgimento di parte inglese.


“È l’intelligence britannico”, ha affermato LaRouche. Esso “è l'unico che farebbe una cosa simile. Sicuramente qualcuno dirà che i responsabili sono Pakistani. E allora? E’ l’intelligence britannico”.


L’avvertimento di LaRouche è stato: “Non prendete quest’azione come il derivato di una linea politica di propaganda. La linea potrebbe non avere alcunché in comune con l’azione stessa. Non cercate un'algebra di propaganda con cui trovare la soluzione all’enigma. In situazioni simili, un'algebra di propaganda non funziona. È l’effetto a funzionare. Qual è l’effetto? Chi vuole quel tale effetto?”


In una situazione simile occorre domandarsi se l’intelligence britannico e le sue pedine siano attivi, a questo proposito. Se lo sono, non c'è bisogno di conoscerne le motivazioni. Se sono attivi, sono colpevoli, molto semplicemente."


"Ora chiedetevi: sono attivi nella regione? Stanno prendendo di mira l’Iran? Stanno cercando di destabilizzare l’Iraq, a partire da questa situazione? Questo è il genere di domande da farsi. Pensano ad un altro attacco alla Siria? Perché Ehud Olmert si è smentito, tornando dagli Stati Uniti, per rinnegare quanto detto prima, e cioè che Washington lo ha ammonito di non attaccare l’Iran? Non si deve cercare di capire una linea politica di propaganda; si deve invece cercare la semplice traccia di un coinvolgimento."


"Cheney è il capobanda in questa storia. Il coinvolgimento di Cheney, o del suo gruppo, è come dire il coinvolgimento britannico."


"Volgendoci all'Est asiatico, prima di tutto in Thailandia: lì la situazione è caotica da un po' di tempo e ora si sta aggravando. In Cina cresce l'instabilità perché i cinesi non sanno come affrontare la crisi e questa è un'altra piccola parte del problema".


"C'è una tremenda instabilità del commercio e dell'economia in tutto il mondo, specialmente in Eurasia e Africa. E anche ora, negli Stati Uniti. Quindi ci sono tutti questi fattori: la combinazione di malizia deliberata da una parte, e di circostanze infiammabili dall'altra. Difficile stabilire quanto è dovuto più all'una che all'altra causa. Tutto ciò che possiamo fare è cercare questi fattori, sentire il polso della situazione derivante da questi due elementi."

Fonte: www.movisol.org
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Ovviamente non prendiamo per oro colato le tesi di Lyndon LaRouche, però le proponiamo come spunto di riflessione (PdSUD ER)


l massacro di Mumbai avviene proprio durante gli ultimi giorni del mandato presidenziale di Bush, durante i quali ci aspettiamo il peggio a livello globale, ha dichiarato Lyndon LaRouche. E i britannici sono molto eccitati, di questi tempi. A causa delle connivenze tra servizi segreti del Pakistan (ISI) e della Gran Bretagna (MI-6), i fatti di Mumbai non sarebbero potuti accadere senza il coinvolgimento di parte inglese.


“È l’intelligence britannico”, ha affermato LaRouche. Esso “è l'unico che farebbe una cosa simile. Sicuramente qualcuno dirà che i responsabili sono Pakistani. E allora? E’ l’intelligence britannico”.


L’avvertimento di LaRouche è stato: “Non prendete quest’azione come il derivato di una linea politica di propaganda. La linea potrebbe non avere alcunché in comune con l’azione stessa. Non cercate un'algebra di propaganda con cui trovare la soluzione all’enigma. In situazioni simili, un'algebra di propaganda non funziona. È l’effetto a funzionare. Qual è l’effetto? Chi vuole quel tale effetto?”


In una situazione simile occorre domandarsi se l’intelligence britannico e le sue pedine siano attivi, a questo proposito. Se lo sono, non c'è bisogno di conoscerne le motivazioni. Se sono attivi, sono colpevoli, molto semplicemente."


"Ora chiedetevi: sono attivi nella regione? Stanno prendendo di mira l’Iran? Stanno cercando di destabilizzare l’Iraq, a partire da questa situazione? Questo è il genere di domande da farsi. Pensano ad un altro attacco alla Siria? Perché Ehud Olmert si è smentito, tornando dagli Stati Uniti, per rinnegare quanto detto prima, e cioè che Washington lo ha ammonito di non attaccare l’Iran? Non si deve cercare di capire una linea politica di propaganda; si deve invece cercare la semplice traccia di un coinvolgimento."


"Cheney è il capobanda in questa storia. Il coinvolgimento di Cheney, o del suo gruppo, è come dire il coinvolgimento britannico."


"Volgendoci all'Est asiatico, prima di tutto in Thailandia: lì la situazione è caotica da un po' di tempo e ora si sta aggravando. In Cina cresce l'instabilità perché i cinesi non sanno come affrontare la crisi e questa è un'altra piccola parte del problema".


"C'è una tremenda instabilità del commercio e dell'economia in tutto il mondo, specialmente in Eurasia e Africa. E anche ora, negli Stati Uniti. Quindi ci sono tutti questi fattori: la combinazione di malizia deliberata da una parte, e di circostanze infiammabili dall'altra. Difficile stabilire quanto è dovuto più all'una che all'altra causa. Tutto ciò che possiamo fare è cercare questi fattori, sentire il polso della situazione derivante da questi due elementi."

Fonte: www.movisol.org

I Sanfedisti cantavano “… e voilà, e voilà, cavece ‘nculo a libertà”


Ricevo da Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza e posto:

Ue, accordo contro il razzismo, previsto il carcere da 1 a 3 anni

Il commissario Barrot: "Provvedimento contro chi incita alla violenza e all'odio verso persone definite per razza, colore, religione, discendenza o origini".
Si applica anche a chi condona o nega genocidio, crimini contro l'umanità e di guerra. I governi hanno due anni per inserire il provvedimento nelle loro legislazioni nazionali

BRUXELLES - Chi incita al razzismo e alla xenofobia rischia sanzioni penali da 1 a 3 anni. Lo hanno deciso i ministri della Giustizia Ue, che hanno raggiunto un accordo sull'adozione della decisione quadro. Un comunicato del commissario Ue alla giustizia, Jacques Barrot, spiega che il provvedimento è rivolto contro "coloro che incitano pubblicamente e intenzionalmente alla violenza e all'odio, anche attraverso la disseminazione o la distribuzione di trattati, foto o altro materiale diretto contro un gruppo di persone o un membro di tale gruppo definito in base alla razza, al colore, alla religione, discendenza o origini nazionali o etniche".

"Razzismo e xenofobia non hanno luogo in Europa, né dovrebbero averlo in nessun altra parte del mondo. Il dialogo e la comprensione dovrebbero prevalere sull'odio e la provocazione", afferma Barrot, che "accoglie calorosamente l'introduzione di sanzioni severe ed efficaci contro il razzismo e la xenofobia, che violano direttamente i principi della libertà, della democrazia, del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, sulla base dei quali l'unione europea è stata fondata e che sono comuni agli Stati membri".

La 'decisione quadro' dell'Ue si applica anche a chi condona o nega atti di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, in base alla definizione della Corte penale internazionale e del tribunale di Norimberga. I governi nazionali hanno due anni di tempo per tradurre il provvedimento nelle loro legislazioni nazionali, disponendo di un certo margine di flessibilità. Gli Stati membri, infatti, possono decidere di sanzionare solo gli atti che mirano effettivamente a disturbare l'ordine pubblico o comportamenti di natura minacciosa, abusiva e insultante.

Molti governi Ue avevano frenato sull'introduzione del provvedimento temendo proprio un'applicazione troppo fiscale delle sanzioni, a scapito della libertà di espressione. Per questo motivo la 'direttiva quadro' ha avuto una gestazione molto lunga: è stata proposta dalla commissione europea il 29 novembre 2001.

(Da www.repubblica.it del 28 novembre 2008)

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Ricevo da Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza e posto:

Ue, accordo contro il razzismo, previsto il carcere da 1 a 3 anni

Il commissario Barrot: "Provvedimento contro chi incita alla violenza e all'odio verso persone definite per razza, colore, religione, discendenza o origini".
Si applica anche a chi condona o nega genocidio, crimini contro l'umanità e di guerra. I governi hanno due anni per inserire il provvedimento nelle loro legislazioni nazionali

BRUXELLES - Chi incita al razzismo e alla xenofobia rischia sanzioni penali da 1 a 3 anni. Lo hanno deciso i ministri della Giustizia Ue, che hanno raggiunto un accordo sull'adozione della decisione quadro. Un comunicato del commissario Ue alla giustizia, Jacques Barrot, spiega che il provvedimento è rivolto contro "coloro che incitano pubblicamente e intenzionalmente alla violenza e all'odio, anche attraverso la disseminazione o la distribuzione di trattati, foto o altro materiale diretto contro un gruppo di persone o un membro di tale gruppo definito in base alla razza, al colore, alla religione, discendenza o origini nazionali o etniche".

"Razzismo e xenofobia non hanno luogo in Europa, né dovrebbero averlo in nessun altra parte del mondo. Il dialogo e la comprensione dovrebbero prevalere sull'odio e la provocazione", afferma Barrot, che "accoglie calorosamente l'introduzione di sanzioni severe ed efficaci contro il razzismo e la xenofobia, che violano direttamente i principi della libertà, della democrazia, del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, sulla base dei quali l'unione europea è stata fondata e che sono comuni agli Stati membri".

La 'decisione quadro' dell'Ue si applica anche a chi condona o nega atti di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra, in base alla definizione della Corte penale internazionale e del tribunale di Norimberga. I governi nazionali hanno due anni di tempo per tradurre il provvedimento nelle loro legislazioni nazionali, disponendo di un certo margine di flessibilità. Gli Stati membri, infatti, possono decidere di sanzionare solo gli atti che mirano effettivamente a disturbare l'ordine pubblico o comportamenti di natura minacciosa, abusiva e insultante.

Molti governi Ue avevano frenato sull'introduzione del provvedimento temendo proprio un'applicazione troppo fiscale delle sanzioni, a scapito della libertà di espressione. Per questo motivo la 'direttiva quadro' ha avuto una gestazione molto lunga: è stata proposta dalla commissione europea il 29 novembre 2001.

(Da www.repubblica.it del 28 novembre 2008)

SVEGLIAMOCI!!!

Di Mariano I.


E'ora di svegliarci,e di reagire.
Lo scopo è quello di svegliare le coscienze dei meridionali,e dimostrare a tutti che noi non siamo un popolo di assistiti e mendicanti,oppure capaci solo di esportare solo camorra e mafia. Tutte le persone che giudicano la nostra terra napoletana,mettono sempre in evidenza cose negative su di noi.

Ma non dimentichiamo che il REGNO DELLE DUE SICILIE prima dell'unità d'Italia viveva in un mondo pacifico e lavorativo.

Non dimentichiamo che siamo stati noi a costruire la prima ferrovia della penisola e aveva macchinisti napoletani,le prime navi a motore ed a elica e tante altre cose,siamo sempre stati invidiati da altre nazioni per le nostre ricchezze a tal punto che un giorno con l'arrivo dei piemontesi e con Garibaldi ci hanno stravolto l'esistenza,incominciando ad invadere le nostre terre,distruggendo tutto quello che incontravano sulla loro strada. E non dimentichiamo anche che le nostre ricchezze,e tutto quello che avevamo costruito a Napoli e in tutto il SUD quei gran signori hanno smantellato tutto per poi portarlo al nord,è arrivato il momento di darci una svegliata e subito, siamo stati per troppi anni nel silenzio,dobbiamo anche appoggiare Gaeta e quello che il comune sta iniziando a fare,fare come il sindaco di CAPO ORLANDO ROBERTO VINCENZO SINDONI,UN GRAN GESTO IL SUO D'AMMIRARE,PUR ESSENDO CRITICATO DAL SUO PAESE,dobbiamo fare tutti cosi togliendo in tutto il meridione qualsiasi cosa che riguardi a persone che sono state molto malvagie con il REGNO DELLE DUE SICILIE. QUINDI BISOGNA SVEGLIRCI. Non dimentichiamo anche quello che è stato fatto a Fenestrelle. In tutto il Regno ci sono state cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 "… per la repressione del brigantaggio nel Meridione".

Per quanto riguarda il termine SUD vorrei che si usasse un termine più appropriato per la mia terra, la mia nazione e NAPOLITANIA lo vedo molto bene anche perchè lo si usa già molto e quindi un nuovo stato Napolitano deve nascere se vogliamo riprendrci la nostra vita.


Viva la Napolitania libera.

Fonte:
Napolindipendente
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Di Mariano I.


E'ora di svegliarci,e di reagire.
Lo scopo è quello di svegliare le coscienze dei meridionali,e dimostrare a tutti che noi non siamo un popolo di assistiti e mendicanti,oppure capaci solo di esportare solo camorra e mafia. Tutte le persone che giudicano la nostra terra napoletana,mettono sempre in evidenza cose negative su di noi.

Ma non dimentichiamo che il REGNO DELLE DUE SICILIE prima dell'unità d'Italia viveva in un mondo pacifico e lavorativo.

Non dimentichiamo che siamo stati noi a costruire la prima ferrovia della penisola e aveva macchinisti napoletani,le prime navi a motore ed a elica e tante altre cose,siamo sempre stati invidiati da altre nazioni per le nostre ricchezze a tal punto che un giorno con l'arrivo dei piemontesi e con Garibaldi ci hanno stravolto l'esistenza,incominciando ad invadere le nostre terre,distruggendo tutto quello che incontravano sulla loro strada. E non dimentichiamo anche che le nostre ricchezze,e tutto quello che avevamo costruito a Napoli e in tutto il SUD quei gran signori hanno smantellato tutto per poi portarlo al nord,è arrivato il momento di darci una svegliata e subito, siamo stati per troppi anni nel silenzio,dobbiamo anche appoggiare Gaeta e quello che il comune sta iniziando a fare,fare come il sindaco di CAPO ORLANDO ROBERTO VINCENZO SINDONI,UN GRAN GESTO IL SUO D'AMMIRARE,PUR ESSENDO CRITICATO DAL SUO PAESE,dobbiamo fare tutti cosi togliendo in tutto il meridione qualsiasi cosa che riguardi a persone che sono state molto malvagie con il REGNO DELLE DUE SICILIE. QUINDI BISOGNA SVEGLIRCI. Non dimentichiamo anche quello che è stato fatto a Fenestrelle. In tutto il Regno ci sono state cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 "… per la repressione del brigantaggio nel Meridione".

Per quanto riguarda il termine SUD vorrei che si usasse un termine più appropriato per la mia terra, la mia nazione e NAPOLITANIA lo vedo molto bene anche perchè lo si usa già molto e quindi un nuovo stato Napolitano deve nascere se vogliamo riprendrci la nostra vita.


Viva la Napolitania libera.

Fonte:
Napolindipendente

L’economia tedesca prima di Hitler


Di Maurizio Blondet


Domata l’iper-inflazione, riagganciato il marco all’oro, l’economia tedesca conobbe una rinascita immediata.
Motore del miracolo fu la grande finanza, lanciata in un esperimento che non si può che chiamare la prima globalizzazione.
L’inflazione aveva annichilito i risparmi e vaporizzato i fondi per il funzionamento delle imprese tedesche.
Gli Stati Uniti, vincitori della guerra e grandi creditori del mondo, traboccavano d’oro affluito dai Paesi debitori.
La montagna di lingotti che s’accumulavano a Fort Knox avrebbe avuto come normale conseguenza - effetto collaterale di tanta benedizione - una moltiplicazione di dollari-carta, con conseguente inflazione.
I prezzi americani sarebbero cresciuti, col risultato di rendere meno competitive le merci statunitensi; gli USA sarebbero stati inondati da merci estere a miglior prezzo, provocando la recessione interna - inevitabile conseguenza dopo la superproduzione bellica.
La Federal Reserve e i banchieri americani impedirono tutto ciò, con misure artificiose; le stesse cui è ricorso nei nostri anni ‘90 Alan Greenspan, il capo della Banca Centrale sotto Clinton e Bush.
Tenere bassi i tassi d’interesse, fornire denaro facile all’economia interna.
Il capitale americano, poco remunerato in patria, cercò nel mondo retribuzioni più alte.
Le trovò in Germania.
Nel 1925, quando il tasso di sconto delle Federal Reserve era del 3%, in Germania era del 10%; nel ‘26, il denaro che in America era pagato al 4 %, in Germania fruttava l’8 %.
Il doppio.

Come negli anni ‘90 i capitali globali sono accorsi verso le economie emergenti, le tigri asiatiche, la Cina, dal 1924 i capitali angloamericani fluirono verso la Germania, emergente dalle distruzioni della guerra con la sua impareggiabile manodopera (a basso costo), la sua tecnologia, le sue classi tecniche produttive.
Tanto più che quella manodopera costava poco.
I salari erano bassi, e i bassi salari stimolano gli investimenti industriali.
Come accade nel capitalismo globale oggi, anche allora la Germania forniva agli investitori esteri le garanzie del mercato e della democrazia.
Licenziato il Kaiser, sradicato il prussianesimo, a Berlino folleggiava, radical-chic, la repubblica parlamentare di Weimar.
Quel che produsse l’eccesso di capitale estero rovente, in forma di crediti a breve termine, ossia speculativi, lo ha raccontato nel 1938 Bruno Heilig, giornalista ebreo che sarebbe scampato poi ai campi di concentramento.
«Le industrie smantellarono le vecchie fabbriche e le rimpiazzarono con i più nuovi macchinari.
La Germania era avviata a diventare il Paese industriale più avanzato del mondo, superando
gli stessi Stati Uniti. La sete di manodopera risucchiò milioni di uomini nelle città; Berlino passò da due a 6 milioni e mezzo di abitanti. […] L’intero sistema ferroviario fu riorganizzato e rinnovato. A Berlino interi quartieri furono demoliti per allargare le strade. Alexanderplatz doveva diventare la più grande piazza del mondo, circondata da modernissimi grattacieli».
Com’è avvenuto in Giappone negli anni ‘80, e in Thailandia negli anni ‘90, l’abbondanza di capitale scatenò la febbre edilizia; e questa innescò un fantastico rincaro dei terreni.

«Il prezzo della terra crebbe del 700 % a Berlino e del 500 % ad Amburgo», dice Heilig: ciò significa che gli speculatori immobiliari videro raddoppiare o triplicare le loro fortune da un giorno all’altro, senza lavoro né fatica.
Faticavano i cittadini tedeschi, intenti a ricostruire il Paese, mentre per loro il costo della vita aumentava.
Gli affitti, durante la guerra, erano stati bloccati per legge.
La libera stampa di Weimar (pagata dagli speculatori) lanciò una campagna per il loro adeguamento sostenendo che era ingiusto, dati i valori in aumento degli immobili, che le case vecchie in locazione non condividessero la manna.
Una legge aumentò gli affìtti già bloccati del 125 %.
E il regalo, nota Heilig, beneficiò proprietari che l’inflazione aveva liberato dei tre quarti del peso dei loro debiti.
Tra questi privilegiati, divenne abitudine mantenere buoni rapporti con le amministrazioni comunali: l’indiscrezione in anteprima che il comune di Berlino stava per estendere la metropolitana ad un nuovo quartiere consentiva guadagni astronomici a chi comprava un pezzo di terra in quel quartiere.
La vendita di terreni al Comune in espansione era un’altra enorme occasione di profitti speculativi. Heilig ricorda con disgusto un proprietario (non ne fa il nome) che chiese 400 mila marchi al Comune di Berlino per il suo appezzamento.
Il Comune, ritenendo il prezzo eccessivo, fece appello ad una speciale commissione, costituita per questo genere di arbitrati.
Essa decretò che il terreno valeva, e dunque che il proprietario aveva diritto a, non già 400 mila, ma a un milione e 80 mila marchi.
«Lo scandalo consisteva in questo», racconta il giornalista: «che i membri della commissione erano compensati in percentuale al valore della transazione, e dunque avevano un interesse personale al massimo rialzo del prezzo».

