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mercoledì 30 settembre 2009
Ponteranica, la Lega come la mafia
Alla fine della manifestazione che sabato pomeriggio ha portato più di settemila persone a Ponteranica, a protestare contro la deposizione della targa che intitolava la biblioteca comunale a Peppino Impastato, PeaceReporter ha parlato con Giovanni, fratello di Peppino, che ne ha ereditato l'impegno, sul significato politico di quel gesto.
Settemila persone a Ponteranica per Peppino, che effetto le fa questa manifestazione?
"Esco da questo giorno con più coraggio e con più entusiasmo perché ho capito che c'è molta gente che si interessa alla causa di Peppino e che si indigna, perché da un po' di tempo non si indignava più nessuno. Di fronte ad un'azione così incivile e per nulla democratica, come quella di togliere l'intitolazione della biblioteca a Peppino, a Ponteranica abbiamo dato una bellissima risposta, una risposta che ora ci spinge ad andare avanti, e non solo perché questo sindaco riposizioni la targa e si dimetta. Dobbiamo riempire la nostra indignazione di contenuti, contro il razzismo, contro le discriminazioni e contro il fascismo".
Avete in programma delle altre manifestazioni di protesta?
Si stiamo lavorando ad un'iniziativa nazionale contro la Lega, che secondo noi costituisce una grave minaccia alla nostra democrazia, perchè ciò che hanno fatto qui, a Ponteranica, rientra perfettamente nel disegno che stanno portando avanti in tutto il Paese, con il secessionismo, con le ronde, con la discriminazione degli immigrati e con il pacchetto sicurezza. Tutti atti incostituzionali.
Cosa c'è nella figura di Peppino che sopravvive ancora oggi e che porta tante persone a mobilitarsi in suo nome?
Peppino non è solo l'espressione di un ideale, ma è una figura a tutto tondo nella quale le nuove generazioni possono riconoscersi ancora. Peppino rappresenta la ribellione contro la famiglia e contro un certo tipo di società, la lotta alla mafia e la militanza politica. Ma anche un diverso modo di fare informazione e di comunicare. Era un artista e usava l'arte per far arrivare il suo messaggio: la poesia, l'ironia, i concerti rock, le mostre fotografiche per promuovere le battaglie ecologiste ... Il suo linguaggio creativo ha saputo aggregare tante persone. Per questo, quando si tocca la sua figura si mobilitano in tanti, perché era una persona completa.
A maggior ragione, qual è stato, secondo lei, il motivo che ha spinto un sindaco a cancellare la memoria di Peppino, come primo atto di governo del territorio?
La Lega ha detto: "Il territorio è nostro. Lo controlliamo noi e non vogliamo che vengano intestate delle vie o dei luoghi a dei terroni. Dobbiamo decidere noi sul nostro territorio", perché hanno una cultura anticostituzionale. Non è stato un fatto isolato. Il sindaco non si è svegliato una mattina con l'idea di cancellare la memoria di Peppino a colpi di delibera. No, questa è stata un'azione politica mirata a dare un messaggio politico forte a quanti sono impegnati ad avviare un percorso di legalità e di cambiamento sociale.
"Territorio e controllo" mi sembra un espressione vagamente nota..
Perfetto, ma è nella logica della Lega. La Lega ragiona così.
Ma è la stessa logica mafiosa...
E' la stessa logica mafiosa, per questo noi stiamo lottando contro la mafia, contro la Lega e contro il fascismo
Fonte:Peacereporter
.
Alla fine della manifestazione che sabato pomeriggio ha portato più di settemila persone a Ponteranica, a protestare contro la deposizione della targa che intitolava la biblioteca comunale a Peppino Impastato, PeaceReporter ha parlato con Giovanni, fratello di Peppino, che ne ha ereditato l'impegno, sul significato politico di quel gesto.
Settemila persone a Ponteranica per Peppino, che effetto le fa questa manifestazione?
"Esco da questo giorno con più coraggio e con più entusiasmo perché ho capito che c'è molta gente che si interessa alla causa di Peppino e che si indigna, perché da un po' di tempo non si indignava più nessuno. Di fronte ad un'azione così incivile e per nulla democratica, come quella di togliere l'intitolazione della biblioteca a Peppino, a Ponteranica abbiamo dato una bellissima risposta, una risposta che ora ci spinge ad andare avanti, e non solo perché questo sindaco riposizioni la targa e si dimetta. Dobbiamo riempire la nostra indignazione di contenuti, contro il razzismo, contro le discriminazioni e contro il fascismo".
Avete in programma delle altre manifestazioni di protesta?
Si stiamo lavorando ad un'iniziativa nazionale contro la Lega, che secondo noi costituisce una grave minaccia alla nostra democrazia, perchè ciò che hanno fatto qui, a Ponteranica, rientra perfettamente nel disegno che stanno portando avanti in tutto il Paese, con il secessionismo, con le ronde, con la discriminazione degli immigrati e con il pacchetto sicurezza. Tutti atti incostituzionali.
Cosa c'è nella figura di Peppino che sopravvive ancora oggi e che porta tante persone a mobilitarsi in suo nome?
Peppino non è solo l'espressione di un ideale, ma è una figura a tutto tondo nella quale le nuove generazioni possono riconoscersi ancora. Peppino rappresenta la ribellione contro la famiglia e contro un certo tipo di società, la lotta alla mafia e la militanza politica. Ma anche un diverso modo di fare informazione e di comunicare. Era un artista e usava l'arte per far arrivare il suo messaggio: la poesia, l'ironia, i concerti rock, le mostre fotografiche per promuovere le battaglie ecologiste ... Il suo linguaggio creativo ha saputo aggregare tante persone. Per questo, quando si tocca la sua figura si mobilitano in tanti, perché era una persona completa.
A maggior ragione, qual è stato, secondo lei, il motivo che ha spinto un sindaco a cancellare la memoria di Peppino, come primo atto di governo del territorio?
La Lega ha detto: "Il territorio è nostro. Lo controlliamo noi e non vogliamo che vengano intestate delle vie o dei luoghi a dei terroni. Dobbiamo decidere noi sul nostro territorio", perché hanno una cultura anticostituzionale. Non è stato un fatto isolato. Il sindaco non si è svegliato una mattina con l'idea di cancellare la memoria di Peppino a colpi di delibera. No, questa è stata un'azione politica mirata a dare un messaggio politico forte a quanti sono impegnati ad avviare un percorso di legalità e di cambiamento sociale.
"Territorio e controllo" mi sembra un espressione vagamente nota..
Perfetto, ma è nella logica della Lega. La Lega ragiona così.
Ma è la stessa logica mafiosa...
E' la stessa logica mafiosa, per questo noi stiamo lottando contro la mafia, contro la Lega e contro il fascismo
Fonte:Peacereporter
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martedì 29 settembre 2009
Saviano: "L'esempio di Peppino più utile al Nord che in Sicilia"
Fonte:Bergamo news
Fonte:Bergamo news
ANCORA 100 PASSI..: IL PARTITO DEL SUD SABATO 26/09 A PONTERANICA (BG) 2/2
Sabato 26 settembre 2009 si è svolta a Ponteranica (BG) la manifestazione a favore del ripristino della targa e dell'intitolazione della biblioteca comunale dedicata a Peppino Impastato rimossa dal sindaco leghista Aldegani.
Il Partito del Sud ha aderito a questa manifestazione contro l'oblio della memoria di Impastato e dei tanti, troppi, caduti per mano mafiosa.
Sabato 26 settembre 2009 si è svolta a Ponteranica (BG) la manifestazione a favore del ripristino della targa e dell'intitolazione della biblioteca comunale dedicata a Peppino Impastato rimossa dal sindaco leghista Aldegani.
Il Partito del Sud ha aderito a questa manifestazione contro l'oblio della memoria di Impastato e dei tanti, troppi, caduti per mano mafiosa.
Garibaldi alleato della massoneria e della camorra....
Festa della Solidarieta' a Suzzara (MN) : 1^ Trofeo Solidarietà
Campo Sportivo di Via Santi (presso Giardini Cadorna) - Suzzara
1^ TROFEO DELLA SOLIDARIETA'
TRIANGOLARE DI CALCIO FRA LE SQUADRE :
RAPPRESENTATIVA NAPOLITANA
RAPPRESENTATIVA SICILIANA
RAPPRESENTATIVA SUZZARESE
La gara che non si era potuta disputare domenica 20 settembre, per le avverse condizioni metereologiche, si è svolta domenica 27 settembre, nella finale la vittoria è andata alla Rappresentativa della Napolitania che ha prevalso sulla Rappresentativa Siciliana con il punteggio di 7 a 4
Campo Sportivo di Via Santi (presso Giardini Cadorna) - Suzzara
1^ TROFEO DELLA SOLIDARIETA'
TRIANGOLARE DI CALCIO FRA LE SQUADRE :
RAPPRESENTATIVA NAPOLITANA
RAPPRESENTATIVA SICILIANA
RAPPRESENTATIVA SUZZARESE
La gara che non si era potuta disputare domenica 20 settembre, per le avverse condizioni metereologiche, si è svolta domenica 27 settembre, nella finale la vittoria è andata alla Rappresentativa della Napolitania che ha prevalso sulla Rappresentativa Siciliana con il punteggio di 7 a 4
lunedì 28 settembre 2009
Fondi e la mafia
La svolta è arrivata a Fondi.
Ieri, di fronte a una nuova manifestazione che ha condotto a Fondi non soltanto gli esponenti dell’Italia dei Valori che per prima ha espresso la propria posizione con il senatore Stefano Pedica, ma anche il segretario del Partito democratico Franceschini, di Rifondazione Comunista Ferrero e di Sinistra e Libertà Fava, gli abitanti della società sono accorsi a migliaia nella piazza antistante la Chiesa (quella del Comune è stata negata dal sindaco) e hanno riaffermato di volere anche loro la fine della discussa amministrazione. Per la prima volta di fronte a quell’obiettivo tutte le forze dell’opposizione si sono presentate con una posizione unitaria.
La vicenda è antica. Il prefetto di Latina aveva sollevato già nel settembre 2008 la necessità di scioglimento del consiglio comunale segnalando come la presenza del più grande mercato ortofrutticolo di Europa, con affari che superano il miliardo di euro ogni anno, ha fatto accorrere in quel luogo le bande camorristiche dei Casalesi, quelle della ‘ndrangheta e la stessa Cosa Nostra a concludere i loro affari.
Ma più volte il consiglio dei ministri, presieduto da Berlusconi, ha rifiutato di decidere anche, a quanto pare, per la contrarietà dei ministri Scaiola, Brunetta e Matteoli legati, al parere negativo interessato del senatore Claudio Fazzone, vero dominus della zona.
Ora il ministro dell’Interno Maroni, dopo una seconda relazione richiesta e compilata dal prefetto di Latina, ha di nuovo espresso un parere positivo per lo scioglimento e lo ha sottoposto alla delibera del Consiglio dei Ministri che dovrà decidere il prossimo tre ottobre.
Ora i casi sono due: o il consiglio dei Ministri accoglierà l’opinione del ministro come è sempre avvenuto in tutta la storia postunitaria del nostro paese, o deciderà ancora per il no e il ministro sarà costretto a presentare le sue dimissioni.
Noi ci auguriamo che questo non avvenga e il governo non si schieri ancora una volta contro il proprio rappresentante nella provincia di Latina.
Le due relazioni del prefetto Frattasi e gli episodi violenti con incendi e attentati che sono avvenuti in quel comune appaiono una prova così evidente che non c’è da aspettare un momento a procedere al provvedimento.
Qualora questo non avvenisse, sarebbe difficile non pensare che il governo Berlusconi, anche in questa occasione, si schiera dalla parte della criminalità organizzata e mafiosa piuttosto che contro di essa.
Fonte: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/19882/78/
La svolta è arrivata a Fondi.
Ieri, di fronte a una nuova manifestazione che ha condotto a Fondi non soltanto gli esponenti dell’Italia dei Valori che per prima ha espresso la propria posizione con il senatore Stefano Pedica, ma anche il segretario del Partito democratico Franceschini, di Rifondazione Comunista Ferrero e di Sinistra e Libertà Fava, gli abitanti della società sono accorsi a migliaia nella piazza antistante la Chiesa (quella del Comune è stata negata dal sindaco) e hanno riaffermato di volere anche loro la fine della discussa amministrazione. Per la prima volta di fronte a quell’obiettivo tutte le forze dell’opposizione si sono presentate con una posizione unitaria.
La vicenda è antica. Il prefetto di Latina aveva sollevato già nel settembre 2008 la necessità di scioglimento del consiglio comunale segnalando come la presenza del più grande mercato ortofrutticolo di Europa, con affari che superano il miliardo di euro ogni anno, ha fatto accorrere in quel luogo le bande camorristiche dei Casalesi, quelle della ‘ndrangheta e la stessa Cosa Nostra a concludere i loro affari.
Ma più volte il consiglio dei ministri, presieduto da Berlusconi, ha rifiutato di decidere anche, a quanto pare, per la contrarietà dei ministri Scaiola, Brunetta e Matteoli legati, al parere negativo interessato del senatore Claudio Fazzone, vero dominus della zona.
Ora il ministro dell’Interno Maroni, dopo una seconda relazione richiesta e compilata dal prefetto di Latina, ha di nuovo espresso un parere positivo per lo scioglimento e lo ha sottoposto alla delibera del Consiglio dei Ministri che dovrà decidere il prossimo tre ottobre.
Ora i casi sono due: o il consiglio dei Ministri accoglierà l’opinione del ministro come è sempre avvenuto in tutta la storia postunitaria del nostro paese, o deciderà ancora per il no e il ministro sarà costretto a presentare le sue dimissioni.
Noi ci auguriamo che questo non avvenga e il governo non si schieri ancora una volta contro il proprio rappresentante nella provincia di Latina.
Le due relazioni del prefetto Frattasi e gli episodi violenti con incendi e attentati che sono avvenuti in quel comune appaiono una prova così evidente che non c’è da aspettare un momento a procedere al provvedimento.
Qualora questo non avvenisse, sarebbe difficile non pensare che il governo Berlusconi, anche in questa occasione, si schiera dalla parte della criminalità organizzata e mafiosa piuttosto che contro di essa.
Fonte: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/19882/78/
IL PARTITO DEL SUD DI ROMA HA PARTECIPATO ALLA MARCIA DELLE AGENDE ROSSE ROMA 26 SETTEMBRE 2009
FUORI LA MAFIA DALLO STATO!!!Dopo Palermo la marcia delle agende rosse continua a Roma.RESISTENZA!!!
Il Partito del Sud ha aderito alla manifestazione insieme agli amici di Per il Bene Comune, Rinnovamento Italiano, i Meetup e il Laboratorio Politico per il Lazio (e non solo).
