giovedì 31 luglio 2008

PONTELANDOLFO E CASALDUNI


Iniziamo da oggi e nei prossimi giorni a postare alcuni brani tratti dal libro di Antonio Ciano " I Savoia e il massacro del Sud", in ricordo delle orrende stragi compiute dagli "squadroni della morte" piemontesi , nei paesi martiri di Pontelandolfo e Casalduni e del circondario Matese.


Finiamola di definirci i “buoni” d’Europa, e nessuno dei nostri fratelli del Nord venga a lamentarsi delle stragi naziste.

Le SS del 1860 e degli anni successivi si chiamarono, almeno per gli abitanti dell’ex Regno delle Due Sicilie, Piemontesi.

Perciò smettiamo di sbarrare gli occhi, di spalancare all’urlo le bocche, a deprecare violenze altrui.

Ci bastino le nostre, per sentire un solo brivido di pudore.

Noi abbiamo saputo fare di più e di peggio.

( Carlo Alianello )


L’ECCIDIO
di Pontelandolfo e Casalduni
di Antonio Ciano
da: “I Savoia e il massacro del sud” - Grandmelò, ROMA, 1996

Pontelandolfo e Casalduni sono due paesi del Matese e distano quasi 5 chilometri l’uno dall’altro. Nel 1861 il primo aveva 5 mila abitanti ed il secondo 3 mila; furono accomunati da un atroce destino. Nell’agosto di quell’anno infausto per il Sud, furono messi a ferro e fuoco dalle truppe piemontesi del generale Cialdini, e centinaia di cittadini furono trucidati nel sonno da due compagnie di bersaglieri che non combattevano contro soldati ma contro donne, bambini, vecchi ed infermi …….. Il Sud era in fibrillazione sin dall’11 maggio del 1860, quando Garibaldi sbarcò a Marsala. Tumulti si susseguirono in tutti i paesi dove la fame e le ingiustizie dei governi prodittatoriali cominciavano a farsi sentire. Nel dicembre del 1860 il Giornale di Gaeta, che riportava i proclami insurrezionali di Francesco II, stampato in migliaia di copie, veniva diffuso in tutto il Meridione. Già intorno al 20 settembre del 1860 vi fu una feroce ribellione contro governi prodittatoriali ……. insorsero i contadini di Cantalupo, Macchiagodena, S. Pietro Avellana, Forlì del Sannio e Rionero del Sannio, Roccasicura, Cittanova e Castel di Sangro; i morti furono all’incirca 1.500. Tra il 19 e il 21 settembre i contadini assieme ai reparti borbonici sconfissero a Roccaromana e Caiazzo le truppe di Csudafy e Cattabeni e li rigettarono oltre il Volturno ………..

Si formarono ben presto compagnie sotto la direzione del ministro della polizia borbonica Ulba, che aveva il compito di ripristinare ovunque il governo legittimista. Furono riconquistati verso la fine dell’ottobre del 1860 Pontecorvo, Sora, Teano, Venafro, Isernia e Piedimonte d’Alife. I borbonici batterono i cacciatori del Vesuvio, annientandoli a Civitella Roveto e raggiungendo Avezzano …….. Il 12 ottobre del 1860 le truppe piemontesi varcarono il Tronto con intenzioni certamente non pacifiche. Quel giorno iniziò la conquista del Sud da parte dei piemontesi, che trovarono una marea di partigiani negli Abruzzi, nel Molise ed in Ciociaria ………

I contadini del Sannio e del Molise, ricordandosi di appartenere alla stirpe degli antichi guerrieri che avevano sconfitto i Romani facendoli passare sotto le forche Caudine, scatenarono la loro rabbia repressa contro i liberali, rappresentanti illegali e servi dei piemontesi. Il Molise e l’Abruzzo ai primi di ottobre erano stati liberati; la bandiera borbonica sventolava su tutti i paesi ma il Piemonte mandò la sua armata agli ordini di Cialdini, visto che dappertutto i ritratti di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi venivano bruciati e le bandiere savoiarde fatte a pezzi. La stessa cosa accadeva in Terra di Lavoro, in Capitanata, nel Gargano, in Basilicata, in Calabria…. [...]

L’ ECCIDIO DI PONTELANDOLFO E CASALDUNI

[...] Il regno delle Due Sicilie nell’agosto del 1861 era in fiamme, un vero inferno. Centinaia di paesi si erano sollevati contro l’oppressione, le fucilazioni erano all’ordine del giorno. Ad Auletta furono tricidati da mercenari ungherese, altra faccia immonda con coccarda azzurra in petto, 45 popolani, tra i quali quattro sacerdoti; questi poveri disgraziati furono seviziati con coltelli e fatti a pezzi dai barbari magiari sotto la guida piemontese-garibaldina.

Altri 100 cittadini furono portati a marcire nelle carceri di Salerno.

Il paese fu saccheggiato e dato alle fiamme. Nel Beneventano si sollevarono anche San Marco dei Cavoti, Molinara, San Giorgio La Molara, Pago, Pietrelcina, Paduli, Colle Sannita, Paolise, Bucciano, Forchia, Reina, Civitella. I fatti più gravi e sanguinosi si verificarono a Pontelandolfo e Casalduni. La reazione era voluta da tutto il popolo del Sud.

Il nuovo regime si stava dimostrando, nei fatti, tirannico e famelico, assetato di sangue e di denaro: ogni ciminiera di Torino e Milano è stata costruita con sangue meridionale. I piemontesi mettevano tasse e balzelli ed i contadini affamati ed esasperati presero la strada senza ritorno della montagna. I liberali la facevano da padroni, finalmente erano riusciti a mettere le mani sulla cosa pubblica e sulle terre demaniali.

I signorotti e i proprietari terrieri erano appellati galantuomini e da sempre erano i nemici dei contadini. Dagli Abruzzi, dal Molise, dalla Ciociaria arrivavano notizie di fucilazioni, notizie di donne violentate, di chiese saccheggiate, di bambini uccisi, di raccolti bruciati dai piemontesi e dai loro mercenari.

L’8 luglio del 1861, Carlo Torre, governatore di Benevento, spedisce al segretario generale del Dicastero di Polizia in Napoli Silvio Spaventa una relazione allarmata sulla reazione borbonica nel Sannio (1). Il 24 luglio 1861 un altro allarmantissimo rapporto dell’Intendente di Cerreto Sannita, Mario Carletti, al governatore di Benevento Carlo Torre (2) la dice lunga sullo stato in cui versava la provincia beneventana:

“I briganti scorazzanti pel Matese, corona di aspre ed intrattabili montagne poste a cavaliere di questa contrada, sono entrati nell’ardito intendimento di scendere al piano e aggredire l’abitato per consumarvi fatti di immane atrocità appena che la poca forza regolare qui stanziata se ne apparti per poco chiamata altrove …”.

Il governatore di Benevento seguendo la voce della prudenza chiedeva altra truppa al luogotenente Cialdini. I partigiani scorrazzanti le montagne del Matese erano capeggiati da Cosmo (Cosimo) Giordano di Cerreto Sannita, ex sergente borbonico.

La banda era costituita da circa duecento valorosi e coraggiosi guerrieri, votati alla morte con un giuramento fatto davanti a Dio. I pontelandolfesi erano: Nicola, Andrea e Michelangelo Mancini, Scudanigno; Salvatore Rinaldi, Matteo; Gennaro e Michele Rinaldi Sticco e loro padre Giuseppe; Antonio e Francesco Rinaldi di Romualdo; Saverio di Rubbio, Bascetta; Antonio Lese, Corso; Donato Paladino, Anguilla; Antonio e Francesco Perciosepe; Carlo Tomaso Bisconti; Giosuè del Negro; Antonio e G. B. Gugliotti; Tommaso Rinaldi, Falcone di Giuseppe; Pietro d’Addona Trippabella fu G. Battista; Donato Terlizzo; Giovanni Barbiero Vozzacchio e suo figlio; Giuseppe Borrelli di Domenicoantonio, Cellone; Giuseppe Bilotta, Lupo di Nicola; Giuseppe d’Addona fu Giacomo, Spaccamontagna; Filippo Lese d’Antonio, Riconto; Domenico d’Addona, Spaccamontagna di Francesco; Antonio Mancini, Cosetta, di Giuseppe; Pasquale Ranaudo, Mattone; Salvatore Biondi, Piroli, Vitantonio Ciarlo,; Pellegrini Sfeccio; Francesco, Domenico e Tommaso Ciarlo, Monaco e fratelli; Francesco, Domenico Petta, di Giuseppe; Vincenzo Longo, Giangiacomo; Giuseppe Ciarlo, Monaco, fu Nicola; Saverio Longo, Peppelongo, fu Giuseppe; Andrea Longo, Giangiacomo.(3) [...]
Leggi tutto »

Iniziamo da oggi e nei prossimi giorni a postare alcuni brani tratti dal libro di Antonio Ciano " I Savoia e il massacro del Sud", in ricordo delle orrende stragi compiute dagli "squadroni della morte" piemontesi , nei paesi martiri di Pontelandolfo e Casalduni e del circondario Matese.


Finiamola di definirci i “buoni” d’Europa, e nessuno dei nostri fratelli del Nord venga a lamentarsi delle stragi naziste.

Le SS del 1860 e degli anni successivi si chiamarono, almeno per gli abitanti dell’ex Regno delle Due Sicilie, Piemontesi.

Perciò smettiamo di sbarrare gli occhi, di spalancare all’urlo le bocche, a deprecare violenze altrui.

Ci bastino le nostre, per sentire un solo brivido di pudore.

Noi abbiamo saputo fare di più e di peggio.