Non mancarono immense e scandalose privatizzazioni del genere preferito, anche oggi, dalla finanza globale.
La città di Berlino spese milioni di marchi per rimodernare il suo porto fluviale sulla Sprea (il secondo della Germania), attrezzandolo completamente con enormi gru e vastissimi magazzini. Una volta terminata la costosa opera, l’alto funzionario responsabile del progetto, tale Schuning, dichiarò che la mano pubblica non sarebbe stata capace di gestire con efficienza e profitto il porto (quante volte non abbiamo sentito lo stesso discorso?), e che conveniva quindi cederlo in gestione a imprenditori privati, più efficienti.
Detto fatto.
Due imprese, l’ebraica Schenker e la Busch, una ditta di materiale ferroviario, costituirono un consorzio per la gestione del porto.
Furono le sole ad offrirsi, non ci fu un’asta.
L’area del bacino era un milione di metri quadri; il puro affitto del nudo terreno era valutato a un marco a metro quadro, dunque a un milione di marchi.
Ma il consorzio Schenker & Busch ottenne l’affìtto dell’area - superbamente attrezzata a spese del Comune con gru e magazzini - a 369 mila marchi.
Unico pagamento, per cinquant’anni di affìtto.

Non bastò: i gestori, capitalisti di un genere che ben conosciamo, presero a lamentare che il rischio d’impresa era per loro insostenibile.
Il Comune di Berlino elargì loro, come capitale operativo, un prestito di 5 milioni di marchi.
Occorrerà dire che Herr Schuning, che aveva fatto fare al Comune un così cattivo affare, lasciò subito dopo l’impiego pubblico, per essere assunto dal consorzio privato?
Intanto i lavoratori berlinesi già aggravati dal rincaro degli affitti dovevano pagare un tributo a quel consorzio privato per ogni pezzo di pane che mangiavano.
Il grande boom durò sette anni.
A credito.
Fino a sbattere contro quel muro della natura che già Ricardo aveva previsto come il fatale ostacolo contro cui si sarebbe autodistrutto il liberismo, il capitalismo finanziario senza regole.
Le imprese prosperavano.
Ma al prezzo di un aumento astronomico delle loro spese incomprimibili: il servizio del debito per l’acquisto dei terreni, degli impianti, degli immobili.
Come sempre, i capitalisti agirono sulla spesa che essi ritengono a cuor leggero variabile: i salari. «Ogni segno di crisi fu scongiurato comprimendo ì salari e licenziando lavoratori», dice Heilig; e poiché «i bassi salari stimolano gli investimenti industriali», il risparmio sulla manodopera fu compensato con l’acquisto di altri macchinari più efficienti.
Era la corsa alla più alta produttività, alla razionalizzazione esaltata dalla finanza globale: produrre più merci con sempre meno lavoratori.
Industria ad alta intensità di capitale.

«Modernizzare, modernizzare ad ogni costo, era la sola idea che gli uomini d’affari sapevano concepire», dice Heilig.
E’ la stessa ricetta che viene raccomandata o imposta in nome dell’efficienza del capitalismo.
Heilig dice invece: «La Germania era intossicata».
Che cosa accade infatti quando si retribuisce troppo il capitale a scapito del lavoro?
Finisce che le merci sempre più abbondanti non trovano acquirenti, perché i consumatori - i lavoratori - hanno perso potere d’acquisto.
Gli imprenditori corsero ai ripari, secondo le lezioni di liberismo appena apprese.
Nel 1931, nel tentativo disperato di sostenere i prezzi, ridussero la produzione di merci.
Con ciò però, dice il giornalista, «gli interessi (sul debito), le tasse, gli ammortamenti e gli affitti, ossia le spese fisse, divise su un volume minore di beni, aumentarono il costo unitario di ogni bene. Il costo di produzione crebbe in proporzione inversa ai profìtti calanti, fino a divorarli».
La soluzione liberista?
«Gli operai furono licenziati in massa».
Ma, naturalmente, «i datori di lavoro ne ottennero ben poco sollievo. Per ogni lavoratore licenziato, era anche un consumatore che spariva».
La benedizione del capitale facile aveva prodotto questo esito: sovrapproduzione, disoccupazione, crisi.
Heilig ragiona su quei «costi incomprimibili» che finirono per divorare i profitti.
In ultima analisi, essi consistono nell’enorme rialzo degli immobili e terreni che precedette ogni futuro profitto possibile.

Alla fine, «tutto andò ai proprietari immobiliari. L’intera Germania aveva lavorato ‘per loro’ in tutti gli anni del boom».
Più precisamente diciamo: per restituire gli interessi e i ratei dei capitali presi a prestito, e finiti nella speculazione meno produttiva, la Germania si svenò.
Nel corso del 1931 parecchi industriali tedeschi non furono più in grado di pagare i debiti: «I cosiddetti costi incomprimibili erano diventati insopportabili e cessarono di essere pagati».
Con l’insolvenza dei debitori, cominciarono a fallire le banche.
Il cancelliere Bruning, allievo modello del liberismo pro-capitalista, spese miliardi di marchi (denaro dei contribuenti) per salvarle.
Poi accordò amplissimi sussidi alle imprese in difficoltà.
Come si vede, anche allora il liberismo non si applica quando si profila la rovina del capitale e dei capitalisti: allora torna di moda l’intervento pubblico, la mano visibile dello Stato.
Bruning lanciò quella che chiamò politica «anti-deflazionista»: la quale consisteva nel somministrare più forti dosi del tossico che aveva condotto alla rovina.
«Decretò una riduzione generale dei salari, che furono tagliati del 15 %».
Era convinto che, ridotto il potere d’acquisto dei lavoratori, questo avrebbe indotto una riduzione successiva dei prezzi (il prezzo umano, la riduzione alla fame della classe operaia, non parve indegno d’essere pagato).
«Ma i prezzi erano determinati da fattori ben diversi che dai salari», dice Heilig: come abbiamo visto, dalle spese incomprimibili del servizio del debito contratto per comprare suoli sopravvalutati. Era lì, se mai, che si sarebbe dovuto agire.

Ma era troppo tardi.
«Sette milioni di salariati, un terzo della forza produttiva, era disoccupato; la classe media spazzata via: questa la situazione a un anno dall’apice della prosperità» indotta dai capitali esteri. In quell’anno, il numero dei deputati nazisti eletti al Reichstag passò da otto a 107».
Nel gennaio 1933, Hitler fu nominato cancelliere.
«Infiniti studi, libri e articoli sono stati scritti per spiegare come mai la Germania ha preso la strada della barbarie», conclude Heilig: «C’era una volta un Paese con una bella costituzione democratica, fondata sugli ideali della libertà e dell’autogoverno»; un Paese che «aveva eletto alla Assemblea Nazionale di Weimar personalità che offrivano le migliori garanzie di estirpare le odiate idee del prussianesimo. Poi dei mascalzoni, dei pazzi, dei viziosi sono apparsi sulla scena della storia, e la democrazia è stata gettata via, la libertà è diventata spazzatura. [...] Si danno
di questo fenomeno molte spiegazioni, dalle politiche illiberali [...] all’innato militarismo dei tedeschi, che si suppone aspettassero solo una sua diversa reincarnazione per abbracciarlo focosamente. Idee varie: che evitano di dar conto dei meccanismi sociali che distrussero la Germania dall’interno».

Fonte:
Effedieffe
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Di Maurizio Blondet


Domata l’iper-inflazione, riagganciato il marco all’oro, l’economia tedesca conobbe una rinascita immediata.
Motore del miracolo fu la grande finanza, lanciata in un esperimento che non si può che chiamare la prima globalizzazione.
L’inflazione aveva annichilito i risparmi e vaporizzato i fondi per il funzionamento delle imprese tedesche.
Gli Stati Uniti, vincitori della guerra e grandi creditori del mondo, traboccavano d’oro affluito dai Paesi debitori.
La montagna di lingotti che s’accumulavano a Fort Knox avrebbe avuto come normale conseguenza - effetto collaterale di tanta benedizione - una moltiplicazione di dollari-carta, con conseguente inflazione.
I prezzi americani sarebbero cresciuti, col risultato di rendere meno competitive le merci statunitensi; gli USA sarebbero stati inondati da merci estere a miglior prezzo, provocando la recessione interna - inevitabile conseguenza dopo la superproduzione bellica.
La Federal Reserve e i banchieri americani impedirono tutto ciò, con misure artificiose; le stesse cui è ricorso nei nostri anni ‘90 Alan Greenspan, il capo della Banca Centrale sotto Clinton e Bush.
Tenere bassi i tassi d’interesse, fornire denaro facile all’economia interna.
Il capitale americano, poco remunerato in patria, cercò nel mondo retribuzioni più alte.
Le trovò in Germania.
Nel 1925, quando il tasso di sconto delle Federal Reserve era del 3%, in Germania era del 10%; nel ‘26, il denaro che in America era pagato al 4 %, in Germania fruttava l’8 %.
Il doppio.

Come negli anni ‘90 i capitali globali sono accorsi verso le economie emergenti, le tigri asiatiche, la Cina, dal 1924 i capitali angloamericani fluirono verso la Germania, emergente dalle distruzioni della guerra con la sua impareggiabile manodopera (a basso costo), la sua tecnologia, le sue classi tecniche produttive.
Tanto più che quella manodopera costava poco.
I salari erano bassi, e i bassi salari stimolano gli investimenti industriali.
Come accade nel capitalismo globale oggi, anche allora la Germania forniva agli investitori esteri le garanzie del mercato e della democrazia.
Licenziato il Kaiser, sradicato il prussianesimo, a Berlino folleggiava, radical-chic, la repubblica parlamentare di Weimar.
Quel che produsse l’eccesso di capitale estero rovente, in forma di crediti a breve termine, ossia speculativi, lo ha raccontato nel 1938 Bruno Heilig, giornalista ebreo che sarebbe scampato poi ai campi di concentramento.
«Le industrie smantellarono le vecchie fabbriche e le rimpiazzarono con i più nuovi macchinari.
La Germania era avviata a diventare il Paese industriale più avanzato del mondo, superando
gli stessi Stati Uniti. La sete di manodopera risucchiò milioni di uomini nelle città; Berlino passò da due a 6 milioni e mezzo di abitanti. […] L’intero sistema ferroviario fu riorganizzato e rinnovato. A Berlino interi quartieri furono demoliti per allargare le strade. Alexanderplatz doveva diventare la più grande piazza del mondo, circondata da modernissimi grattacieli».
Com’è avvenuto in Giappone negli anni ‘80, e in Thailandia negli anni ‘90, l’abbondanza di capitale scatenò la febbre edilizia; e questa innescò un fantastico rincaro dei terreni.

«Il prezzo della terra crebbe del 700 % a Berlino e del 500 % ad Amburgo», dice Heilig: ciò significa che gli speculatori immobiliari videro raddoppiare o triplicare le loro fortune da un giorno all’altro, senza lavoro né fatica.
Faticavano i cittadini tedeschi, intenti a ricostruire il Paese, mentre per loro il costo della vita aumentava.
Gli affitti, durante la guerra, erano stati bloccati per legge.
La libera stampa di Weimar (pagata dagli speculatori) lanciò una campagna per il loro adeguamento sostenendo che era ingiusto, dati i valori in aumento degli immobili, che le case vecchie in locazione non condividessero la manna.
Una legge aumentò gli affìtti già bloccati del 125 %.
E il regalo, nota Heilig, beneficiò proprietari che l’inflazione aveva liberato dei tre quarti del peso dei loro debiti.
Tra questi privilegiati, divenne abitudine mantenere buoni rapporti con le amministrazioni comunali: l’indiscrezione in anteprima che il comune di Berlino stava per estendere la metropolitana ad un nuovo quartiere consentiva guadagni astronomici a chi comprava un pezzo di terra in quel quartiere.
La vendita di terreni al Comune in espansione era un’altra enorme occasione di profitti speculativi. Heilig ricorda con disgusto un proprietario (non ne fa il nome) che chiese 400 mila marchi al Comune di Berlino per il suo appezzamento.
Il Comune, ritenendo il prezzo eccessivo, fece appello ad una speciale commissione, costituita per questo genere di arbitrati.
Essa decretò che il terreno valeva, e dunque che il proprietario aveva diritto a, non già 400 mila, ma a un milione e 80 mila marchi.
«Lo scandalo consisteva in questo», racconta il giornalista: «che i membri della commissione erano compensati in percentuale al valore della transazione, e dunque avevano un interesse personale al massimo rialzo del prezzo».

Non mancarono immense e scandalose privatizzazioni del genere preferito, anche oggi, dalla finanza globale.
La città di Berlino spese milioni di marchi per rimodernare il suo porto fluviale sulla Sprea (il secondo della Germania), attrezzandolo completamente con enormi gru e vastissimi magazzini. Una volta terminata la costosa opera, l’alto funzionario responsabile del progetto, tale Schuning, dichiarò che la mano pubblica non sarebbe stata capace di gestire con efficienza e profitto il porto (quante volte non abbiamo sentito lo stesso discorso?), e che conveniva quindi cederlo in gestione a imprenditori privati, più efficienti.
Detto fatto.
Due imprese, l’ebraica Schenker e la Busch, una ditta di materiale ferroviario, costituirono un consorzio per la gestione del porto.
Furono le sole ad offrirsi, non ci fu un’asta.
L’area del bacino era un milione di metri quadri; il puro affitto del nudo terreno era valutato a un marco a metro quadro, dunque a un milione di marchi.
Ma il consorzio Schenker & Busch ottenne l’affìtto dell’area - superbamente attrezzata a spese del Comune con gru e magazzini - a 369 mila marchi.
Unico pagamento, per cinquant’anni di affìtto.

Non bastò: i gestori, capitalisti di un genere che ben conosciamo, presero a lamentare che il rischio d’impresa era per loro insostenibile.
Il Comune di Berlino elargì loro, come capitale operativo, un prestito di 5 milioni di marchi.
Occorrerà dire che Herr Schuning, che aveva fatto fare al Comune un così cattivo affare, lasciò subito dopo l’impiego pubblico, per essere assunto dal consorzio privato?
Intanto i lavoratori berlinesi già aggravati dal rincaro degli affitti dovevano pagare un tributo a quel consorzio privato per ogni pezzo di pane che mangiavano.
Il grande boom durò sette anni.
A credito.
Fino a sbattere contro quel muro della natura che già Ricardo aveva previsto come il fatale ostacolo contro cui si sarebbe autodistrutto il liberismo, il capitalismo finanziario senza regole.
Le imprese prosperavano.
Ma al prezzo di un aumento astronomico delle loro spese incomprimibili: il servizio del debito per l’acquisto dei terreni, degli impianti, degli immobili.
Come sempre, i capitalisti agirono sulla spesa che essi ritengono a cuor leggero variabile: i salari. «Ogni segno di crisi fu scongiurato comprimendo ì salari e licenziando lavoratori», dice Heilig; e poiché «i bassi salari stimolano gli investimenti industriali», il risparmio sulla manodopera fu compensato con l’acquisto di altri macchinari più efficienti.
Era la corsa alla più alta produttività, alla razionalizzazione esaltata dalla finanza globale: produrre più merci con sempre meno lavoratori.
Industria ad alta intensità di capitale.

«Modernizzare, modernizzare ad ogni costo, era la sola idea che gli uomini d’affari sapevano concepire», dice Heilig.
E’ la stessa ricetta che viene raccomandata o imposta in nome dell’efficienza del capitalismo.
Heilig dice invece: «La Germania era intossicata».
Che cosa accade infatti quando si retribuisce troppo il capitale a scapito del lavoro?
Finisce che le merci sempre più abbondanti non trovano acquirenti, perché i consumatori - i lavoratori - hanno perso potere d’acquisto.
Gli imprenditori corsero ai ripari, secondo le lezioni di liberismo appena apprese.
Nel 1931, nel tentativo disperato di sostenere i prezzi, ridussero la produzione di merci.
Con ciò però, dice il giornalista, «gli interessi (sul debito), le tasse, gli ammortamenti e gli affitti, ossia le spese fisse, divise su un volume minore di beni, aumentarono il costo unitario di ogni bene. Il costo di produzione crebbe in proporzione inversa ai profìtti calanti, fino a divorarli».
La soluzione liberista?
«Gli operai furono licenziati in massa».
Ma, naturalmente, «i datori di lavoro ne ottennero ben poco sollievo. Per ogni lavoratore licenziato, era anche un consumatore che spariva».
La benedizione del capitale facile aveva prodotto questo esito: sovrapproduzione, disoccupazione, crisi.
Heilig ragiona su quei «costi incomprimibili» che finirono per divorare i profitti.
In ultima analisi, essi consistono nell’enorme rialzo degli immobili e terreni che precedette ogni futuro profitto possibile.

Alla fine, «tutto andò ai proprietari immobiliari. L’intera Germania aveva lavorato ‘per loro’ in tutti gli anni del boom».
Più precisamente diciamo: per restituire gli interessi e i ratei dei capitali presi a prestito, e finiti nella speculazione meno produttiva, la Germania si svenò.
Nel corso del 1931 parecchi industriali tedeschi non furono più in grado di pagare i debiti: «I cosiddetti costi incomprimibili erano diventati insopportabili e cessarono di essere pagati».
Con l’insolvenza dei debitori, cominciarono a fallire le banche.
Il cancelliere Bruning, allievo modello del liberismo pro-capitalista, spese miliardi di marchi (denaro dei contribuenti) per salvarle.
Poi accordò amplissimi sussidi alle imprese in difficoltà.
Come si vede, anche allora il liberismo non si applica quando si profila la rovina del capitale e dei capitalisti: allora torna di moda l’intervento pubblico, la mano visibile dello Stato.
Bruning lanciò quella che chiamò politica «anti-deflazionista»: la quale consisteva nel somministrare più forti dosi del tossico che aveva condotto alla rovina.
«Decretò una riduzione generale dei salari, che furono tagliati del 15 %».
Era convinto che, ridotto il potere d’acquisto dei lavoratori, questo avrebbe indotto una riduzione successiva dei prezzi (il prezzo umano, la riduzione alla fame della classe operaia, non parve indegno d’essere pagato).
«Ma i prezzi erano determinati da fattori ben diversi che dai salari», dice Heilig: come abbiamo visto, dalle spese incomprimibili del servizio del debito contratto per comprare suoli sopravvalutati. Era lì, se mai, che si sarebbe dovuto agire.

Ma era troppo tardi.
«Sette milioni di salariati, un terzo della forza produttiva, era disoccupato; la classe media spazzata via: questa la situazione a un anno dall’apice della prosperità» indotta dai capitali esteri. In quell’anno, il numero dei deputati nazisti eletti al Reichstag passò da otto a 107».
Nel gennaio 1933, Hitler fu nominato cancelliere.
«Infiniti studi, libri e articoli sono stati scritti per spiegare come mai la Germania ha preso la strada della barbarie», conclude Heilig: «C’era una volta un Paese con una bella costituzione democratica, fondata sugli ideali della libertà e dell’autogoverno»; un Paese che «aveva eletto alla Assemblea Nazionale di Weimar personalità che offrivano le migliori garanzie di estirpare le odiate idee del prussianesimo. Poi dei mascalzoni, dei pazzi, dei viziosi sono apparsi sulla scena della storia, e la democrazia è stata gettata via, la libertà è diventata spazzatura. [...] Si danno
di questo fenomeno molte spiegazioni, dalle politiche illiberali [...] all’innato militarismo dei tedeschi, che si suppone aspettassero solo una sua diversa reincarnazione per abbracciarlo focosamente. Idee varie: che evitano di dar conto dei meccanismi sociali che distrussero la Germania dall’interno».