La manifestazione non ha avuto copertura mediatica da parte di quasi tutti i giornali e i telegiornali...i motivi sono facilmente immaginabili ma ancora una volta il Partito del Sud, come fatto recentemente dagli amici delle sezioni del Nord a Ponteranica (BG) per difendere la memoria di Peppino Impastato, partecipa a iniziative contro le mafie e dimostra come, al contrario di quello che vogliono far passare sulle TV di regime padano, esiste un SUD che resiste, che non si arrende, che continua a lottare!
FUORI LA MAFIA DALLO STATO!!!Dopo Palermo la marcia delle agende rosse continua a Roma.RESISTENZA!!!
Il Partito del Sud ha aderito alla manifestazione insieme agli amici di Per il Bene Comune, Rinnovamento Italiano, i Meetup e il Laboratorio Politico per il Lazio (e non solo).
La manifestazione non ha avuto copertura mediatica da parte di quasi tutti i giornali e i telegiornali...i motivi sono facilmente immaginabili ma ancora una volta il Partito del Sud, come fatto recentemente dagli amici delle sezioni del Nord a Ponteranica (BG) per difendere la memoria di Peppino Impastato, partecipa a iniziative contro le mafie e dimostra come, al contrario di quello che vogliono far passare sulle TV di regime padano, esiste un SUD che resiste, che non si arrende, che continua a lottare!
Ponteranica, una festa colorata per Peppino Impastato
Di Lorenzo Frigerio - 27 settembre 2009
Ponteranica (Bg). I primi arrivano già nella mattinata a Ponteranica e trovano ad attenderli un diluvio torrenziale che non sembra lasciare spazio alcuno ai raggi di sole.
Un brutto presagio in vista del pomeriggio per quando è attesa la maggioranza delle persone che si sono date appuntamento qui, in questo paesino all’inizio della Val Brembana, per chiedere al sindaco di tornare sulla decisione presa in precedenza e di intitolare nuovamente la biblioteca locale a Peppino Impastato.
Gli organizzatori della manifestazione sono già riuniti nei pressi della biblioteca e stanno decidendo le modalità di comunicazione della brutta sorpresa che provocatori malintenzionati o, più semplicemente, idioti sbronzi e in vena di bravate hanno pensato bene di mettere in scena, facendosi scudo della notte per agire indisturbati. L’ulivo della pace – piantato lo scorso anno e che oggi sarebbe stato intitolato ufficialmente a Impastato – viene di prima mattina trovato tagliato di netto e al suo posto una sagoma di legno, a forma di pino con un cartello riportante la scritta in dialetto bergamasco “Mé ché öle ü paghér” (Io qui voglio un abete) e la firma di un fantomatico “öl Bepi de Potranga” (Il Bepi di Ponteranica).
Il Bepi esiste, in realtà è un cantante dialettale molto conosciuto nella bergamasca e si chiama all’anagrafe Tiziano Incani; appena informato del fatto, per biasimare l’atto scrive agli organizzatori un colorito messaggio in bergamasco poi tradotto: “E' ovvio che l'ulivo della pace non l'ho tagliato io e, per quel poco che so a riguardo, dico solo che una pianta tagliata non è mai una bella cosa, che sia un abete o che sia un ulivo..”. Il cantautore bergamasco non ha certo bisogno di scusarsi, ma il suo messaggio verrà letto poi dal palco, perché non vi sia alibi alcuno per lo stupido gesto. Del resto è stato chiamato in causa dagli ignoti sabotatori suo malgrado, come – suo malgrado ovviamente e nonostante il pronunciamento in senso contrario della sua congregazione – anche il defunto Padre Baggi è stato contrapposto strumentalmente a Peppino Impastato: meglio intitolare a lui la biblioteca, perché cultore di storia locale, piuttosto che a una vittima di mafia.
Sotto la pioggia cadente, amareggiati per lo stupido gesto, gli organizzatori non si perdono d’animo e decidono di comprare un nuovo ulivo per ripiantarlo subito e far partire così la manifestazione. Anche il tempo finalmente si aggiusta e spunta un timido sole che si farà poi più coraggioso con l’arrivo dei partecipanti da ogni parte d’Italia.
Duemila? Tremila? No, molti di più, sicuramente cinquemila, secondo la Questura di Bergamo e forse anche qualcosa di più, almeno settemila per gli organizzatori. Una folla pacifica e civile riempie le vie di Ponteranica, con le sue voci e i suoi colori, arricchita dagli striscioni dei cittadini, dalle bandiere delle associazioni locali e nazionali, dai vessilli dei partiti e dei sindacati e dai tanti, tantissimi palloncini bianchi con l’immagine di Impastato. Una folla che sfila a tratti in silenzio e a tratti cantando e rilanciando slogan a gran voce. All’inizio del corteo una grande sagoma di cartone ricalca la targa che è stata rimossa dalla biblioteca e, subito dopo lo striscione degli organizzatori “ancora 100 passi..”. Un altro striscione con la scritta “Anche Aldegani è un eroe” fa il verso all’elogio pubblico ed equivoco del boss Vittorio Mangano da parte di Silvio Berlusconi e Dell’Utri nella scorsa campagna elettorale e l’autore fatica, e non poco, a spiegare l’ironia utilizzata, perché qualcuno pensa sia un provocatore infiltrato.
Durante il tragitto, il corteo si ferma nei pressi della biblioteca e una delegazione pone una targa in ricordo del sacrificio di Impastato sotto l’ulivo appena piantato. Alice parla a nome di tutti: “Non ci lasciamo impressionare dal rumore di un albero che cade, ma continuiamo a sentire la linfa della foresta che cresce. Non molliamo!”. Poco dopo arriva anche Giovanni Impastato che prima di unirsi al corteo, si ferma sotto l’ulivo e commenta con i giornalisti e i presenti la stupidità del gesto di qualche provocatore che pensava bene di zittire i partecipanti, tagliando un albero.
La marcia riprende il suo cammino lungo via Valbona e si arriva nei pressi del campo sportivo, in via otto marzo, dove è allestito il palco dal quale si susseguono gli interventi programmati dagli organizzatori, invero non senza qualche difficoltà, vista la necessità di dare il giusto spazio a tutti. Ai politici viene chiesto un passo indietro, non si prevede un loro intervento, mentre è ben accetta una loro partecipazione e presenza. E in tanti rispondono positivamente all’appello: da Claudio Fava a Giovanni Russo Spena, da Leoluca Orlando a Paolo Ferrero e Vittorio Agnoletto, a molti altri che inevitabilmente si finisce per dimenticare quando si è davvero in tanti. Tra la folla ci sono anche i genitori di Dax e di Carlo Giuliani. In collegamento telefonico Salvatore Borsellino, che si trova a Roma per la manifestazione dell’agenda rossa di suo fratello, ribadisce il valore della memoria che va custodito perché si rafforzi la democrazia nel nostro paese. Sono presenti anche molte delegazioni dei comuni italiani, alcuni dei quali stanno in questi giorni dando prova di grande maturità, in risposta alla chiusura miope del sindaco di Ponteranica, intitolando spazi pubblici a Impastato e altre vittime di mafia.
Sul palco coordina le diverse riflessioni Danilo De Biasio, direttore di Radio Popolare che copre con una diretta l’evento. Si susseguono letture di poesie e riflessioni, mentre gli interventi in scaletta si succedono rapidi. Poco spazio alla retorica, tanto invece alla indignazione e alla proposta. L’ex sindaco Alessandro Pagano lancia l’idea di trovarsi ogni anno per una grande manifestazione pacifica, fino a quando la targa ad Impastato tornerà al suo posto. Le associazioni promotrici rilanciano l’impegno nell’approfondire la questione delle mafie sul proprio territorio, nel segno di Peppino. C’è chi ringrazia anche il sindaco leghista, perché grazie a lui anche chi non conosceva Impastato ha avuto modo di rimediare alla lacuna. E se si tratta di elettori del suo partito il gesto gli si ritorcerà sicuramente contro.
Chiude la manifestazione l’intervento di Giovanni Impastato che usa toni accesi nel condannare la scelta dell’amministrazione leghista. Prima se la prende con il leghista Castelli che ha definito la manifestazione di Ponteranica un corteo razzista, contro la Lega, ricordando che razzisti sono i provvedimenti presi in tema di immigrazione, per poi inquadrare l’affronto alla memoria del fratello in un disegno complessivo: “La Lega vuole cancellare la memoria. E non si tratta dell'atto di un sindaco cafone, ma di un disegno ben più ampio che va da Berlusconi a Bossi. Le camicie non sono più nere, ma verdi...”.
Poi c’è spazio ancora per la poesia e la lettura e per la musica che accompagna il lento defluire dei manifestanti verso Bergamo e le altre destinazioni.
Ponteranica tira un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, un pericolo alimentato da un lato da gesti come quelli degli improvvidi potatori e dall’altro di chi, nei giorni precedenti, ha soffiato pericolosamente sul fuoco, cercando una contrapposizione frontale.
Escono rafforzate le scelte dei promotori – il Coordinamento Peppino Impastato di Ponteranica, Libera e Casa Memoria – che hanno dimostrato con i fatti come la forza delle ragioni sia il più forte antidoto contro l’ottusità di chi pensa di cancellare la memoria di Peppino Impastato e delle altre vittime di mafia, rimuovendo una targa o tagliando un albero.
Tratto da: liberainformazione.org
Di Lorenzo Frigerio - 27 settembre 2009
Ponteranica (Bg). I primi arrivano già nella mattinata a Ponteranica e trovano ad attenderli un diluvio torrenziale che non sembra lasciare spazio alcuno ai raggi di sole.
Un brutto presagio in vista del pomeriggio per quando è attesa la maggioranza delle persone che si sono date appuntamento qui, in questo paesino all’inizio della Val Brembana, per chiedere al sindaco di tornare sulla decisione presa in precedenza e di intitolare nuovamente la biblioteca locale a Peppino Impastato.
Gli organizzatori della manifestazione sono già riuniti nei pressi della biblioteca e stanno decidendo le modalità di comunicazione della brutta sorpresa che provocatori malintenzionati o, più semplicemente, idioti sbronzi e in vena di bravate hanno pensato bene di mettere in scena, facendosi scudo della notte per agire indisturbati. L’ulivo della pace – piantato lo scorso anno e che oggi sarebbe stato intitolato ufficialmente a Impastato – viene di prima mattina trovato tagliato di netto e al suo posto una sagoma di legno, a forma di pino con un cartello riportante la scritta in dialetto bergamasco “Mé ché öle ü paghér” (Io qui voglio un abete) e la firma di un fantomatico “öl Bepi de Potranga” (Il Bepi di Ponteranica).
Il Bepi esiste, in realtà è un cantante dialettale molto conosciuto nella bergamasca e si chiama all’anagrafe Tiziano Incani; appena informato del fatto, per biasimare l’atto scrive agli organizzatori un colorito messaggio in bergamasco poi tradotto: “E' ovvio che l'ulivo della pace non l'ho tagliato io e, per quel poco che so a riguardo, dico solo che una pianta tagliata non è mai una bella cosa, che sia un abete o che sia un ulivo..”. Il cantautore bergamasco non ha certo bisogno di scusarsi, ma il suo messaggio verrà letto poi dal palco, perché non vi sia alibi alcuno per lo stupido gesto. Del resto è stato chiamato in causa dagli ignoti sabotatori suo malgrado, come – suo malgrado ovviamente e nonostante il pronunciamento in senso contrario della sua congregazione – anche il defunto Padre Baggi è stato contrapposto strumentalmente a Peppino Impastato: meglio intitolare a lui la biblioteca, perché cultore di storia locale, piuttosto che a una vittima di mafia.
Sotto la pioggia cadente, amareggiati per lo stupido gesto, gli organizzatori non si perdono d’animo e decidono di comprare un nuovo ulivo per ripiantarlo subito e far partire così la manifestazione. Anche il tempo finalmente si aggiusta e spunta un timido sole che si farà poi più coraggioso con l’arrivo dei partecipanti da ogni parte d’Italia.
Duemila? Tremila? No, molti di più, sicuramente cinquemila, secondo la Questura di Bergamo e forse anche qualcosa di più, almeno settemila per gli organizzatori. Una folla pacifica e civile riempie le vie di Ponteranica, con le sue voci e i suoi colori, arricchita dagli striscioni dei cittadini, dalle bandiere delle associazioni locali e nazionali, dai vessilli dei partiti e dei sindacati e dai tanti, tantissimi palloncini bianchi con l’immagine di Impastato. Una folla che sfila a tratti in silenzio e a tratti cantando e rilanciando slogan a gran voce. All’inizio del corteo una grande sagoma di cartone ricalca la targa che è stata rimossa dalla biblioteca e, subito dopo lo striscione degli organizzatori “ancora 100 passi..”. Un altro striscione con la scritta “Anche Aldegani è un eroe” fa il verso all’elogio pubblico ed equivoco del boss Vittorio Mangano da parte di Silvio Berlusconi e Dell’Utri nella scorsa campagna elettorale e l’autore fatica, e non poco, a spiegare l’ironia utilizzata, perché qualcuno pensa sia un provocatore infiltrato.
Durante il tragitto, il corteo si ferma nei pressi della biblioteca e una delegazione pone una targa in ricordo del sacrificio di Impastato sotto l’ulivo appena piantato. Alice parla a nome di tutti: “Non ci lasciamo impressionare dal rumore di un albero che cade, ma continuiamo a sentire la linfa della foresta che cresce. Non molliamo!”. Poco dopo arriva anche Giovanni Impastato che prima di unirsi al corteo, si ferma sotto l’ulivo e commenta con i giornalisti e i presenti la stupidità del gesto di qualche provocatore che pensava bene di zittire i partecipanti, tagliando un albero.
La marcia riprende il suo cammino lungo via Valbona e si arriva nei pressi del campo sportivo, in via otto marzo, dove è allestito il palco dal quale si susseguono gli interventi programmati dagli organizzatori, invero non senza qualche difficoltà, vista la necessità di dare il giusto spazio a tutti. Ai politici viene chiesto un passo indietro, non si prevede un loro intervento, mentre è ben accetta una loro partecipazione e presenza. E in tanti rispondono positivamente all’appello: da Claudio Fava a Giovanni Russo Spena, da Leoluca Orlando a Paolo Ferrero e Vittorio Agnoletto, a molti altri che inevitabilmente si finisce per dimenticare quando si è davvero in tanti. Tra la folla ci sono anche i genitori di Dax e di Carlo Giuliani. In collegamento telefonico Salvatore Borsellino, che si trova a Roma per la manifestazione dell’agenda rossa di suo fratello, ribadisce il valore della memoria che va custodito perché si rafforzi la democrazia nel nostro paese. Sono presenti anche molte delegazioni dei comuni italiani, alcuni dei quali stanno in questi giorni dando prova di grande maturità, in risposta alla chiusura miope del sindaco di Ponteranica, intitolando spazi pubblici a Impastato e altre vittime di mafia.