( Carlo Alianello )


L’ECCIDIO
di Pontelandolfo e Casalduni
di Antonio Ciano
da: “I Savoia e il massacro del sud” - Grandmelò, ROMA, 1996

Pontelandolfo e Casalduni sono due paesi del Matese e distano quasi 5 chilometri l’uno dall’altro. Nel 1861 il primo aveva 5 mila abitanti ed il secondo 3 mila; furono accomunati da un atroce destino. Nell’agosto di quell’anno infausto per il Sud, furono messi a ferro e fuoco dalle truppe piemontesi del generale Cialdini, e centinaia di cittadini furono trucidati nel sonno da due compagnie di bersaglieri che non combattevano contro soldati ma contro donne, bambini, vecchi ed infermi …….. Il Sud era in fibrillazione sin dall’11 maggio del 1860, quando Garibaldi sbarcò a Marsala. Tumulti si susseguirono in tutti i paesi dove la fame e le ingiustizie dei governi prodittatoriali cominciavano a farsi sentire. Nel dicembre del 1860 il Giornale di Gaeta, che riportava i proclami insurrezionali di Francesco II, stampato in migliaia di copie, veniva diffuso in tutto il Meridione. Già intorno al 20 settembre del 1860 vi fu una feroce ribellione contro governi prodittatoriali ……. insorsero i contadini di Cantalupo, Macchiagodena, S. Pietro Avellana, Forlì del Sannio e Rionero del Sannio, Roccasicura, Cittanova e Castel di Sangro; i morti furono all’incirca 1.500. Tra il 19 e il 21 settembre i contadini assieme ai reparti borbonici sconfissero a Roccaromana e Caiazzo le truppe di Csudafy e Cattabeni e li rigettarono oltre il Volturno ………..

Si formarono ben presto compagnie sotto la direzione del ministro della polizia borbonica Ulba, che aveva il compito di ripristinare ovunque il governo legittimista. Furono riconquistati verso la fine dell’ottobre del 1860 Pontecorvo, Sora, Teano, Venafro, Isernia e Piedimonte d’Alife. I borbonici batterono i cacciatori del Vesuvio, annientandoli a Civitella Roveto e raggiungendo Avezzano …….. Il 12 ottobre del 1860 le truppe piemontesi varcarono il Tronto con intenzioni certamente non pacifiche. Quel giorno iniziò la conquista del Sud da parte dei piemontesi, che trovarono una marea di partigiani negli Abruzzi, nel Molise ed in Ciociaria ………

I contadini del Sannio e del Molise, ricordandosi di appartenere alla stirpe degli antichi guerrieri che avevano sconfitto i Romani facendoli passare sotto le forche Caudine, scatenarono la loro rabbia repressa contro i liberali, rappresentanti illegali e servi dei piemontesi. Il Molise e l’Abruzzo ai primi di ottobre erano stati liberati; la bandiera borbonica sventolava su tutti i paesi ma il Piemonte mandò la sua armata agli ordini di Cialdini, visto che dappertutto i ritratti di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi venivano bruciati e le bandiere savoiarde fatte a pezzi. La stessa cosa accadeva in Terra di Lavoro, in Capitanata, nel Gargano, in Basilicata, in Calabria…. [...]

L’ ECCIDIO DI PONTELANDOLFO E CASALDUNI

[...] Il regno delle Due Sicilie nell’agosto del 1861 era in fiamme, un vero inferno. Centinaia di paesi si erano sollevati contro l’oppressione, le fucilazioni erano all’ordine del giorno. Ad Auletta furono tricidati da mercenari ungherese, altra faccia immonda con coccarda azzurra in petto, 45 popolani, tra i quali quattro sacerdoti; questi poveri disgraziati furono seviziati con coltelli e fatti a pezzi dai barbari magiari sotto la guida piemontese-garibaldina.

Altri 100 cittadini furono portati a marcire nelle carceri di Salerno.

Il paese fu saccheggiato e dato alle fiamme. Nel Beneventano si sollevarono anche San Marco dei Cavoti, Molinara, San Giorgio La Molara, Pago, Pietrelcina, Paduli, Colle Sannita, Paolise, Bucciano, Forchia, Reina, Civitella. I fatti più gravi e sanguinosi si verificarono a Pontelandolfo e Casalduni. La reazione era voluta da tutto il popolo del Sud.

Il nuovo regime si stava dimostrando, nei fatti, tirannico e famelico, assetato di sangue e di denaro: ogni ciminiera di Torino e Milano è stata costruita con sangue meridionale. I piemontesi mettevano tasse e balzelli ed i contadini affamati ed esasperati presero la strada senza ritorno della montagna. I liberali la facevano da padroni, finalmente erano riusciti a mettere le mani sulla cosa pubblica e sulle terre demaniali.

I signorotti e i proprietari terrieri erano appellati galantuomini e da sempre erano i nemici dei contadini. Dagli Abruzzi, dal Molise, dalla Ciociaria arrivavano notizie di fucilazioni, notizie di donne violentate, di chiese saccheggiate, di bambini uccisi, di raccolti bruciati dai piemontesi e dai loro mercenari.

L’8 luglio del 1861, Carlo Torre, governatore di Benevento, spedisce al segretario generale del Dicastero di Polizia in Napoli Silvio Spaventa una relazione allarmata sulla reazione borbonica nel Sannio (1). Il 24 luglio 1861 un altro allarmantissimo rapporto dell’Intendente di Cerreto Sannita, Mario Carletti, al governatore di Benevento Carlo Torre (2) la dice lunga sullo stato in cui versava la provincia beneventana:

“I briganti scorazzanti pel Matese, corona di aspre ed intrattabili montagne poste a cavaliere di questa contrada, sono entrati nell’ardito intendimento di scendere al piano e aggredire l’abitato per consumarvi fatti di immane atrocità appena che la poca forza regolare qui stanziata se ne apparti per poco chiamata altrove …”.

Il governatore di Benevento seguendo la voce della prudenza chiedeva altra truppa al luogotenente Cialdini. I partigiani scorrazzanti le montagne del Matese erano capeggiati da Cosmo (Cosimo) Giordano di Cerreto Sannita, ex sergente borbonico.

La banda era costituita da circa duecento valorosi e coraggiosi guerrieri, votati alla morte con un giuramento fatto davanti a Dio. I pontelandolfesi erano: Nicola, Andrea e Michelangelo Mancini, Scudanigno; Salvatore Rinaldi, Matteo; Gennaro e Michele Rinaldi Sticco e loro padre Giuseppe; Antonio e Francesco Rinaldi di Romualdo; Saverio di Rubbio, Bascetta; Antonio Lese, Corso; Donato Paladino, Anguilla; Antonio e Francesco Perciosepe; Carlo Tomaso Bisconti; Giosuè del Negro; Antonio e G. B. Gugliotti; Tommaso Rinaldi, Falcone di Giuseppe; Pietro d’Addona Trippabella fu G. Battista; Donato Terlizzo; Giovanni Barbiero Vozzacchio e suo figlio; Giuseppe Borrelli di Domenicoantonio, Cellone; Giuseppe Bilotta, Lupo di Nicola; Giuseppe d’Addona fu Giacomo, Spaccamontagna; Filippo Lese d’Antonio, Riconto; Domenico d’Addona, Spaccamontagna di Francesco; Antonio Mancini, Cosetta, di Giuseppe; Pasquale Ranaudo, Mattone; Salvatore Biondi, Piroli, Vitantonio Ciarlo,; Pellegrini Sfeccio; Francesco, Domenico e Tommaso Ciarlo, Monaco e fratelli; Francesco, Domenico Petta, di Giuseppe; Vincenzo Longo, Giangiacomo; Giuseppe Ciarlo, Monaco, fu Nicola; Saverio Longo, Peppelongo, fu Giuseppe; Andrea Longo, Giangiacomo.(3) [...]