Fonte:
Effedieffe

Moneta come Debito

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sabato 29 novembre 2008

Le mani del nord sul risparmio del SUD


Di Antonio Iannaccone
Checché se ne dica sulla deficienza economica del SUD, ci sono milioni di persone che vivono, lavorano e risparmiano in questo meraviglioso territorio e il denaro che circola passa tra banche che di meridionale hanno solo il nome, mentre i depositi sono gestiti da amministrazioni nordiche e non certo per favorire lo sviluppo napolitano.
Prendendo in esame il secondo incitamento, continuiamo a capire il perché di certe azioni. La frase è: “Ritirate i vostri depositi dalle banche pubbliche e dalle Poste”.
Il consiglio di ritirare i depositi dalle banche e dalle poste è più facile a dirsi che a farsi, ma comunque ha la sua importanza, infatti, le banche che sono al Sud, anche se portano diciture locali(Banco di Napoli, Banca della Campania, Banca di Sicilia, ecc.), fanno parte di gruppi bancari nordici(San Paolo di Torino, Credito Emiliano, Friuladria, ecc), i quali investono sempre più nel nord e nei loro investimenti si trovano anche i risparmi di noi poveri meridionali.
In poche parole, se il San Paolo investe nella costruzione di infrastrutture in Piemonte, che siano quartieri residenziali o fabbriche o strade, queste sono state realizzate anche con i risparmiatori del Banco di Napoli, oppure se la Banca di Roma investe in Lazio è ovvio che ci sono anche risparmi presi dal Banco di Sicilia. Con questo sistema e con leggi nordiche appropriate si sono costituite le grandi banche del nord a scapito di quelle del SUD fino al punto di inglobarle. Così è successo che la più grande banca della penisola, il Banco di Napoli, che era l’unica ad avere sufficiente riserva aurea tale da avere il potere di stampare carta moneta nell’Italia unica, è stata assorbita dal San Paolo di Torino, che prima del 1860 non era altro che un banco di pegni con la facoltà di poter comprare oro, facoltà negata alle banche meridionali che si sono così viste dissanguare il proprio patrimonio.

Il momento che stiamo vivendo ora è critico per le banche(non è vero, ma ditelo sottovoce), comunque per i napolitani, gli italiani del Sud, è importante mettere il proprio denaro nelle mani di chi sappiamo che non l’allontanerà dalla nostra terra e quindi passare a svuotare i fondi delle sanguisughe nordiche onde frenare il drenaggio del risparmio meridionale.
Su www.Federmediterraneo. It ho trovato un elenco di banche meridionali con il reale proprietario(nordico) e la mia perplessità è stata totale; mi sono trovato davanti ad un disegno di sfruttamento in piena regola del tutto legalizzato dallo stato tosco-padano-bossista- destrorso- sinistrorso.
E’ uno schifo a cui bisogna rimediare.
Qui ho capito le parole del grande Angelo Manna il quale in sottinteso denunciava una mancata politica meridionalista da parte di quei politici che di meridionale avevano ed hanno solo lo stato di nascita, mentre la loro mente è chiusa da un servilismo sfegatato verso l’imprenditoria nordica, i loro occhi sono appannati da cataratte formato banconote come quelle che si pagano tangenti e si corrompono cariche di amministrazione pubblica e il loro cuore è merda secca non meno di un camorrista che per denaro e finto potere rinnega la sua terra distruggendola e straziando l’animo del proprio popolo.

A parte questa brutta verità, ce ne sono altre ancora più gravi e tremende come il costo delle banche centrali, che sono private, ma erogano denaro per gli stati, come ad esempio la BCE.
Una banconota da 100 euro costa alla BCE 3 centesimi, ma li richiede allo stato con il 2,5% d’interessi, quindi su 100 milioni di euro fatti prestare, lo stato(noi) dovrà ripagare con 2,5 milioni di euro d’interessi, ma non avendo come chiudere il debito riesce a malapena a pagare gli interessi con un altro eventuale prestito dalla banca e quindi gli interessi vanno a sommarsi agli interessi e arriviamo così al nostro debito pubblico di oggi che supera i 1.500 miliardi di euro.
Per cui eternamente indebitati, non sono le leggi del governo che regolano e amministrano il paese, bensì i consigli che arrivano dai governatori delle banche centrali; in questo modo uno stato è diventato una dependance di un gruppo privato ed il popolo non è più sovrano, pur rimanendo in una specie di farsa democratica.

Il fatto più sorprendente è che le banche spostano numeri da un computer ad un altro, mentre il debitore dovrà reperire soldi veri per restituirli, ma non essendocene abbastanza in circolazione è costretto a vendere quel che ha oppure ad indebitarsi ancora. Questo è quello che accade anche e forse più spesso tra il popolino, tra quella gente che lavora per vivere e a cui la società fa in modo di fargli sapere che ha bisogno di una macchina nuova, un televisore più moderno, un viaggio di relax, un intervento per dimagrire e tante altre trovate per farlo indebitare e per fargli credere che ha realmente bisogno di queste cose.
Molti diranno che in mano si ritrovano soldi veri, ma solo per breve tempo perché saranno spesi velocemente, e tramite i negozianti o chi per essi, i quali riceveranno il vostro denaro, saranno di ritorno in una qualche banca, la quale lo proporrà subito per un altro prestito ad altra persona. Avete capito bene, con gli stessi soldi una banca fa ripetuti prestiti e sullo stesso denaro si accumula l’interesse di due, tre, dieci persone ed anche più. Un mio consiglio: cercate di comprare quello di cui avete veramente bisogno e non chiedete prestiti perché vi inoltrate in un circolo vizioso. Sapersi accontentare è la cosa migliore.

Il fatto più scabroso e terroristico però, lo vedo nel guadagno bancario per mezzo delle guerre. Grazie a queste, gli stati si indebitano verso le banche centrali(si è capito del perché delle missioni di ‘pace’ all’estero?).
L’Italia spende in missioni militari all’estero e per il mantenimento dell’apparato militare in genere, circa 2 punti pil, vale a dire quasi 30 miliardi di euro.
Questo è un altro modo per indebitarsi ancora con la BCE invece di pagare il debito pubblico. Sapete quanto guadagna un Generale di Corpo D’Armata? O un Ammiraglio di Squadra Navale? O quanto è costata la portaerei Cavour? O quanto ci costa una missione di ‘pace’ in Kossovo? Non ve lo dico perché ho già fatto troppe ricerche, queste ve l’andate a vedere voi, ma comunque sono fatti per indebitarci sempre più con le banche, le quali si sono inventate che abbiamo bisogno di due portaerei, oltre alla Garibaldi, proprio per portare non pace, ma guerra in tutto il mondo, altrimenti non se ne vede lo scopo nel Mediterraneo visto che la penisola si estende bene in questo mare.

Altro guadagno intrinseco alla guerra è appunto la vendita di armi, consumandole bisogna rifarle e così l’industria bellica, che io reputo la più grande industria al mondo e la più redditizia, incomincia a produrre i suoi strumenti di morte. Dopo l’11 settembre gli USA hanno scaraventato sull’Irak una potenza di fuoco pari ad un miliardo di dollari, che è la somma, pensate, degli aiuti umanitari al terzo mondo in 32 anni. Mentre scrivo sono disgustato.
Purtroppo ad ogni crisi economica(provocata dai banchieri) risponde una grande guerra, non vorrei che ci si stesse preparando a qualcosa del genere, ma lo stesso premio Nobel per l’economia Peter North, replicando ad un giornalista ha detto che gli USA non sono usciti dalla crisi economica del ’29 grazie al New Deal di Roosevelt, ma alla Seconda Guerra Mondiale.
Quindi, se potete, gestite i vostri soldi con ragionevolezza e spendeteli con parsimonia, magari facendoli rimanere il più possibile dalle nostre parti.

Alcuni spunti sono tratti dal libro”Euroschiavi”
.

Fonte: Azione Napolitana
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Di Antonio Iannaccone
Checché se ne dica sulla deficienza economica del SUD, ci sono milioni di persone che vivono, lavorano e risparmiano in questo meraviglioso territorio e il denaro che circola passa tra banche che di meridionale hanno solo il nome, mentre i depositi sono gestiti da amministrazioni nordiche e non certo per favorire lo sviluppo napolitano.
Prendendo in esame il secondo incitamento, continuiamo a capire il perché di certe azioni. La frase è: “Ritirate i vostri depositi dalle banche pubbliche e dalle Poste”.
Il consiglio di ritirare i depositi dalle banche e dalle poste è più facile a dirsi che a farsi, ma comunque ha la sua importanza, infatti, le banche che sono al Sud, anche se portano diciture locali(Banco di Napoli, Banca della Campania, Banca di Sicilia, ecc.), fanno parte di gruppi bancari nordici(San Paolo di Torino, Credito Emiliano, Friuladria, ecc), i quali investono sempre più nel nord e nei loro investimenti si trovano anche i risparmi di noi poveri meridionali.
In poche parole, se il San Paolo investe nella costruzione di infrastrutture in Piemonte, che siano quartieri residenziali o fabbriche o strade, queste sono state realizzate anche con i risparmiatori del Banco di Napoli, oppure se la Banca di Roma investe in Lazio è ovvio che ci sono anche risparmi presi dal Banco di Sicilia. Con questo sistema e con leggi nordiche appropriate si sono costituite le grandi banche del nord a scapito di quelle del SUD fino al punto di inglobarle. Così è successo che la più grande banca della penisola, il Banco di Napoli, che era l’unica ad avere sufficiente riserva aurea tale da avere il potere di stampare carta moneta nell’Italia unica, è stata assorbita dal San Paolo di Torino, che prima del 1860 non era altro che un banco di pegni con la facoltà di poter comprare oro, facoltà negata alle banche meridionali che si sono così viste dissanguare il proprio patrimonio.

Il momento che stiamo vivendo ora è critico per le banche(non è vero, ma ditelo sottovoce), comunque per i napolitani, gli italiani del Sud, è importante mettere il proprio denaro nelle mani di chi sappiamo che non l’allontanerà dalla nostra terra e quindi passare a svuotare i fondi delle sanguisughe nordiche onde frenare il drenaggio del risparmio meridionale.
Su www.Federmediterraneo. It ho trovato un elenco di banche meridionali con il reale proprietario(nordico) e la mia perplessità è stata totale; mi sono trovato davanti ad un disegno di sfruttamento in piena regola del tutto legalizzato dallo stato tosco-padano-bossista- destrorso- sinistrorso.
E’ uno schifo a cui bisogna rimediare.
Qui ho capito le parole del grande Angelo Manna il quale in sottinteso denunciava una mancata politica meridionalista da parte di quei politici che di meridionale avevano ed hanno solo lo stato di nascita, mentre la loro mente è chiusa da un servilismo sfegatato verso l’imprenditoria nordica, i loro occhi sono appannati da cataratte formato banconote come quelle che si pagano tangenti e si corrompono cariche di amministrazione pubblica e il loro cuore è merda secca non meno di un camorrista che per denaro e finto potere rinnega la sua terra distruggendola e straziando l’animo del proprio popolo.

A parte questa brutta verità, ce ne sono altre ancora più gravi e tremende come il costo delle banche centrali, che sono private, ma erogano denaro per gli stati, come ad esempio la BCE.
Una banconota da 100 euro costa alla BCE 3 centesimi, ma li richiede allo stato con il 2,5% d’interessi, quindi su 100 milioni di euro fatti prestare, lo stato(noi) dovrà ripagare con 2,5 milioni di euro d’interessi, ma non avendo come chiudere il debito riesce a malapena a pagare gli interessi con un altro eventuale prestito dalla banca e quindi gli interessi vanno a sommarsi agli interessi e arriviamo così al nostro debito pubblico di oggi che supera i 1.500 miliardi di euro.
Per cui eternamente indebitati, non sono le leggi del governo che regolano e amministrano il paese, bensì i consigli che arrivano dai governatori delle banche centrali; in questo modo uno stato è diventato una dependance di un gruppo privato ed il popolo non è più sovrano, pur rimanendo in una specie di farsa democratica.

Il fatto più sorprendente è che le banche spostano numeri da un computer ad un altro, mentre il debitore dovrà reperire soldi veri per restituirli, ma non essendocene abbastanza in circolazione è costretto a vendere quel che ha oppure ad indebitarsi ancora. Questo è quello che accade anche e forse più spesso tra il popolino, tra quella gente che lavora per vivere e a cui la società fa in modo di fargli sapere che ha bisogno di una macchina nuova, un televisore più moderno, un viaggio di relax, un intervento per dimagrire e tante altre trovate per farlo indebitare e per fargli credere che ha realmente bisogno di queste cose.
Molti diranno che in mano si ritrovano soldi veri, ma solo per breve tempo perché saranno spesi velocemente, e tramite i negozianti o chi per essi, i quali riceveranno il vostro denaro, saranno di ritorno in una qualche banca, la quale lo proporrà subito per un altro prestito ad altra persona. Avete capito bene, con gli stessi soldi una banca fa ripetuti prestiti e sullo stesso denaro si accumula l’interesse di due, tre, dieci persone ed anche più. Un mio consiglio: cercate di comprare quello di cui avete veramente bisogno e non chiedete prestiti perché vi inoltrate in un circolo vizioso. Sapersi accontentare è la cosa migliore.

Il fatto più scabroso e terroristico però, lo vedo nel guadagno bancario per mezzo delle guerre. Grazie a queste, gli stati si indebitano verso le banche centrali(si è capito del perché delle missioni di ‘pace’ all’estero?).
L’Italia spende in missioni militari all’estero e per il mantenimento dell’apparato militare in genere, circa 2 punti pil, vale a dire quasi 30 miliardi di euro.
Questo è un altro modo per indebitarsi ancora con la BCE invece di pagare il debito pubblico. Sapete quanto guadagna un Generale di Corpo D’Armata? O un Ammiraglio di Squadra Navale? O quanto è costata la portaerei Cavour? O quanto ci costa una missione di ‘pace’ in Kossovo? Non ve lo dico perché ho già fatto troppe ricerche, queste ve l’andate a vedere voi, ma comunque sono fatti per indebitarci sempre più con le banche, le quali si sono inventate che abbiamo bisogno di due portaerei, oltre alla Garibaldi, proprio per portare non pace, ma guerra in tutto il mondo, altrimenti non se ne vede lo scopo nel Mediterraneo visto che la penisola si estende bene in questo mare.

Altro guadagno intrinseco alla guerra è appunto la vendita di armi, consumandole bisogna rifarle e così l’industria bellica, che io reputo la più grande industria al mondo e la più redditizia, incomincia a produrre i suoi strumenti di morte. Dopo l’11 settembre gli USA hanno scaraventato sull’Irak una potenza di fuoco pari ad un miliardo di dollari, che è la somma, pensate, degli aiuti umanitari al terzo mondo in 32 anni. Mentre scrivo sono disgustato.
Purtroppo ad ogni crisi economica(provocata dai banchieri) risponde una grande guerra, non vorrei che ci si stesse preparando a qualcosa del genere, ma lo stesso premio Nobel per l’economia Peter North, replicando ad un giornalista ha detto che gli USA non sono usciti dalla crisi economica del ’29 grazie al New Deal di Roosevelt, ma alla Seconda Guerra Mondiale.
Quindi, se potete, gestite i vostri soldi con ragionevolezza e spendeteli con parsimonia, magari facendoli rimanere il più possibile dalle nostre parti.

Alcuni spunti sono tratti dal libro”Euroschiavi”
.

Fonte: Azione Napolitana

Giù le mani dall’acqua del sindaco


Di Paolo Rumiz

Cologno Monzese - Dal Piemonte alla Sicilia, nell' Italia bastonata dalla crisi è nata una nuova resistenza, contro la privatizzazione dei servizi idrici. Una resistenza che parte dal basso e contesta non solo il Governo, ma il Parlamento, che il 6 agosto, mentre il Paese era in vacanza, ha approvato una norma-bomba (unica in Europa) con il "sì" dell' opposizione.


Non se n' è accorto quasi nessuno: quel pezzo di carta obbliga i Comuni a mettere le loro reti sul mercato entro il 2010, e ciò anche quando i servizi funzionano perfettamente e i conti tornano. Articolo 23 bis, legge 133, firmata Tremonti.
La stessa che privatizza mezza Italia e ha provocato la rivolta della scuola.
Leggere per credere. Ora i sindaci hanno letto. Quelli di destra e quelli di sinistra. E subito hanno mangiato la foglia. «Ci avete già tolto l' Ici. Se ci togliete anche questo - dicono - che ci rimane?» La partita è chiara: non è solo una guerra per
l' acqua, ma per la democrazia.

Col 23 bis essi perdono contemporaneamente una fonte di entrate e la sorveglianza sul territorio. Il federalismo si svuota di senso.
Il rapporto con gli elettori diventa una burla. Lo scenario è inquietante: bollette fuori controllo, e i cittadini con solo un distante "call center" cui segnalare soprusi o disservizi. Insomma, l' acqua come i telefonini: quando il credito si esaurisce, il collegamento cade. La storia parte da lontano, nel 2002, con una legge che obbliga i carrozzoni delle municipalizzate a snellirsi, diventare S.p.a.
e lavorare con rigore. L' Italia viene divisa in bacini idrici, i Comuni sono obbligati a consorziarsi e le bollette a includere tutti i costi, che non possono più scaricarsi sul resto delle tasse. Anche se i Comuni hanno mantenuto la maggioranza azionaria, nelle ex municipalizzate son potute entrare banche, industrie e società multinazionali. Ma quella che doveva essere una rivoluzione verso il meglio si è rivelata una delusione. Nessuno rifà gli acquedotti, le reti restano un colabrodo.
Il privato funziona peggio del pubblico, parola di Mediobanca, che in un' indagine recente dimostra che le due aziende pubbliche milanesi, Cap ed Mm hanno le reti migliori d' Italia e tariffe tra le più basse d' Europa.