Sul palco coordina le diverse riflessioni Danilo De Biasio, direttore di Radio Popolare che copre con una diretta l’evento. Si susseguono letture di poesie e riflessioni, mentre gli interventi in scaletta si succedono rapidi. Poco spazio alla retorica, tanto invece alla indignazione e alla proposta. L’ex sindaco Alessandro Pagano lancia l’idea di trovarsi ogni anno per una grande manifestazione pacifica, fino a quando la targa ad Impastato tornerà al suo posto. Le associazioni promotrici rilanciano l’impegno nell’approfondire la questione delle mafie sul proprio territorio, nel segno di Peppino. C’è chi ringrazia anche il sindaco leghista, perché grazie a lui anche chi non conosceva Impastato ha avuto modo di rimediare alla lacuna. E se si tratta di elettori del suo partito il gesto gli si ritorcerà sicuramente contro.
Chiude la manifestazione l’intervento di Giovanni Impastato che usa toni accesi nel condannare la scelta dell’amministrazione leghista. Prima se la prende con il leghista Castelli che ha definito la manifestazione di Ponteranica un corteo razzista, contro la Lega, ricordando che razzisti sono i provvedimenti presi in tema di immigrazione, per poi inquadrare l’affronto alla memoria del fratello in un disegno complessivo: “La Lega vuole cancellare la memoria. E non si tratta dell'atto di un sindaco cafone, ma di un disegno ben più ampio che va da Berlusconi a Bossi. Le camicie non sono più nere, ma verdi...”.
Poi c’è spazio ancora per la poesia e la lettura e per la musica che accompagna il lento defluire dei manifestanti verso Bergamo e le altre destinazioni.
Ponteranica tira un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, un pericolo alimentato da un lato da gesti come quelli degli improvvidi potatori e dall’altro di chi, nei giorni precedenti, ha soffiato pericolosamente sul fuoco, cercando una contrapposizione frontale.
Escono rafforzate le scelte dei promotori – il Coordinamento Peppino Impastato di Ponteranica, Libera e Casa Memoria – che hanno dimostrato con i fatti come la forza delle ragioni sia il più forte antidoto contro l’ottusità di chi pensa di cancellare la memoria di Peppino Impastato e delle altre vittime di mafia, rimuovendo una targa o tagliando un albero.
Tratto da: liberainformazione.org
domenica 27 settembre 2009
ANCORA 100 PASSI..: IL PARTITO DEL SUD SABATO 26/09 A PONTERANICA (BG) 1/2
Sabato 26 settembre 2009 si è svolta a Ponteranica (BG) la manifestazione a favore del ripristino della targa e dell'intitolazione della biblioteca comunale dedicata a Peppino Impastato rimossa dal sindaco leghista Aldegani.
Il Partito del Sud ha aderito a questa manifestazione contro l'oblio della memoria di Impastato e dei tanti, troppi, caduti per mano mafiosa.
Una manifestazione molto bella e affollatissima ha cui hanno aderito più di settemila persone.
I nostri militanti hanno riscosso consensi e solidarietà principalmente dai tantissimi settentrionali presenti, la stragrande maggioranza, che ci hanno manifestato la loro simpatia e vicinanza.
Un aspetto che ci ha particolarmente colpito, e che sinceramente non ci aspettavamo, è il ricevere i complimenti e le strette di mano da tantissime persone che conoscevano la storia del nostro Partito e soprattutto il tentativo di questa estate da parte di alcuni politici meridionali trasformisti di impadronirsi, in modo strumentale, del nostro nome e delle nostre parole d'ordine, persone che ci hanno incitato a non desistere dalla nostra lotta per la dignità e l'affermazione delle verità storiche.
Evidentemente internet stà diventando sempre di più, anche per noi, il giusto veicolo d'informazione alternativa.
Da rimarcare inoltre che nella notte vi era stato l'ennesimo gesto sconsiderato da parte di una mano ignota e vigliacca con l'abbattimento dell'ulivo della pace che era stato piantato nel 2008 dalla precedente giunta comunale, la stessa che aveva intitolato la biblioteca comunale ad Impastato.
Nella mattinata di sabato la Casa memoria di Cinisi, Libera e il Comitato dei Cittadini di Pietranica hanno comprato un ulivo e l'hanno piantato a pochi metri da quello abbattuto, inoltre all'inizio della manifestazione hanno posto una targa a ricordo di Peppino Impastato.
A loro vanno i nostri complimenti e ringraziamenti.
Nella serata di ieri abbiamo avuto inoltre il piacere di vedere sventolare in bella evidenza, nelle immagini dei servizi giornalistici che alcuni telegiornali della sera hanno dedicato alla manifestazione di Ponteranica, le nostre bandiere, Duosiciliana, Napolitana, Siciliana e del Partito del Sud.
Insomma tutto quanto successo è l'ennesima dimostrazione che ovviamente la politica va fatta principalmente fra la gente.
Infine un ringraziamento anche ai tanti che ci hanno manifestato solidarietà, li rassicuriamo e gli promettiamo che non ci arrenderemo mai.
(entro poche ore la seconda parte del filmato)
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Sabato 26 settembre 2009 si è svolta a Ponteranica (BG) la manifestazione a favore del ripristino della targa e dell'intitolazione della biblioteca comunale dedicata a Peppino Impastato rimossa dal sindaco leghista Aldegani.
Il Partito del Sud ha aderito a questa manifestazione contro l'oblio della memoria di Impastato e dei tanti, troppi, caduti per mano mafiosa.
Una manifestazione molto bella e affollatissima ha cui hanno aderito più di settemila persone.
I nostri militanti hanno riscosso consensi e solidarietà principalmente dai tantissimi settentrionali presenti, la stragrande maggioranza, che ci hanno manifestato la loro simpatia e vicinanza.
Un aspetto che ci ha particolarmente colpito, e che sinceramente non ci aspettavamo, è il ricevere i complimenti e le strette di mano da tantissime persone che conoscevano la storia del nostro Partito e soprattutto il tentativo di questa estate da parte di alcuni politici meridionali trasformisti di impadronirsi, in modo strumentale, del nostro nome e delle nostre parole d'ordine, persone che ci hanno incitato a non desistere dalla nostra lotta per la dignità e l'affermazione delle verità storiche.
Evidentemente internet stà diventando sempre di più, anche per noi, il giusto veicolo d'informazione alternativa.
Da rimarcare inoltre che nella notte vi era stato l'ennesimo gesto sconsiderato da parte di una mano ignota e vigliacca con l'abbattimento dell'ulivo della pace che era stato piantato nel 2008 dalla precedente giunta comunale, la stessa che aveva intitolato la biblioteca comunale ad Impastato.
Nella mattinata di sabato la Casa memoria di Cinisi, Libera e il Comitato dei Cittadini di Pietranica hanno comprato un ulivo e l'hanno piantato a pochi metri da quello abbattuto, inoltre all'inizio della manifestazione hanno posto una targa a ricordo di Peppino Impastato.
A loro vanno i nostri complimenti e ringraziamenti.
Nella serata di ieri abbiamo avuto inoltre il piacere di vedere sventolare in bella evidenza, nelle immagini dei servizi giornalistici che alcuni telegiornali della sera hanno dedicato alla manifestazione di Ponteranica, le nostre bandiere, Duosiciliana, Napolitana, Siciliana e del Partito del Sud.
Insomma tutto quanto successo è l'ennesima dimostrazione che ovviamente la politica va fatta principalmente fra la gente.
Infine un ringraziamento anche ai tanti che ci hanno manifestato solidarietà, li rassicuriamo e gli promettiamo che non ci arrenderemo mai.
(entro poche ore la seconda parte del filmato)
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MAFIA: nel prossimo Consiglio dei Ministri di decide sullo scioglimento del Comune di Fondi. … Nebbia fitta su Paternò.
Il Ministro elude ancora una volta la delicata questione di Paternò per cui il prefetto di Catania (che ricordiamo incostituzionale in Sicilia) ha suggerito caldamente lo scioglimento del Consiglio Comunale per evidenti infiltrazioni mafiosi.
Come mai due corsie diverse? Può influire il fatto che Paternò è la patria (e fuedo politico) dell’attuale Ministro per la Difesa La Russa?
Se così fosse sarebbe questo il modo in cui il governo Berlusconi starebbe combattendo la mafia in Sicilia?
Il Ministro elude ancora una volta la delicata questione di Paternò per cui il prefetto di Catania (che ricordiamo incostituzionale in Sicilia) ha suggerito caldamente lo scioglimento del Consiglio Comunale per evidenti infiltrazioni mafiosi.
Come mai due corsie diverse? Può influire il fatto che Paternò è la patria (e fuedo politico) dell’attuale Ministro per la Difesa La Russa?
Se così fosse sarebbe questo il modo in cui il governo Berlusconi starebbe combattendo la mafia in Sicilia?
sabato 26 settembre 2009
Le belle parole sul risorgimento che fanno a pugni con la realtà
Di Angela Pellicciari
Ma quanto sono belle le belle parole! Bisogna ammetterlo: le belle parole sono musica per le nostre orecchie. E Circe era un pericolo molto serio per Ulisse! Dunque: vanno ancora di moda le espressioni suadenti da tanti decenni in voga per definire il nostro Risorgimento: moralità, costituzione, libertà, lotta all’oscurantismo e al dogmatismo, libera chiesa in libero stato. Nei nostri giornali è tutto un fiorire di bei ricordi. E, quando non ci si abbandona al come eravamo (sottinteso bravi), l’attacco personale è sempre a portata di mano e sempre efficace: “Angela Pellicciari è una studiosa seria ma anche molto militante”. Di qui al parogone con Ahmadinejad il passo è breve ed obbligato. A suggerirlo è un giornalista carico di anni e di imparzialità professionale.
Possibile? Sì. Qualche tempo fa’ sono stata accusata di filonazismo ed oggi, in stretta continuità, si passa all’analogia con chi l’olocausto continua a negare. Viene da chiedersi: chi difende il Risorgimento non ha altri argomenti da utilizzare?
Da parte mia continuo testardamente a raccontare fatti. Non parole. Questi giorni, per esempio, viene ricordata la massima cavouriana (che cavouriana non era, ma del cattolico conte di Montalembert) “libera chiesa in libero stato”. Nessuno la contesta. Ma nessuno spiega nemmeno come sia stato possibile che, in nome della libera chiesa, il Regno di Sardegna prima ed il Regno d’Italia poi, abbiano soppresso tutti gli ordini religiosi, ne abbiano incamerato (derubato) i beni ed abbiano ridotto frati e monaci a mendicanti senza casa, senza libri, senza lavoro. In nome di quale libertà Cavour ha proibito la circolazione delle encicliche di Pio IX? Che libertà è quella degli articoli 268, 269 e 270 del codice penale piemontese che comminano multe e carcere ai sacerdoti che osano mettere in dubbio i dogmi della libertà liberale? Tanto per citarne uno, l’articolo 268 punisce “severamente i sacerdoti pei peccati di parole, d’opere e di omissioni, che commettessero contro la libertà. Al sacerdote che pronuncia in pubblica adunanza un discorso contenente censura delle istituzioni e delle leggi dello Stato duemila lire di multa e due anni di carcere… Al sacerdote che coll’indebito rifiuto dei propri uffizi turba la coscienza pubblica o la pace delle famiglie, duemila lire di multa e due anni di carcere”.
Come si risolve una contraddizione tanto stridente: come conciliare il desiderio manifesto di annientare la chiesa col proposito dichiarato di difenderne la libertà?
Per capire come l’élite liberale sia riuscita nella quadratura del cerchio, basta analizzare il discorso che Carlo Cadorna fa alla Camera subalpina il 20 febbraio 1855. Cadorna, a nome della maggioranza di governo, sta illustrando le ragioni che inducono a sopprimere, in nome della libertà, 35 corporazioni religiose del cattolico Piemonte.
Cadorna parte dalla causa prima: Dio. E’ per volontà divina, sostiene, che esistono sia il potere spirituale sia quello temporale. Quale la differenza? Semplice: al potere spirituale compete l’autorità sull’anima, vale a dire sui “pensieri, le aspirazioni e le credenze”, tutto il resto appartiene al potere temporale che, a volte, ed erroneamente, Cadorna confonde col potere materiale. Messe così le cose la conseguenza è ovvia: tutto ciò che si vede è di competenza dello stato, quanto non si vede (l’anima per l’appunto) di competenza del papa. E pertanto, stabilisce Cadorna, le proprietà della chiesa “non divengono spirituali per ciò solo che sono destinati al culto”. I beni della Chiesa insomma sono a buon diritto beni che, in quanto visibili, appartengono a pieno titolo allo Stato che può disporne a piacimento.
Il Corriere del 18 settembre titolava a tutta pagina: “Quel sogno fallito di Cavour/ La separazione fra stato e chiesa, che lui avrebbe voluto, viene tradita da 150 anni”. Bellissime parole. Belle parole davvero!
Fonte: Libero del 25/09/2009
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Di Angela Pellicciari
Ma quanto sono belle le belle parole! Bisogna ammetterlo: le belle parole sono musica per le nostre orecchie. E Circe era un pericolo molto serio per Ulisse! Dunque: vanno ancora di moda le espressioni suadenti da tanti decenni in voga per definire il nostro Risorgimento: moralità, costituzione, libertà, lotta all’oscurantismo e al dogmatismo, libera chiesa in libero stato. Nei nostri giornali è tutto un fiorire di bei ricordi. E, quando non ci si abbandona al come eravamo (sottinteso bravi), l’attacco personale è sempre a portata di mano e sempre efficace: “Angela Pellicciari è una studiosa seria ma anche molto militante”. Di qui al parogone con Ahmadinejad il passo è breve ed obbligato. A suggerirlo è un giornalista carico di anni e di imparzialità professionale.
Possibile? Sì. Qualche tempo fa’ sono stata accusata di filonazismo ed oggi, in stretta continuità, si passa all’analogia con chi l’olocausto continua a negare. Viene da chiedersi: chi difende il Risorgimento non ha altri argomenti da utilizzare?