Quella potente rete dei Basilischi, la quinta mafia italiana


Di Roberto Galullo


Quando nel 1963 la regista Lina Wertmüller girò I Basilischi tra i Sassi di Matera, non poteva certo immaginare che il titolo della sua opera prima, 45 anni dopo sarebbe diventato il nome ufficiale della quinta mafia italiana.
La criminalità organizzata lucana è stata ribattezzata con lo stesso nome di quel film che raccontava un'Italia meridionale fatta di "vitelloni" opulenti e oziosi.
La Procura della Repubblica di Potenza – le cui 700 pagine di motivazioni sono state appena presentate, a distanza di oltre sette mesi dalla sentenza in primo grado, resa alla vigilia di Natale 2007 – racconta invece la storia di una mafia violenta, radicata, che fa proseliti e raccoglie consensi, collusa con il potere politico, protesa verso i centri massonici occulti e pronta a spartirsi i ricchi affari che nascono dai finanziamenti comunitari e pubblici.
Il Tribunale – dopo 12 anni di indagini – ha condannato 26 imputati (alcuni già detenuti) per associazione a delinquere di stampo mafioso (416 bis) per complessivi 242 anni di carcere.
Tra i condannati spiccano le figure di Antonio Cossidente, Michele Danese, Franco Mancino, Franco Pontiero, Carlo Troia.
Ma il vero capo è Gino Cosentino, detto "faccia d'angelo" esattamente come Felice Maniero, boss della mala del Brenta e, come lui, ufficialmente pentito.
Cosentino, dal '94, all'interno delle carceri lucane ha cominciato quel proselitismo che 13 anni dopo ha assunto le vesti di una mafia autonoma.
«È una sentenza storica – dichiara Vincenzo Montemurro, il magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Potenza che ha dato anima e corpo al maxiprocesso – che dimostra come la mafia lucana abbia un proprio profilo, un proprio radicamento sul territorio che tende a escludere dai clan chi non è nato in questa terra e che è pronta a scendere a patti con le altre mafie pur di fare affari».
Una mafia che ha emulato anche nei riti di affiliazione la 'ndrangheta calabrese che, per prima, è penetrata in questa regione, terreno fertile successivamente anche per la Camorra.
Cosa Nostra, che pure aveva avuto il diritto di primogenitura grazie al soggiorno obbligato in epoca fascista di don Calogero Vizzini e negli anni 70 di Giuseppe Mandalari, massone e uomo di fiducia di Totò Riina, è stata messa all'angolo.
L'inchiesta della Dda di Potenza e della Procura mette in luce un sodalizio teso ad acquisire il controllo delle attività economiche e imprenditoriali in primis della provincia di Potenza, a rilasciare concessioni e autorizzazioni amministrative attraverso il ricorso a funzionari e dirigenti corrotti o vicini alla criminalità, a condizionare illecitamente i diritti politici dei cittadini, orientando il voto.
Ma la forza dei Basilischi per i giudici andava (e va) oltre.
Il clan sottoponeva a una sistematica attività di estorsione i commercianti e le imprese che vincevano gli appalti privati o quelli pubblici in maniera pulita.
I Basilischi praticavano l'usura, ricettavano i titoli di credito di provenienza delittuosa, riciclavano i proventi sporchi e affermavano un controllo egemonico del territorio e al proprio interno, attraverso vincoli di comparaggio, rigide gerarchie e pagamento delle spese processuali per gli arrestati.
«La crisi della politica e delle istituzioni, la questione morale e democratica aperta in Basilicata – dichiara l'ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, Francesco Forgione – rappresentano un punto di crisi dell'intero quadro democratico del Paese».
La sentenza – nei confronti della quale è stato presentato appello – chiude un capitolo ma ne lascia aperti altri. Innanzitutto quello dei legami con la politica. Non è un caso che ci siano altri filoni d'indagine aperti che chiamano in causa una cupola politica trasversale.
Da quell'intreccio, si è svincolato Gianfranco Blasi, ex deputato di Forza Italia, che aveva scelto il richiamo a Cecco Angiolieri per il suo libro dedicato alle conversazioni sulla politica lucana, S'io fossi foco, scritto a fine 2005.
Con quel fuoco non ha arso il mondo ma è anche riuscito a non bruciarsi, nonostante la Procura della Repubblica di Potenza lo ritenesse tra gli elementi di spicco dell'intreccio politico-malavitoso.
Per lui, Blasi, l'ex onorevole-poeta che s'incontrava con il boss Renato Martorano «ma solo per redimerlo e riportarlo sulla retta via», la Camera dei deputati non aveva concesso l'autorizzazione a procedere.
«Poi – spiega Montemurro – è subentrata anche la legge Pecorella e così è definitivamente uscito dal processo e dalle indagini». Blasi - a differenza di altri indagati per altri processi in corso, attaccati alle poltrone locali - è stato (apparentemente) costretto a uscire dalla politica attiva, che in Basilicata continua a cementare affari e malavita.Il capitolo più delicato è però quello del radicamento della mafia lucana che sopravviverà a questa sentenza.
«Quando da anni i boss locali si recano in pellegrinaggio in Calabria presso la famiglia Morabito o altre 'ndrine – continua nella sua analisi Montemurro – non possiamo pensare di avere sconfitto la mafia lucana. Abbiamo solo mandato in galera alcune persone».
I Basilischi, insomma, sopravviveranno a se stessi e l'appello di una società civile assente è affidato alle parole di don Marcello Cozzi, responsabile regionale di Libera, che ha appena mandato alle stampe Quando la mafia non esiste - Malaffare e affari della mala in Basilicata.
«Il rischio - spiega Cozzi - è che ora la classe politica e dirigente si senta appagata da questi arresti e volga lo sguardo da un'altra parte continuando a fare ciò che faceva prima.
Bisogna alzare la guardia che, va riconosciuto, in questi anni è stata tenuta alta soprattutto dalle Forze dell'Ordine e dalla magistratura. Ora spetta a noi fare il resto».
Ma sarà difficile, perché come conclude Montemurro, che ha un passato professionale di magistrato antimafia a Crotone e Catanzaro, «in Calabria sapevo che su cento persone che incontravo qualcuna era onesta. In Basilicata invece è impossibile capire chi siano le guardie e chi siano i ladri».

Leggi tutto »

Di Roberto Galullo


Quando nel 1963 la regista Lina Wertmüller girò I Basilischi tra i Sassi di Matera, non poteva certo immaginare che il titolo della sua opera prima, 45 anni dopo sarebbe diventato il nome ufficiale della quinta mafia italiana.
La criminalità organizzata lucana è stata ribattezzata con lo stesso nome di quel film che raccontava un'Italia meridionale fatta di "vitelloni" opulenti e oziosi.
La Procura della Repubblica di Potenza – le cui 700 pagine di motivazioni sono state appena presentate, a distanza di oltre sette mesi dalla sentenza in primo grado, resa alla vigilia di Natale 2007 – racconta invece la storia di una mafia violenta, radicata, che fa proseliti e raccoglie consensi, collusa con il potere politico, protesa verso i centri massonici occulti e pronta a spartirsi i ricchi affari che nascono dai finanziamenti comunitari e pubblici.
Il Tribunale – dopo 12 anni di indagini – ha condannato 26 imputati (alcuni già detenuti) per associazione a delinquere di stampo mafioso (416 bis) per complessivi 242 anni di carcere.
Tra i condannati spiccano le figure di Antonio Cossidente, Michele Danese, Franco Mancino, Franco Pontiero, Carlo Troia.
Ma il vero capo è Gino Cosentino, detto "faccia d'angelo" esattamente come Felice Maniero, boss della mala del Brenta e, come lui, ufficialmente pentito.
Cosentino, dal '94, all'interno delle carceri lucane ha cominciato quel proselitismo che 13 anni dopo ha assunto le vesti di una mafia autonoma.
«È una sentenza storica – dichiara Vincenzo Montemurro, il magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Potenza che ha dato anima e corpo al maxiprocesso – che dimostra come la mafia lucana abbia un proprio profilo, un proprio radicamento sul territorio che tende a escludere dai clan chi non è nato in questa terra e che è pronta a scendere a patti con le altre mafie pur di fare affari».
Una mafia che ha emulato anche nei riti di affiliazione la 'ndrangheta calabrese che, per prima, è penetrata in questa regione, terreno fertile successivamente anche per la Camorra.
Cosa Nostra, che pure aveva avuto il diritto di primogenitura grazie al soggiorno obbligato in epoca fascista di don Calogero Vizzini e negli anni 70 di Giuseppe Mandalari, massone e uomo di fiducia di Totò Riina, è stata messa all'angolo.
L'inchiesta della Dda di Potenza e della Procura mette in luce un sodalizio teso ad acquisire il controllo delle attività economiche e imprenditoriali in primis della provincia di Potenza, a rilasciare concessioni e autorizzazioni amministrative attraverso il ricorso a funzionari e dirigenti corrotti o vicini alla criminalità, a condizionare illecitamente i diritti politici dei cittadini, orientando il voto.
Ma la forza dei Basilischi per i giudici andava (e va) oltre.
Il clan sottoponeva a una sistematica attività di estorsione i commercianti e le imprese che vincevano gli appalti privati o quelli pubblici in maniera pulita.
I Basilischi praticavano l'usura, ricettavano i titoli di credito di provenienza delittuosa, riciclavano i proventi sporchi e affermavano un controllo egemonico del territorio e al proprio interno, attraverso vincoli di comparaggio, rigide gerarchie e pagamento delle spese processuali per gli arrestati.
«La crisi della politica e delle istituzioni, la questione morale e democratica aperta in Basilicata – dichiara l'ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, Francesco Forgione – rappresentano un punto di crisi dell'intero quadro democratico del Paese».
La sentenza – nei confronti della quale è stato presentato appello – chiude un capitolo ma ne lascia aperti altri. Innanzitutto quello dei legami con la politica. Non è un caso che ci siano altri filoni d'indagine aperti che chiamano in causa una cupola politica trasversale.
Da quell'intreccio, si è svincolato Gianfranco Blasi, ex deputato di Forza Italia, che aveva scelto il richiamo a Cecco Angiolieri per il suo libro dedicato alle conversazioni sulla politica lucana, S'io fossi foco, scritto a fine 2005.
Con quel fuoco non ha arso il mondo ma è anche riuscito a non bruciarsi, nonostante la Procura della Repubblica di Potenza lo ritenesse tra gli elementi di spicco dell'intreccio politico-malavitoso.
Per lui, Blasi, l'ex onorevole-poeta che s'incontrava con il boss Renato Martorano «ma solo per redimerlo e riportarlo sulla retta via», la Camera dei deputati non aveva concesso l'autorizzazione a procedere.
«Poi – spiega Montemurro – è subentrata anche la legge Pecorella e così è definitivamente uscito dal processo e dalle indagini». Blasi - a differenza di altri indagati per altri processi in corso, attaccati alle poltrone locali - è stato (apparentemente) costretto a uscire dalla politica attiva, che in Basilicata continua a cementare affari e malavita.Il capitolo più delicato è però quello del radicamento della mafia lucana che sopravviverà a questa sentenza.
«Quando da anni i boss locali si recano in pellegrinaggio in Calabria presso la famiglia Morabito o altre 'ndrine – continua nella sua analisi Montemurro – non possiamo pensare di avere sconfitto la mafia lucana. Abbiamo solo mandato in galera alcune persone».
I Basilischi, insomma, sopravviveranno a se stessi e l'appello di una società civile assente è affidato alle parole di don Marcello Cozzi, responsabile regionale di Libera, che ha appena mandato alle stampe Quando la mafia non esiste - Malaffare e affari della mala in Basilicata.
«Il rischio - spiega Cozzi - è che ora la classe politica e dirigente si senta appagata da questi arresti e volga lo sguardo da un'altra parte continuando a fare ciò che faceva prima.
Bisogna alzare la guardia che, va riconosciuto, in questi anni è stata tenuta alta soprattutto dalle Forze dell'Ordine e dalla magistratura. Ora spetta a noi fare il resto».
Ma sarà difficile, perché come conclude Montemurro, che ha un passato professionale di magistrato antimafia a Crotone e Catanzaro, «in Calabria sapevo che su cento persone che incontravo qualcuna era onesta. In Basilicata invece è impossibile capire chi siano le guardie e chi siano i ladri».

mercoledì 30 luglio 2008

Lettera Napoletana


Ricevo e posto:


Numero 11 – luglio/agosto 2008


CULTURA: MILIONI DI EURO AL MADRE, SPICCIOLI AL MUSEO FILANGIERI

(Lettera Napoletana) Il Museo Civico Gaetano Filangieri, chiuso ormai da 10 anni, rischia l’estinzione per mancanza di fondi. Lo ha denunciato il suo direttore, Giampaolo Leonetti in una intervista a “Il Mattino” (25.7.2008). Lo scorso anno il Comune di Napoli ha perso, per ritardi nella presentazione del progetto, finanziamenti dell’UE per 2 milioni 311 mila euro destinati ai lavori di ristrutturazione di Palazzo Como ed alla sistemazione del Museo. (cfr. Lettera Napoletana n. 3/2007).
Dal 2005 il Comune di Napoli stanzia progressivamente meno risorse per il Museo Filangieri: 250 mila euro nel 2005, 235 mila nel 2006, 195 mila nel 2007. Cifre minime anche per il bilancio del Comune.
La vicenda del Museo Filangieri, che ospita importanti testimonianze borboniche, una collezione di dipinti di Ribera, Giordano, Vaccaro, rare collezioni numismatiche e di armi, e dispone di una biblioteca di 30 mila volumi, è emblematica del cosiddetto “Rinascimento” bassoliniano degli anni ‘90. Mentre si stanziavano enormi risorse per pseudo opere d’arte come la “Montagna di sale” di Mimmo Paladino, il mulino in ferro al Ponte di Tappia di Jannis Kounellis, o le teste di morto di Rebecca Horn (Natale 2002), e mentre si costituiva una potente lobby di artisti, critici d’arte e giornalisti, si diminuivano gli stanziamenti per le strutture culturali permanenti come i musei. Sono nati in città con finanziamenti soprattutto della Regione Campania, due musei di arte moderna, il Pan ed il Madre. Quest’ultimo, diretto dall’ex giornalista de “l’Unità” Eduardo Cicelyn, consulente artistico di Bassolino, costa da solo 8 milioni di euro all’anno. Il costo annuale del Museo Filangieri – secondo dati del suo direttore – è di 400 mila euro all’anno. (LN11/08)


DUE SICILIE: L’INNO DEL RE DI PAISIELLO IN CD

(Lettera Napoletana) L’Inno del Re di Giovanni Paisiello, inno ufficiale del Regno delle Due Sicilie, sarà pubblicato in cd dall’Editoriale Il Giglio. Disponibile finora solo in riproduzioni artigianali ed in alcune versioni Mp3 su Internet, l’Inno del Re è stato inciso dall’Ensemble Nuove Armonie, diretto dal maestro Ida Tramontano.
Il cd, in uscita a settembre, propone tre versioni dell’Inno: per coro, soprano solista, e tromba solista. (LN11/08)


DUE SICILIE: GLI EROI DEL VOLTURNO, CONVEGNO A CAPUA

(Lettera Napoletana) Sarà dedicato a José Borjes l’annuale convegno di Capua “Gli eroi del Volturno”, organizzato dal dottor Giovanni Salemi e dall’Editoriale Il Giglio, che si svolgerà il 4 ottobre.
La figura del generale carlista (1813-1861), che combatté da volontario per i Borbone in Calabria, fino all’arresto ed alla fucilazione senza processo da parte dei piemontesi, sarà rievocata dal prof. Miguel Ayuso, dell’Università Comillas di Madrid. Previsti anche gli interventi dell’avv. Fernando Corradini e del presidente del Movimento Neoborbonico Gennaro De Crescenzo. (LN11/08)


REVISIONE STORICA: EDUARDO BENNATO, L’INVENZIONE DELL’ITALIA

(Lettera Napoletana) Il cantautore napoletano Eduardo Bennato ha composto per il suo ultimo cd una canzone piena di graffiante ironia su quella che definisce “l’invenzione dell’Italia”.
“C’era un re”, questo il titolo del brano, parla dei “sogni di grandezza” di Vittorio Emanuele II di Savoia, sovrano di “un regno da operetta”, e del coinvolgimento di Cavour, Mazzini e Garibaldi, nell’obbiettivo di invadere “altri regni più importanti” fino al completamento “del loro folle colpo di mano”. “E così si inventarono l’Italia”, conclude amaramente Bennato.

Il video di “C’era un re” è disponibile su Internet
( http://it.youtube.com/watch?v=G1UIfQvYhmI )

Naturalmente una canzone non è un articolo di storia ed a Eduardo Bennato si dovrebbe fare osservare che fu piuttosto Vittorio Emanuele II ad essere strumento di Cavour, Mazzini, e degli altri responsabili, anche occulti, del cosiddetto Risorgimento, ma la canzone contribuisce certamente a livello divulgativo a mettere in discussione i miti fondatori e la rinnovata retorica dell’unificazione italiana e può essere uno spunto di riflessione, soprattutto in ambiente giovanile, sulle vere ragioni della nostra crisi. (LN11/08)


REVISIONE STORICA: MENO PIAZZE PER GARIBALDI

(Lettera Napoletana) Il sindaco di Capo d’Orlando (Messina), Enzo Sindoni, ha cambiato denominazione a piazza Garibaldi, che è diventata piazza IV luglio, data che ricorda una battaglia del 1299 nella quale morirono migliaia di messinesi.
Il 28 giugno a Capo d’Orlando si è svolto un convegno organizzato dal Comune sulla figura di Garibaldi e sulle le conseguenze del suo sbarco in Sicilia. È stata l’occasione per una utile controinformazione sull’avventuriero. In risposta alla decisione del sindaco di Capo D’Orlando il prefetto di Messina, Francesco Alecci, ha incaricato la polizia di acquisire la delibera della giunta comunale. Alcuni esponenti del Pd e di una lista locale di centrosinistra hanno promosso un comitato Pro Garibaldi. Molto più numerosi sono stati i consensi espressi da singoli siciliani e meridionali e da associazioni.
Ancora in Sicilia, a Noto (Siracusa) la giunta municipale, su proposta dell’assessore alla cultura Francesco Balsamo, ha collocato in piazza Stella Maris, nella contrada Calabernardo, una lapide a re Ferdinando II di Borbone. Nella stessa città un viale è intitolato al sovrano delle Due Sicilie.
Nonostante il bicentenario garibaldino del 2007 e la retorica risorgimentale rilanciata dalle massime cariche istituzionali si moltiplicano dunque le iniziative tendenti a ricostruire nella toponomastica e nei monumenti la memoria delle Due Sicilie.
A Locri nel maggio 2007 per iniziativa del sindaco Francesco Macrì un busto d’epoca di Ferdinando II è stato collocato nel Municipio. (LN11/08)
Leggi tutto »

Ricevo e posto:


Numero 11 – luglio/agosto 2008


CULTURA: MILIONI DI EURO AL MADRE, SPICCIOLI AL MUSEO FILANGIERI

(Lettera Napoletana) Il Museo Civico Gaetano Filangieri, chiuso ormai da 10 anni, rischia l’estinzione per mancanza di fondi. Lo ha denunciato il suo direttore, Giampaolo Leonetti in una intervista a “Il Mattino” (25.7.2008). Lo scorso anno il Comune di Napoli ha perso, per ritardi nella presentazione del progetto, finanziamenti dell’UE per 2 milioni 311 mila euro destinati ai lavori di ristrutturazione di Palazzo Como ed alla sistemazione del Museo. (cfr. Lettera Napoletana n. 3/2007).
Dal 2005 il Comune di Napoli stanzia progressivamente meno risorse per il Museo Filangieri: 250 mila euro nel 2005, 235 mila nel 2006, 195 mila nel 2007. Cifre minime anche per il bilancio del Comune.
La vicenda del Museo Filangieri, che ospita importanti testimonianze borboniche, una collezione di dipinti di Ribera, Giordano, Vaccaro, rare collezioni numismatiche e di armi, e dispone di una biblioteca di 30 mila volumi, è emblematica del cosiddetto “Rinascimento” bassoliniano degli anni ‘90. Mentre si stanziavano enormi risorse per pseudo opere d’arte come la “Montagna di sale” di Mimmo Paladino, il mulino in ferro al Ponte di Tappia di Jannis Kounellis, o le teste di morto di Rebecca Horn (Natale 2002), e mentre si costituiva una potente lobby di artisti, critici d’arte e giornalisti, si diminuivano gli stanziamenti per le strutture culturali permanenti come i musei. Sono nati in città con finanziamenti soprattutto della Regione Campania, due musei di arte moderna, il Pan ed il Madre. Quest’ultimo, diretto dall’ex giornalista de “l’Unità” Eduardo Cicelyn, consulente artistico di Bassolino, costa da solo 8 milioni di euro all’anno. Il costo annuale del Museo Filangieri – secondo dati del suo direttore – è di 400 mila euro all’anno. (LN11/08)


DUE SICILIE: L’INNO DEL RE DI PAISIELLO IN CD

(Lettera Napoletana) L’Inno del Re di Giovanni Paisiello, inno ufficiale del Regno delle Due Sicilie, sarà pubblicato in cd dall’Editoriale Il Giglio. Disponibile finora solo in riproduzioni artigianali ed in alcune versioni Mp3 su Internet, l’Inno del Re è stato inciso dall’Ensemble Nuove Armonie, diretto dal maestro Ida Tramontano.
Il cd, in uscita a settembre, propone tre versioni dell’Inno: per coro, soprano solista, e tromba solista. (LN11/08)


DUE SICILIE: GLI EROI DEL VOLTURNO, CONVEGNO A CAPUA

(Lettera Napoletana) Sarà dedicato a José Borjes l’annuale convegno di Capua “Gli eroi del Volturno”, organizzato dal dottor Giovanni Salemi e dall’Editoriale Il Giglio, che si svolgerà il 4 ottobre.
La figura del generale carlista (1813-1861), che combatté da volontario per i Borbone in Calabria, fino all’arresto ed alla fucilazione senza processo da parte dei piemontesi, sarà rievocata dal prof. Miguel Ayuso, dell’Università Comillas di Madrid. Previsti anche gli interventi dell’avv. Fernando Corradini e del presidente del Movimento Neoborbonico Gennaro De Crescenzo. (LN11/08)


REVISIONE STORICA: EDUARDO BENNATO, L’INVENZIONE DELL’ITALIA

(Lettera Napoletana) Il cantautore napoletano Eduardo Bennato ha composto per il suo ultimo cd una canzone piena di graffiante ironia su quella che definisce “l’invenzione dell’Italia”.
“C’era un re”, questo il titolo del brano, parla dei “sogni di grandezza” di Vittorio Emanuele II di Savoia, sovrano di “un regno da operetta”, e del coinvolgimento di Cavour, Mazzini e Garibaldi, nell’obbiettivo di invadere “altri regni più importanti” fino al completamento “del loro folle colpo di mano”. “E così si inventarono l’Italia”, conclude amaramente Bennato.