Col voto del 6 agosto si rompe l' ultima diga. L' acqua cessa di essere diritto collettivo e diventa bisogno individuale, merce che ciascuno deve pagarsi. Questo spalanca scenari tutti italiani: per esempio i contatori regalati ai privati (banca, industria o chicchessia che incassano le bollette), e le reti idriche che restano in mano pubblica, con
i costi del rifacimento a carico dei contribuenti. Insomma, la polpa ai primi e
l' osso ai secondi. Il peggio del peggio. È contro questo che si stanno muovendo
i sindaci d' Italia; a partire da quelli della Lombardia, che la guerra l' hanno cominciata prima degli altri. È successo che centoquarantaquattro Comuni attorno a Milano han fatto muro contro la giunta Formigoni, la quale già nel 2006 aveva anticipato il 23 bis con una legge che separava erogazione e gestione del servizio. Quasi sempre all' unanimità - destra, sinistra e Lega unite - i consigli comunali hanno chiesto un referendum per cancellare l' aberrazione; e proprio ieri, dopo una lotta infinita e incommensurabili malumori del Palazzo, davanti al muro di gomma della giunta che apponeva alla legge solo ritocchi di facciata, hanno dichiarato di non recedere in alcun modo dalla richiesta di una consultazione popolare lombarda. "Si va allo scontro, non abbiamo scelta" spiega Giovanni Cocciro, iperattivo assessore del Comuni-capofila di Cologno Monzese, e delinea il futuro della rete in mano privata. "Metti che i contatori passino a una banca, e questa stacchi l' acqua a un condominio che non paga. Il sindaco, per questioni sanitarie, deve garantire il servizio minimo ma, non potendo più ordinare la riapertura del rubinetto, può solo intervenire con autobotti, con acqua che costa tremila volte di più~

Per non parlare dei problemi di ordine pubblico che ricadono sul Comune se la gente perde la pazienza". Nei bar di Cologno, per ripicca, hanno messo l' etichetta all' acqua di rubinetto e ti dicono che le analisi l' hanno dichiarata all' altezza delle più blasonate minerali.
Al banco la gente chiede "acqua del sindaco" rivendicandola come diritto, non come merce. E un po' dappertutto, attorno a Milano, crescono le "case dell' acqua", dove il bene più universale viene distribuito gratis, rinfrescato e con bollicine, in confortevoli spazi alberati dove la gente può sedersi e chiacchierare. Un "water pride" in salsa lombarda, che ora sta contagiando anche il Piemonte. Premane in Valsassina, in provincia di Lecco, è un comune di montagna a maggioranza leghista già assediato da privati in cerca di nuove centraline idroelettriche, e sul tema dell' acqua ha i nervi scoperti. "Nel servizio idrico solo la gestione pubblica può garantire equità all' utente" sottolinea con forza Pietro Caverio, che ha firmato la protesta dei 144 Comuni. Segnali di insofferenza arrivano da tutto il Paese; situazioni paradossali si moltiplicano. Sentite cos' è accaduto a Firenze.
Il Comune ha accettato di fare una campagna per il risparmio idrico e un anno dopo, di fronte a una diminuzione dei consumi, ecco che la "Publiacqua" manda agli utenti una lettera dove spiega che, causa della diminuita erogazione, si vede costretta ad alzare le tariffe per far quadrare i conti. Ovvio: il privato lo premia lo spreco, non il risparmio. L' unica cosa certa sono i rincari: ad Aprilia in Lazio sono scattati aumenti del trecento per cento e un conseguente sciopero delle bollette che dura tuttora contro la società "Acqualatina". Stessa cosa a Leonforte, provincia di Enna, paese di pensionati in bolletta. A Nola e Portici, nel retroterra napoletano, la società "Gori" ha quasi azzerato la pressione in alcuni condomini insolventi, senza avvertire il sindaco; e lavoratori della ditta hanno impedito ai partigiani dell' acqua pubblica di tenere la loro assemblea. A Frosinone gli aumenti sono stati tali che il Comitato di vigilanza è dovuto intervenire e alzare la voce per ottenere la documentazione nei tempi previsti. Più o meno lo stesso a La Spezia, che ha le bollette più care d' Italia. Per non parlare di Arezzo, dove la privatizzazione si sta rivelando un fallimento.

L' Acquedotto pugliese, dopo la privatizzazione, si è indebitato con banche estere finite nelle tempeste finanziarie globali. A Pescara, da quando è scattato il regime di S.p.a., s' è scoperto un grave inquinamento industriale della falda e la magistratura ha fatto chiudere l' impianto. A Ferrara il regime di privatizzazione è coinciso col trasferimento a Bologna del laboratorio di analisi, con conseguente allentamento dei controlli in una delle zone più a rischio d' Italia, causa la falda avvelenata del Po. Ma se già ora la situazione è così grave, ci si chiede, cosa accadrà col "23 bis"? Sessantaquattro ambiti idrici territoriali - sui 90 in cui è compartimentata l' Italia - tengono duro, rimangono pubblici, e organizzano laddove possibile la difesa contro i compratori dell' acqua italiana. Ma è battaglia tosta: l' acqua è il business del futuro. Consumi in aumento e disponibilità in calo, quindi prezzi destinati infallibilmente a salire. Conseguenza: nelle rimanenti 26 S.p.a. miste le pressioni sulla politica sono enormi, tanto più che nei consigli di amministrazione il pubblico è rappresentato da malleabili politici in pensione, e il privato da vecchie volpi capaci di far prevalere il profitto sulla bontà del servizio.

Dai 26 ambiti che hanno accettato la privatizzazione sono cresciuti intanto quattro colossi: l' Acea di Roma che ha comprato l' acqua toscana; l' Amga di Genova che s' è alleata con la Smat di Torino e ha dato vita all' Iride; la Hera di Bologna che cresce in tutta la Padania; la A2A nata dalla fusione dell' Aem milanese e dell' Asm bresciana. In tutte, una forte presenza di multinazionali come Veolia e Suez, banche, imprenditori italiani d' assalto, e una gran voglia di crescere sul mercato. "Ormai il sistema idrico non segue più la geografia delle montagne ma quella dei pacchetti azionari" dice Emilio Molinari, leader nazionale dei comitati per il contratto mondiale per l' acqua.

Il che porta sorprese a non finire. Del tipo: il Fondo pensioni delle Giubbe Rosse canadesi che entra nella Hera e quello delle vedove scozzesi che trova spazio all' interno dell' Iride. E colpi di scena politici: l' Acea guidata a suo tempo dal sindaco Veltroni mette le mani sull' acqua toscana, costruendo nel Centro Italia un potentissimo polo dell' acqua "rossa", ma poi ti arriva Alemanno a sparigliare i giochi, e l' acqua di una regione di sinistra oggi è in mano alla destra. Anni fa a Firenze sarebbe successo il putiferio. Oggi tutto tace. Motivo? Lo spiega la Commissione Antitrust, che già nel 2007 ha individuato nei quattro attori forti i pilastri di una situazione di oligopolio. C' è un cartello, che ora è pronto a comprarsi tutto il mercato proprio grazie al "23 bis". Dietro alle Quattro Sorelle esiste lo stesso intreccio finanziario e lo stesso collegamento - rigorosamente bipartisan - con i partiti. I quali, difatti, il 6 agosto hanno votato in perfetta unanimità. Per questo i sindaci si sentono truffati. "L' acqua è il nuovo luogo dell' inciucio" ti dicono al bar di Cologno Monzese. Quando i comitati per l' acqua pubblica, sparsi in tutt' Italia, hanno raccolto 400 mila firme e depositato in parlamento nel luglio 2007 una proposta di legge di iniziativa popolare, sia sotto il governo Prodi che sotto quello di Berlusconi non s' è trovato uno straccio di relatore, nemmeno d' opposizione, capace di esaminare e illustrare la volontà dei cittadini così massicciamente espressa. La melina del palazzo sul tema dell' acqua è trasparente, cristallina. Con l' acqua che diventa un pacchetto azionario, c' è anche il rischio che un bene primario della nazione passi in mani altrui, nel gioco di scatole cinesi della finanza.

In Inghilterra è accaduto: le bollette si pagano a una società australiana, che ha triplicato le tariffe. Vuoi protestare per un guasto? Rivolgiti a un operatore agli antipodi. Può capitare anche qui. Ormai niente isola più l' acqua dai fiumi avvelenati delle finanze che affondano l' economia mondiale, e in molti Paesi si sta correndo ai ripari. Persino in Francia, che pure è la sede delle multinazionali Suez e Veolia che comprano l' acqua italiana. "Torniamo all' acqua pubblica", proclama il sindaco di Parigi Delanoe, che impernia su questo la campagna elettorale per la riconferma. Anche lì si rivuole l' acqua del sindaco. E che dire della Svizzera e degli Stati Uniti, i Paesi della Nestlé e della Coca-Cola che imbottigliano fonti italiane. Non sono mica scemi: l' acqua è protetta come fattore strategico e tenuta ben fuori dal mercato. Ormai si stanno muovendo tutti, anche la Chiesa. I vescovi di Brescia e Milano sono intervenuti proclamando il concetto del pubblico bene. La conferenza episcopale abruzzese ha messo per iscritto che l' accesso all' acqua "è un diritto fondamentale e inalienabile". In Campania è battaglia dura e la difesa dell' acqua si intreccia nel modo più perverso con gli interessi della camorra e l' affare della monnezza. Al Nord, in piena zona leghista, sindaci come Domenico Sella (Mezzane, nella pedemontana veronese) deliberano che l' acqua è cosa loro, ed è il perno del rapporto con i cittadini. "Se xe una perdita, la gente me ciama, e mi fasso subito riparar". Più chiaro di così. Sul territorio sinistra e destra parlano ormai la stessa lingua. Nelle Marche il presidente della provincia di Ascoli Massimo Rossi (Rifondazione) spiega che "non si può imporre la privatizzazione". E sempre ad Ascoli Paolo Nigrotti, An, presidente della società di gestione (tutta pubblica), una delle migliori del Paese, osserva che "la privatizzazione non è stata gran che in Italia" e va applicata solo là dove serve. La qualità costa, ma la può garantire anche un pubblico responsabile.

Nel Friuli-Venezia Giulia, l' ex presidente della provincia di Gorizia Giorgio Brandolin - uno che ha resistito alle pressioni privatrizzatrici della Regione e ha messo insieme una S.p.a pubblica tutta goriziana che da due anni e mezzo gestisce la rete in modo impeccabile - ora si ritrova capofila dei movimenti anti "23 bis". In Puglia, 38 Comuni e due Province (Bari e Lecce) hanno formato un robusto pacchetto di mischia per la ripubblicizzazione e chiedono a Niki Vendola una legge regionale che definisca l' acqua "bene privo di rilevanza economica". Ragusa e Messina battono la stessa strada. A Parma è scesa in piazza pure la gioventù italiana della Destra di Storace. Succede che di fronte alla bolletta, la gente - toccata nel portafoglio - sta ripescando un concetto passato di moda, quello di bene comune. Nell' acqua il cattolico vede la vita e il battesimo; il nazionalista un bene non alienabile agli stranieri; il leghista l' autogoverno del territorio. Altri vi trovano il benessere, il dono ospitale, la pulizia e la sanità.

"Tutti sentono l' acqua come l' ultima trincea" ammette Rosario Lembo, segretario del Contratto per l' acqua. Tutti vi scoprono un simbolo potente, e quel simbolo è capace di rompere i giochi del Palazzo con nuove alleanze. Giuseppe Altamore - autore di bei libri-inchiesta sul tema, come "Acqua S.p.a." - osserva che "il vero dramma è la mancanza di un' authority capace di affrontare l' emergenza di un Paese dove un abitante su tre non ha accesso all' acqua potabile". Quattro ministri se ne occupano, ma intanto nessuno pone rimedio a perdite spaventose e nessuno mette in sicurezza le falde avvelenate. Per esempio l' arsenico oltre il limite a Grosseto e Velletri. E poi il fluoro, i cloriti, i trialometani~ Servono formidabili investimenti, o la rete va al collasso".


Fonte:
Repubblica, 14 novembre 2008
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Di Paolo Rumiz

Cologno Monzese - Dal Piemonte alla Sicilia, nell' Italia bastonata dalla crisi è nata una nuova resistenza, contro la privatizzazione dei servizi idrici. Una resistenza che parte dal basso e contesta non solo il Governo, ma il Parlamento, che il 6 agosto, mentre il Paese era in vacanza, ha approvato una norma-bomba (unica in Europa) con il "sì" dell' opposizione.


Non se n' è accorto quasi nessuno: quel pezzo di carta obbliga i Comuni a mettere le loro reti sul mercato entro il 2010, e ciò anche quando i servizi funzionano perfettamente e i conti tornano. Articolo 23 bis, legge 133, firmata Tremonti.
La stessa che privatizza mezza Italia e ha provocato la rivolta della scuola.
Leggere per credere. Ora i sindaci hanno letto. Quelli di destra e quelli di sinistra. E subito hanno mangiato la foglia. «Ci avete già tolto l' Ici. Se ci togliete anche questo - dicono - che ci rimane?» La partita è chiara: non è solo una guerra per
l' acqua, ma per la democrazia.

Col 23 bis essi perdono contemporaneamente una fonte di entrate e la sorveglianza sul territorio. Il federalismo si svuota di senso.
Il rapporto con gli elettori diventa una burla. Lo scenario è inquietante: bollette fuori controllo, e i cittadini con solo un distante "call center" cui segnalare soprusi o disservizi. Insomma, l' acqua come i telefonini: quando il credito si esaurisce, il collegamento cade. La storia parte da lontano, nel 2002, con una legge che obbliga i carrozzoni delle municipalizzate a snellirsi, diventare S.p.a.
e lavorare con rigore. L' Italia viene divisa in bacini idrici, i Comuni sono obbligati a consorziarsi e le bollette a includere tutti i costi, che non possono più scaricarsi sul resto delle tasse. Anche se i Comuni hanno mantenuto la maggioranza azionaria, nelle ex municipalizzate son potute entrare banche, industrie e società multinazionali. Ma quella che doveva essere una rivoluzione verso il meglio si è rivelata una delusione. Nessuno rifà gli acquedotti, le reti restano un colabrodo.
Il privato funziona peggio del pubblico, parola di Mediobanca, che in un' indagine recente dimostra che le due aziende pubbliche milanesi, Cap ed Mm hanno le reti migliori d' Italia e tariffe tra le più basse d' Europa.

Col voto del 6 agosto si rompe l' ultima diga. L' acqua cessa di essere diritto collettivo e diventa bisogno individuale, merce che ciascuno deve pagarsi. Questo spalanca scenari tutti italiani: per esempio i contatori regalati ai privati (banca, industria o chicchessia che incassano le bollette), e le reti idriche che restano in mano pubblica, con
i costi del rifacimento a carico dei contribuenti. Insomma, la polpa ai primi e
l' osso ai secondi. Il peggio del peggio. È contro questo che si stanno muovendo
i sindaci d' Italia; a partire da quelli della Lombardia, che la guerra l' hanno cominciata prima degli altri. È successo che centoquarantaquattro Comuni attorno a Milano han fatto muro contro la giunta Formigoni, la quale già nel 2006 aveva anticipato il 23 bis con una legge che separava erogazione e gestione del servizio. Quasi sempre all' unanimità - destra, sinistra e Lega unite - i consigli comunali hanno chiesto un referendum per cancellare l' aberrazione; e proprio ieri, dopo una lotta infinita e incommensurabili malumori del Palazzo, davanti al muro di gomma della giunta che apponeva alla legge solo ritocchi di facciata, hanno dichiarato di non recedere in alcun modo dalla richiesta di una consultazione popolare lombarda. "Si va allo scontro, non abbiamo scelta" spiega Giovanni Cocciro, iperattivo assessore del Comuni-capofila di Cologno Monzese, e delinea il futuro della rete in mano privata. "Metti che i contatori passino a una banca, e questa stacchi l' acqua a un condominio che non paga. Il sindaco, per questioni sanitarie, deve garantire il servizio minimo ma, non potendo più ordinare la riapertura del rubinetto, può solo intervenire con autobotti, con acqua che costa tremila volte di più~

Per non parlare dei problemi di ordine pubblico che ricadono sul Comune se la gente perde la pazienza". Nei bar di Cologno, per ripicca, hanno messo l' etichetta all' acqua di rubinetto e ti dicono che le analisi l' hanno dichiarata all' altezza delle più blasonate minerali.
Al banco la gente chiede "acqua del sindaco" rivendicandola come diritto, non come merce. E un po' dappertutto, attorno a Milano, crescono le "case dell' acqua", dove il bene più universale viene distribuito gratis, rinfrescato e con bollicine, in confortevoli spazi alberati dove la gente può sedersi e chiacchierare. Un "water pride" in salsa lombarda, che ora sta contagiando anche il Piemonte. Premane in Valsassina, in provincia di Lecco, è un comune di montagna a maggioranza leghista già assediato da privati in cerca di nuove centraline idroelettriche, e sul tema dell' acqua ha i nervi scoperti. "Nel servizio idrico solo la gestione pubblica può garantire equità all' utente" sottolinea con forza Pietro Caverio, che ha firmato la protesta dei 144 Comuni. Segnali di insofferenza arrivano da tutto il Paese; situazioni paradossali si moltiplicano. Sentite cos' è accaduto a Firenze.
Il Comune ha accettato di fare una campagna per il risparmio idrico e un anno dopo, di fronte a una diminuzione dei consumi, ecco che la "Publiacqua" manda agli utenti una lettera dove spiega che, causa della diminuita erogazione, si vede costretta ad alzare le tariffe per far quadrare i conti. Ovvio: il privato lo premia lo spreco, non il risparmio. L' unica cosa certa sono i rincari: ad Aprilia in Lazio sono scattati aumenti del trecento per cento e un conseguente sciopero delle bollette che dura tuttora contro la società "Acqualatina". Stessa cosa a Leonforte, provincia di Enna, paese di pensionati in bolletta. A Nola e Portici, nel retroterra napoletano, la società "Gori" ha quasi azzerato la pressione in alcuni condomini insolventi, senza avvertire il sindaco; e lavoratori della ditta hanno impedito ai partigiani dell' acqua pubblica di tenere la loro assemblea. A Frosinone gli aumenti sono stati tali che il Comitato di vigilanza è dovuto intervenire e alzare la voce per ottenere la documentazione nei tempi previsti. Più o meno lo stesso a La Spezia, che ha le bollette più care d' Italia. Per non parlare di Arezzo, dove la privatizzazione si sta rivelando un fallimento.

L' Acquedotto pugliese, dopo la privatizzazione, si è indebitato con banche estere finite nelle tempeste finanziarie globali. A Pescara, da quando è scattato il regime di S.p.a., s' è scoperto un grave inquinamento industriale della falda e la magistratura ha fatto chiudere l' impianto. A Ferrara il regime di privatizzazione è coinciso col trasferimento a Bologna del laboratorio di analisi, con conseguente allentamento dei controlli in una delle zone più a rischio d' Italia, causa la falda avvelenata del Po. Ma se già ora la situazione è così grave, ci si chiede, cosa accadrà col "23 bis"? Sessantaquattro ambiti idrici territoriali - sui 90 in cui è compartimentata l' Italia - tengono duro, rimangono pubblici, e organizzano laddove possibile la difesa contro i compratori dell' acqua italiana. Ma è battaglia tosta: l' acqua è il business del futuro. Consumi in aumento e disponibilità in calo, quindi prezzi destinati infallibilmente a salire. Conseguenza: nelle rimanenti 26 S.p.a. miste le pressioni sulla politica sono enormi, tanto più che nei consigli di amministrazione il pubblico è rappresentato da malleabili politici in pensione, e il privato da vecchie volpi capaci di far prevalere il profitto sulla bontà del servizio.

Dai 26 ambiti che hanno accettato la privatizzazione sono cresciuti intanto quattro colossi: l' Acea di Roma che ha comprato l' acqua toscana; l' Amga di Genova che s' è alleata con la Smat di Torino e ha dato vita all' Iride; la Hera di Bologna che cresce in tutta la Padania; la A2A nata dalla fusione dell' Aem milanese e dell' Asm bresciana. In tutte, una forte presenza di multinazionali come Veolia e Suez, banche, imprenditori italiani d' assalto, e una gran voglia di crescere sul mercato. "Ormai il sistema idrico non segue più la geografia delle montagne ma quella dei pacchetti azionari" dice Emilio Molinari, leader nazionale dei comitati per il contratto mondiale per l' acqua.

Il che porta sorprese a non finire. Del tipo: il Fondo pensioni delle Giubbe Rosse canadesi che entra nella Hera e quello delle vedove scozzesi che trova spazio all' interno dell' Iride. E colpi di scena politici: l' Acea guidata a suo tempo dal sindaco Veltroni mette le mani sull' acqua toscana, costruendo nel Centro Italia un potentissimo polo dell' acqua "rossa", ma poi ti arriva Alemanno a sparigliare i giochi, e l' acqua di una regione di sinistra oggi è in mano alla destra. Anni fa a Firenze sarebbe successo il putiferio. Oggi tutto tace. Motivo? Lo spiega la Commissione Antitrust, che già nel 2007 ha individuato nei quattro attori forti i pilastri di una situazione di oligopolio. C' è un cartello, che ora è pronto a comprarsi tutto il mercato proprio grazie al "23 bis". Dietro alle Quattro Sorelle esiste lo stesso intreccio finanziario e lo stesso collegamento - rigorosamente bipartisan - con i partiti. I quali, difatti, il 6 agosto hanno votato in perfetta unanimità. Per questo i sindaci si sentono truffati. "L' acqua è il nuovo luogo dell' inciucio" ti dicono al bar di Cologno Monzese. Quando i comitati per l' acqua pubblica, sparsi in tutt' Italia, hanno raccolto 400 mila firme e depositato in parlamento nel luglio 2007 una proposta di legge di iniziativa popolare, sia sotto il governo Prodi che sotto quello di Berlusconi non s' è trovato uno straccio di relatore, nemmeno d' opposizione, capace di esaminare e illustrare la volontà dei cittadini così massicciamente espressa. La melina del palazzo sul tema dell' acqua è trasparente, cristallina. Con l' acqua che diventa un pacchetto azionario, c' è anche il rischio che un bene primario della nazione passi in mani altrui, nel gioco di scatole cinesi della finanza.