Da parte mia continuo testardamente a raccontare fatti. Non parole. Questi giorni, per esempio, viene ricordata la massima cavouriana (che cavouriana non era, ma del cattolico conte di Montalembert) “libera chiesa in libero stato”. Nessuno la contesta. Ma nessuno spiega nemmeno come sia stato possibile che, in nome della libera chiesa, il Regno di Sardegna prima ed il Regno d’Italia poi, abbiano soppresso tutti gli ordini religiosi, ne abbiano incamerato (derubato) i beni ed abbiano ridotto frati e monaci a mendicanti senza casa, senza libri, senza lavoro. In nome di quale libertà Cavour ha proibito la circolazione delle encicliche di Pio IX? Che libertà è quella degli articoli 268, 269 e 270 del codice penale piemontese che comminano multe e carcere ai sacerdoti che osano mettere in dubbio i dogmi della libertà liberale? Tanto per citarne uno, l’articolo 268 punisce “severamente i sacerdoti pei peccati di parole, d’opere e di omissioni, che commettessero contro la libertà. Al sacerdote che pronuncia in pubblica adunanza un discorso contenente censura delle istituzioni e delle leggi dello Stato duemila lire di multa e due anni di carcere… Al sacerdote che coll’indebito rifiuto dei propri uffizi turba la coscienza pubblica o la pace delle famiglie, duemila lire di multa e due anni di carcere”.
Come si risolve una contraddizione tanto stridente: come conciliare il desiderio manifesto di annientare la chiesa col proposito dichiarato di difenderne la libertà?
Per capire come l’élite liberale sia riuscita nella quadratura del cerchio, basta analizzare il discorso che Carlo Cadorna fa alla Camera subalpina il 20 febbraio 1855. Cadorna, a nome della maggioranza di governo, sta illustrando le ragioni che inducono a sopprimere, in nome della libertà, 35 corporazioni religiose del cattolico Piemonte.
Cadorna parte dalla causa prima: Dio. E’ per volontà divina, sostiene, che esistono sia il potere spirituale sia quello temporale. Quale la differenza? Semplice: al potere spirituale compete l’autorità sull’anima, vale a dire sui “pensieri, le aspirazioni e le credenze”, tutto il resto appartiene al potere temporale che, a volte, ed erroneamente, Cadorna confonde col potere materiale. Messe così le cose la conseguenza è ovvia: tutto ciò che si vede è di competenza dello stato, quanto non si vede (l’anima per l’appunto) di competenza del papa. E pertanto, stabilisce Cadorna, le proprietà della chiesa “non divengono spirituali per ciò solo che sono destinati al culto”. I beni della Chiesa insomma sono a buon diritto beni che, in quanto visibili, appartengono a pieno titolo allo Stato che può disporne a piacimento.
Il Corriere del 18 settembre titolava a tutta pagina: “Quel sogno fallito di Cavour/ La separazione fra stato e chiesa, che lui avrebbe voluto, viene tradita da 150 anni”. Bellissime parole. Belle parole davvero!
Fonte: Libero del 25/09/2009
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Bugie e verità sulla nascita dell’Italia, una questione ancora aperta
Con un autorevole ed importante articolo che occupava l’intera apertura delle pagine culturali de “il Giornale” di lunedì 21, Mario Cervi ha posto un aut-aut alla polemica sulle celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia: se ritenete che il Risorgimento sia stato un disastro – questo il monito di Cervi – allora non celebratelo. Molto efficace anche il titolo che Cervi ha dato al suo articolo: «La patria della discordia». Il suo intervento arriva dopo quelli, decisamente più revisionisti, di Ugo Finetti (secondo cui «la storia d’Italia non inizia nel ‘61») e di Giordano Bruno Guerri, che poneva senza mezzi termini il dito sulla piaga: troppo sangue innocente fu versato dai «piemontesi» con la scusa di abbattere il «brigantaggio».
È dunque arrivato il momento di parlare di questo argomento, che va facendosi di giorno in giorno sempre più incandescente. Abbiamo chiesto un parere allo storico Luciano Garibaldi, a sua volta, moderatamente revisionista.
Qual è la sua opinione in merito alla querelle Cervi-Pellicciari sul Risorgimento?
Conosco personalmente e stimo moltissimo Angela Pellicciari, con cui abbiamo in comune l’editore. Non c’è dubbio che molti aspetti, molte vicende del Risorgimento siano «da riscrivere», e tuttavia non penso che tutto debba essere buttato nella pattumiera. C’è un Risorgimento da condannare (per esempio, il fanatismo anticattolico e la fissazione antipapalina di Garibaldi) e c’è un Risorgimento decisamente da custodire come un patrimonio nazionale, perché senza di esso – come ha ottimamente scritto Mario Cervi – l’Italia sarebbe ancora un’“espressione geografica”.
Quali ritiene siano i peggiori episodi del Risorgimento?
In primo luogo mi vengono in mente i mazziniani che mettevano le bombe nei commissariati di polizia. Una sorta di Brigate Rosse ante litteram. E poi, anche Cialdini e Lamarmora, con repressioni e rappresaglie, dagli Abruzzi in giù, non molto differenti da quelle di Reder e Kappler.
E un esempio di Risorgimento da celebrare?
Gli eroi di Solferino e San Martino, massacrati da croati in divisa austriaca, che spaccavano il cranio ai feriti piemontesi con palle di ferro piene di aghi acuminati. Tanto che là nacque la Croce Rossa Internazionale. Una di quelle vittime si chiamava Giovanni Battista Fenocchio ed era il fratello di mio trisnonno Domenico.
Torniamo alla Pellicciari. La storica sostiene che la Chiesa cattolica mai approvò la politica dei Savoia, ispirata dalla massoneria e dalla superpotenza inglese.
Questo è vero. Che fine avrebbero fatto i Mille senza la protezione delle navi di Sua Maestà britannica, che regnava non solo sull’Inghilterra e su mezzo mondo, ma anche sulla Gran Loggia di Londra, madre di tutte le massonerie? E tuttavia, è errato sostenere che la Chiesa - e in particolare Pio IX - fosse contraria all’unità d’Italia. Era ostile, per evidenti e ovvie ragioni, al fanatismo anticattolico dei massoni alla Mazzini e alla Garibaldi, ma non era affatto contraria all’unificazione del Paese. Non si dimentichi che nel Regno di Sardegna, che poi avrebbe unificato l’Italia, vi furono pensatori e politici come Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini che non escludevano addirittura l’ipotesi di attribuire al Papa la funzione di capo dello Stato. Uno Stato, ovviamente, federato.
Il famoso “Papa Re”.
Beh, queste erano, in un certo senso, le idee di Gioberti portate all’estremo. Anche perché al Papa non sarebbe mai interessato esercitare un potere effettivo sulla penisola. Ma risparmiarla dai conflitti civili, questo certamente sì.
Dunque, si può affermare che il Risorgimento fu anche una guerra civile?
Direi proprio di sì. Una delle non poche guerre civili che hanno contrassegnato la storia italiana degli ultimi duecento anni, a partire dalle insorgenze antinapoleoniche, proseguendo poi con la cosiddetta «guerra al brigantaggio», con la rivolta di Milano stroncata da Bava Beccaris, con lo scontro di Fiume, con il triennio 1919-1922 (fascisti contro comunisti), infine con la Resistenza 1943-45. Gli «anni di piombo» non ce li metto perché quella fu una guerra unilaterale. Non ci fu mai una vera reazione armata al piombo assassino dei brigatisti.
E allora perché manteniamo in vita soltanto l’Insmli, ovvero l’«Istituto per la storia del movimento di liberazione in Italia»? Non sarebbe meglio trasformarlo in Istituto per la storia delle guerre civili in Italia?
Sono anni che lo sostengo. Un governo che avesse davvero a cuore la diffusione, specie tra le giovani generazioni, di una storia condivisa, dovrebbe muoversi in questa direzione: mantenendo ovviamente in atto le strutture dell’Insmli (intendo dire personale, impiegati, eccetera), ma affidandone la cura a storici assolutamente super partes, e ampliandone le competenze incaricandolo dello studio di tutte le guerre civili che hanno visto italiani contro italiani. La storia, quella vera, quella seria, si fa così.
Cioè, portando alla ribalta le luci ma anche le ombre.
Esattamente. Mi si perdoni l’autocitazione: io ho raccontato, in numerosi miei libri, le luci della Resistenza, ossia il valore della lotta dei soldati e dei partigiani italiani contro i nazisti. E mi limito a citare la biografia di Edgardo Sogno e la storia degli IILO’s, gli «Italian Intelligence Liaison Officers» che combatterono a fianco degli inglesi nell’8.a Armata.
Fonte:Il Sussidiario.net
Con un autorevole ed importante articolo che occupava l’intera apertura delle pagine culturali de “il Giornale” di lunedì 21, Mario Cervi ha posto un aut-aut alla polemica sulle celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia: se ritenete che il Risorgimento sia stato un disastro – questo il monito di Cervi – allora non celebratelo. Molto efficace anche il titolo che Cervi ha dato al suo articolo: «La patria della discordia». Il suo intervento arriva dopo quelli, decisamente più revisionisti, di Ugo Finetti (secondo cui «la storia d’Italia non inizia nel ‘61») e di Giordano Bruno Guerri, che poneva senza mezzi termini il dito sulla piaga: troppo sangue innocente fu versato dai «piemontesi» con la scusa di abbattere il «brigantaggio».
È dunque arrivato il momento di parlare di questo argomento, che va facendosi di giorno in giorno sempre più incandescente. Abbiamo chiesto un parere allo storico Luciano Garibaldi, a sua volta, moderatamente revisionista.
Qual è la sua opinione in merito alla querelle Cervi-Pellicciari sul Risorgimento?
Conosco personalmente e stimo moltissimo Angela Pellicciari, con cui abbiamo in comune l’editore. Non c’è dubbio che molti aspetti, molte vicende del Risorgimento siano «da riscrivere», e tuttavia non penso che tutto debba essere buttato nella pattumiera. C’è un Risorgimento da condannare (per esempio, il fanatismo anticattolico e la fissazione antipapalina di Garibaldi) e c’è un Risorgimento decisamente da custodire come un patrimonio nazionale, perché senza di esso – come ha ottimamente scritto Mario Cervi – l’Italia sarebbe ancora un’“espressione geografica”.
Quali ritiene siano i peggiori episodi del Risorgimento?
In primo luogo mi vengono in mente i mazziniani che mettevano le bombe nei commissariati di polizia. Una sorta di Brigate Rosse ante litteram. E poi, anche Cialdini e Lamarmora, con repressioni e rappresaglie, dagli Abruzzi in giù, non molto differenti da quelle di Reder e Kappler.
E un esempio di Risorgimento da celebrare?
Gli eroi di Solferino e San Martino, massacrati da croati in divisa austriaca, che spaccavano il cranio ai feriti piemontesi con palle di ferro piene di aghi acuminati. Tanto che là nacque la Croce Rossa Internazionale. Una di quelle vittime si chiamava Giovanni Battista Fenocchio ed era il fratello di mio trisnonno Domenico.
Torniamo alla Pellicciari. La storica sostiene che la Chiesa cattolica mai approvò la politica dei Savoia, ispirata dalla massoneria e dalla superpotenza inglese.
Questo è vero. Che fine avrebbero fatto i Mille senza la protezione delle navi di Sua Maestà britannica, che regnava non solo sull’Inghilterra e su mezzo mondo, ma anche sulla Gran Loggia di Londra, madre di tutte le massonerie? E tuttavia, è errato sostenere che la Chiesa - e in particolare Pio IX - fosse contraria all’unità d’Italia. Era ostile, per evidenti e ovvie ragioni, al fanatismo anticattolico dei massoni alla Mazzini e alla Garibaldi, ma non era affatto contraria all’unificazione del Paese. Non si dimentichi che nel Regno di Sardegna, che poi avrebbe unificato l’Italia, vi furono pensatori e politici come Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini che non escludevano addirittura l’ipotesi di attribuire al Papa la funzione di capo dello Stato. Uno Stato, ovviamente, federato.
Il famoso “Papa Re”.
Beh, queste erano, in un certo senso, le idee di Gioberti portate all’estremo. Anche perché al Papa non sarebbe mai interessato esercitare un potere effettivo sulla penisola. Ma risparmiarla dai conflitti civili, questo certamente sì.
Dunque, si può affermare che il Risorgimento fu anche una guerra civile?
Direi proprio di sì. Una delle non poche guerre civili che hanno contrassegnato la storia italiana degli ultimi duecento anni, a partire dalle insorgenze antinapoleoniche, proseguendo poi con la cosiddetta «guerra al brigantaggio», con la rivolta di Milano stroncata da Bava Beccaris, con lo scontro di Fiume, con il triennio 1919-1922 (fascisti contro comunisti), infine con la Resistenza 1943-45. Gli «anni di piombo» non ce li metto perché quella fu una guerra unilaterale. Non ci fu mai una vera reazione armata al piombo assassino dei brigatisti.
E allora perché manteniamo in vita soltanto l’Insmli, ovvero l’«Istituto per la storia del movimento di liberazione in Italia»? Non sarebbe meglio trasformarlo in Istituto per la storia delle guerre civili in Italia?
Sono anni che lo sostengo. Un governo che avesse davvero a cuore la diffusione, specie tra le giovani generazioni, di una storia condivisa, dovrebbe muoversi in questa direzione: mantenendo ovviamente in atto le strutture dell’Insmli (intendo dire personale, impiegati, eccetera), ma affidandone la cura a storici assolutamente super partes, e ampliandone le competenze incaricandolo dello studio di tutte le guerre civili che hanno visto italiani contro italiani. La storia, quella vera, quella seria, si fa così.
Cioè, portando alla ribalta le luci ma anche le ombre.
Esattamente. Mi si perdoni l’autocitazione: io ho raccontato, in numerosi miei libri, le luci della Resistenza, ossia il valore della lotta dei soldati e dei partigiani italiani contro i nazisti. E mi limito a citare la biografia di Edgardo Sogno e la storia degli IILO’s, gli «Italian Intelligence Liaison Officers» che combatterono a fianco degli inglesi nell’8.a Armata.
Fonte:Il Sussidiario.net
Il Risorgimento? È zoppo, ora gli storici lo riscrivano
di Giordano Bruno Guerri
Per esempio, il modo migliore (più economico e più utile) per celebrare l’Unità è che i suddetti intellettuali pubblichino un volume collettivo - basta organizzare un convengo entro l’estate del 2010 - per mettere nella giusta luce storiografica il nostro Risorgimento. Il quale viene tuttora trattato in modo retorico, enfatico e antistorico nei libri di testo delle scuole. Non sarebbe poi difficile semplificare gli atti di un simile convegno per farne un testo scolastico finalmente libero da patriottismi d’occasione.
Un simile testo farebbe giustizia di molti luoghi comuni che ci hanno trasmesso tanto nelle medie inferiori e superiori quanto nelle università. Non è edulcorando la propria storia che la si onora e la si fa amare, né tantomeno conoscere. Bisognerà, per esempio, dimostrare in modo esplicito che il Risorgimento non fu un movimento di massa voluto dal popolo, bensì l’attività intellettuale e politica di una minoranza, oltre che una campagna di conquista del Regno del Piemonte; che Cavour non andò mai a Roma in vita sua e che avrebbe preferito uno Stato federale composto da Nord, Centro e Sud; che ai cosiddetti plebisciti di annessione poté votare, per censo, meno del 2 per cento della popolazione; che Massimo d’Azeglio, dopo aver detto pubblicamente «fatta l’Italia bisogna fare gli italiani», in privato scriveva: «Unirsi con i napoletani è come giacere con un lebbroso»; che non erano molti - al Nord, al Sud, al Centro - gli italiani che davvero si entusiasmavano all’idea dell’Unità.