Il video di “C’era un re” è disponibile su Internet
( http://it.youtube.com/watch?v=G1UIfQvYhmI )

Naturalmente una canzone non è un articolo di storia ed a Eduardo Bennato si dovrebbe fare osservare che fu piuttosto Vittorio Emanuele II ad essere strumento di Cavour, Mazzini, e degli altri responsabili, anche occulti, del cosiddetto Risorgimento, ma la canzone contribuisce certamente a livello divulgativo a mettere in discussione i miti fondatori e la rinnovata retorica dell’unificazione italiana e può essere uno spunto di riflessione, soprattutto in ambiente giovanile, sulle vere ragioni della nostra crisi. (LN11/08)


REVISIONE STORICA: MENO PIAZZE PER GARIBALDI

(Lettera Napoletana) Il sindaco di Capo d’Orlando (Messina), Enzo Sindoni, ha cambiato denominazione a piazza Garibaldi, che è diventata piazza IV luglio, data che ricorda una battaglia del 1299 nella quale morirono migliaia di messinesi.
Il 28 giugno a Capo d’Orlando si è svolto un convegno organizzato dal Comune sulla figura di Garibaldi e sulle le conseguenze del suo sbarco in Sicilia. È stata l’occasione per una utile controinformazione sull’avventuriero. In risposta alla decisione del sindaco di Capo D’Orlando il prefetto di Messina, Francesco Alecci, ha incaricato la polizia di acquisire la delibera della giunta comunale. Alcuni esponenti del Pd e di una lista locale di centrosinistra hanno promosso un comitato Pro Garibaldi. Molto più numerosi sono stati i consensi espressi da singoli siciliani e meridionali e da associazioni.
Ancora in Sicilia, a Noto (Siracusa) la giunta municipale, su proposta dell’assessore alla cultura Francesco Balsamo, ha collocato in piazza Stella Maris, nella contrada Calabernardo, una lapide a re Ferdinando II di Borbone. Nella stessa città un viale è intitolato al sovrano delle Due Sicilie.
Nonostante il bicentenario garibaldino del 2007 e la retorica risorgimentale rilanciata dalle massime cariche istituzionali si moltiplicano dunque le iniziative tendenti a ricostruire nella toponomastica e nei monumenti la memoria delle Due Sicilie.
A Locri nel maggio 2007 per iniziativa del sindaco Francesco Macrì un busto d’epoca di Ferdinando II è stato collocato nel Municipio. (LN11/08)

IL PARLAMENTO E’ RIMANDATO A SETTEMBRE …


Ricevo e posto:


Di RICCARDO ALFONSO (Roma)
Direttore Agenzia FIDEST
fidest.net


Il Parlamento è stato rimandato a settembre su tre temi di grande attualità quali la riforma elettorale, la giustizia e il federalismo.

I presidenti delle camere Schifani e Fini nello stabilire il calendario delle sedute per l'esame in commissione e il dibattito in aula si sono augurati che i partiti trovino la strada dell'intesa per dare in tutti e tre i progetti un più alto margine di consensi sulla base di una costruttiva collaborazione che si distacchi, al tempo stesso, dalle contrapposizioni e dalle polemiche che sino ad oggi hanno costellato i rapporti tra maggioranza e opposizione.

Ancora una volta si parla di iniziative legislative di ampio respiro e non possiamo non condividerle, ma non possiamo al tempo stesso dimenticare il welfare.

Credo che su questo campo come si preannunciano riforme istituzionali di ampio respiro e destinate, quindi, a durare a lungo, è necessario che nell'agenda dei lavori parlamentari si possa trovare lo spazio su ciò che più preme all'opinione pubblica affinché il lavoro non diventi un privilegio di pochi (e il perverso sistema del precariato la dice lunga),
affinché l'assistenza sanitaria non debba trasformarsi in un'emergenza nazionale con i tagli che sono stati previsti in finanziaria e si faccia anche in questo campo una grande riforma che privilegi la prevenzione come punto di partenza per tenere sotto controllo la salute di tutti e nel migliore utilizzo delle risorse che oggi sono disperse tra malasanità, truffe di ogni genere, e sprechi di varia natura.

Vi è poi un'altra nota dolente che riguarda la terza età. Non dimentichiamo che il 20% della popolazione italiana è over 65 e questo ci induce a ritenere indilazionabile una politica indirizzata a sostegno di questa importante componente della società anche studiando la possibilità di un loro reinserimento in attività di supporto, di volontariato e quanto altro che permetta loro di non sentirsi esclusi.

Ciò che ci attendiamo dal parlamento e da ogni singolo parlamentare è che nella loro azione legislativa non dimentichino, con la riforma elettorale, la giustizia e il federalismo, il resto che per la sua stessa natura costituisce il nervo più sensibile della nostra società e della nostra visione della vita.
Leggi tutto »

Ricevo e posto:


Di RICCARDO ALFONSO (Roma)
Direttore Agenzia FIDEST
fidest.net


Il Parlamento è stato rimandato a settembre su tre temi di grande attualità quali la riforma elettorale, la giustizia e il federalismo.

I presidenti delle camere Schifani e Fini nello stabilire il calendario delle sedute per l'esame in commissione e il dibattito in aula si sono augurati che i partiti trovino la strada dell'intesa per dare in tutti e tre i progetti un più alto margine di consensi sulla base di una costruttiva collaborazione che si distacchi, al tempo stesso, dalle contrapposizioni e dalle polemiche che sino ad oggi hanno costellato i rapporti tra maggioranza e opposizione.

Ancora una volta si parla di iniziative legislative di ampio respiro e non possiamo non condividerle, ma non possiamo al tempo stesso dimenticare il welfare.

Credo che su questo campo come si preannunciano riforme istituzionali di ampio respiro e destinate, quindi, a durare a lungo, è necessario che nell'agenda dei lavori parlamentari si possa trovare lo spazio su ciò che più preme all'opinione pubblica affinché il lavoro non diventi un privilegio di pochi (e il perverso sistema del precariato la dice lunga),
affinché l'assistenza sanitaria non debba trasformarsi in un'emergenza nazionale con i tagli che sono stati previsti in finanziaria e si faccia anche in questo campo una grande riforma che privilegi la prevenzione come punto di partenza per tenere sotto controllo la salute di tutti e nel migliore utilizzo delle risorse che oggi sono disperse tra malasanità, truffe di ogni genere, e sprechi di varia natura.

Vi è poi un'altra nota dolente che riguarda la terza età. Non dimentichiamo che il 20% della popolazione italiana è over 65 e questo ci induce a ritenere indilazionabile una politica indirizzata a sostegno di questa importante componente della società anche studiando la possibilità di un loro reinserimento in attività di supporto, di volontariato e quanto altro che permetta loro di non sentirsi esclusi.

Ciò che ci attendiamo dal parlamento e da ogni singolo parlamentare è che nella loro azione legislativa non dimentichino, con la riforma elettorale, la giustizia e il federalismo, il resto che per la sua stessa natura costituisce il nervo più sensibile della nostra società e della nostra visione della vita.

martedì 29 luglio 2008

AD OPERA DEI COMITATI DUE SICILIE IN RETE LA CERIMONIA DI FENESTRELLE DEL 06/07/2008 CON IL DISCORSO DI DUCCIO MALLAMACI




ANCORA COMPLIMENTI SINCERI ALL'ORGANIZZAZIONE E A TUTTI I PARTECIPANTI
Leggi tutto »



ANCORA COMPLIMENTI SINCERI ALL'ORGANIZZAZIONE E A TUTTI I PARTECIPANTI

10^ FESTA DELL'AMICIZIA DUOSICILIANA 2008


Il 2 agosto presso l'Agriturismo Casina dei Preti a CONVERSANO (Bari) si rinnova quello che è ormai diventato il tradizionale appuntamento meridionalista estivo nel corso del quale, con tanti amici duosiciliani, dapprima si discutono temi cari alla Storia del Sud e, quindi, si gustano le prelibatezze della cucina meridionale.

Quest'anno la discussione sarà moderata dal Dott. Gustavo Delgado già illustre giornalista RAI e oggi uno dei più apprezzati commentatori di Tele Norba, la più diffusa e nota televisione del Sud.

Questo il programma della serata

Ore 18,30 - Arrivo e accoglienza dei partecipanti

Ore 19,00 - Inaugurazione della serata con l'Inno delle Due Sicilie
ed il saluto di Luciano Gentile e Cesare Linzalone


Ore 19,15 - Intervento su: " La fine del Regno delle Due Sicilie" del
Cap. Antonio Ciano da Gaeta


Ore 20,00 - Intervento su:" La vita militare nell'esercito napolitano"
del Gen. Giuseppe Rella da Bitonto

Moderatore della serata il giornalista Dott. Gustavo Delgado

Seguirà la tradizionale CENA BORBONICA


Prenotazioni ed informazioni per la cena entro il 30 luglio a Luciano Gentile tel. 0806900491 - 3339074920 (ore serali 20 - 23)

Presso l'Agriturismo è possibile anche pernottare (telef. 080 4956763)
Leggi tutto »

Il 2 agosto presso l'Agriturismo Casina dei Preti a CONVERSANO (Bari) si rinnova quello che è ormai diventato il tradizionale appuntamento meridionalista estivo nel corso del quale, con tanti amici duosiciliani, dapprima si discutono temi cari alla Storia del Sud e, quindi, si gustano le prelibatezze della cucina meridionale.

Quest'anno la discussione sarà moderata dal Dott. Gustavo Delgado già illustre giornalista RAI e oggi uno dei più apprezzati commentatori di Tele Norba, la più diffusa e nota televisione del Sud.