In Inghilterra è accaduto: le bollette si pagano a una società australiana, che ha triplicato le tariffe. Vuoi protestare per un guasto? Rivolgiti a un operatore agli antipodi. Può capitare anche qui. Ormai niente isola più l' acqua dai fiumi avvelenati delle finanze che affondano l' economia mondiale, e in molti Paesi si sta correndo ai ripari. Persino in Francia, che pure è la sede delle multinazionali Suez e Veolia che comprano l' acqua italiana. "Torniamo all' acqua pubblica", proclama il sindaco di Parigi Delanoe, che impernia su questo la campagna elettorale per la riconferma. Anche lì si rivuole l' acqua del sindaco. E che dire della Svizzera e degli Stati Uniti, i Paesi della Nestlé e della Coca-Cola che imbottigliano fonti italiane. Non sono mica scemi: l' acqua è protetta come fattore strategico e tenuta ben fuori dal mercato. Ormai si stanno muovendo tutti, anche la Chiesa. I vescovi di Brescia e Milano sono intervenuti proclamando il concetto del pubblico bene. La conferenza episcopale abruzzese ha messo per iscritto che l' accesso all' acqua "è un diritto fondamentale e inalienabile". In Campania è battaglia dura e la difesa dell' acqua si intreccia nel modo più perverso con gli interessi della camorra e l' affare della monnezza. Al Nord, in piena zona leghista, sindaci come Domenico Sella (Mezzane, nella pedemontana veronese) deliberano che l' acqua è cosa loro, ed è il perno del rapporto con i cittadini. "Se xe una perdita, la gente me ciama, e mi fasso subito riparar". Più chiaro di così. Sul territorio sinistra e destra parlano ormai la stessa lingua. Nelle Marche il presidente della provincia di Ascoli Massimo Rossi (Rifondazione) spiega che "non si può imporre la privatizzazione". E sempre ad Ascoli Paolo Nigrotti, An, presidente della società di gestione (tutta pubblica), una delle migliori del Paese, osserva che "la privatizzazione non è stata gran che in Italia" e va applicata solo là dove serve. La qualità costa, ma la può garantire anche un pubblico responsabile.

Nel Friuli-Venezia Giulia, l' ex presidente della provincia di Gorizia Giorgio Brandolin - uno che ha resistito alle pressioni privatrizzatrici della Regione e ha messo insieme una S.p.a pubblica tutta goriziana che da due anni e mezzo gestisce la rete in modo impeccabile - ora si ritrova capofila dei movimenti anti "23 bis". In Puglia, 38 Comuni e due Province (Bari e Lecce) hanno formato un robusto pacchetto di mischia per la ripubblicizzazione e chiedono a Niki Vendola una legge regionale che definisca l' acqua "bene privo di rilevanza economica". Ragusa e Messina battono la stessa strada. A Parma è scesa in piazza pure la gioventù italiana della Destra di Storace. Succede che di fronte alla bolletta, la gente - toccata nel portafoglio - sta ripescando un concetto passato di moda, quello di bene comune. Nell' acqua il cattolico vede la vita e il battesimo; il nazionalista un bene non alienabile agli stranieri; il leghista l' autogoverno del territorio. Altri vi trovano il benessere, il dono ospitale, la pulizia e la sanità.

"Tutti sentono l' acqua come l' ultima trincea" ammette Rosario Lembo, segretario del Contratto per l' acqua. Tutti vi scoprono un simbolo potente, e quel simbolo è capace di rompere i giochi del Palazzo con nuove alleanze. Giuseppe Altamore - autore di bei libri-inchiesta sul tema, come "Acqua S.p.a." - osserva che "il vero dramma è la mancanza di un' authority capace di affrontare l' emergenza di un Paese dove un abitante su tre non ha accesso all' acqua potabile". Quattro ministri se ne occupano, ma intanto nessuno pone rimedio a perdite spaventose e nessuno mette in sicurezza le falde avvelenate. Per esempio l' arsenico oltre il limite a Grosseto e Velletri. E poi il fluoro, i cloriti, i trialometani~ Servono formidabili investimenti, o la rete va al collasso".


Fonte:
Repubblica, 14 novembre 2008

Ecoballe campane riciclate nei TMB tedeschi


GIUGLIANO. “Nessun rifiuto del passato per le future generazioni, nessun rafforzamento dell’effetto serra attraverso i nostri rifiuti, un contributo al clima e una protezione per le risorse!” Questa frase e questa immagine accolgono i visitatori del sito internet della società tedesca WEV (Westsaechsische Entsorgungs-und Verwertungsgesellschaft). Der Spiegel, il più importante settimanale tedesco, già qualche mese fa aveva lanciato l’allarme, facendo un lungo reportage sui rifiuti campani esportati in Germania. Il settimanale tedesco aveva parlato dei “treni della vergogna”, così sono definiti i treni carichi di rifiuti che dalla Campania arrivano in Germania. Una vergogna che all’Italia costa circa 200.000 euro al giorno.

Der Spiegel aveva focalizzato la sua attenzione sulla società italiana Ecolog (gruppo Ferrovie dello Stato), la società che ha trasportato via treno migliaia di tonnellate di spazzatura campana in Germania (tra gli indagati dai pm napoletani spiccano anche i vertici della Ecolog). Due i siti di destinazione dei “treni della vergona”: da una parte l’inceneritore di Bremerhaven (nord), gestito dalla Remondis. Dall’altro, l’impianto per il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti di Croebern, nei pressi di Lipsia (in Sassonia), controllato dalla WEV. “Uno dei destinatari è la Remondis, la maggiore compagnia tedesca di smaltimento rifiuti, - scriveva Der Spiegel - il rimedio temporaneo che dura ormai da sette anni avrebbe fatto decidere la Remondis di costruire un nuovo inceneritore dedicato allo smaltimento dei rifiuti campani vicino alla frontiera lussemburghese”.Gli ambientalisti tedeschi avevano immediatamente protestato.

La grande novità che emerge dall’indagine del settimanale tedesco è rappresentata dal fatto che gran parte dei rifiuti campani non sono stati inceneriti, come si ostinano a ripeterci tutti i giorni tutti i nostri politici e tutti i mezzi di informazione, ma sono stati riciclati dall’impianto per il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti di Croebern. Il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti non è, quindi, una proposta utopica ma, in Sassonia, è una solida realtà. L’impianto di Croebern ha una capacità di riciclo di 300.000 tonnellate di rifiuti urbani l’anno, è costato circa 75 milioni di euro, si sviluppa su un’area di 36 ettari. L’impianto per il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti di Croebern è da prendere ad esempio, in quanto rappresenta una seria alternativa alla politica degli inceneritori, delle mega discariche e dei tombamenti.

L’Italia, un Paese senza materie prime, non può permettersi di incenerire, seppellire e tombare i propri rifiuti.

Le “ecoballe” di Taverna del Re dovranno essere smaltite tramite il TMB, né più né meno di come stanno facendo i tedeschi.

Presidio permanente di Taverna del Re

Fonte: internapoli.it
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GIUGLIANO. “Nessun rifiuto del passato per le future generazioni, nessun rafforzamento dell’effetto serra attraverso i nostri rifiuti, un contributo al clima e una protezione per le risorse!” Questa frase e questa immagine accolgono i visitatori del sito internet della società tedesca WEV (Westsaechsische Entsorgungs-und Verwertungsgesellschaft). Der Spiegel, il più importante settimanale tedesco, già qualche mese fa aveva lanciato l’allarme, facendo un lungo reportage sui rifiuti campani esportati in Germania. Il settimanale tedesco aveva parlato dei “treni della vergogna”, così sono definiti i treni carichi di rifiuti che dalla Campania arrivano in Germania. Una vergogna che all’Italia costa circa 200.000 euro al giorno.

Der Spiegel aveva focalizzato la sua attenzione sulla società italiana Ecolog (gruppo Ferrovie dello Stato), la società che ha trasportato via treno migliaia di tonnellate di spazzatura campana in Germania (tra gli indagati dai pm napoletani spiccano anche i vertici della Ecolog). Due i siti di destinazione dei “treni della vergona”: da una parte l’inceneritore di Bremerhaven (nord), gestito dalla Remondis. Dall’altro, l’impianto per il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti di Croebern, nei pressi di Lipsia (in Sassonia), controllato dalla WEV. “Uno dei destinatari è la Remondis, la maggiore compagnia tedesca di smaltimento rifiuti, - scriveva Der Spiegel - il rimedio temporaneo che dura ormai da sette anni avrebbe fatto decidere la Remondis di costruire un nuovo inceneritore dedicato allo smaltimento dei rifiuti campani vicino alla frontiera lussemburghese”.Gli ambientalisti tedeschi avevano immediatamente protestato.

La grande novità che emerge dall’indagine del settimanale tedesco è rappresentata dal fatto che gran parte dei rifiuti campani non sono stati inceneriti, come si ostinano a ripeterci tutti i giorni tutti i nostri politici e tutti i mezzi di informazione, ma sono stati riciclati dall’impianto per il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti di Croebern. Il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti non è, quindi, una proposta utopica ma, in Sassonia, è una solida realtà. L’impianto di Croebern ha una capacità di riciclo di 300.000 tonnellate di rifiuti urbani l’anno, è costato circa 75 milioni di euro, si sviluppa su un’area di 36 ettari. L’impianto per il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti di Croebern è da prendere ad esempio, in quanto rappresenta una seria alternativa alla politica degli inceneritori, delle mega discariche e dei tombamenti.

L’Italia, un Paese senza materie prime, non può permettersi di incenerire, seppellire e tombare i propri rifiuti.

Le “ecoballe” di Taverna del Re dovranno essere smaltite tramite il TMB, né più né meno di come stanno facendo i tedeschi.

Presidio permanente di Taverna del Re

Fonte: internapoli.it

E tu,vieni a ballare all'ILVA? ..



E' inutile. E' l'effetto Nimby,non lo puoi scollare dai geni umani. Si fa presto a difendere a spada tratta la causa dello sviluppo economico appellandosi al "ricatto occupazionale",è sin troppo semplice quando ciò che si sostiene non è di certo nel giardino della propria dimora.

Gli operai dell'ILVA di Taranto sono 13.630, di cui circa la metà tarantini;

l'ILVA è il più grosso stabilimento siderurgico in tutta Europa e rappresenta il motore dell'economia tarantina.
Pensare di chiudere l'ILVA sarebbe dunque follia (se follia è definibile il pensiero di chi pospone le ragioni dell'occupazione a quelle della salute di un'intera città),ma forse lo è ancor più credere che questo colosso industriale possa ricondurre i propri standard di emissione di sostanze inquinanti a quelli europei. Sì,perchè in materia legislativa i limiti imposti dalla legge italiana (legge 152/06 ,si approfondisca qui:http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/22183.html ) sono molto poco restrittivi rispetto alle normative europee:10000 nanogrammi di concentrazione totale delle diossine per la legge 152/06 contro i 0,4 nanogrammi di tossicità equivalente imposta da Bruxelles;
inoltre,l’ILVA non ha ancora ottenuto da Bruxelles l’autorizzazione integrata (AIA) conforme alla direttiva IPPC secondo cui gli impianti già in servizio prima del 30 Ottobre 1999 dovevano essere messi in conformità ai requisiti della direttiva IPPC entro il 30 Ottobre 2007 (http://www.agoravox.it/ILVA-Taranto-e-Diossina-Da.html e per approfondimenti su IPPC e AIA:http://www.arpa.fvg.it/index.php?id=270 ).

Dunque,la follia pare proprio,a questo punto,sperare che le cose cambino e che l'ILVA si decida ad attenuare drasticamente le proprie emissioni attraverso un processo di ammodernamento dell'impianto.

L'importanza strategica di tale impianto non viene messa in discussione dalla sottoscritta,poichè non è mia intenzione fare della retorica moralistica fine a se stessa. Il punto è che,evidentemente,chi si limita a giustificare il disastro ecologico-umano prodotto dall'ILVA ricorrendo ad argomentazioni di natura economica o sociale in riferimento al numero di operai a cui tale complesso dà il lavoro pecca di scarsa informazione e flebile lungimiranza,oltre che di un cinismo tipico di chi,per l'appunto ritornando all'introduzione del post,è a favore di queste mostruosità della macchina economica evidentemente lontane da casa propria. Perchè parlo di scarsa informazione?

Perchè basta spostarsi al Nord e verificare come le cose funzionino già diversamente:
"Se il camino dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva fosse in Friuli Venezia Giulia si applicherebbe una normativa regionale che recepisce i limiti europei (espressi non in "concentrazione totale" ma in "indice di tossicità equivalente"): il limite sarebbe 0,4 nanogrammi a metro cubo. In questo caso vi sarebbe un superamento di oltre 27 volte del limite previsto.
"In caso di superamento del suddetto limite, l’impianto di sintetizzazione dell’agglomerato dovrà essere immediatamente fermato", recita il decreto della Regione Friuli Venezia Giulia.”"(tratto da http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/22205.html ).
Ovviamente questo è solo un esempio,ma ce ne son tanti (un altro potrebbe essere quello delle acciaierie «Lucchini» a Servola, Trieste).

Dunque,chi invoca un'industrializzazione prudente ed il più possibile rispettosa dei diritti dei cittadini (primo fra tutti il diritto alla salute) non è qualche pazzo delirante moralista,ma la LEGGE. La santa,cara LEGGE. Se poi ci si sposta in Europa,come si è già avuto modo di dire,le cose vanno ancora meglio.
Dunque,è davvero poco intelligente appellarsi alla causa della supremazia dell'economia,perchè altrove le cose funzionano diversamente:altrove è la legge ad avere la supremazia.
Perchè parlo di cinismo?
Perchè chi sostiene questa posizione compie l'imperdonabile errore di sottovalutare le conseguenze gravissime sulla popolazione delle emissioni nocive dell'ILVA.
Oltre al gruppo siderurgico del sig.Riva, la città pugliese ospita altri otto impianti industriali, che hanno fatto inserire a buon diritto la città tra le “aree ad elevato rischio di crisi ambientale” con Decreto del Presidente della Repubblica del novembre 1990.
Taranto ha infatti il primato italiano nelle emissioni in atmosfera di Idrocarburi Policiclici Aromatici (Ipa), di diossina, di piombo, di mercurio, di benzene, emissioni quasi tutte concentrate nell'impianto Ilva.

"In dieci anni — dice Mazza (primario di ematologia all'ospedale «Moscati» di Taranto) — leucemie, mielomi e linfomi sono aumentati del 30-40%."
"Tre mamme il cui latte risulta contaminato dalla diossina, cinque adulti che scoprono di avere il livello di contaminazione da diossina più alto del mondo, 1.200 pecore e capre di cui la Regione Puglia ordina l'abbattimento, forti sospetti di contaminazione nel raggio di 10 chilometri dal polo industriale (con i monitoraggi sospesi perché sempre «positivi ») sono, più che un allarme, una emergenza nazionale. La diossina si accumula nel tempo e a Taranto ce n'è per 9 chili, il triplo di Seveso (la città contaminata nel 1976). Ma sono sette le sostanze cancerogene e teratogene che, con la diossina, colpiscono Taranto come sette piaghe bibliche."(http://www.corriere.it/cronache/08_ottobre_21/fumo_diossina_3e4495ce-9f40-11dd-b0d4-00144f02aabc.shtml).

Ed ancora:
" Tre anni fa, S. aveva 10 anni. E senza aver mai fumato una sigaretta in vita sua era già conciato come un fumatore incallito.Mazza temeva di avere sbagliato diagnosi. Invece no. Quel bimbo aveva proprio un cancro da fumatore: adenocarcinoma del rinofaringe. Come tanti altri tarantini, specie quelli del Tamburi, "il quartiere dei morti viventi"".

Non parlerò con voce accorata dei morti dell'ILVA,nè vestirò i panni di una prefica. Credo che in questi casi le parole valgano poco. Indosserò,invece,la maschera del cinico calcolatore per rivolgermi ancora una volta a chi dinanzi a questa tragedia pensa che tutto ciò sia ineludibile perchè è in gioco il maggior impianto siderurgico dell'Europa e dimostrerò la scarsa lungimiranza di costoro:ebbene,badando al lato economico della faccenda,mi chiedo (e chiedo a costoro) a quanto ammontano le spese per curare tutti coloro che si sono ammalati di tumore a causa dei fumi dell'ILVA;
a quanto ammonterebbero le sanzioni che la Commissione Europea potrebbe imporre e cosa accadrebbe qualora da Bruxelles arrivasse l'ordine di chiudere l'impianto;a quanto ammontano i danni sull'agricoltura e sull'allevamento nelle zone limitrofe all'impianto;mi chiedo infine quanto denaro sarebbe necessario per risarcire,per es.,i cittadini qualora venissero accertate le responsabilità dell'ILVA (diversi sono i casi come questo:http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/26025.htmlo questo:http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/21066.html).
Non è un buon rendere,a conti fatti. E' una tragedia anche dal punto di vista economica,a lungo andare.

Ma voi..voi ci venite a ballare all'ILVA?

Fonte:
Riflessioni
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E' inutile. E' l'effetto Nimby,non lo puoi scollare dai geni umani. Si fa presto a difendere a spada tratta la causa dello sviluppo economico appellandosi al "ricatto occupazionale",è sin troppo semplice quando ciò che si sostiene non è di certo nel giardino della propria dimora.

Gli operai dell'ILVA di Taranto sono 13.630, di cui circa la metà tarantini;

l'ILVA è il più grosso stabilimento siderurgico in tutta Europa e rappresenta il motore dell'economia tarantina.
Pensare di chiudere l'ILVA sarebbe dunque follia (se follia è definibile il pensiero di chi pospone le ragioni dell'occupazione a quelle della salute di un'intera città),ma forse lo è ancor più credere che questo colosso industriale possa ricondurre i propri standard di emissione di sostanze inquinanti a quelli europei. Sì,perchè in materia legislativa i limiti imposti dalla legge italiana (legge 152/06 ,si approfondisca qui:http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/22183.html ) sono molto poco restrittivi rispetto alle normative europee:10000 nanogrammi di concentrazione totale delle diossine per la legge 152/06 contro i 0,4 nanogrammi di tossicità equivalente imposta da Bruxelles;
inoltre,l’ILVA non ha ancora ottenuto da Bruxelles l’autorizzazione integrata (AIA) conforme alla direttiva IPPC secondo cui gli impianti già in servizio prima del 30 Ottobre 1999 dovevano essere messi in conformità ai requisiti della direttiva IPPC entro il 30 Ottobre 2007 (http://www.agoravox.it/ILVA-Taranto-e-Diossina-Da.html e per approfondimenti su IPPC e AIA:http://www.arpa.fvg.it/index.php?id=270 ).

Dunque,la follia pare proprio,a questo punto,sperare che le cose cambino e che l'ILVA si decida ad attenuare drasticamente le proprie emissioni attraverso un processo di ammodernamento dell'impianto.

L'importanza strategica di tale impianto non viene messa in discussione dalla sottoscritta,poichè non è mia intenzione fare della retorica moralistica fine a se stessa. Il punto è che,evidentemente,chi si limita a giustificare il disastro ecologico-umano prodotto dall'ILVA ricorrendo ad argomentazioni di natura economica o sociale in riferimento al numero di operai a cui tale complesso dà il lavoro pecca di scarsa informazione e flebile lungimiranza,oltre che di un cinismo tipico di chi,per l'appunto ritornando all'introduzione del post,è a favore di queste mostruosità della macchina economica evidentemente lontane da casa propria. Perchè parlo di scarsa informazione?