C’è anche da affrontare, fra i molti nodi, quale fosse il reale stato dell’economia del Regno delle Due Sicilie: se è vero - come sempre più spesso si sostiene - che fosse molto migliore di quanto comunemente si creda. E quanto è vero che le banche meridionali vennero saccheggiate in favore del nuovo Stato unitario, che il latifondo baronale sia stato smantellato - con requisizioni - a favore di nuovi latifondisti, i quali poterono comprare vasti appezzamenti di terra a costo inferiore al valore effettivo. C’è da considerare se l’improvvisa e radicale uniformazione di sistemi contabili, unità di misura, programmi scolastici ecc. non avrebbe potuto venire realizzata, più ragionevolmente, in tempi più lunghi.
Il corpo centrale del volume, invece, affonderà il più gigantesco e intangibile tabù della storia d’Italia, cui nei manuali scolastici vengono dedicate poche righe, ovvero la «lotta al brigantaggio». Per combattere la ribellione delle popolazioni meridionali contro l’annessione forzata, il neo Regno d’Italia applicò una vera dittatura militare, impiegando l’esercito come contro un nemico esterno. Intere popolazioni meridionali vennero sottoposte a una spietata repressione militare, di cui si è persa traccia perché la documentazione relativa è stata scientemente distrutta, ma che provocò - secondo calcoli attendibili - almeno 100mila morti, con crudeltà feroci da entrambe le parti: soldati crocefissi alle porte delle chiese, popolane incinte stuprate e squartate...
Sono straordinarie le storie di singoli briganti e brigantesse, di battaglie e agguati, astuzie e vita quotidiana di un mondo che sembra antico e siamo invece noi, appena un secolo e mezzo fa.
Il «brigantaggio» - sostenuto dai Borboni in esilio, dal clero, da veri briganti e dalla popolazione civile - fu una rivolta di massa, sociale e politica. Era la prima, dura prova dello Stato unitario, sulla quale si giocava la sua credibilità internazionale; e lo Stato, nel periodo 1861-1864, impiegò quasi metà dell’esercito per vincere la ribellione. Il 15 agosto 1863 fu approvata la legge Pica, che estendeva la repressione alla popolazione civile, ovvero a chiunque fornisse ai «briganti» viveri, informazioni «ed aiuti in ogni maniera». Con questo strumento operarono i nomi più illustri dell’esercito, Alfonso La Marmora, Enrico Cialdini, Enrico Morozzo della Rocca, Giacomo Medici, Raffaele Cadorna.
Intere regioni furono sottoposte a un regime di occupazione, ebbero villaggi incendiati, coltivazioni distrutte e lutti - decine di migliaia, non si sa quanti - dovuti ai «piemontesi». La popolazione considerava i briganti eroi coraggiosi contro un invasore. Ancora ottanta anni dopo Carlo Levi, in Cristo si è fermato a Eboli, scrisse: «Non c’è famiglia che non abbia parteggiato, allora, per i briganti o contro i briganti; che non abbia avuto qualcuno, con loro, alla macchia, che non ne abbia ospitato o nascosto, o che non abbia avuto qualche parente massacrato o qualche raccolto incendiato da loro. A quel tempo risalgono gli odi che dividono il paese tramandati per le generazioni, e sempre attuali».
Non è possibile capire il successivo rapporto Nord-Sud, fino ai nostri giorni, se non si tiene conto di quegli eventi. L’Italia settentrionale assistette inorridita alla guerra, per quanto si cercasse di nasconderne la gravità, e cominciò a chiedersi se annettere «quei selvaggi» era stato un bene. Il banditismo venne stroncato senza che peraltro venisse risolto il problema della criminalità, né tanto meno quello della sopravvivenza quotidiana dei più poveri.
Alla fine del 1865, la lotta al «brigantaggio» era ormai vinta, anche se durerà almeno fino all’annessione dello Stato della Chiesa, che appoggiava in ogni modo i «briganti». Il governo centrale si era imposto, l’Unità era salva grazie all’esercito, ma a caro prezzo.
È una vicenda che né al liberalismo e né al fascismo conveniva illuminare, e una sorta di autocensura patriottica ha impedito di farlo negli ultimi sessant’anni, continuando a perpetuare l’enfasi da Cuore sulla quale sono cresciuti decine di milioni di italiani. La «lotta al brigantaggio» non fu lo scontro di pochi criminali, o ribelli: erano italiani che non avevano avuto diritto di voto nei plebisciti per l’annessione al Regno del Piemonte, ma avevano il diritto, umanamente se non legalmente, di rifiutarla. Ancora più drammatici furono i riflessi sulla popolazione meridionale: «Mi avete voluto a tutti i costi? Bene, adesso mantenetemi». Anche l’attuale reazione leghista, in fondo, senza rendersene conto, deriva da quell’antico episodio della nostra storia.
Sul mercato non esiste, e non è mai esistita, una storia del brigantaggio fatta da uno storico autorevole e pubblicata da una grande casa editrice. Esistono soltanto centinaia di - preziose - storie locali pubblicate da piccoli editori. Beninteso, un simile volume non dovrà essere aprioristicamente denigratorio. Arriverà, inevitabilmente, alla conclusione che l’Unità è stata indispensabile, quindi preziosa, per il formarsi di un popolo italiano, e anche per lo sviluppo e l’economia dell’intero Paese. Ma nessun popolo - come nessun individuo - può davvero prendersi in giro, fingendo di avere avuto una storia diversa da quella che ha avuto.
Fonte:
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di Giordano Bruno Guerri
Per esempio, il modo migliore (più economico e più utile) per celebrare l’Unità è che i suddetti intellettuali pubblichino un volume collettivo - basta organizzare un convengo entro l’estate del 2010 - per mettere nella giusta luce storiografica il nostro Risorgimento. Il quale viene tuttora trattato in modo retorico, enfatico e antistorico nei libri di testo delle scuole. Non sarebbe poi difficile semplificare gli atti di un simile convegno per farne un testo scolastico finalmente libero da patriottismi d’occasione.
Un simile testo farebbe giustizia di molti luoghi comuni che ci hanno trasmesso tanto nelle medie inferiori e superiori quanto nelle università. Non è edulcorando la propria storia che la si onora e la si fa amare, né tantomeno conoscere. Bisognerà, per esempio, dimostrare in modo esplicito che il Risorgimento non fu un movimento di massa voluto dal popolo, bensì l’attività intellettuale e politica di una minoranza, oltre che una campagna di conquista del Regno del Piemonte; che Cavour non andò mai a Roma in vita sua e che avrebbe preferito uno Stato federale composto da Nord, Centro e Sud; che ai cosiddetti plebisciti di annessione poté votare, per censo, meno del 2 per cento della popolazione; che Massimo d’Azeglio, dopo aver detto pubblicamente «fatta l’Italia bisogna fare gli italiani», in privato scriveva: «Unirsi con i napoletani è come giacere con un lebbroso»; che non erano molti - al Nord, al Sud, al Centro - gli italiani che davvero si entusiasmavano all’idea dell’Unità.
C’è anche da affrontare, fra i molti nodi, quale fosse il reale stato dell’economia del Regno delle Due Sicilie: se è vero - come sempre più spesso si sostiene - che fosse molto migliore di quanto comunemente si creda. E quanto è vero che le banche meridionali vennero saccheggiate in favore del nuovo Stato unitario, che il latifondo baronale sia stato smantellato - con requisizioni - a favore di nuovi latifondisti, i quali poterono comprare vasti appezzamenti di terra a costo inferiore al valore effettivo. C’è da considerare se l’improvvisa e radicale uniformazione di sistemi contabili, unità di misura, programmi scolastici ecc. non avrebbe potuto venire realizzata, più ragionevolmente, in tempi più lunghi.
Il corpo centrale del volume, invece, affonderà il più gigantesco e intangibile tabù della storia d’Italia, cui nei manuali scolastici vengono dedicate poche righe, ovvero la «lotta al brigantaggio». Per combattere la ribellione delle popolazioni meridionali contro l’annessione forzata, il neo Regno d’Italia applicò una vera dittatura militare, impiegando l’esercito come contro un nemico esterno. Intere popolazioni meridionali vennero sottoposte a una spietata repressione militare, di cui si è persa traccia perché la documentazione relativa è stata scientemente distrutta, ma che provocò - secondo calcoli attendibili - almeno 100mila morti, con crudeltà feroci da entrambe le parti: soldati crocefissi alle porte delle chiese, popolane incinte stuprate e squartate...
Sono straordinarie le storie di singoli briganti e brigantesse, di battaglie e agguati, astuzie e vita quotidiana di un mondo che sembra antico e siamo invece noi, appena un secolo e mezzo fa.
Il «brigantaggio» - sostenuto dai Borboni in esilio, dal clero, da veri briganti e dalla popolazione civile - fu una rivolta di massa, sociale e politica. Era la prima, dura prova dello Stato unitario, sulla quale si giocava la sua credibilità internazionale; e lo Stato, nel periodo 1861-1864, impiegò quasi metà dell’esercito per vincere la ribellione. Il 15 agosto 1863 fu approvata la legge Pica, che estendeva la repressione alla popolazione civile, ovvero a chiunque fornisse ai «briganti» viveri, informazioni «ed aiuti in ogni maniera». Con questo strumento operarono i nomi più illustri dell’esercito, Alfonso La Marmora, Enrico Cialdini, Enrico Morozzo della Rocca, Giacomo Medici, Raffaele Cadorna.
Intere regioni furono sottoposte a un regime di occupazione, ebbero villaggi incendiati, coltivazioni distrutte e lutti - decine di migliaia, non si sa quanti - dovuti ai «piemontesi». La popolazione considerava i briganti eroi coraggiosi contro un invasore. Ancora ottanta anni dopo Carlo Levi, in Cristo si è fermato a Eboli, scrisse: «Non c’è famiglia che non abbia parteggiato, allora, per i briganti o contro i briganti; che non abbia avuto qualcuno, con loro, alla macchia, che non ne abbia ospitato o nascosto, o che non abbia avuto qualche parente massacrato o qualche raccolto incendiato da loro. A quel tempo risalgono gli odi che dividono il paese tramandati per le generazioni, e sempre attuali».
Non è possibile capire il successivo rapporto Nord-Sud, fino ai nostri giorni, se non si tiene conto di quegli eventi. L’Italia settentrionale assistette inorridita alla guerra, per quanto si cercasse di nasconderne la gravità, e cominciò a chiedersi se annettere «quei selvaggi» era stato un bene. Il banditismo venne stroncato senza che peraltro venisse risolto il problema della criminalità, né tanto meno quello della sopravvivenza quotidiana dei più poveri.
Alla fine del 1865, la lotta al «brigantaggio» era ormai vinta, anche se durerà almeno fino all’annessione dello Stato della Chiesa, che appoggiava in ogni modo i «briganti». Il governo centrale si era imposto, l’Unità era salva grazie all’esercito, ma a caro prezzo.
È una vicenda che né al liberalismo e né al fascismo conveniva illuminare, e una sorta di autocensura patriottica ha impedito di farlo negli ultimi sessant’anni, continuando a perpetuare l’enfasi da Cuore sulla quale sono cresciuti decine di milioni di italiani. La «lotta al brigantaggio» non fu lo scontro di pochi criminali, o ribelli: erano italiani che non avevano avuto diritto di voto nei plebisciti per l’annessione al Regno del Piemonte, ma avevano il diritto, umanamente se non legalmente, di rifiutarla. Ancora più drammatici furono i riflessi sulla popolazione meridionale: «Mi avete voluto a tutti i costi? Bene, adesso mantenetemi». Anche l’attuale reazione leghista, in fondo, senza rendersene conto, deriva da quell’antico episodio della nostra storia.
Sul mercato non esiste, e non è mai esistita, una storia del brigantaggio fatta da uno storico autorevole e pubblicata da una grande casa editrice. Esistono soltanto centinaia di - preziose - storie locali pubblicate da piccoli editori. Beninteso, un simile volume non dovrà essere aprioristicamente denigratorio. Arriverà, inevitabilmente, alla conclusione che l’Unità è stata indispensabile, quindi preziosa, per il formarsi di un popolo italiano, e anche per lo sviluppo e l’economia dell’intero Paese. Ma nessun popolo - come nessun individuo - può davvero prendersi in giro, fingendo di avere avuto una storia diversa da quella che ha avuto.
Fonte:
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C’era l’Italia anche prima del Risorgimento
Di Ugo Finetti
La successione degli attacchi al governo a proposito delle celebrazioni della nascita dello Stato italiano sta avvitando la sinistra e i suoi storici militanti su posizioni sempre più arretrate.
In particolare non si comprende quale «pericolo» possa venire dalla valorizzazione delle realtà e storie locali, una delle accuse mosse più di frequente. Del resto la soluzione federalista fu presente nella cultura risorgimentale ed è stata ricorrente in particolare nella sinistra italiana. Uno dei temi della polemica antifascista fu contestare al regime la compattezza della nazione italiana, ottenuta censurando articolazioni e diversità. Basterebbe guardare infatti a come è stata impostata la rappresentazione della Resistenza da sinistra a cominciare dal testo che la celebra nel modo più ortodosso e cioè il Dizionario della Resistenza, edito nel 2000 da Einaudi. Perché quel che vale per la Resistenza che aveva alle spalle uno Stato unitario consolidato non può valere per i moti risorgimentali di un secolo prima e per il 1861?
Il testo einaudiano è articolato in due tomi così intitolati: «Storia e geografia della Liberazione», «Luoghi, formazioni, protagonisti». La rievocazione della Resistenza è svolta in capitoli dedicati in modo minuzioso alle varie vicende nelle singole regioni, proprio secondo il tanto bistrattato principio della «valorizzazione della storia localistica»: dalla loro specifica «situazione sociopolitica» al «potenziale economico» e all’«impulso autonomista». «L’accentuazione geografica accanto a quella storica - è spiegato nell’Introduzione - ci sembra rappresenti uno spiccato elemento di novità non solo perché rompe l’idea cristallizzata e diffusa di una Resistenza dal carattere unitario, ma perché dà spazio a una notevole mole di lavori regionali e locali che in questi ultimi anni hanno contribuito a restituire complessità e veridicità». E quindi si motiva la valorizzazione della «geografia» come base per poter meglio valutare «il rapporto tra un’esperienza così sconvolgente come fu la lotta di liberazione con il suo attuale assetto istituzionale».