Questo il programma della serata

Ore 18,30 - Arrivo e accoglienza dei partecipanti

Ore 19,00 - Inaugurazione della serata con l'Inno delle Due Sicilie
ed il saluto di Luciano Gentile e Cesare Linzalone


Ore 19,15 - Intervento su: " La fine del Regno delle Due Sicilie" del
Cap. Antonio Ciano da Gaeta


Ore 20,00 - Intervento su:" La vita militare nell'esercito napolitano"
del Gen. Giuseppe Rella da Bitonto

Moderatore della serata il giornalista Dott. Gustavo Delgado

Seguirà la tradizionale CENA BORBONICA


Prenotazioni ed informazioni per la cena entro il 30 luglio a Luciano Gentile tel. 0806900491 - 3339074920 (ore serali 20 - 23)

Presso l'Agriturismo è possibile anche pernottare (telef. 080 4956763)

lunedì 28 luglio 2008

Tentano sempre di azzerare il nostro Statuto? - Generalizziamo la questione ai fratelli del "Sud"

Come non concordare con questo comunicato dei fratelli siciliani.
Oggi più che mai serve un soggetto politico forte, unitario e coeso fra i Partiti meridionalisti al di qua e al di la del faro che porti ,con la giusta forza, in sede nazionale, le nostre istanze di libertà e di riscatto.
Questo è ciò che necessita per la rinascita delle nostre Nazioni e per far ritrovare l'orgoglio di appartenenza nazionale alle nostre popolazioni.(PdSUD-ER)



Ormai è quasi certo. Il federalismo di Calderoli sarà una bufala per la Sicilia: niente applicazione del nostro Statuto (alla faccia della costituzione), niente Alta Corte, niente sconti energetici o proventi tributari su questi prodotti, niente di niente. Anzi, forse, persino la minaccia di toglierci il "pezzo di carta", una volta che ne chiediamo l'applicazione. Per il sud continentale poi si profila una vera e propria tragedia nazionale, l'ennesima, l'ultimo saccheggio.

Chi li difenderà? Chi ci difenderà?

Il PD, l'IDV? Non possono, hanno paura che una politica troppo meridionalistica faccia loro perdere voti al nord. Ma a noi non ce ne frega niente dei voti al nord!

L'MPA chiede, va riconosciuto, anche con fermezza, che il federalismo sia al contempo non troppo sfavorevole al sud e rispettoso degli statuti speciali esistenti.

Ma non lo ascoltano, non ne hanno bisogno:la ditta Berlusconi, Bossi e Tremonti va come un rullo compressore a colpi di fiducia, forte di un Parlamento fatto di camerieri e di veline, incapace di dire di no al "padrone" che li ha messi là, non scelti, in quanto individui, da nessuno!

E che può fare allora Lombardo? Impuntarsi, e nulla più. Avrà il coraggio di minacciare realmente ed eventualmente di mettere in atto una sua fuoriuscita dalla maggioranza se non gli concederanno neanche un minimo? Dovrebbe farlo, altrimenti è finita. Già stanno infatti progettando di farlo fuori dalle europee con lo sbarramento: anche se in Sicilia prendesse il 25 % non avrebbe ugualmente alcun diritto di tribuna (e dire che le liste autonomiste alle regionali hanno superato complessivamente il 22 %!).

Questo governo, che si preoccupa (giustamente) del diritto di tribuna della Sardegna e che vuole sopprimere ogni residua rappresentanza al Parlamento Europeo di una nazione (la Sicilia) più grande di metà degli stati europei, non promette nulla di buono.

E del resto lui, come noi, è l'unico che può fregarsene dei "voti al nord", della millantata "questione settentrionale".

Se hanno gli attributi i settentrionali chiedano la secessione, o altrimenti stiano in Italia da persone civili. Nel primo caso non saremo certo noi Siciliani a trattenerli.

Come fare, però, a conciliare la questione meridionale con la questione siciliana?

Come fare a salvare le prerogative e l'identità della Sicilia senza restare isolati dagli stessi meridionali, risultando minima parte elettorale?

Noi un suggerimento l'abbiamo, la carta vincente che risolve finalmente il dualismo italiano. Ne facciano gli autonomisti una bandiera! Escano allo scoperto i tanti pavidi ancora nascosti nei partiti nazionali. E sarà la vittoria.

Come? Semplicissimo: unire le 6 regioni meridionali continentali in un'unica "Macroregione" a statuto speciale CON L'IDENTICO STATUTO AUTONOMO DI CUI OGGI GODE LA SICILIA! Unica modifica potrebbe essere quella di unire la nostra e la loro "Alta Corte" in un'unica "Alta Corte delle Due Sicilie", con sede a Roma, a tutela della nostra e della loro autonomia. Se vogliono unirsi a questa lotta di liberazione i Sardi, ben vengano, ovviamente mantenendo come noi siciliani, ma anche più di noi, la loro autonomia e la loro specificità.In ogni caso mantenendo, come è sempre stata viva aspirazione dei Siciliani, le due regioni-stato distinte, i due Popoli delle Due Sicilie marcerebbero ora loro come un rullo compressore lasciando le briciole a Berlusconi e Veltroni che invece dovrebbero rifugiarsi dai loro tanto amati elettori del centro-nord!

Fratelli Napolitani, raccogliete questo nostro suggerimento!Studiate il nostro Statuto: sarà la Vostra libertà!

Modifichiamo appena l'art.1 Statuto Speciale della REGIONE NAPOLITANA "I Comuni della Repubblica Italiana il cui territorio già era ricompreso nella parte continentale del Regno delle Due Sicilie, ivi compresi Pontecorvo e Benevento, sono costituiti in regione autonoma... La città di Napoli è capoluogo della Regione...." e così via, con una sola modifica in seguito per unificare le due "Alte Corti".

Pensateci: avremo di nuovo Banco di Napoli e Banco di Sicilia rifondati che emetterano moneta pubblica e non soggetta a signoraggio (art. 40 statuto); avremo ciascuno un nostro ordinamento tributario sovrano (36); le imprese che avranno sede fuori dalla regione dovranno versare le imposte in base al reddito prodotto o ai consumi manifestati nella regione (37) e non in base alla sede legale; con la potestà esclusiva nelle scuole elementari potremmo ricreare l'identità negata dei nostri popoli; tutte le funzioni statali nel territorio passerebbero alle regioni che diventerebbero così semi-indipendenti e non continuiamo solo per brevità. E così i "padagni" non rompono più.Chiediamo solo ai cittadini dell'Aquila, di Campobasso, di Bari, di Potenza e di Catanzaro, di mettere da parte i campanilismi che servono solo al malgoverno italiano per mantenere inoffensivi e divisi i "meridionali". Le attuali province possono bene ereditare le funzioni amministrative delle regioni e trasformarsi in "liberi consorzi di comuni" come in Sicilia. Potrete proclamare lingua ufficiale, accanto all'Italiano, il Napoletano (parlato e compreso dappertutto, in diverse varianti, tranne in Calabria e in Salento, dove potreste/dovreste riconoscere il Siciliano nelle sue due varianti locali).

L'Italia può forse reprimere 5 milioni di Siciliani, ma non potrà mai reprimerne 5 + 14 di DuoSiciliani.

Se non avrete mire "imperialistiche" sulla Sicilia che come in altri tempi ci porterebbero alla rovina, nessuno potrà fermarci.

Noi non siamo poveri per natura, lo siamo perché depredati di tutto. Spezziamo insieme le catene del colonialismo italico.

Viva la Sicilia! Viva la Napolitania! Viva le Due Sicilie!

Ufficio stampa
L'ALTRA SICILIA
- Antudo
Leggi tutto »
Come non concordare con questo comunicato dei fratelli siciliani.
Oggi più che mai serve un soggetto politico forte, unitario e coeso fra i Partiti meridionalisti al di qua e al di la del faro che porti ,con la giusta forza, in sede nazionale, le nostre istanze di libertà e di riscatto.
Questo è ciò che necessita per la rinascita delle nostre Nazioni e per far ritrovare l'orgoglio di appartenenza nazionale alle nostre popolazioni.(PdSUD-ER)



Ormai è quasi certo. Il federalismo di Calderoli sarà una bufala per la Sicilia: niente applicazione del nostro Statuto (alla faccia della costituzione), niente Alta Corte, niente sconti energetici o proventi tributari su questi prodotti, niente di niente. Anzi, forse, persino la minaccia di toglierci il "pezzo di carta", una volta che ne chiediamo l'applicazione. Per il sud continentale poi si profila una vera e propria tragedia nazionale, l'ennesima, l'ultimo saccheggio.

Chi li difenderà? Chi ci difenderà?

Il PD, l'IDV? Non possono, hanno paura che una politica troppo meridionalistica faccia loro perdere voti al nord. Ma a noi non ce ne frega niente dei voti al nord!

L'MPA chiede, va riconosciuto, anche con fermezza, che il federalismo sia al contempo non troppo sfavorevole al sud e rispettoso degli statuti speciali esistenti.

Ma non lo ascoltano, non ne hanno bisogno:la ditta Berlusconi, Bossi e Tremonti va come un rullo compressore a colpi di fiducia, forte di un Parlamento fatto di camerieri e di veline, incapace di dire di no al "padrone" che li ha messi là, non scelti, in quanto individui, da nessuno!

E che può fare allora Lombardo? Impuntarsi, e nulla più. Avrà il coraggio di minacciare realmente ed eventualmente di mettere in atto una sua fuoriuscita dalla maggioranza se non gli concederanno neanche un minimo? Dovrebbe farlo, altrimenti è finita. Già stanno infatti progettando di farlo fuori dalle europee con lo sbarramento: anche se in Sicilia prendesse il 25 % non avrebbe ugualmente alcun diritto di tribuna (e dire che le liste autonomiste alle regionali hanno superato complessivamente il 22 %!).

Questo governo, che si preoccupa (giustamente) del diritto di tribuna della Sardegna e che vuole sopprimere ogni residua rappresentanza al Parlamento Europeo di una nazione (la Sicilia) più grande di metà degli stati europei, non promette nulla di buono.

E del resto lui, come noi, è l'unico che può fregarsene dei "voti al nord", della millantata "questione settentrionale".