Perchè basta spostarsi al Nord e verificare come le cose funzionino già diversamente:
"Se il camino dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva fosse in Friuli Venezia Giulia si applicherebbe una normativa regionale che recepisce i limiti europei (espressi non in "concentrazione totale" ma in "indice di tossicità equivalente"): il limite sarebbe 0,4 nanogrammi a metro cubo. In questo caso vi sarebbe un superamento di oltre 27 volte del limite previsto.
"In caso di superamento del suddetto limite, l’impianto di sintetizzazione dell’agglomerato dovrà essere immediatamente fermato", recita il decreto della Regione Friuli Venezia Giulia.”"(tratto da http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/22205.html ).
Ovviamente questo è solo un esempio,ma ce ne son tanti (un altro potrebbe essere quello delle acciaierie «Lucchini» a Servola, Trieste).

Dunque,chi invoca un'industrializzazione prudente ed il più possibile rispettosa dei diritti dei cittadini (primo fra tutti il diritto alla salute) non è qualche pazzo delirante moralista,ma la LEGGE. La santa,cara LEGGE. Se poi ci si sposta in Europa,come si è già avuto modo di dire,le cose vanno ancora meglio.
Dunque,è davvero poco intelligente appellarsi alla causa della supremazia dell'economia,perchè altrove le cose funzionano diversamente:altrove è la legge ad avere la supremazia.
Perchè parlo di cinismo?
Perchè chi sostiene questa posizione compie l'imperdonabile errore di sottovalutare le conseguenze gravissime sulla popolazione delle emissioni nocive dell'ILVA.
Oltre al gruppo siderurgico del sig.Riva, la città pugliese ospita altri otto impianti industriali, che hanno fatto inserire a buon diritto la città tra le “aree ad elevato rischio di crisi ambientale” con Decreto del Presidente della Repubblica del novembre 1990.
Taranto ha infatti il primato italiano nelle emissioni in atmosfera di Idrocarburi Policiclici Aromatici (Ipa), di diossina, di piombo, di mercurio, di benzene, emissioni quasi tutte concentrate nell'impianto Ilva.

"In dieci anni — dice Mazza (primario di ematologia all'ospedale «Moscati» di Taranto) — leucemie, mielomi e linfomi sono aumentati del 30-40%."
"Tre mamme il cui latte risulta contaminato dalla diossina, cinque adulti che scoprono di avere il livello di contaminazione da diossina più alto del mondo, 1.200 pecore e capre di cui la Regione Puglia ordina l'abbattimento, forti sospetti di contaminazione nel raggio di 10 chilometri dal polo industriale (con i monitoraggi sospesi perché sempre «positivi ») sono, più che un allarme, una emergenza nazionale. La diossina si accumula nel tempo e a Taranto ce n'è per 9 chili, il triplo di Seveso (la città contaminata nel 1976). Ma sono sette le sostanze cancerogene e teratogene che, con la diossina, colpiscono Taranto come sette piaghe bibliche."(http://www.corriere.it/cronache/08_ottobre_21/fumo_diossina_3e4495ce-9f40-11dd-b0d4-00144f02aabc.shtml).

Ed ancora:
" Tre anni fa, S. aveva 10 anni. E senza aver mai fumato una sigaretta in vita sua era già conciato come un fumatore incallito.Mazza temeva di avere sbagliato diagnosi. Invece no. Quel bimbo aveva proprio un cancro da fumatore: adenocarcinoma del rinofaringe. Come tanti altri tarantini, specie quelli del Tamburi, "il quartiere dei morti viventi"".

Non parlerò con voce accorata dei morti dell'ILVA,nè vestirò i panni di una prefica. Credo che in questi casi le parole valgano poco. Indosserò,invece,la maschera del cinico calcolatore per rivolgermi ancora una volta a chi dinanzi a questa tragedia pensa che tutto ciò sia ineludibile perchè è in gioco il maggior impianto siderurgico dell'Europa e dimostrerò la scarsa lungimiranza di costoro:ebbene,badando al lato economico della faccenda,mi chiedo (e chiedo a costoro) a quanto ammontano le spese per curare tutti coloro che si sono ammalati di tumore a causa dei fumi dell'ILVA;
a quanto ammonterebbero le sanzioni che la Commissione Europea potrebbe imporre e cosa accadrebbe qualora da Bruxelles arrivasse l'ordine di chiudere l'impianto;a quanto ammontano i danni sull'agricoltura e sull'allevamento nelle zone limitrofe all'impianto;mi chiedo infine quanto denaro sarebbe necessario per risarcire,per es.,i cittadini qualora venissero accertate le responsabilità dell'ILVA (diversi sono i casi come questo:http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/26025.htmlo questo:http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/21066.html).
Non è un buon rendere,a conti fatti. E' una tragedia anche dal punto di vista economica,a lungo andare.

Ma voi..voi ci venite a ballare all'ILVA?

Fonte:
Riflessioni

Italiani in Terra Santa


Pochi giorni prima del viaggio di Napolitano e degli industriali italiani in Israele (documento n. 1), un cittadino italiano aveva fatto conoscenza con i democratici metodi israeliani (documento n. 2).

Doc. n. 1 - Tel Aviv, missione imprenditoriale multisettoriale
L'ICE, la Confindustria e l'ABI, sotto l'egida del Ministero dello Sviluppo Economico e in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, organizzano una missione imprenditoriale che si terrà a Tel Aviv dal 25 al 28 novembre 2008, in occasione della visita di Stato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in Israele. La missione si pone il duplice obiettivo di rafforzare la presenza del sistema industriale italiano nel Paese, e di presentare alle nostre imprese il mercato israeliano e le sue eccellenze, al fine di incrementare le nostre vendite su questo mercato e promuovere collaborazioni che combinino la forte capacità industriale italiana con le sofisticate tecnologie sviluppate dalle imprese israeliane.
(dal sito http://vega.ice.gov.it)

Doc. n. 2 - "L'unica democrazia del Medio Oriente": sapevate che gli italiani vengono trattati in questo modo?
Abbiamo intervistato Vittorio Arrigoni, attivista dell'International Solidarity Movement, rapito ieri dalle forze israeliane mentre si trovava in mare con i pescatori di Gaza, anch'essi sequestrati e poi liberati questa mattina. Al momento, Vittorio è rinchiuso nel carcere di Ramle. Si sente un gran frastuono: i suoi compagni di cella, rifugiati eritrei fuggiti dalla guerra, stanno guardando una partita.

D. Come stai?
R. Eh, ora che ho ripreso contatto con il mondo esterno, meglio... La notizia della liberazione dei 15 pescatori mi ha tirato su di morale. Ieri avevamo iniziato uno sciopero della fame, proprio per ottenerne la scarcerazione...

D. Ci racconti cos'è successo ieri mattina? Sai, un importante quotidiano italiano, che oggi ha riportato un trafiletto sul vostro sequestro, ha parlato di pescatori e attivisti "prelevati" dai militari israeliani... Per il resto, tg e testate più importanti hanno osservato il silenzio assoluto.
R. Altro che "prelevati"! Si è trattato di un rapimento, di un sequestro di persona in piena regola! Eravamo in mare, a 6 miglia nautiche al largo delle coste di Gaza (per il diritto internazionale si tratta di acque gazesi, ndr), con tre pescherecci, quando ci siamo di trovati di fronte una scena incredibile: navi da guerra, e gommoni Zodiac, da cui sono spuntate teste di cuoio, militari incappucciati e armatissimi. Un attacco bellico in piena regola contro pescatori e pacifisti, da non crederci! Due pescherecci sono stati subito bloccati e le persone a bordo sequestrate. Poi, hanno circondato il nostro. Io mi sono arrampicato sul tetto della barca e ho cercato di parlare al capitano: "Che problema vi creano dei pescatori? Problemi di sicurezza? Di che avete paura?", ho chiesto. Ma non ne ho ottenuto risposte. Da dietro le maschere, quegli uomini, giovanissimi, ci guardavano con occhi che sprizzavano odio. Un odio animalesco. Li educano all'odio e al disprezzo verso i palestinesi.

D. Poi, com'è andata a finire?
R. Sono saltati a bordo, all'arrembaggio. Ho detto loro, mentre mi puntavano le loro armi contro la testa: "Allora, uccidetemi!". Mi hanno sparato contro con una pistola elettrica, la Taser, made in Usa, che scarica scosse elettriche ad alto voltaggio, molto pericolose. Poi, hanno cercato di buttarmi giù dal tetto, temendo di cadere e rompermi la spina dorsale, mi sono gettato in mare e ho iniziato a nuotare verso riva, inseguito dagli spari di proiettili veri. Dopo mezz'ora non avevo più fiato e mi sono arreso. Mi hanno portato insieme agli altri nella prigione di Ashkelon, dove ho assistito a scene allucinanti, da campo di concentramento: i pescatori sono stati costretti a spogliarsi e sono stati ammanettati come criminali e portati via. Dico, dei pescatori! Io sono finito nella prigione dove tre anni fa fui rinchiuso e picchiato dai soldati israeliani. Che brutti ricordi. Ci hanno accolto con pesanti insulti, ingiurie, risate di scherno... Sono stato rinchiuso con un altro in un cesso, sì, in un cesso, un posto schifoso e angusto. Per spregio, ovviamente. E sono stato tenuto incatenato alle caviglie.

D. L'ambasciata italiana si sta occupando del tuo caso....
R. Sì, ho ricevuto la visita del Console. Pensa che si è rivolto alla direzione carceraria dicendo loro che avevo il diritto di telefonargli, "secondo il diritto internazionale". Ha usato questa espressione, con loro, che del diritto internazionale e umanitario se ne fanno un baffo...

D. E ora, ti manderanno via...
R. Stiamo aspettando la sentenza di espulsione... Ho lasciato tutto nel mio appartamento di Gaza - passaporto, documenti... E sono molto dispiaciuto per il buon lavoro che stavamo portando avanti con contadini e pescatori, che con la nostra espulsione verrà interrotto.

D. Che è esattamente ciò che vogliono...
R. Già... Cercano di intimidirci. Sono preoccupato anche per i pescatori, a cui hanno sequestrato le tre barche... Esse danno lavoro e sostentamento a circa 50 famiglie. Ma almeno sono liberi... Altri, prima di loro, hanno passato mesi in carcere, nel Negev...

D. Se vi mandano via, tornerete?
R. Vorrei tornare con il prossimo viaggio di Dignity, a dicembre. Certo, faranno di tutto per impedircelo.

(Fonte: www.infopal.it/home.asp del 21 novembre 2008)
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Pochi giorni prima del viaggio di Napolitano e degli industriali italiani in Israele (documento n. 1), un cittadino italiano aveva fatto conoscenza con i democratici metodi israeliani (documento n. 2).

Doc. n. 1 - Tel Aviv, missione imprenditoriale multisettoriale
L'ICE, la Confindustria e l'ABI, sotto l'egida del Ministero dello Sviluppo Economico e in collaborazione con la Regione Emilia Romagna, organizzano una missione imprenditoriale che si terrà a Tel Aviv dal 25 al 28 novembre 2008, in occasione della visita di Stato del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in Israele. La missione si pone il duplice obiettivo di rafforzare la presenza del sistema industriale italiano nel Paese, e di presentare alle nostre imprese il mercato israeliano e le sue eccellenze, al fine di incrementare le nostre vendite su questo mercato e promuovere collaborazioni che combinino la forte capacità industriale italiana con le sofisticate tecnologie sviluppate dalle imprese israeliane.
(dal sito http://vega.ice.gov.it)

Doc. n. 2 - "L'unica democrazia del Medio Oriente": sapevate che gli italiani vengono trattati in questo modo?
Abbiamo intervistato Vittorio Arrigoni, attivista dell'International Solidarity Movement, rapito ieri dalle forze israeliane mentre si trovava in mare con i pescatori di Gaza, anch'essi sequestrati e poi liberati questa mattina. Al momento, Vittorio è rinchiuso nel carcere di Ramle. Si sente un gran frastuono: i suoi compagni di cella, rifugiati eritrei fuggiti dalla guerra, stanno guardando una partita.

D. Come stai?
R. Eh, ora che ho ripreso contatto con il mondo esterno, meglio... La notizia della liberazione dei 15 pescatori mi ha tirato su di morale. Ieri avevamo iniziato uno sciopero della fame, proprio per ottenerne la scarcerazione...

D. Ci racconti cos'è successo ieri mattina? Sai, un importante quotidiano italiano, che oggi ha riportato un trafiletto sul vostro sequestro, ha parlato di pescatori e attivisti "prelevati" dai militari israeliani... Per il resto, tg e testate più importanti hanno osservato il silenzio assoluto.
R. Altro che "prelevati"! Si è trattato di un rapimento, di un sequestro di persona in piena regola! Eravamo in mare, a 6 miglia nautiche al largo delle coste di Gaza (per il diritto internazionale si tratta di acque gazesi, ndr), con tre pescherecci, quando ci siamo di trovati di fronte una scena incredibile: navi da guerra, e gommoni Zodiac, da cui sono spuntate teste di cuoio, militari incappucciati e armatissimi. Un attacco bellico in piena regola contro pescatori e pacifisti, da non crederci! Due pescherecci sono stati subito bloccati e le persone a bordo sequestrate. Poi, hanno circondato il nostro. Io mi sono arrampicato sul tetto della barca e ho cercato di parlare al capitano: "Che problema vi creano dei pescatori? Problemi di sicurezza? Di che avete paura?", ho chiesto. Ma non ne ho ottenuto risposte. Da dietro le maschere, quegli uomini, giovanissimi, ci guardavano con occhi che sprizzavano odio. Un odio animalesco. Li educano all'odio e al disprezzo verso i palestinesi.

D. Poi, com'è andata a finire?
R. Sono saltati a bordo, all'arrembaggio. Ho detto loro, mentre mi puntavano le loro armi contro la testa: "Allora, uccidetemi!". Mi hanno sparato contro con una pistola elettrica, la Taser, made in Usa, che scarica scosse elettriche ad alto voltaggio, molto pericolose. Poi, hanno cercato di buttarmi giù dal tetto, temendo di cadere e rompermi la spina dorsale, mi sono gettato in mare e ho iniziato a nuotare verso riva, inseguito dagli spari di proiettili veri. Dopo mezz'ora non avevo più fiato e mi sono arreso. Mi hanno portato insieme agli altri nella prigione di Ashkelon, dove ho assistito a scene allucinanti, da campo di concentramento: i pescatori sono stati costretti a spogliarsi e sono stati ammanettati come criminali e portati via. Dico, dei pescatori! Io sono finito nella prigione dove tre anni fa fui rinchiuso e picchiato dai soldati israeliani. Che brutti ricordi. Ci hanno accolto con pesanti insulti, ingiurie, risate di scherno... Sono stato rinchiuso con un altro in un cesso, sì, in un cesso, un posto schifoso e angusto. Per spregio, ovviamente. E sono stato tenuto incatenato alle caviglie.

D. L'ambasciata italiana si sta occupando del tuo caso....
R. Sì, ho ricevuto la visita del Console. Pensa che si è rivolto alla direzione carceraria dicendo loro che avevo il diritto di telefonargli, "secondo il diritto internazionale". Ha usato questa espressione, con loro, che del diritto internazionale e umanitario se ne fanno un baffo...

D. E ora, ti manderanno via...
R. Stiamo aspettando la sentenza di espulsione... Ho lasciato tutto nel mio appartamento di Gaza - passaporto, documenti... E sono molto dispiaciuto per il buon lavoro che stavamo portando avanti con contadini e pescatori, che con la nostra espulsione verrà interrotto.

D. Che è esattamente ciò che vogliono...
R. Già... Cercano di intimidirci. Sono preoccupato anche per i pescatori, a cui hanno sequestrato le tre barche... Esse danno lavoro e sostentamento a circa 50 famiglie. Ma almeno sono liberi... Altri, prima di loro, hanno passato mesi in carcere, nel Negev...

D. Se vi mandano via, tornerete?
R. Vorrei tornare con il prossimo viaggio di Dignity, a dicembre. Certo, faranno di tutto per impedircelo.

(Fonte: www.infopal.it/home.asp del 21 novembre 2008)

SISTEMA DI CREAZIONE DEL DEBITO

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venerdì 28 novembre 2008

Della finta “guerra” tra una finta destra e una finta sinistra.


Per chi ancora è vittima del giochino propagandistico con il quale il potere imbonisce il popolo: la finta “guerra” tra una finta destra e una finta sinistra.



di Gianni Barbacetto
(Giornalista)

da Societàcivile.it

È l’uomo più vicino a Massimo D’Alema.

È stato uno dei protagonisti della stagione dei furbetti del quartierino, in strettissimo contatto con Massimo D’Alema e Giovanni Consorte durante la scalata di Unipol a Bnl.

Ha commesso reati, in quell’estate del 2005, come ipotizzano i magistrati di Milano? Non lo sapremo mai, perché il Parlamento non ha concesso ai giudici la possibilità di utilizzare le sue telefonate dell’epoca a Consorte e agli altri furbetti.
Nel novembre 2008 ha mostrato in tv il suo vero volto: a Omnibus, su La7 (guarda il video e guarda il pizzino), ), ha passato un “pizzino” al parlamentare del Pdl Italo Bocchino, per suggerirgli un argomento contro Massimo Donadi dell’Italia dei valori, che accusava il centrodestra di aver impedito l’elezione di Leoluca Orlando alla Commissione di vigilanza Rai, sostituito con Riccardo Villari.
Su un pezzo di carta strappato dal giornale Latorre scrive a Bocchino:
«Io non lo posso dire. E la Corte Costituzionale? E Pecorella?».

Ecco un ritratto di Nicola Latorre, tratto da “Compagni che sbagliano”
(Il Saggiatore 2007).

Nicola Latorre è uno dei parlamentari più intervistati da giornali e tv. Per il suo ruolo ufficiale in Senato (è stato vicepresidente del gruppo Ds).

Ma anche e soprattutto per il suo ruolo informale: è considerato «molto vicino» a Massimo D’Alema; è supposto essere il suo portavoce, o almeno il «segnalatore di clima» del gruppo dalemiano.

Insieme a Giuseppe Caldarola e Antonio Polito fa farte di un trio sempre pronto a portare il soccorso rosso (o rosa) a Berlusconi.

Latorre di D’Alema è stato collaboratore a Palazzo Chigi nel 1998, quando questi era presidente del Consiglio.

Faceva parte di quella che Guido Rossi, ai tempi della scalata Telecom, chiamò «la merchant bank che non parla inglese».

Uscito dalle stanze del governo, è entrato nelle aule parlamentari.

Di D’Alema è rimasto amico, anche se a chi gli chiede se è «dalemiano» risponde con delicatezza: «Non ho il permesso ufficiale per definirmi tale».

Certo a D’Alema era vicino nell’estate del 2005, quando era in corso la scalata dei furbetti del quartierino.

Anzi, era il più vicino, l’ufficiale di collegamento tra D’Alema e Giovanni Consorte, il furbetto rosso di Unipol lanciato alla conquista di Bnl. La sua voce restò anche registrata dalla guardia di finanza, che intercettava Consorte e gli altri furbetti.

Di Consorte continua a proclamarsi amico, anche dopo la sua caduta: «Ho sempre condiviso la determinazione con cui Unipol cercava di acquisire Bnl. E poi ho un rapporto di amicizia con Gianni di cui non mi vergogno» confessa a Vittorio Zincone sul Magazine del Corriere.

Non gli fanno cambiare idea neanche i 46 milioni di euro sequestrati a Consorte: «Salvo smentite, quei soldi non avevano a che fare con l’operazione Bnl. Credo venissero da attività private di Gianni e su queste non esprimo giudizi».