Ma allora perché le manifestazioni di «Italia 150» non possono dar luogo a una riflessione sugli assetti istituzionali? Comunque sia, negare il policentrismo della cultura italiana significa negare almeno otto secoli di storia. E cercare nel solo processo risorgimentale le radici dell’Unità è un errore per difetto che trascura una lunga tradizione letteraria, dibattiti a volte furiosi sulla lingua nazionale (quando la nazione ancora non esisteva; segno che però esisteva una coscienza unitaria), una politica di equilibrio e scambio reciproco da cui nacque, ad esempio, il Rinascimento. La storia d’Italia, insomma, non inizia nel 1861. «Giardino dell’Impero» ed «espressione geografica» sono modi di dire che hanno sfregiato per secoli gli italiani privi di uno stato unitario. Ma l’Italia - gli italiani - esistevano ed erano riconosciuti per una lingua che era la dimensione unitaria, disegnava una comunità che si articolava e si consolidava da Milano a Palermo nella letteratura, nell’arte, nella ricerca scientifica e, quindi, nello stesso pensiero politico. Basti pensare all’Italia invocata dal Machiavelli e che animava il pensiero rinascimentale. «Io ho deliberato di scrivere le cose accadute alla memoria nostra in Italia» è l’incipit della Storia d’Italia che Francesco Guicciardini scrisse tra il 1537 e il 1540.
Anche l’altra contestazione più frequente - la citazione di Vincenzo Gioberti insieme con Carlo Cattaneo e più in generale il coinvolgimento dei «guelfi» - investe il rapporto tra unità d’Italia e identità nazionale. Che cosa si deve fare nel 2011? Celebrare la rottura con la Chiesa e la divisione tra laici e cattolici? Per comprendere il fastidio di vedere il Gioberti accanto al Cattaneo bisogna tener presente come nella sinistra italiana si sia andata sviluppando e consolidando una corrente che soprattutto sull’onda del Sessantotto, in un periodo in cui vacillavano molti riferimenti tradizionali (a cominciare dalla Chiesa investita dalla crisi postconciliare), ha proposto una lettura critica della identità italiana mettendo sotto accusa radici latine e radici cattoliche. L’eredità della cultura latina sarebbe stato il manzoniano «latinorum» ovvero l’Italia di una cultura giuridica nel segno degli «Azzeccagarbugli», mentre il lascito più importante del cattolicesimo andrebbe visto nell’Inquisizione. Tutti i mali d’Italia deriverebbero da un Paese che aveva conosciuto la Controriforma senza aver avuto alcuna Riforma.
Il nervosismo crescente sembra in verità tradire una seria preoccupazione per il fatto che per decenni certa storiografia ha avuto come cultura dominante la lettura classista, la storia d’Italia come teatro di scontro fra capitalismo reazionario e movimento dei lavoratori. Questa architettura storiografica è ancora presente nei più diffusi manuali e «testi consigliati» redatti da storici che per decenni si sono formati e hanno lavorato essendo convinti - una citazione per ricordare il clima - che «la storiografia marxista» è quella che «ha saputo meglio spaziare dalla storia antica a quella contemporanea... allargando la tematica al di là dei confini nazionali» (Rosario Villari). Nel 1959 la socialdemocrazia tedesca «mandava in soffitta» Marx con il Congresso di Bad Godesberg. È forse il tempo di celebrare in Italia una Bad Godesberg storiografica. Che queste celebrazioni siano l’occasione giusta?
Fonte:il Giornale
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Di Ugo Finetti
La successione degli attacchi al governo a proposito delle celebrazioni della nascita dello Stato italiano sta avvitando la sinistra e i suoi storici militanti su posizioni sempre più arretrate.
In particolare non si comprende quale «pericolo» possa venire dalla valorizzazione delle realtà e storie locali, una delle accuse mosse più di frequente. Del resto la soluzione federalista fu presente nella cultura risorgimentale ed è stata ricorrente in particolare nella sinistra italiana. Uno dei temi della polemica antifascista fu contestare al regime la compattezza della nazione italiana, ottenuta censurando articolazioni e diversità. Basterebbe guardare infatti a come è stata impostata la rappresentazione della Resistenza da sinistra a cominciare dal testo che la celebra nel modo più ortodosso e cioè il Dizionario della Resistenza, edito nel 2000 da Einaudi. Perché quel che vale per la Resistenza che aveva alle spalle uno Stato unitario consolidato non può valere per i moti risorgimentali di un secolo prima e per il 1861?
Il testo einaudiano è articolato in due tomi così intitolati: «Storia e geografia della Liberazione», «Luoghi, formazioni, protagonisti». La rievocazione della Resistenza è svolta in capitoli dedicati in modo minuzioso alle varie vicende nelle singole regioni, proprio secondo il tanto bistrattato principio della «valorizzazione della storia localistica»: dalla loro specifica «situazione sociopolitica» al «potenziale economico» e all’«impulso autonomista». «L’accentuazione geografica accanto a quella storica - è spiegato nell’Introduzione - ci sembra rappresenti uno spiccato elemento di novità non solo perché rompe l’idea cristallizzata e diffusa di una Resistenza dal carattere unitario, ma perché dà spazio a una notevole mole di lavori regionali e locali che in questi ultimi anni hanno contribuito a restituire complessità e veridicità». E quindi si motiva la valorizzazione della «geografia» come base per poter meglio valutare «il rapporto tra un’esperienza così sconvolgente come fu la lotta di liberazione con il suo attuale assetto istituzionale».
Ma allora perché le manifestazioni di «Italia 150» non possono dar luogo a una riflessione sugli assetti istituzionali? Comunque sia, negare il policentrismo della cultura italiana significa negare almeno otto secoli di storia. E cercare nel solo processo risorgimentale le radici dell’Unità è un errore per difetto che trascura una lunga tradizione letteraria, dibattiti a volte furiosi sulla lingua nazionale (quando la nazione ancora non esisteva; segno che però esisteva una coscienza unitaria), una politica di equilibrio e scambio reciproco da cui nacque, ad esempio, il Rinascimento. La storia d’Italia, insomma, non inizia nel 1861. «Giardino dell’Impero» ed «espressione geografica» sono modi di dire che hanno sfregiato per secoli gli italiani privi di uno stato unitario. Ma l’Italia - gli italiani - esistevano ed erano riconosciuti per una lingua che era la dimensione unitaria, disegnava una comunità che si articolava e si consolidava da Milano a Palermo nella letteratura, nell’arte, nella ricerca scientifica e, quindi, nello stesso pensiero politico. Basti pensare all’Italia invocata dal Machiavelli e che animava il pensiero rinascimentale. «Io ho deliberato di scrivere le cose accadute alla memoria nostra in Italia» è l’incipit della Storia d’Italia che Francesco Guicciardini scrisse tra il 1537 e il 1540.
Anche l’altra contestazione più frequente - la citazione di Vincenzo Gioberti insieme con Carlo Cattaneo e più in generale il coinvolgimento dei «guelfi» - investe il rapporto tra unità d’Italia e identità nazionale. Che cosa si deve fare nel 2011? Celebrare la rottura con la Chiesa e la divisione tra laici e cattolici? Per comprendere il fastidio di vedere il Gioberti accanto al Cattaneo bisogna tener presente come nella sinistra italiana si sia andata sviluppando e consolidando una corrente che soprattutto sull’onda del Sessantotto, in un periodo in cui vacillavano molti riferimenti tradizionali (a cominciare dalla Chiesa investita dalla crisi postconciliare), ha proposto una lettura critica della identità italiana mettendo sotto accusa radici latine e radici cattoliche. L’eredità della cultura latina sarebbe stato il manzoniano «latinorum» ovvero l’Italia di una cultura giuridica nel segno degli «Azzeccagarbugli», mentre il lascito più importante del cattolicesimo andrebbe visto nell’Inquisizione. Tutti i mali d’Italia deriverebbero da un Paese che aveva conosciuto la Controriforma senza aver avuto alcuna Riforma.
Il nervosismo crescente sembra in verità tradire una seria preoccupazione per il fatto che per decenni certa storiografia ha avuto come cultura dominante la lettura classista, la storia d’Italia come teatro di scontro fra capitalismo reazionario e movimento dei lavoratori. Questa architettura storiografica è ancora presente nei più diffusi manuali e «testi consigliati» redatti da storici che per decenni si sono formati e hanno lavorato essendo convinti - una citazione per ricordare il clima - che «la storiografia marxista» è quella che «ha saputo meglio spaziare dalla storia antica a quella contemporanea... allargando la tematica al di là dei confini nazionali» (Rosario Villari). Nel 1959 la socialdemocrazia tedesca «mandava in soffitta» Marx con il Congresso di Bad Godesberg. È forse il tempo di celebrare in Italia una Bad Godesberg storiografica. Che queste celebrazioni siano l’occasione giusta?
Fonte:il Giornale
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Sabato 26 settembre: Il Partito del Sud aderisce alla "marcia delle agende rosse" a Roma
ANCORA 100 PASSI..: IL PARTITO DEL SUD SABATO 26/09 A PONTERANICA (BG) ALLA MANIFESTAZIONE CONTRO L'OBLIO DELLA MEMORIA DI PEPPINO IMPASTATO
Sabato 26 settembre 2009 si svolgerà a Ponteranica (BG) la manifestazione a favore del ripristino della targa e dell'intitolazione della biblioteca comunale dedicata a Peppino Impastato rimossa dal sindaco leghista Aldegani.
Il Partito del Sud aderisce a questa manifestazione contro l'oblio della memoria di Impastato e dei tanti, troppi, caduti per mano mafiosa.
Convergeremo a Ponteranica, nel cuore della padania leghista, da più province del nord, chiunque fosse interessato a partecipare con noi alla manifestazione ci contatti ai seguenti indirizzi e- mail:
partitodelsud.emiliaromagna@yahoo.it
sudlibero@alice.it
......................................................................................................................
Ponteranica, attese 5 mila persone
alla manifestazione per Impastato
Alla manifestazione di Ponteranica, sabato 26 settembre alle 14,30, sono attese circa 5.000 persone provenienti da tutta Italia. Uniranno le loro voci per chiedere che alla biblioteca torni la targa che la intitolava a Peppino Impastato, morto per mano mafiosa nel 1978.
La targa era stata collocata l'anno scorso nell'ambito della «Settimana della pace», ma era stata tolta dal sindaco Cristiano Aldegani (Lega) dopo che la nuova giunta comunale aveva scelto di rendere omaggio alla memoria del sacramentino padre Giancarlo Baggi.
Oggi gli organizzatori del Comitato Peppino Impastato hanno fatto il punto sulla manifestazione di sabato prossimo: è previsto l'arrivo di migliaia di persone, circa cinquemila secondo le stime, con pullman dalla Sicilia e da tutta Italia. Tra gli altri hanno assicurato la loro presenza Giovanni Impastato, fratello di Peppino, e Claudio Fava, sceneggiatore del film «I cento passi».
E così il Comitato ha lanciato un appello ai cittadini di Ponteranica, chiedendo loro di dare una mano a ospitare chi arriverà da lontano. Per chi vuole offrire la propria disponibilità c'è un numero da chiamare: 339-6354133.
L'invito a partecipare è stato esteso a tutti: partiti, movimenti, associazioni, parrocchie e semplici cittadini. Agli abitanti di Ponteranica è stato anche chiesto di esporre palloncini alle finestre durante la manifestazione.
Per quanto riguarda il corteo, partirà da via Matteotti, proseguirà in via Valbona, si fermerà nei pressi del bocciodromo (dove all'ulivo recentemente piantato sarà esposta una targa con il nome di Peppino Impastato), infine proseguirà verso gli impianti sportivi di via 8 Marzo.
Fonte:L'Eco di Bergamo
Sabato 26 settembre 2009 si svolgerà a Ponteranica (BG) la manifestazione a favore del ripristino della targa e dell'intitolazione della biblioteca comunale dedicata a Peppino Impastato rimossa dal sindaco leghista Aldegani.
Il Partito del Sud aderisce a questa manifestazione contro l'oblio della memoria di Impastato e dei tanti, troppi, caduti per mano mafiosa.
Convergeremo a Ponteranica, nel cuore della padania leghista, da più province del nord, chiunque fosse interessato a partecipare con noi alla manifestazione ci contatti ai seguenti indirizzi e- mail:
partitodelsud.emiliaromagna@yahoo.it
sudlibero@alice.it
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Ponteranica, attese 5 mila persone
alla manifestazione per Impastato
Alla manifestazione di Ponteranica, sabato 26 settembre alle 14,30, sono attese circa 5.000 persone provenienti da tutta Italia. Uniranno le loro voci per chiedere che alla biblioteca torni la targa che la intitolava a Peppino Impastato, morto per mano mafiosa nel 1978.
La targa era stata collocata l'anno scorso nell'ambito della «Settimana della pace», ma era stata tolta dal sindaco Cristiano Aldegani (Lega) dopo che la nuova giunta comunale aveva scelto di rendere omaggio alla memoria del sacramentino padre Giancarlo Baggi.
Oggi gli organizzatori del Comitato Peppino Impastato hanno fatto il punto sulla manifestazione di sabato prossimo: è previsto l'arrivo di migliaia di persone, circa cinquemila secondo le stime, con pullman dalla Sicilia e da tutta Italia. Tra gli altri hanno assicurato la loro presenza Giovanni Impastato, fratello di Peppino, e Claudio Fava, sceneggiatore del film «I cento passi».
E così il Comitato ha lanciato un appello ai cittadini di Ponteranica, chiedendo loro di dare una mano a ospitare chi arriverà da lontano. Per chi vuole offrire la propria disponibilità c'è un numero da chiamare: 339-6354133.
L'invito a partecipare è stato esteso a tutti: partiti, movimenti, associazioni, parrocchie e semplici cittadini. Agli abitanti di Ponteranica è stato anche chiesto di esporre palloncini alle finestre durante la manifestazione.
Per quanto riguarda il corteo, partirà da via Matteotti, proseguirà in via Valbona, si fermerà nei pressi del bocciodromo (dove all'ulivo recentemente piantato sarà esposta una targa con il nome di Peppino Impastato), infine proseguirà verso gli impianti sportivi di via 8 Marzo.
Fonte:L'Eco di Bergamo
Sabato 26 Settembre: Il Partito del Sud di Roma partecipa all'evento promosso da Insorgenza Civile
8 regioni impugnano davanti alla Corte Costituzionale la legge sul nucleare
A riassumere i termini della questione è l’assessore all’Ambiente delle Marche, Marco Amagliani. “Esistono i presupposti giuridici - spiega - per ricorrere contro la delega nucleare al governo, supportati da diverse sentenze della Corte in materia di energia. La Legge 99, infatti, esclude le Regioni e gli Enti locali dalla decisione sulle localizzazioni degli impianti nucleari, equiparandoli ad aree militarizzate, per la produzione dell’energia elettrica, sugli impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo smantellamento degli impianti nucleari, non tenendo conto di quanto stabilito dal Titolo V della Costituzione sui poteri delle Regioni in materia di governo del territorio e sul rispetto del principio di leale collaborazione istituzionale”.