Se hanno gli attributi i settentrionali chiedano la secessione, o altrimenti stiano in Italia da persone civili. Nel primo caso non saremo certo noi Siciliani a trattenerli.

Come fare, però, a conciliare la questione meridionale con la questione siciliana?

Come fare a salvare le prerogative e l'identità della Sicilia senza restare isolati dagli stessi meridionali, risultando minima parte elettorale?

Noi un suggerimento l'abbiamo, la carta vincente che risolve finalmente il dualismo italiano. Ne facciano gli autonomisti una bandiera! Escano allo scoperto i tanti pavidi ancora nascosti nei partiti nazionali. E sarà la vittoria.

Come? Semplicissimo: unire le 6 regioni meridionali continentali in un'unica "Macroregione" a statuto speciale CON L'IDENTICO STATUTO AUTONOMO DI CUI OGGI GODE LA SICILIA! Unica modifica potrebbe essere quella di unire la nostra e la loro "Alta Corte" in un'unica "Alta Corte delle Due Sicilie", con sede a Roma, a tutela della nostra e della loro autonomia. Se vogliono unirsi a questa lotta di liberazione i Sardi, ben vengano, ovviamente mantenendo come noi siciliani, ma anche più di noi, la loro autonomia e la loro specificità.In ogni caso mantenendo, come è sempre stata viva aspirazione dei Siciliani, le due regioni-stato distinte, i due Popoli delle Due Sicilie marcerebbero ora loro come un rullo compressore lasciando le briciole a Berlusconi e Veltroni che invece dovrebbero rifugiarsi dai loro tanto amati elettori del centro-nord!

Fratelli Napolitani, raccogliete questo nostro suggerimento!Studiate il nostro Statuto: sarà la Vostra libertà!

Modifichiamo appena l'art.1 Statuto Speciale della REGIONE NAPOLITANA "I Comuni della Repubblica Italiana il cui territorio già era ricompreso nella parte continentale del Regno delle Due Sicilie, ivi compresi Pontecorvo e Benevento, sono costituiti in regione autonoma... La città di Napoli è capoluogo della Regione...." e così via, con una sola modifica in seguito per unificare le due "Alte Corti".

Pensateci: avremo di nuovo Banco di Napoli e Banco di Sicilia rifondati che emetterano moneta pubblica e non soggetta a signoraggio (art. 40 statuto); avremo ciascuno un nostro ordinamento tributario sovrano (36); le imprese che avranno sede fuori dalla regione dovranno versare le imposte in base al reddito prodotto o ai consumi manifestati nella regione (37) e non in base alla sede legale; con la potestà esclusiva nelle scuole elementari potremmo ricreare l'identità negata dei nostri popoli; tutte le funzioni statali nel territorio passerebbero alle regioni che diventerebbero così semi-indipendenti e non continuiamo solo per brevità. E così i "padagni" non rompono più.Chiediamo solo ai cittadini dell'Aquila, di Campobasso, di Bari, di Potenza e di Catanzaro, di mettere da parte i campanilismi che servono solo al malgoverno italiano per mantenere inoffensivi e divisi i "meridionali". Le attuali province possono bene ereditare le funzioni amministrative delle regioni e trasformarsi in "liberi consorzi di comuni" come in Sicilia. Potrete proclamare lingua ufficiale, accanto all'Italiano, il Napoletano (parlato e compreso dappertutto, in diverse varianti, tranne in Calabria e in Salento, dove potreste/dovreste riconoscere il Siciliano nelle sue due varianti locali).

L'Italia può forse reprimere 5 milioni di Siciliani, ma non potrà mai reprimerne 5 + 14 di DuoSiciliani.

Se non avrete mire "imperialistiche" sulla Sicilia che come in altri tempi ci porterebbero alla rovina, nessuno potrà fermarci.

Noi non siamo poveri per natura, lo siamo perché depredati di tutto. Spezziamo insieme le catene del colonialismo italico.

Viva la Sicilia! Viva la Napolitania! Viva le Due Sicilie!

Ufficio stampa
L'ALTRA SICILIA
- Antudo

Inaugurazione della dittatura


Di Ida Magli


Mercoledì 23 luglio 2008 il Senato della Repubblica Italiana ha approvato il trattato di Lisbona. Sarà votato insieme al “pacchetto sicurezza” senza che ai cittadini sia stata detta da parte del Governo, da parte dei politici e di quasi tutti i mezzi d’informazione, una sola parola non soltanto sulla sua approvazione ma neanche sul suo contenuto, sulle conseguenze che comporta.

Basterebbe questo silenzio, questa precisa volontà di passare sopra la testa dei cittadini in modo da non suscitare in loro neanche la minima curiosità, per testimoniare che non esiste democrazia al mondo che possa impedire ai detentori del potere di realizzare i propri scopi. E gli scopi di coloro che detengono il potere sono sempre gli stessi, in qualsiasi tempo, in qualsiasi luogo: aumentare il proprio potere.

Quando è impossibile farlo con le guerre, lo si fa con i trattati.

Col trattato di Lisbona i governanti portano finalmente a termine lo studiatissimo progetto di crearsi un vasto Impero eliminando i singoli Stati, i confini fra le singole Nazioni e unificando formalmente, a forza, i singoli popoli.

Questi, dopo essere stati costretti a perdere la sovranità monetaria con l’adozione di un’unica moneta e dopo essere stati bombardati per anni da tutti i più importanti pulpiti, inclusa la scuola, sulla “ bellezza” dell’unificazione europea, vengono adesso ufficialmente sottoposti alle medesime leggi, alle medesime autorità, ad una sola polizia, ad una sola Corte di giustizia, ad un solo casellario giudiziario che conterrà i loro dati biometrici ( foto scannerizzata del volto, impronte digitali, DNA).

E’ una direttiva europea, questa, infatti, che risale al 2004, non una improvvisa decisione del governo italiano.Vogliamo protestare perché non è mai stato chiesto in proposito il parere degli Italiani? Ebbene non è soltanto la mancanza di un referendum che fa paura, ma la esplicita volontà di tutti gli Stati di instaurare, con l’unione europea, la più assoluta dittatura.

E, con la dittatura, quello indispensabile stato di polizia che impedirà qualsiasi ribellione. Non è infatti soltanto il governo italiano a non aver mai voluto chiedere il parere dei cittadini, ma i governi di tutti i 27 Stati che formano oggi l’Unione europea. Il governo italiano si era furbescamente e proditoriamente garantito fin dall’inizio libertà d’azione collocando le operazioni europee nell’ambito della “politica estera”, in quanto questa è sottratta alla consultazione popolare da un apposito articolo della Costituzione.

Sono politica estera i soldi che abbiamo in tasca? E’ politica estera la celestiale bandiera con le stelle ( mariana o massonica: l’interpretazione è libera) che sventola ovunque e che pure non è citata nella Costituzione?

Sembra abbastanza improbabile, ma, malgrado tutto gli Italiani sono stati zitti.

Non ha mai protestato nessun Partito, neanche quelli abituati a dire sempre di No, e dunque come avrebbero potuto protestare i cittadini?

Ma, come dicevamo, nessun governo ha ratificato il trattato di Lisbona facendo ricorso al referendum. Perfino la Gran Bretagna – quella che un tempo era considerata la democrazia per antonomasia e che da oggi non lo è più – lo ha approvato quasi in segreto qualche giorno fa, “ovviamente” senza referendum dato che era ben noto che gli Inglesi, se chiamati ad esprimere la propria volontà, avrebbero detto di No.

L’unico Stato dove si è svolto un referendum ( obbligatorio per legge) è stata l’Irlanda, con risultato negativo.

Come potrebbe, infatti, un popolo essere così folle da voler perdere la libertà, l’indipendenza, la patria, il possesso della propria terra?

Rimane il fatto che nelle democrazie è molto facile realizzare dei colpi di Stato ( tale è infatti l’adozione del trattato di Lisbona) e togliere ai cittadini l’essenza della libertà, lasciandogli quella apparente.

Un tempo ci si organizzava in società segrete per ribellarsi alle dittature. Oggi, con la consegna del proprio corpo ( impronte digitali, DNA) si è tornati alla condizione di schiavi, anche se la catena al piede non si vede.

E nessuna società segreta, nessuna ribellione sarà possibile.

Leggi tutto »

Di Ida Magli


Mercoledì 23 luglio 2008 il Senato della Repubblica Italiana ha approvato il trattato di Lisbona. Sarà votato insieme al “pacchetto sicurezza” senza che ai cittadini sia stata detta da parte del Governo, da parte dei politici e di quasi tutti i mezzi d’informazione, una sola parola non soltanto sulla sua approvazione ma neanche sul suo contenuto, sulle conseguenze che comporta.

Basterebbe questo silenzio, questa precisa volontà di passare sopra la testa dei cittadini in modo da non suscitare in loro neanche la minima curiosità, per testimoniare che non esiste democrazia al mondo che possa impedire ai detentori del potere di realizzare i propri scopi. E gli scopi di coloro che detengono il potere sono sempre gli stessi, in qualsiasi tempo, in qualsiasi luogo: aumentare il proprio potere.

Quando è impossibile farlo con le guerre, lo si fa con i trattati.

Col trattato di Lisbona i governanti portano finalmente a termine lo studiatissimo progetto di crearsi un vasto Impero eliminando i singoli Stati, i confini fra le singole Nazioni e unificando formalmente, a forza, i singoli popoli.

Questi, dopo essere stati costretti a perdere la sovranità monetaria con l’adozione di un’unica moneta e dopo essere stati bombardati per anni da tutti i più importanti pulpiti, inclusa la scuola, sulla “ bellezza” dell’unificazione europea, vengono adesso ufficialmente sottoposti alle medesime leggi, alle medesime autorità, ad una sola polizia, ad una sola Corte di giustizia, ad un solo casellario giudiziario che conterrà i loro dati biometrici ( foto scannerizzata del volto, impronte digitali, DNA).

E’ una direttiva europea, questa, infatti, che risale al 2004, non una improvvisa decisione del governo italiano.Vogliamo protestare perché non è mai stato chiesto in proposito il parere degli Italiani? Ebbene non è soltanto la mancanza di un referendum che fa paura, ma la esplicita volontà di tutti gli Stati di instaurare, con l’unione europea, la più assoluta dittatura.