Giudizi positivi invece su Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado per mafia a Palermo, oltre che per frode fiscale e false fatturazioni a Torino e per estorsione a Milano: «È una persona colta e intelligente. Mi ha anche invitato a tenere una lezione al suo club culturale, il Circolo. Gli ho comunicato che non sarei potuto andare, ma è un invito che mi ha fatto piacere. Sono contento e apprezzo di essere stato invitato da un circolo che ha tra i suoi relatori personalità illustri».

Ottimi rapporti anche con Marco Mancini, l’uomo del Supersismi messo in galera per il sequestro di Abu Omar e per i dossier illegali Telecom, con cui Latorre scambia complimenti, auguri e abbracci telefonici, rimasti ahimè registrati negli atti della procura di Milano.

La storia di Latorre comincia a Fasano di Puglia, nei pressi di Brindisi.

Famiglia benestante, padre notabile di provincia. Infanzia nell’Azione cattolica, adolescenza nell’Unione marxista-leninista di Aldo Brandirali, giovinezza nel Pci, corrente migliorista.

Il buon giorno si vede dal mattino, perché Latorre è subito incaricato di occuparsi dei conti, responsabile amministrativo del circolo Fgci di Fasano, e dimostra immediatamente una certa creatività: «Pokerista provetto, investivo i soldi della sezione nei tris e nelle doppiecoppie. Quando non funzionava, c’era il flipper con le corse dei cavalli. Si vincevano 500 lire a botta». Altro che merchant bank.

Nel 1978 il ragazzo è segretario provinciale della Fgci e incontra D’Alema, allora leader nazionale dei giovani comunisti.

«Nacque una bella amicizia». E anche un sodalizio politico, perché il migliorista Latorre restò sempre in contatto con lui.

Nel 1996 si trasferisce a Roma, al seguito di Antonio Bargone, il Ds pugliese che diventa sottosegretario ai Lavori pubblici. Nel 1998 entra prima nella segreteria di D’Alema e poi lo segue a Palazzo Chigi.

Il suo mito politico, però, è Aldo Moro: «Nel 1972 aspettai due ore sotto il palco nella piazza di Fasano per sentire un suo comizio».

Ma non gli dispiace neppure Mariano Rumor, uomo delle infinite mediazioni.

Claudio Velardi, un altro dello staff di D’Alema a Palazzo Chigi, quando voleva insultare Latorre lo chiamava Rumor: «Ma non mi offendevo affatto, sarà che sono pugliese. I Dc, Aldo Moro ...».

Dunque: Latorre è un dalemiano doroteo, o moroteo?

«Ma anche D’Alema è moroteo» risponde pronto. Chissà.

Scendendo sulla terra, Latorre ha un ruolo in faccende ben più concrete.

L’acquisto della Banca del Salento da parte del Monte dei Paschi di Siena, banca «rossa» controllata dai Ds: operazione che si risolse in un salasso per Montepaschi e in una manna per certi azionisti salentini.

E la fondazione di Futura, un’associazione presieduta da D’Alema dopo la sua esperienza di presidente del Consiglio e indicata come un centro per finanziare la corrente.

«Ma no» smentisce Latorre, che per Futura, oggetto alquanto misterioso del dalemismo, inventa una definizione abbastanza morotea: «Era il luogo dove tenere vivo il rapporto con le persone fuori dal partito che si erano avvicinate a noi nel periodo di Palazzo Chigi».

Non è all’altezza di “convergenze parallele”, ma quasi.

Da “Compagni che sbagliano”, di Gianni Barbacetto, Il Saggiatore 2007.
Leggi tutto »

Per chi ancora è vittima del giochino propagandistico con il quale il potere imbonisce il popolo: la finta “guerra” tra una finta destra e una finta sinistra.



di Gianni Barbacetto
(Giornalista)

da Societàcivile.it

È l’uomo più vicino a Massimo D’Alema.

È stato uno dei protagonisti della stagione dei furbetti del quartierino, in strettissimo contatto con Massimo D’Alema e Giovanni Consorte durante la scalata di Unipol a Bnl.

Ha commesso reati, in quell’estate del 2005, come ipotizzano i magistrati di Milano? Non lo sapremo mai, perché il Parlamento non ha concesso ai giudici la possibilità di utilizzare le sue telefonate dell’epoca a Consorte e agli altri furbetti.
Nel novembre 2008 ha mostrato in tv il suo vero volto: a Omnibus, su La7 (guarda il video e guarda il pizzino), ), ha passato un “pizzino” al parlamentare del Pdl Italo Bocchino, per suggerirgli un argomento contro Massimo Donadi dell’Italia dei valori, che accusava il centrodestra di aver impedito l’elezione di Leoluca Orlando alla Commissione di vigilanza Rai, sostituito con Riccardo Villari.
Su un pezzo di carta strappato dal giornale Latorre scrive a Bocchino:
«Io non lo posso dire. E la Corte Costituzionale? E Pecorella?».

Ecco un ritratto di Nicola Latorre, tratto da “Compagni che sbagliano”
(Il Saggiatore 2007).

Nicola Latorre è uno dei parlamentari più intervistati da giornali e tv. Per il suo ruolo ufficiale in Senato (è stato vicepresidente del gruppo Ds).

Ma anche e soprattutto per il suo ruolo informale: è considerato «molto vicino» a Massimo D’Alema; è supposto essere il suo portavoce, o almeno il «segnalatore di clima» del gruppo dalemiano.

Insieme a Giuseppe Caldarola e Antonio Polito fa farte di un trio sempre pronto a portare il soccorso rosso (o rosa) a Berlusconi.

Latorre di D’Alema è stato collaboratore a Palazzo Chigi nel 1998, quando questi era presidente del Consiglio.

Faceva parte di quella che Guido Rossi, ai tempi della scalata Telecom, chiamò «la merchant bank che non parla inglese».

Uscito dalle stanze del governo, è entrato nelle aule parlamentari.

Di D’Alema è rimasto amico, anche se a chi gli chiede se è «dalemiano» risponde con delicatezza: «Non ho il permesso ufficiale per definirmi tale».

Certo a D’Alema era vicino nell’estate del 2005, quando era in corso la scalata dei furbetti del quartierino.

Anzi, era il più vicino, l’ufficiale di collegamento tra D’Alema e Giovanni Consorte, il furbetto rosso di Unipol lanciato alla conquista di Bnl. La sua voce restò anche registrata dalla guardia di finanza, che intercettava Consorte e gli altri furbetti.

Di Consorte continua a proclamarsi amico, anche dopo la sua caduta: «Ho sempre condiviso la determinazione con cui Unipol cercava di acquisire Bnl. E poi ho un rapporto di amicizia con Gianni di cui non mi vergogno» confessa a Vittorio Zincone sul Magazine del Corriere.

Non gli fanno cambiare idea neanche i 46 milioni di euro sequestrati a Consorte: «Salvo smentite, quei soldi non avevano a che fare con l’operazione Bnl. Credo venissero da attività private di Gianni e su queste non esprimo giudizi».

Giudizi positivi invece su Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado per mafia a Palermo, oltre che per frode fiscale e false fatturazioni a Torino e per estorsione a Milano: «È una persona colta e intelligente. Mi ha anche invitato a tenere una lezione al suo club culturale, il Circolo. Gli ho comunicato che non sarei potuto andare, ma è un invito che mi ha fatto piacere. Sono contento e apprezzo di essere stato invitato da un circolo che ha tra i suoi relatori personalità illustri».

Ottimi rapporti anche con Marco Mancini, l’uomo del Supersismi messo in galera per il sequestro di Abu Omar e per i dossier illegali Telecom, con cui Latorre scambia complimenti, auguri e abbracci telefonici, rimasti ahimè registrati negli atti della procura di Milano.

La storia di Latorre comincia a Fasano di Puglia, nei pressi di Brindisi.

Famiglia benestante, padre notabile di provincia. Infanzia nell’Azione cattolica, adolescenza nell’Unione marxista-leninista di Aldo Brandirali, giovinezza nel Pci, corrente migliorista.

Il buon giorno si vede dal mattino, perché Latorre è subito incaricato di occuparsi dei conti, responsabile amministrativo del circolo Fgci di Fasano, e dimostra immediatamente una certa creatività: «Pokerista provetto, investivo i soldi della sezione nei tris e nelle doppiecoppie. Quando non funzionava, c’era il flipper con le corse dei cavalli. Si vincevano 500 lire a botta». Altro che merchant bank.

Nel 1978 il ragazzo è segretario provinciale della Fgci e incontra D’Alema, allora leader nazionale dei giovani comunisti.

«Nacque una bella amicizia». E anche un sodalizio politico, perché il migliorista Latorre restò sempre in contatto con lui.

Nel 1996 si trasferisce a Roma, al seguito di Antonio Bargone, il Ds pugliese che diventa sottosegretario ai Lavori pubblici. Nel 1998 entra prima nella segreteria di D’Alema e poi lo segue a Palazzo Chigi.

Il suo mito politico, però, è Aldo Moro: «Nel 1972 aspettai due ore sotto il palco nella piazza di Fasano per sentire un suo comizio».

Ma non gli dispiace neppure Mariano Rumor, uomo delle infinite mediazioni.

Claudio Velardi, un altro dello staff di D’Alema a Palazzo Chigi, quando voleva insultare Latorre lo chiamava Rumor: «Ma non mi offendevo affatto, sarà che sono pugliese. I Dc, Aldo Moro ...».

Dunque: Latorre è un dalemiano doroteo, o moroteo?

«Ma anche D’Alema è moroteo» risponde pronto. Chissà.

Scendendo sulla terra, Latorre ha un ruolo in faccende ben più concrete.

L’acquisto della Banca del Salento da parte del Monte dei Paschi di Siena, banca «rossa» controllata dai Ds: operazione che si risolse in un salasso per Montepaschi e in una manna per certi azionisti salentini.

E la fondazione di Futura, un’associazione presieduta da D’Alema dopo la sua esperienza di presidente del Consiglio e indicata come un centro per finanziare la corrente.

«Ma no» smentisce Latorre, che per Futura, oggetto alquanto misterioso del dalemismo, inventa una definizione abbastanza morotea: «Era il luogo dove tenere vivo il rapporto con le persone fuori dal partito che si erano avvicinate a noi nel periodo di Palazzo Chigi».

Non è all’altezza di “convergenze parallele”, ma quasi.

Da “Compagni che sbagliano”, di Gianni Barbacetto, Il Saggiatore 2007.

Spie e bombe tedesche in Kosovo?


Di Milo Drulovic e Simone Santini
La notizia è clamorosa: tre cittadini tedeschi sono stati arrestati a Pristina con l'accusa di terrorismo. Lo scorso 14 novembre una bomba era esplosa contro l'Ufficio Civile Internazionale della Ue nella capitale kosovara.
L'attentato, evidentemente dimostrativo, aveva causato danni all'edificio ma nessuna vittima né feriti. Poche ore dopo le autorità kosovare traevano in arresto tre cittadini tedeschi di cui non sono state fornite le generalità.
La notizia, trapelata sul giornale locale Express, è stata quindi confermata da "Der Spiegel" e dal "Suddeutsche Zeitung".
Un appartenente al gruppo avrebbe subito ammesso di essere un agente del BND, il servizio segreto germanico.
L'uomo era stato visto scattare fotografie sul luogo, ed al momento dell'arresto nel suo albergo sono stati rinvenuti oggetti che lo collegherebbero all'attentato, tra cui cartine topografiche della zona. Secondo indiscrezioni la polizia kosovara sarebbe addirittura in possesso di un video che riprende il commando durante l'azione.
Le autorità tedesche si sono limitate a smentire categoricamente che apparati governativi germanici possano in qualunque modo essere implicati in attentati all'estero, eventualità definita semplicemente "assurda". Anche l'appartenenza dei tre uomini ai servizi è stata smentita, almeno ufficialmente i tre non avevano alcun accreditamento e non godono di immunità diplomatica. Secondo "Der Spiegel" (ma la notizia non è confermata) il gruppo lavorava proprio negli uffici oggetti dell'attentato.
Il caso sta creando non poco imbarazzo e tensione tra Berlino e Pristina. Il momento è particolarmente delicato, visto che sono in corso negoziati per il passaggio di poteri tra la missione UNMIK delle Nazioni Unite e la missione Eulex della UE, per l'organismo che avrà il compito dell'amministrazione civile sul Kosovo su cui vige un protettorato internazionale dalla fine della guerra del 1999 .
Mentre Bruxelles e Belgrado avevano raggiunto un accordo sulla definizione giuridica della nuova missione Eulex, Pristina l'ha radicalmente rigettato ritenendolo un passo indietro rispetto alla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia proclamata lo scorso febbraio.
L'attentato dei giorni scorsi era subito stato messo in relazione con le vicende contrastate dei negoziati. Ma con quali scopi? Ora l'intrigo diventa internazionale.


Fonte: Clarissa.it
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Di Milo Drulovic e Simone Santini
La notizia è clamorosa: tre cittadini tedeschi sono stati arrestati a Pristina con l'accusa di terrorismo. Lo scorso 14 novembre una bomba era esplosa contro l'Ufficio Civile Internazionale della Ue nella capitale kosovara.
L'attentato, evidentemente dimostrativo, aveva causato danni all'edificio ma nessuna vittima né feriti. Poche ore dopo le autorità kosovare traevano in arresto tre cittadini tedeschi di cui non sono state fornite le generalità.
La notizia, trapelata sul giornale locale Express, è stata quindi confermata da "Der Spiegel" e dal "Suddeutsche Zeitung".
Un appartenente al gruppo avrebbe subito ammesso di essere un agente del BND, il servizio segreto germanico.
L'uomo era stato visto scattare fotografie sul luogo, ed al momento dell'arresto nel suo albergo sono stati rinvenuti oggetti che lo collegherebbero all'attentato, tra cui cartine topografiche della zona. Secondo indiscrezioni la polizia kosovara sarebbe addirittura in possesso di un video che riprende il commando durante l'azione.
Le autorità tedesche si sono limitate a smentire categoricamente che apparati governativi germanici possano in qualunque modo essere implicati in attentati all'estero, eventualità definita semplicemente "assurda". Anche l'appartenenza dei tre uomini ai servizi è stata smentita, almeno ufficialmente i tre non avevano alcun accreditamento e non godono di immunità diplomatica. Secondo "Der Spiegel" (ma la notizia non è confermata) il gruppo lavorava proprio negli uffici oggetti dell'attentato.
Il caso sta creando non poco imbarazzo e tensione tra Berlino e Pristina. Il momento è particolarmente delicato, visto che sono in corso negoziati per il passaggio di poteri tra la missione UNMIK delle Nazioni Unite e la missione Eulex della UE, per l'organismo che avrà il compito dell'amministrazione civile sul Kosovo su cui vige un protettorato internazionale dalla fine della guerra del 1999 .
Mentre Bruxelles e Belgrado avevano raggiunto un accordo sulla definizione giuridica della nuova missione Eulex, Pristina l'ha radicalmente rigettato ritenendolo un passo indietro rispetto alla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia proclamata lo scorso febbraio.
L'attentato dei giorni scorsi era subito stato messo in relazione con le vicende contrastate dei negoziati. Ma con quali scopi? Ora l'intrigo diventa internazionale.


Fonte: Clarissa.it

Domani a Reggio Emilia Sonia Alfano svela gli atti processuali : «Parlerò di infiltrazioni nel vostro territorio»


Sta per abbattersi su Reggio un nuovo uragano che potrebbe far tremare i pilastri della città.
Torna a Reggio Sonia Alfano che leggerà gli atti processuali del processo Lembo,ex magistrato della procura nazionale antimafia accusato di favoreggiamento dell'associazione mafiosa.
Lembo aveva consentito,nel 2000,al falso pentito Luigi Sparacio i privilegi dei pentiti di mafia.
.
L’appuntamento è per domani alle ore 16 presso la Gabella di Porta Santa Croce in via Roma dove Sonia Alfano, presidente dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia,leggerà gli Atti e parlerà di lotta alla criminalità organizzata.
L’incontro è aperto a tutti «perchè la cultura della legalità e la lotta al crimine organizzato devono essere patrimonio comune,al di là di ogni barriera ideologica» come scrivono gli Amici di Beppe Grillo-Grilli Reggiani organizzatori dell’incontro. «Leggerò gli atti del processo Lembo ma non solo.
Lo farò perché la volta scorsa li avevo lasciati perchè qualcuno della stampa li riprendesse ma non è successo e credo che leggerli insieme alla cittadinanza possa essere una buona riflessione» commenta Sonia Alfano al telefono.
Ma non parlerà solo di questo:«Parlerò di infiltrazioni e malavita organizzata nel tessuto di Reggio» spiega. Sonia Alfano torna in città per la terza volta in pochi mesi, clamorosa la sua ultima conferenza del 25 ottobre in cui ha attaccato il procuratore capo Italo Materia in relazione al processo Lembo, dove anche
Materia fu ascoltato perchè collaboratore di Lembo ai tempi del fatto. Secondo la
Alfano,«Italo Materia fu uno degli artefici della relazione che consentì di tenere in piedi il sistema di benefici» al falso pentito.
La Alfano ha poi più volte denunciato la presenza di infiltrazioni malavitose di 'ndrangheta e casalesi in Emilia Romagna ed a Reggio.Le sue parole seguirono la denuncia di Enrico Bini,presidenteCna,
che denunciò di aver ricevuto minacce da clan legati alla malavita organizzata.
La Alfano arriverà dopo una serata a Bologna:stasera sarà infatti impegnata là in una iniziativa contro le infiltrazioni malavitose promossa dal locale gruppo degli Amici di Grillo ed altre Associazioni locali impegnate su questi temi.
La presidente dell’associazione ha cercato di portare a Reggio anche altre famiglie di vittime della mafia ma domani nessuno potrà partecipare:

«Sto cercando di contattare una famiglia che abiti a nord e per l’anno prossimo sicuramente saranno molte le famiglie che potranno raccontare le loro esperienze.a Gennaio alcune verranno nelle scuole per parlare di mafia ai ragazzi,a maggio altre saranno ospiti di alcune iniziative dell’Arci» spiega. Sul modo in cui verranno letti gli atti e se ci sarà un nuovo caos di polemiche Matteo Olivieri degli Amici di Beppe Grillo commenta:«Sarà una lettura del tutto imparziale e diretta e questo lascia la sorpresa di quello che accadrà esu eventuali “bombe”sul processo».
Intanto ieri la Cna ha approvato un documento in cui lancia l'allarme su legalità e criminalità alle istituzioni.
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Sta per abbattersi su Reggio un nuovo uragano che potrebbe far tremare i pilastri della città.
Torna a Reggio Sonia Alfano che leggerà gli atti processuali del processo Lembo,ex magistrato della procura nazionale antimafia accusato di favoreggiamento dell'associazione mafiosa.
Lembo aveva consentito,nel 2000,al falso pentito Luigi Sparacio i privilegi dei pentiti di mafia.
.
L’appuntamento è per domani alle ore 16 presso la Gabella di Porta Santa Croce in via Roma dove Sonia Alfano, presidente dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia,leggerà gli Atti e parlerà di lotta alla criminalità organizzata.
L’incontro è aperto a tutti «perchè la cultura della legalità e la lotta al crimine organizzato devono essere patrimonio comune,al di là di ogni barriera ideologica» come scrivono gli Amici di Beppe Grillo-Grilli Reggiani organizzatori dell’incontro. «Leggerò gli atti del processo Lembo ma non solo.
Lo farò perché la volta scorsa li avevo lasciati perchè qualcuno della stampa li riprendesse ma non è successo e credo che leggerli insieme alla cittadinanza possa essere una buona riflessione» commenta Sonia Alfano al telefono.
Ma non parlerà solo di questo:«Parlerò di infiltrazioni e malavita organizzata nel tessuto di Reggio» spiega. Sonia Alfano torna in città per la terza volta in pochi mesi, clamorosa la sua ultima conferenza del 25 ottobre in cui ha attaccato il procuratore capo Italo Materia in relazione al processo Lembo, dove anche
Materia fu ascoltato perchè collaboratore di Lembo ai tempi del fatto. Secondo la
Alfano,«Italo Materia fu uno degli artefici della relazione che consentì di tenere in piedi il sistema di benefici» al falso pentito.
La Alfano ha poi più volte denunciato la presenza di infiltrazioni malavitose di 'ndrangheta e casalesi in Emilia Romagna ed a Reggio.Le sue parole seguirono la denuncia di Enrico Bini,presidenteCna,
che denunciò di aver ricevuto minacce da clan legati alla malavita organizzata.
La Alfano arriverà dopo una serata a Bologna:stasera sarà infatti impegnata là in una iniziativa contro le infiltrazioni malavitose promossa dal locale gruppo degli Amici di Grillo ed altre Associazioni locali impegnate su questi temi.
La presidente dell’associazione ha cercato di portare a Reggio anche altre famiglie di vittime della mafia ma domani nessuno potrà partecipare:

«Sto cercando di contattare una famiglia che abiti a nord e per l’anno prossimo sicuramente saranno molte le famiglie che potranno raccontare le loro esperienze.a Gennaio alcune verranno nelle scuole per parlare di mafia ai ragazzi,a maggio altre saranno ospiti di alcune iniziative dell’Arci» spiega. Sul modo in cui verranno letti gli atti e se ci sarà un nuovo caos di polemiche Matteo Olivieri degli Amici di Beppe Grillo commenta:«Sarà una lettura del tutto imparziale e diretta e questo lascia la sorpresa di quello che accadrà esu eventuali “bombe”sul processo».
Intanto ieri la Cna ha approvato un documento in cui lancia l'allarme su legalità e criminalità alle istituzioni.