Ma la battaglia legale davanti alla Consulta, prologo a prevedibili mobilitazioni della popolazione in caso di sconfitta degli enti locali, è solo uno degli scogli contro cui l’ostinazione nucleare di Berlusconi, Scajola, Enel e Ansaldo dovranno fare i conti in futuro. Dagli Stati Uniti arriva infatti proprio oggi una notizia che fa a pugni con le rassicuranti parole usate sin qui dalla lobby nostrana dell’atomo.
Come riferisce il New York Times, la Nuclear Waste Technical Review Board, la speciale commissione federale incaricata di affrontare la questione delle scorie nucleari prodotte fino ad oggi negli Usa, si accinge a proporre di riunciare all’idea di creare un sito di stoccaggio. Malgrado inseguita ormai da molti anni, la creazione di un deposito nazionale delle scorie a Yucca Mountain, nel Nevada, sembra essersi rivelata ormai irrealizzabile. Tanto vale, suggerisce quindi il Board, tentare di trovare una soluzione diversa, riutilizzando il materiale di risulta.
FONTE:http://gualerzi.blogautore.repubblica.it/2009/09/24/nucleare-le-ragioni-delle-regioni/
A riassumere i termini della questione è l’assessore all’Ambiente delle Marche, Marco Amagliani. “Esistono i presupposti giuridici - spiega - per ricorrere contro la delega nucleare al governo, supportati da diverse sentenze della Corte in materia di energia. La Legge 99, infatti, esclude le Regioni e gli Enti locali dalla decisione sulle localizzazioni degli impianti nucleari, equiparandoli ad aree militarizzate, per la produzione dell’energia elettrica, sugli impianti per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi o per lo smantellamento degli impianti nucleari, non tenendo conto di quanto stabilito dal Titolo V della Costituzione sui poteri delle Regioni in materia di governo del territorio e sul rispetto del principio di leale collaborazione istituzionale”.
Ma la battaglia legale davanti alla Consulta, prologo a prevedibili mobilitazioni della popolazione in caso di sconfitta degli enti locali, è solo uno degli scogli contro cui l’ostinazione nucleare di Berlusconi, Scajola, Enel e Ansaldo dovranno fare i conti in futuro. Dagli Stati Uniti arriva infatti proprio oggi una notizia che fa a pugni con le rassicuranti parole usate sin qui dalla lobby nostrana dell’atomo.
Come riferisce il New York Times, la Nuclear Waste Technical Review Board, la speciale commissione federale incaricata di affrontare la questione delle scorie nucleari prodotte fino ad oggi negli Usa, si accinge a proporre di riunciare all’idea di creare un sito di stoccaggio. Malgrado inseguita ormai da molti anni, la creazione di un deposito nazionale delle scorie a Yucca Mountain, nel Nevada, sembra essersi rivelata ormai irrealizzabile. Tanto vale, suggerisce quindi il Board, tentare di trovare una soluzione diversa, riutilizzando il materiale di risulta.
FONTE:http://gualerzi.blogautore.repubblica.it/2009/09/24/nucleare-le-ragioni-delle-regioni/
Un gruppo di bergamaschi in Sicilia «Qui capiamo il valore del ricordo»
Ecco il testo della missiva:
«Siamo un piccolo gruppo di bergamaschi che scrive da Palermo. Ci troviamo qui per una breve vacanza per visitare i luoghi di "Libera Terra" e per toccare con mano le iniziative che un gruppo di giovani avviati da Don Ciotti, stanno realizzando contro la mafia.
Ieri sera ci siamo trovati in casa di Peppino Impastato e siamo stati accolti dal fratello Giovanni: "...la vostra visita vale il doppio..." ci ha subito detto, per via dei fatti di Ponteranica. Poi ci ha raccontato, e così abbiamo capito che qualcosa di questa violenza c'è anche da noi. La forma è diversa, il modo di uccidere non è fisico, ma la radice è la medesima.
Crediamo che ricordare Peppino Impastato significhi anche per noi bergamaschi percorrere una strada di non violenza per porci di fronte gli altri con occhio e parola critica, ma mai violenta, mai mortifera. Giovanni ci ha lasciato una dedica sulle pagine del libro di Peppino, che ci piace inviare al nostro giornale, che sappiamo attento e sensibile!».
Giovannelli Fabrizio - Ranica
Cugini Paola - Albino
Bergamelli Giovanni - Albino
Kleiber Anne Marie - Nembro
Rigon Rodolfo - Nembro
Signori Francesca - Nembro
Pulcini Maurizio - Nembro
Carsana Manuela - Fiorano Al Serio
Cavagnis Edoardo - Nembro
Remondini Michela - Villa di Serio
Persico Elio - Nembro
Noris Giuseppina - Nembro
Testa Bruno - Albino
Lecchi Maria Patrizia - Albino
Moretti Paolo - Nembro
Alemanni Elena - Nembro
Benigni Angelo - Nembro
Ghilardi Giacomo - Nembro
Alberti Mariangela - Nembro
Fonte:L'Eco di Bergamo
Ecco il testo della missiva:
«Siamo un piccolo gruppo di bergamaschi che scrive da Palermo. Ci troviamo qui per una breve vacanza per visitare i luoghi di "Libera Terra" e per toccare con mano le iniziative che un gruppo di giovani avviati da Don Ciotti, stanno realizzando contro la mafia.
Ieri sera ci siamo trovati in casa di Peppino Impastato e siamo stati accolti dal fratello Giovanni: "...la vostra visita vale il doppio..." ci ha subito detto, per via dei fatti di Ponteranica. Poi ci ha raccontato, e così abbiamo capito che qualcosa di questa violenza c'è anche da noi. La forma è diversa, il modo di uccidere non è fisico, ma la radice è la medesima.
Crediamo che ricordare Peppino Impastato significhi anche per noi bergamaschi percorrere una strada di non violenza per porci di fronte gli altri con occhio e parola critica, ma mai violenta, mai mortifera. Giovanni ci ha lasciato una dedica sulle pagine del libro di Peppino, che ci piace inviare al nostro giornale, che sappiamo attento e sensibile!».
Giovannelli Fabrizio - Ranica
Cugini Paola - Albino
Bergamelli Giovanni - Albino
Kleiber Anne Marie - Nembro
Rigon Rodolfo - Nembro
Signori Francesca - Nembro
Pulcini Maurizio - Nembro
Carsana Manuela - Fiorano Al Serio
Cavagnis Edoardo - Nembro
Remondini Michela - Villa di Serio
Persico Elio - Nembro
Noris Giuseppina - Nembro
Testa Bruno - Albino
Lecchi Maria Patrizia - Albino
Moretti Paolo - Nembro
Alemanni Elena - Nembro
Benigni Angelo - Nembro
Ghilardi Giacomo - Nembro
Alberti Mariangela - Nembro
Fonte:L'Eco di Bergamo
Spegni Raiset accendi la Web TV: Programmazione Web Tv del Partito del Sud
-Suzzara (MN) - 1^ Festa della Solidarietà 18-19 settembre 2009 01:25:07
-L'armadio della vergogna - Primo segreto di Stato 01:57:41
Un armadio pieno di scheletri: scheletri dei morti uccisi a Sant'Anna di Stazzema e nei paesi vicini. Era il 12 agosto 1944: le SS della XVI divisione panzergranadier ReichFuhrer, del battaglione comandato dal maggior Walter Reder si lasciarono alle spalle 560 morti.
Di cui 132 bambini di meno di 12 anni.
-Geo & Gea: Brigantaggio 00:26:37
-Controstoria del Risorgimento: l'eccidio di Pontelandolfo 00:47:52
-Beppe Grillo a Chiaiano 01:01:45
-Suzzara (MN) - 1^ Festa della Solidarietà 18-19 settembre 2009 01:25:07
-L'armadio della vergogna - Primo segreto di Stato 01:57:41
Un armadio pieno di scheletri: scheletri dei morti uccisi a Sant'Anna di Stazzema e nei paesi vicini. Era il 12 agosto 1944: le SS della XVI divisione panzergranadier ReichFuhrer, del battaglione comandato dal maggior Walter Reder si lasciarono alle spalle 560 morti.
Di cui 132 bambini di meno di 12 anni.
-Geo & Gea: Brigantaggio 00:26:37
-Controstoria del Risorgimento: l'eccidio di Pontelandolfo 00:47:52
-Beppe Grillo a Chiaiano 01:01:45
venerdì 25 settembre 2009
Caso Impastato, nessun accordo - Manifestazione e targa su un olivo
Attese 5 mila persone, sul palco ci sarà a presentare la giornata Danilo Di Biasio di Radio Popolare, con un intervento - in collegamento telfonico da Roma - di Salvatore Borsellino. Durante la manifestazione (gli organizzatori raccomandano di raggiungere Ponteranica con i mezzi pubblici e non con l'auto) continuerà anche la raccolta firme che chiede il riposizionamento della targa a Impastato rimossa dalla biblioteca e che verrà inviata al ministro Maroni: per ora la petizione è arrivata a 1000 firme.
Ecco il programma della manifestazione: alle 14.30, da piazza Matteotti, un corteo si snoderà per le vie di Ponteranica verso la zona dei campi sportivi dove su un palco si alterneranno gli ospiti della giornata.
Prevista anche una tappa al bocciodromo del paese, con l'affissione di una targa in memoria di Impastato sull'ulivo piantato due anni fa proprio per ricordare questa vittima della mafia. Rifondazione Comunista, con la presenza dello stesso segretario nazionale del partito Paolo Ferrero, parteciperà alla manifestazione che si terrà il 26 settembre a Ponteranica, in provincia di Bergamo, in difesa della memoria di Peppino Impastato contro la politica xenofoba e razzista della Lega. Hanno già assicurato la partecipazione alla manifestazione, oltre allo stesso Ferrero, Giovanni Russo Spena, ex capogruppo del Prc al Senato dove fu relatore del comitato sulla Verità per Peppino Impastato all'interno della commissione Antimafia nella penultima legislatura, e Ezio Locatelli, ex deputato e attuale segretario provinciale del Prc.
Secondo Paolo Ferrero ed Ezio Locatelli “quella del Sindaco di Ponteranica che ha deciso significativamente, come suo primo atto istituzionale, di rimuovere la targa dedicata a Peppino Impastato, un vero simbolo della lotta contro la mafia, dalla locale Biblioteca civica, è semplicemente un atto vergognoso. Si tratta dell’ennesima manifestazione di xenofobia da parte di una forza politica in totale rottura con tutti i valori democratici e antifascisti che sono stati per tutto un lungo periodo alla base di una idea di convivenza civile nel nostro Paese. Condividiamo appieno quanto già detto dall’Associazione Peppino Impastato-Casa Memoria, la quale in sostanza invita a evitare di fare pastrocchi con la Lega e i suoi alleati. Di fronte all’ennesima provocazione che ancora una volta dice della natura fascistoide e reazionaria della Lega le risposte da dare devono essere di grande fermezza. La giornata di sabato prossimo 26 settembre, oltre che una grande manifestazione, dovrà segnare anche l’inizio di una nuova partenza, di una rimobilitazione democratica che unisca Nord e Sud contro il populismo e i rigurgiti reazionari della Lega e delle destre in generale”
Fonte: L'Eco di Bergamo
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Attese 5 mila persone, sul palco ci sarà a presentare la giornata Danilo Di Biasio di Radio Popolare, con un intervento - in collegamento telfonico da Roma - di Salvatore Borsellino. Durante la manifestazione (gli organizzatori raccomandano di raggiungere Ponteranica con i mezzi pubblici e non con l'auto) continuerà anche la raccolta firme che chiede il riposizionamento della targa a Impastato rimossa dalla biblioteca e che verrà inviata al ministro Maroni: per ora la petizione è arrivata a 1000 firme.
Ecco il programma della manifestazione: alle 14.30, da piazza Matteotti, un corteo si snoderà per le vie di Ponteranica verso la zona dei campi sportivi dove su un palco si alterneranno gli ospiti della giornata.
Prevista anche una tappa al bocciodromo del paese, con l'affissione di una targa in memoria di Impastato sull'ulivo piantato due anni fa proprio per ricordare questa vittima della mafia. Rifondazione Comunista, con la presenza dello stesso segretario nazionale del partito Paolo Ferrero, parteciperà alla manifestazione che si terrà il 26 settembre a Ponteranica, in provincia di Bergamo, in difesa della memoria di Peppino Impastato contro la politica xenofoba e razzista della Lega. Hanno già assicurato la partecipazione alla manifestazione, oltre allo stesso Ferrero, Giovanni Russo Spena, ex capogruppo del Prc al Senato dove fu relatore del comitato sulla Verità per Peppino Impastato all'interno della commissione Antimafia nella penultima legislatura, e Ezio Locatelli, ex deputato e attuale segretario provinciale del Prc.
Secondo Paolo Ferrero ed Ezio Locatelli “quella del Sindaco di Ponteranica che ha deciso significativamente, come suo primo atto istituzionale, di rimuovere la targa dedicata a Peppino Impastato, un vero simbolo della lotta contro la mafia, dalla locale Biblioteca civica, è semplicemente un atto vergognoso. Si tratta dell’ennesima manifestazione di xenofobia da parte di una forza politica in totale rottura con tutti i valori democratici e antifascisti che sono stati per tutto un lungo periodo alla base di una idea di convivenza civile nel nostro Paese. Condividiamo appieno quanto già detto dall’Associazione Peppino Impastato-Casa Memoria, la quale in sostanza invita a evitare di fare pastrocchi con la Lega e i suoi alleati. Di fronte all’ennesima provocazione che ancora una volta dice della natura fascistoide e reazionaria della Lega le risposte da dare devono essere di grande fermezza. La giornata di sabato prossimo 26 settembre, oltre che una grande manifestazione, dovrà segnare anche l’inizio di una nuova partenza, di una rimobilitazione democratica che unisca Nord e Sud contro il populismo e i rigurgiti reazionari della Lega e delle destre in generale”
Fonte: L'Eco di Bergamo
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Il Partito del Sud ( quello vero..) .....sul Venerdì di Repubblica
Il mozzo di Cammarata e le tre scimmiette. Ovvero, le miserie siciliane
Zitti tutti ed ora stupiti e meravigliati.
A noi non sorprende più di tanto quanto scoperto da Striscia La Notizia sui fatti siciliani, da tempo denunciamo fatti e misfatti siciliani senza che nessuno abbia mai mostrato il minimo interesse, Magistratura inclusa.
La Vicenda del signor Franco Alioto è la conferma del degrado morale e sociale in cui si trova tutta la Sicilia e fa sorridere la sollevazione di scudi di certa parte politica che grida allo scandalo.
Ma soprattutto conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che gli italiani in genere ed i siciliani in particolare, dopo le telenovela berlusconiana, i furbetti del quartierino, il caso Parmalat, Cirio, e chi più ne ha più ne metta, si sono talmente abituati alla disonestà personale della classe politica e della stessa società, da non prendersela più di tanto e tirare avanti.
Ognuno conserva un ricordo, un interesse, un piccolo giardino da “curare” e quindi nell’interesse generale personale, la fanno da padrone le tre scimmiette.
Non sentire, non parlare, non vedere sono comportamenti generalizzati in Italia e, in particolare in Sicilia. Ma questa non è mafia ? Far crescere una società malata, truffaldina e disonesta senza alzare un dito è comportamento omertoso e quindi … mafioso.
Il coraggio di denunciare. Nel settore pubblico in Sicilia, a cominciare proprio dagli enti locali regionali, provinciali, comunale, università e sanità, esistono le prevaricazioni, le baronie, il clientelismo, il familiarismo, e l’aiutino… sempre innocente!
Nel settore privato un vero e proprio comportamento criminale di molti datori di lavoro che assumono in nero, corrispondono un salario vergognoso (si arriva a 200 al mese euro per 12 ore di lavoro al giorno), danno al lavoratore un salario inferiore a quello risultante dallo statino, non concedono ferie, non riconoscono i diritti alla madri lavoratrici, truffano lo stato e l’Inps, eppure, nessuno parla.
Per viltà si dice. Per paura di perdere il posto, per paura di non trovare più posto, per paura di rimanere isolato ed emarginato anche dagli stessi colleghi e pseudo amici.
In questa società così malata ecco che i potenti, spesso incapaci, possono attuare comportamenti disonesti convinti dell’impunità giudiziaria e sapendo che il popolo alla fine “comprenderà” e perdonerà.
Ed allora perché stupirsi più di tanto ?
Finché i Siciliani non penseranno con la loro testa e capiranno che questa politica nazional “socialista” imposta dalla casta non si solleveranno, meglio sarebbe, per onestà, non sorprendersi e lasciar perdere, tanto alla fine niente tutto sarà dimenticato e i Siciliani rimarranno “fessi” e contenti, e Cammarata continuerà a ringraziare…
Zitti tutti ed ora stupiti e meravigliati.
A noi non sorprende più di tanto quanto scoperto da Striscia La Notizia sui fatti siciliani, da tempo denunciamo fatti e misfatti siciliani senza che nessuno abbia mai mostrato il minimo interesse, Magistratura inclusa.
La Vicenda del signor Franco Alioto è la conferma del degrado morale e sociale in cui si trova tutta la Sicilia e fa sorridere la sollevazione di scudi di certa parte politica che grida allo scandalo.
Ma soprattutto conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, che gli italiani in genere ed i siciliani in particolare, dopo le telenovela berlusconiana, i furbetti del quartierino, il caso Parmalat, Cirio, e chi più ne ha più ne metta, si sono talmente abituati alla disonestà personale della classe politica e della stessa società, da non prendersela più di tanto e tirare avanti.
Ognuno conserva un ricordo, un interesse, un piccolo giardino da “curare” e quindi nell’interesse generale personale, la fanno da padrone le tre scimmiette.
Non sentire, non parlare, non vedere sono comportamenti generalizzati in Italia e, in particolare in Sicilia. Ma questa non è mafia ? Far crescere una società malata, truffaldina e disonesta senza alzare un dito è comportamento omertoso e quindi … mafioso.
Il coraggio di denunciare. Nel settore pubblico in Sicilia, a cominciare proprio dagli enti locali regionali, provinciali, comunale, università e sanità, esistono le prevaricazioni, le baronie, il clientelismo, il familiarismo, e l’aiutino… sempre innocente!
Nel settore privato un vero e proprio comportamento criminale di molti datori di lavoro che assumono in nero, corrispondono un salario vergognoso (si arriva a 200 al mese euro per 12 ore di lavoro al giorno), danno al lavoratore un salario inferiore a quello risultante dallo statino, non concedono ferie, non riconoscono i diritti alla madri lavoratrici, truffano lo stato e l’Inps, eppure, nessuno parla.
Per viltà si dice. Per paura di perdere il posto, per paura di non trovare più posto, per paura di rimanere isolato ed emarginato anche dagli stessi colleghi e pseudo amici.
In questa società così malata ecco che i potenti, spesso incapaci, possono attuare comportamenti disonesti convinti dell’impunità giudiziaria e sapendo che il popolo alla fine “comprenderà” e perdonerà.
Ed allora perché stupirsi più di tanto ?
Finché i Siciliani non penseranno con la loro testa e capiranno che questa politica nazional “socialista” imposta dalla casta non si solleveranno, meglio sarebbe, per onestà, non sorprendersi e lasciar perdere, tanto alla fine niente tutto sarà dimenticato e i Siciliani rimarranno “fessi” e contenti, e Cammarata continuerà a ringraziare…
Scioglimento comune di Fondi - question time 23/09/09
Nel question time del 23 settembre 2009 l'Italia dei valori chiede al ministro Maroni chiarimenti sul vergognoso ritardo sulla decisione di scioglimento del comune di Fondi per infiltrazioni mafiose. Il ministro dell'Interno per l'ennesima volta annuncia una decisione ultimativa nel prossimo consiglio dei ministri
Nel question time del 23 settembre 2009 l'Italia dei valori chiede al ministro Maroni chiarimenti sul vergognoso ritardo sulla decisione di scioglimento del comune di Fondi per infiltrazioni mafiose. Il ministro dell'Interno per l'ennesima volta annuncia una decisione ultimativa nel prossimo consiglio dei ministri
La lotta antimafia paga: estinti i debiti de ''I Siciliani''
Ci avviciniamo al 3 ottobre, una giornata consacrata al diritto di dire e di scrivere, mettendo intanto da parte una prima piccola, felice notizia il debito de
I Siciliani, il giornale di Giuseppe Fava, è stato interamente coperto dalla sottoscrizione lanciata due mesi fa (e promossa, tra gli altri, anche dall’Unità).
Storia breve ed esemplare: la ricorderete. Si fa vivo il tribunale di Catania per pretendere, a un quarto di secolo dalla morte di Fava, il pagamento di un vecchio debito rimasto insoluto con i fornitori della sua rivista. Debito miserabile, qualche milione di vecchie lire, cresciuto silenziosamente come un tumore – tra interessi, more e balzelli vari - fino a quasi centomila euro. Da saldare in moneta sonante entro il 30 settembre pena la vendita coattiva all’asta delle case dei vecchi redattori de I Siciliani, poco più che ragazzini all’epoca dei fatti. Colpevoli di aver voluto tenere aperto nonostante tutto quel giornale e di esserselo caricato sulle spalle senza un solo lamento per molti anni dopo la morte di Giuseppe Fava.
Per la giustizia della mia città, così liturgica e benevola verso molti briganti, i debiti de I Siciliani (rivalutati a distanza di 25 anni) meritavano solo atti formali di confisca, esecuzioni forzate, vendite all’asta. Così non sarà perché all’appello hanno risposto in centinaia. Donne e uomini, quasi sempre a noi sconosciuti e forse per questo ancor più preziosi nella semplicità del loro gesto, quei dieci, venti o cento euro mandati non per solidarietà o per amicizia ma per legittima difesa: un paese che difende la propria memoria dai tentativi di rapina, che pretende rispetto per la verità delle cose. E manda a dire ai pignoli legulei di Catania che la storia de I Siciliani non è un fatto privato di alcuni giornalisti orfani del loro direttore né una cronaca di mafia e d’antimafia ma un grande racconto civile e collettivo che appartiene al paese.
È questo il punto: il buon giornalismo, la buona informazione non sono mai un atto d’eroismo: sono il principio informatore di ogni democrazia. E dunque patrimonio di tutti. Lo sono stati I Siciliani, e non solo perché il loro direttore è stato ammazzato dalla mafia. Lo sono stati per aver interpretato con giudizioso disincanto l’unica regola che valga in questo mestiere: o scrivi, o taci. Sulla verità delle cose non sono ammessi sconti né reticenze. Solo menzogne. Ma quello non più giornalismo: è altro. E in Italia il giornalismo spesso è «altro». È un guardare svagato, cortesia di modi, prudenza nelle domande.
Il 3 ottobre, quando ci ritroveremo in piazza, varrà la pena dircele, queste cose. Senza avere in mente solo le miserie del governo, gli affanni di Berlusconi, la sua corte di odalische. Dovremo ragionare anche sul nostro giornalismo, su chi lo interpreta con la muta disciplina del soldatino di piombo, su chi ha imparato troppo presto a chiedere permesso prima di capire e di scrivere. Parleremo di questo anche mercoledì sera, 23 settembre, alla Casa del Jazz di Roma. Un bel posto, confiscato agli artigli della banda della Magliana, restituito al paese e trasformato in un luogo di libere e preziose discussioni. Ci saranno molti amici che ci hanno dato una mano in queste settimane nella sottoscrizione per I Siciliani. Ciascuno leggerà qualcosa, di sé o di altri. Sarà un modo per raccontarci tutto questo tempo vissuto, e per ricordare un uomo morto per il vizio di dire.
Fonte:l'Unità
Ci avviciniamo al 3 ottobre, una giornata consacrata al diritto di dire e di scrivere, mettendo intanto da parte una prima piccola, felice notizia il debito de
I Siciliani, il giornale di Giuseppe Fava, è stato interamente coperto dalla sottoscrizione lanciata due mesi fa (e promossa, tra gli altri, anche dall’Unità).
Storia breve ed esemplare: la ricorderete. Si fa vivo il tribunale di Catania per pretendere, a un quarto di secolo dalla morte di Fava, il pagamento di un vecchio debito rimasto insoluto con i fornitori della sua rivista. Debito miserabile, qualche milione di vecchie lire, cresciuto silenziosamente come un tumore – tra interessi, more e balzelli vari - fino a quasi centomila euro. Da saldare in moneta sonante entro il 30 settembre pena la vendita coattiva all’asta delle case dei vecchi redattori de I Siciliani, poco più che ragazzini all’epoca dei fatti. Colpevoli di aver voluto tenere aperto nonostante tutto quel giornale e di esserselo caricato sulle spalle senza un solo lamento per molti anni dopo la morte di Giuseppe Fava.
Per la giustizia della mia città, così liturgica e benevola verso molti briganti, i debiti de I Siciliani (rivalutati a distanza di 25 anni) meritavano solo atti formali di confisca, esecuzioni forzate, vendite all’asta. Così non sarà perché all’appello hanno risposto in centinaia. Donne e uomini, quasi sempre a noi sconosciuti e forse per questo ancor più preziosi nella semplicità del loro gesto, quei dieci, venti o cento euro mandati non per solidarietà o per amicizia ma per legittima difesa: un paese che difende la propria memoria dai tentativi di rapina, che pretende rispetto per la verità delle cose. E manda a dire ai pignoli legulei di Catania che la storia de I Siciliani non è un fatto privato di alcuni giornalisti orfani del loro direttore né una cronaca di mafia e d’antimafia ma un grande racconto civile e collettivo che appartiene al paese.
È questo il punto: il buon giornalismo, la buona informazione non sono mai un atto d’eroismo: sono il principio informatore di ogni democrazia. E dunque patrimonio di tutti. Lo sono stati I Siciliani, e non solo perché il loro direttore è stato ammazzato dalla mafia. Lo sono stati per aver interpretato con giudizioso disincanto l’unica regola che valga in questo mestiere: o scrivi, o taci. Sulla verità delle cose non sono ammessi sconti né reticenze. Solo menzogne. Ma quello non più giornalismo: è altro. E in Italia il giornalismo spesso è «altro». È un guardare svagato, cortesia di modi, prudenza nelle domande.
Il 3 ottobre, quando ci ritroveremo in piazza, varrà la pena dircele, queste cose. Senza avere in mente solo le miserie del governo, gli affanni di Berlusconi, la sua corte di odalische. Dovremo ragionare anche sul nostro giornalismo, su chi lo interpreta con la muta disciplina del soldatino di piombo, su chi ha imparato troppo presto a chiedere permesso prima di capire e di scrivere. Parleremo di questo anche mercoledì sera, 23 settembre, alla Casa del Jazz di Roma. Un bel posto, confiscato agli artigli della banda della Magliana, restituito al paese e trasformato in un luogo di libere e preziose discussioni. Ci saranno molti amici che ci hanno dato una mano in queste settimane nella sottoscrizione per I Siciliani. Ciascuno leggerà qualcosa, di sé o di altri. Sarà un modo per raccontarci tutto questo tempo vissuto, e per ricordare un uomo morto per il vizio di dire.
Fonte:l'Unità
Non è mai troppo tardi.
Di Alessio Spiga
La Procura della Repubblica di Potenza ha rinviato a giudizio Vittorio Emanuele di Savoia infliggendo, per ora, di fatto, un duro colpo all'immagine di intoccabile, tracotante e potente (finchè qualcuno lo aveva consentito) di quel "galantuomo", erede di quella ignobile casta che avendo saccheggiato e raso al suolo la mia terra e arrecato lutti, persecuzioni e ogni altra forma di angheria a tutto il meridione d'Italia, con il conforto dell'altro nullafacente degno rampollo chiedeva pure un congruo risarcimento danni per il suo casato allo stato italiano.
Si omette ogni commento per la morte di un poveraccio, avvenuta anni fa al largo dell'isola di Cavallo, dove sembra che il malcapitato abbia osato intercettare la traiettoria di un proitttile sparato, accidentalmente, dal fucile imbracciato, per caso, dal "nobiluommo" il quale si trovava coinvolto divenendo vittima............
Viva l'Italia.
Di Alessio Spiga
La Procura della Repubblica di Potenza ha rinviato a giudizio Vittorio Emanuele di Savoia infliggendo, per ora, di fatto, un duro colpo all'immagine di intoccabile, tracotante e potente (finchè qualcuno lo aveva consentito) di quel "galantuomo", erede di quella ignobile casta che avendo saccheggiato e raso al suolo la mia terra e arrecato lutti, persecuzioni e ogni altra forma di angheria a tutto il meridione d'Italia, con il conforto dell'altro nullafacente degno rampollo chiedeva pure un congruo risarcimento danni per il suo casato allo stato italiano.
Si omette ogni commento per la morte di un poveraccio, avvenuta anni fa al largo dell'isola di Cavallo, dove sembra che il malcapitato abbia osato intercettare la traiettoria di un proitttile sparato, accidentalmente, dal fucile imbracciato, per caso, dal "nobiluommo" il quale si trovava coinvolto divenendo vittima............
Viva l'Italia.