Giulietto Chiesa su signoraggio, Europa7, informazione.

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ECONOMIA SOLIDALE: Dal Sud una risposta alla crisi



Se ne discuterà il prossimo sabato 29 novembre 2008 alle 10:30 a Napoli presso l'Hotel Sant'Angeloi n piazza Garibaldi, 60/63 in una tavola rotondaa cura del Movimento "Insorgenza Civile"e della testata "Il Brigante"

Il fallimento dell'economia di carta susseguente al crollo dei mercati finanziari apre una serie di interrogativi sui riassetti futuri possibili.

Tra questi, dal nostro Sud arriva un modello che, riequilibrando quelle anomalie che hanno alterato un intero sistema economico, prova a disegnare nuove dinamiche capaci di coniugare sviluppo economico, sociale e una migliore qualità della vita.

Il Movimento "Insorgenza Civile" in collaborazione con la testata multimediale "Il Brigante" ed alcuni graditi ospiti analizzerà questi temi nel corso di una tavola rotonda in programma per il prossimo sabato 29 novembre 2008 dalle ore 10:30 a Napoli, presso le sale dell'Hotel Sant'Angelo sito in Piazza Garibaldi, n° 60/63.

Titolo dell'incontro pubblico sarà:

"ECONOMIA SOLIDALE"DAL SUD UNA RISPOSTA ALLA CRISI

Interventi: Vittoria Mariani

Insorgenza Civile Salvatore Ronghi MpA - Regione Campania

Francesco Gentile Pres. Ass. Sindacale Sud Solidale

Raffaele Di Monda Pres. Ass. L'Ego di Napoli -

P.I.N. Moderatore:Gino Giammarino direttore de "Il Brigante"


Contatti: tel. 081 4972320
-----------------------------------------------------------------------------------------
CRISI: INSORGENZA CIVILE, IVA AL 5% PER PRODOTTI MERIDIONALI (ANSA) -
NAPOLI, 27 NOV - Iva al 5% per i prodotti del Sud, stop agli studi di settore, politiche di valorizzazione dei prodotti locali, e leggi severe sull' etichettatura.
Queste le principali proposte anti-crisi del movimento
''Insorgenza Civile'', che terra' un convegno sabato alle 10.30 all' Hotel ''Santangelo'', in Piazza Garibaldi, sul tema :
''Dal Sud una risposta alla crisi''
La ricetta di Insorgenza Civile - afferma il portavoce Vittoria Mariani - si basa sulla formula ''Compra Sud'', con l' autovalorizzazione della produzione locale, e guarda alla creazione di aree di interscambio macroregionali, a partire da un mercato del mediterraneo''.
(ANSA).
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Se ne discuterà il prossimo sabato 29 novembre 2008 alle 10:30 a Napoli presso l'Hotel Sant'Angeloi n piazza Garibaldi, 60/63 in una tavola rotondaa cura del Movimento "Insorgenza Civile"e della testata "Il Brigante"

Il fallimento dell'economia di carta susseguente al crollo dei mercati finanziari apre una serie di interrogativi sui riassetti futuri possibili.

Tra questi, dal nostro Sud arriva un modello che, riequilibrando quelle anomalie che hanno alterato un intero sistema economico, prova a disegnare nuove dinamiche capaci di coniugare sviluppo economico, sociale e una migliore qualità della vita.

Il Movimento "Insorgenza Civile" in collaborazione con la testata multimediale "Il Brigante" ed alcuni graditi ospiti analizzerà questi temi nel corso di una tavola rotonda in programma per il prossimo sabato 29 novembre 2008 dalle ore 10:30 a Napoli, presso le sale dell'Hotel Sant'Angelo sito in Piazza Garibaldi, n° 60/63.

Titolo dell'incontro pubblico sarà:

"ECONOMIA SOLIDALE"DAL SUD UNA RISPOSTA ALLA CRISI

Interventi: Vittoria Mariani

Insorgenza Civile Salvatore Ronghi MpA - Regione Campania

Francesco Gentile Pres. Ass. Sindacale Sud Solidale

Raffaele Di Monda Pres. Ass. L'Ego di Napoli -

P.I.N. Moderatore:Gino Giammarino direttore de "Il Brigante"


Contatti: tel. 081 4972320
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CRISI: INSORGENZA CIVILE, IVA AL 5% PER PRODOTTI MERIDIONALI (ANSA) -
NAPOLI, 27 NOV - Iva al 5% per i prodotti del Sud, stop agli studi di settore, politiche di valorizzazione dei prodotti locali, e leggi severe sull' etichettatura.
Queste le principali proposte anti-crisi del movimento
''Insorgenza Civile'', che terra' un convegno sabato alle 10.30 all' Hotel ''Santangelo'', in Piazza Garibaldi, sul tema :
''Dal Sud una risposta alla crisi''
La ricetta di Insorgenza Civile - afferma il portavoce Vittoria Mariani - si basa sulla formula ''Compra Sud'', con l' autovalorizzazione della produzione locale, e guarda alla creazione di aree di interscambio macroregionali, a partire da un mercato del mediterraneo''.
(ANSA).

Comunicato stampa presidio permanente contro la discarica di Chiaiano e Marano


Comunicato Stampa



“Ringraziamenti al generale Giannini. Nuove integrazioni, nuove info e nuovi esposti in Procura dei Comitati, dell’associazione giuristi democratici e del sindaco di Marano. Interrogazione parlamentare dell’Idv”

Forse dovremmo addirittura ringraziare il generale Giannini!

Se infatti si procederà sulla sua denuncia contro i comitati dei cittadini per calunnia e vilipendio delle forze armate sulla vicenda “Amianto e Rifiuti Speciali a Chiaiano”, ci sarà finalmente un ambito istituzionale in cui sarà possibile appurare cosa hanno combinato nella cava di Chiaiano in questo ultimo mese!

Per parte nostra continuiamo a contribuire all’accertamento dei fatti con nuove integrazioni all’esposto già presentato.Integrazioni che porteremo domani in Procura e che vedranno la firma anche dell’associazione giuristi democratici. Si tratta in parte di nuovi materiali video e fotografici che arrivano fino all’11 novembre, in parte di materiali video già depositati, ma con migliore risoluzione. Più qualche documento…

I dati oggettivi che si evincono con sempre maggior forza sono:

1) E’ stata fatta, almeno in una prima fase, una movimentazione del pezzo di discarica abusiva in cui si trova l’amianto con metodologie che non corrispondono per niente alle norme di legge estremamente precise in merito altrattamento di materiali tanto pericolosi.

Che la movimentazione sia avvenuta lo si evince dai video, ma anche dalle due foto che alleghiamo e che ritraggono la collinetta della discarica il 28 ottobre e l’11 novembre. Nella prima si capisce che ci sono rifiuti speciali, ma nella seconda compare con grande evidenza il colore celeste del materiale tossico e dei sacchi celesti dell’Enel (presumiamo si tratti di quelli di cui parla lo stesso Giannini nell’intervista a Repubblica del 3 novembre 08).

Quindi il materiale della parte di sopra è stata rimosso!

L’operazione avviene quando il Commissariato è già abbondantemente a conoscenza della presenza di amianto(anche il 28 ottobre), perchè c’è un documento dellaIBI (la ditta dei lavori) all’Asl, del 17 ottobre 08 in cui già si denuncia la presenza di ingenti quantità di amianto e la necessità di procedere a una bonifica. Si parla dell’inertizzazione a terra, dell’imbustamento ecc, ma niente del genere è stato fatto nella prima fase!

2) E’ un fatto che nell’area della cava hanno realizzato una vasca coperta con i teloni, che non serviva per i rifiuti solidi urbani. Dai filmati si vede che vi hanno sversato non solo terra ma anche altri materiali e rifiuti speciali (nel video si vede ad esempio con chiarezza del materiale di coibentazione). E, del resto, dopo il nostro esposto del 29 ottobre e dopo l’intervista dello stesso generale Giannini a La Repubblica in cui si parla di 10.000 tonnellate di amianto (!) è arrivata una prima ispezione della procura che ha effettivamente verificato la presenza di eternit in questa vasca e in altre. Lo riportavano il giorno dopo anche le cronache dei giornali, che però ipotizzavano che tutte le vasche fossero state realizzate precedentemente. Se questo è o meno un comportamento che rasenta quello delle ecomafie è il generale Giannini a dirlo e non noi…

Noi ci siamo limitati a fare un esposto e ci aspettiamo che la Procura approfondisca per davvero!
Comunque se il generale Giannini è tanto ansioso di difendere l’onorabilità del comportamento dei militari e del Commissariato, potrebbe dare contributi molto importantiall’emersione della verità:

a) Spiegando cosa è, e a cosa è servita la vasca

b) Fornendo finalmente una tracciatura della destinazione del materiale rimosso dalla collina, così come del terreno tossico rimosso dal fondo della cava (e che nei filmati sivede anche qui rimuovere alla meglio con le pale e,probabilmente, sversare nella vasca). Che fine ha fatto questo materiale? Che problema hanno a spiegarlo?

c) Spiegando come hanno fatto, nelle “minuziose” indagini ambientali di giugno, a non vedere una tale quantità diamianto. E soprattutto, visto che questa discarica è stata trovata “casualmente” per via dei lavori, perchè sono sicuri che non ce ne sia altro… E perchè invece non si blocca tutto per procedere a una bonifica dell’area come è avvenuto a Pianura. Vale più il puntiglio di Bertolaso e Berlusconi o la salute della cittadinanza!?
Purtroppo Giannini e Bertolaso continuano a evitare ogni forma di trasparenza: addirittura quando operatori dei media nazionali, in seguito alla nostra denuncia pubblica, hannochiesto di visitare i luoghi, prima hanno detto si, poi hanno rinviato di almeno una settimana… perchè? Per modificare lo scenario? Perchè tanta segretezza!?

Qui nons tiamo parlando di una base militare! Stiamo parlando della tutela del diritto alla salute di noi cittadini che lì intorno ci abitiamo!!
*Ricordiamo che sulla questione è già in corso :

- un’interrogazione alla Commissione Europea dell’Eurodeputata Monica Frassoni e che, a giorni, cisarà un’interrogazione parlamentare dell’On Barbato dell’IDV e un altro esposto del Sindaco di Marano.
Domani, venerdì 28 novembre, assemblea pubblica di informazione nellla sala consiliare di Marano in via G.Falcone alle ore 18,00. Per i giornalisti che vogliono acquisire i nuovi materiali video-fotografici e altri documenti utili, verranno distribuiti dei dossier. Sempre che ci sia ancora voglia di fare un giornalismo “nonembedded” sulla vicenda rifiuti…

(Scusate, ma visti glis cenari da “guerra ai rifiuti” la battuta era inevitabile.Però non è solo una battuta, dal momento che anche qui si può “materialmente vedere” solo quello che i militari decidono di mostrare..).
ps: A proposito di trasparenza e nuovo corso:

La IBI, la ditta scelta per i lavori nella cava di Chiaiano, ha davvero un curriculum interessante! Nel 2004 viene inquisita per aver sversato materiali inquinanti nella discarica che aveva in costruzione a Bellolampo (in Sicilia - una storia,nel complesso incredibilmente simile a quella di Chiaiano);Il suo rappresentante legale, Dott.ssa Alessandra D’Amico è poi iscritta nel registro degli indagati della Procura di Sassari per omicidio colposo. In seguito alla morte di un operaio di un’azienda subappaltataria dell’IBI e che era risultata priva di ogni libro matricola, ufficialmente senza dipendenti… Ci sono anche altre cose che emergono, ma per correttezza dobbiamo prima farne comunicazione alla magistratura…).

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Comunicato Stampa



“Ringraziamenti al generale Giannini. Nuove integrazioni, nuove info e nuovi esposti in Procura dei Comitati, dell’associazione giuristi democratici e del sindaco di Marano. Interrogazione parlamentare dell’Idv”

Forse dovremmo addirittura ringraziare il generale Giannini!

Se infatti si procederà sulla sua denuncia contro i comitati dei cittadini per calunnia e vilipendio delle forze armate sulla vicenda “Amianto e Rifiuti Speciali a Chiaiano”, ci sarà finalmente un ambito istituzionale in cui sarà possibile appurare cosa hanno combinato nella cava di Chiaiano in questo ultimo mese!

Per parte nostra continuiamo a contribuire all’accertamento dei fatti con nuove integrazioni all’esposto già presentato.Integrazioni che porteremo domani in Procura e che vedranno la firma anche dell’associazione giuristi democratici. Si tratta in parte di nuovi materiali video e fotografici che arrivano fino all’11 novembre, in parte di materiali video già depositati, ma con migliore risoluzione. Più qualche documento…

I dati oggettivi che si evincono con sempre maggior forza sono:

1) E’ stata fatta, almeno in una prima fase, una movimentazione del pezzo di discarica abusiva in cui si trova l’amianto con metodologie che non corrispondono per niente alle norme di legge estremamente precise in merito altrattamento di materiali tanto pericolosi.

Che la movimentazione sia avvenuta lo si evince dai video, ma anche dalle due foto che alleghiamo e che ritraggono la collinetta della discarica il 28 ottobre e l’11 novembre. Nella prima si capisce che ci sono rifiuti speciali, ma nella seconda compare con grande evidenza il colore celeste del materiale tossico e dei sacchi celesti dell’Enel (presumiamo si tratti di quelli di cui parla lo stesso Giannini nell’intervista a Repubblica del 3 novembre 08).

Quindi il materiale della parte di sopra è stata rimosso!

L’operazione avviene quando il Commissariato è già abbondantemente a conoscenza della presenza di amianto(anche il 28 ottobre), perchè c’è un documento dellaIBI (la ditta dei lavori) all’Asl, del 17 ottobre 08 in cui già si denuncia la presenza di ingenti quantità di amianto e la necessità di procedere a una bonifica. Si parla dell’inertizzazione a terra, dell’imbustamento ecc, ma niente del genere è stato fatto nella prima fase!

2) E’ un fatto che nell’area della cava hanno realizzato una vasca coperta con i teloni, che non serviva per i rifiuti solidi urbani. Dai filmati si vede che vi hanno sversato non solo terra ma anche altri materiali e rifiuti speciali (nel video si vede ad esempio con chiarezza del materiale di coibentazione). E, del resto, dopo il nostro esposto del 29 ottobre e dopo l’intervista dello stesso generale Giannini a La Repubblica in cui si parla di 10.000 tonnellate di amianto (!) è arrivata una prima ispezione della procura che ha effettivamente verificato la presenza di eternit in questa vasca e in altre. Lo riportavano il giorno dopo anche le cronache dei giornali, che però ipotizzavano che tutte le vasche fossero state realizzate precedentemente. Se questo è o meno un comportamento che rasenta quello delle ecomafie è il generale Giannini a dirlo e non noi…

Noi ci siamo limitati a fare un esposto e ci aspettiamo che la Procura approfondisca per davvero!
Comunque se il generale Giannini è tanto ansioso di difendere l’onorabilità del comportamento dei militari e del Commissariato, potrebbe dare contributi molto importantiall’emersione della verità:

a) Spiegando cosa è, e a cosa è servita la vasca

b) Fornendo finalmente una tracciatura della destinazione del materiale rimosso dalla collina, così come del terreno tossico rimosso dal fondo della cava (e che nei filmati sivede anche qui rimuovere alla meglio con le pale e,probabilmente, sversare nella vasca). Che fine ha fatto questo materiale? Che problema hanno a spiegarlo?

c) Spiegando come hanno fatto, nelle “minuziose” indagini ambientali di giugno, a non vedere una tale quantità diamianto. E soprattutto, visto che questa discarica è stata trovata “casualmente” per via dei lavori, perchè sono sicuri che non ce ne sia altro… E perchè invece non si blocca tutto per procedere a una bonifica dell’area come è avvenuto a Pianura. Vale più il puntiglio di Bertolaso e Berlusconi o la salute della cittadinanza!?
Purtroppo Giannini e Bertolaso continuano a evitare ogni forma di trasparenza: addirittura quando operatori dei media nazionali, in seguito alla nostra denuncia pubblica, hannochiesto di visitare i luoghi, prima hanno detto si, poi hanno rinviato di almeno una settimana… perchè? Per modificare lo scenario? Perchè tanta segretezza!?

Qui nons tiamo parlando di una base militare! Stiamo parlando della tutela del diritto alla salute di noi cittadini che lì intorno ci abitiamo!!
*Ricordiamo che sulla questione è già in corso :

- un’interrogazione alla Commissione Europea dell’Eurodeputata Monica Frassoni e che, a giorni, cisarà un’interrogazione parlamentare dell’On Barbato dell’IDV e un altro esposto del Sindaco di Marano.
Domani, venerdì 28 novembre, assemblea pubblica di informazione nellla sala consiliare di Marano in via G.Falcone alle ore 18,00. Per i giornalisti che vogliono acquisire i nuovi materiali video-fotografici e altri documenti utili, verranno distribuiti dei dossier. Sempre che ci sia ancora voglia di fare un giornalismo “nonembedded” sulla vicenda rifiuti…

(Scusate, ma visti glis cenari da “guerra ai rifiuti” la battuta era inevitabile.Però non è solo una battuta, dal momento che anche qui si può “materialmente vedere” solo quello che i militari decidono di mostrare..).
ps: A proposito di trasparenza e nuovo corso:

La IBI, la ditta scelta per i lavori nella cava di Chiaiano, ha davvero un curriculum interessante! Nel 2004 viene inquisita per aver sversato materiali inquinanti nella discarica che aveva in costruzione a Bellolampo (in Sicilia - una storia,nel complesso incredibilmente simile a quella di Chiaiano);Il suo rappresentante legale, Dott.ssa Alessandra D’Amico è poi iscritta nel registro degli indagati della Procura di Sassari per omicidio colposo. In seguito alla morte di un operaio di un’azienda subappaltataria dell’IBI e che era risultata priva di ogni libro matricola, ufficialmente senza dipendenti… Ci sono anche altre cose che emergono, ma per correttezza dobbiamo prima farne comunicazione alla magistratura…).

 
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