E, con la dittatura, quello indispensabile stato di polizia che impedirà qualsiasi ribellione. Non è infatti soltanto il governo italiano a non aver mai voluto chiedere il parere dei cittadini, ma i governi di tutti i 27 Stati che formano oggi l’Unione europea. Il governo italiano si era furbescamente e proditoriamente garantito fin dall’inizio libertà d’azione collocando le operazioni europee nell’ambito della “politica estera”, in quanto questa è sottratta alla consultazione popolare da un apposito articolo della Costituzione.

Sono politica estera i soldi che abbiamo in tasca? E’ politica estera la celestiale bandiera con le stelle ( mariana o massonica: l’interpretazione è libera) che sventola ovunque e che pure non è citata nella Costituzione?

Sembra abbastanza improbabile, ma, malgrado tutto gli Italiani sono stati zitti.

Non ha mai protestato nessun Partito, neanche quelli abituati a dire sempre di No, e dunque come avrebbero potuto protestare i cittadini?

Ma, come dicevamo, nessun governo ha ratificato il trattato di Lisbona facendo ricorso al referendum. Perfino la Gran Bretagna – quella che un tempo era considerata la democrazia per antonomasia e che da oggi non lo è più – lo ha approvato quasi in segreto qualche giorno fa, “ovviamente” senza referendum dato che era ben noto che gli Inglesi, se chiamati ad esprimere la propria volontà, avrebbero detto di No.

L’unico Stato dove si è svolto un referendum ( obbligatorio per legge) è stata l’Irlanda, con risultato negativo.

Come potrebbe, infatti, un popolo essere così folle da voler perdere la libertà, l’indipendenza, la patria, il possesso della propria terra?

Rimane il fatto che nelle democrazie è molto facile realizzare dei colpi di Stato ( tale è infatti l’adozione del trattato di Lisbona) e togliere ai cittadini l’essenza della libertà, lasciandogli quella apparente.

Un tempo ci si organizzava in società segrete per ribellarsi alle dittature. Oggi, con la consegna del proprio corpo ( impronte digitali, DNA) si è tornati alla condizione di schiavi, anche se la catena al piede non si vede.

E nessuna società segreta, nessuna ribellione sarà possibile.

LA "MUNNEZZA" DEL NORD IN CAMPANIA

Leggi tutto »

domenica 27 luglio 2008

31 Luglio 2008 nasce la Confederazione..?


Per il giorno 31 Luglio è stato fissato l’incontro per la sottoscrizione della Confederazione dei partiti:

“Per il SUD”,
“Altra Sicilia”,
“PdSUD”,
”Lega Sud Ausonia”,
“Sud Libero”.

Credo che sia un risultato importante.

Domenico Iannantuoni

www.perilsud.net
Leggi tutto »

Per il giorno 31 Luglio è stato fissato l’incontro per la sottoscrizione della Confederazione dei partiti:

“Per il SUD”,
“Altra Sicilia”,
“PdSUD”,
”Lega Sud Ausonia”,
“Sud Libero”.

Credo che sia un risultato importante.

Domenico Iannantuoni

www.perilsud.net

Voglio vivere, voglio essere libero


Di Alfonso Navarra

Cari amiche e cari amici di Chiaiano, fronte avanzato della resistenza umana contro lo sviluppismo antiecologico ed antisociale noi tutti, appartenenti a quello che i media bollano come il “Partito del NO”, e che in realtà è il movimento dell’alternativa civile di base noi in particolare aderenti al Patto di Mutuo Soccorso (non credo che alcuno possa smentirmi)siamo con voi col cuore e vorremmo/dovremmo essere, da tutta Italia, fisicamente a Napoli a lottare perchè in questa estate si decide molto del destino di tutta l’opposizione sociale, dai No-TAV della Val di Susa ai No-Ponte di Reggio Calabria e Messina, che si sta puntando a criminalizzare.
Io personalmente, nei giorni scorsi, una volta appreso che la Curia di Napoli era la proprietaria della discarica di Chiaiano (lotto n. 3 intestato all’Arciconfraternita dei Frati Pellegrini) mi sono attaccato al telefono:
siamo a cavallo, mi sono detto.
Non mi è parso vero invitare gli esponenti dei comitati locali (segnalatimi dai “grillini” di Napoli) ad investire questo obiettivo “sensibile” e “vulnerabile” - la Chiesa cattolica, appunto - perchè si tirasse fuori dal business rifiuti.
Voi comunque, per fortuna, eravate già partiti da soli: secondo me, il fatto fa bene sperare per l’esito della lotta.
La pressione sulla Chiesa, infatti, considerata pragmaticamente e non ideologicamente, è la prova della maturità di una resistenza popolare che si sta dimostrando all’altezza dello scontro cui è chiamata.
Già, questa resistenza, ha rifiutato la prova di forza fisica nel “tenere la postazione” (la stessa grande stampa ha chiarito che la repressione poliziesca avrebbe “cercato il morto”) per adottare una tattica di lungo periodo, che potremmo definire di “guerriglia non violenta”.
140 camion al giorno come potranno passare in una situazione in cui la gente non collabora, boicotta, ostacola (senza attentare all’incolumità fisica delle persone)?
Ora si sta muovendo - la resistenza - per mettere alle strette una Istituzione che deve trovare coerenza tra le parole e i fatti e mostrare concretamente che ha a cuore la salute e la dignità delle proprie “pecorelle”.
Oltretutto va tenuto presente che, per accordi concordatari, la Chiesa non può venire espropriata: quindi se dice di no, la discarica a Chiaiano non si fa.
La stampa, per ovvi motivi, ha tentato e tenterà di non dare risalto all’iniziativa dell’ocupazione del Duomo di Napoli, ma la perseveranza romperà il muro del silenzio.
Resterebbe, credo, un’ultima azione, quella cui ho accennato nella mia mail intitolata “Cosa avrebbe fatto Gandhi”, che ho fatto circolare su vari siti internet.
Bisognerebbe che personalità riconosciute - il nome che subito salta alle labbra è quello solito di Zanotelli - chiamassero ad una disobbedienza civile composta contro il decreto che prevede anni di carcere per chi si oppone alle discariche (5 anni per i promotori).
Mi permetto di autocitarmi:“Mohandas, studiata bene la situazione, avrebbe organizzato i suoi da tutta l’India, fatto una conferenza stampa, e li avrebbe fatti sfilare ordinati e disciplinati, in fila “indiana”, fino ad andare in bocca alla polizia, con un cartello al collo: “Voglio vivere, voglio essere libero.
No alla discarica, no al decreto Berlusconi, arrestatemi”.
No urla di “assassini” contro i poliziotti, no sassi, no barricate, no bus incendiati.
Solo la ferma determinazione a violare una legge ingiusta e la “provocazione” sistematicamente perseguita a riempire le prigioni per una volontà che niente mai potrà spezzare.
Perchè la prova di forza che va ingaggiata non è sul piano del confronto fisico, ma su quello morale.Non si tratta di difendere materialmente degli spazi e di riconquistare delle posizioni, che so piazza Titanic: si tratta di affermare che la coscienza, di ciascuno e di tutti, non si piega ad alcuna collaborazione con coloro che, nascondendosi dietro l’emergenza rifiuti e sviluppo, stanno preparando il “fascismo” dei giorni nostri.
Siamo in un momento delicato, in un momento di passaggio.
L’opinione pubblica non è ancora tutta schierata nella richiesta d’ordine e chi si è oppone non è ancora rassegnato.
Forse adottare oggi con cognizione di causa lo spirito e la logica dei Satyagrahi potrà permettere agli attivisti della resistenza umana in corso di far saltare i piani liberticidi del governo Berlusconi e della complice “casta” politico- affaristico-mediatica”.
Leggi tutto »

Di Alfonso Navarra

Cari amiche e cari amici di Chiaiano, fronte avanzato della resistenza umana contro lo sviluppismo antiecologico ed antisociale noi tutti, appartenenti a quello che i media bollano come il “Partito del NO”, e che in realtà è il movimento dell’alternativa civile di base noi in particolare aderenti al Patto di Mutuo Soccorso (non credo che alcuno possa smentirmi)siamo con voi col cuore e vorremmo/dovremmo essere, da tutta Italia, fisicamente a Napoli a lottare perchè in questa estate si decide molto del destino di tutta l’opposizione sociale, dai No-TAV della Val di Susa ai No-Ponte di Reggio Calabria e Messina, che si sta puntando a criminalizzare.
Io personalmente, nei giorni scorsi, una volta appreso che la Curia di Napoli era la proprietaria della discarica di Chiaiano (lotto n. 3 intestato all’Arciconfraternita dei Frati Pellegrini) mi sono attaccato al telefono:
siamo a cavallo, mi sono detto.
Non mi è parso vero invitare gli esponenti dei comitati locali (segnalatimi dai “grillini” di Napoli) ad investire questo obiettivo “sensibile” e “vulnerabile” - la Chiesa cattolica, appunto - perchè si tirasse fuori dal business rifiuti.
Voi comunque, per fortuna, eravate già partiti da soli: secondo me, il fatto fa bene sperare per l’esito della lotta.
La pressione sulla Chiesa, infatti, considerata pragmaticamente e non ideologicamente, è la prova della maturità di una resistenza popolare che si sta dimostrando all’altezza dello scontro cui è chiamata.
Già, questa resistenza, ha rifiutato la prova di forza fisica nel “tenere la postazione” (la stessa grande stampa ha chiarito che la repressione poliziesca avrebbe “cercato il morto”) per adottare una tattica di lungo periodo, che potremmo definire di “guerriglia non violenta”.
140 camion al giorno come potranno passare in una situazione in cui la gente non collabora, boicotta, ostacola (senza attentare all’incolumità fisica delle persone)?
Ora si sta muovendo - la resistenza - per mettere alle strette una Istituzione che deve trovare coerenza tra le parole e i fatti e mostrare concretamente che ha a cuore la salute e la dignità delle proprie “pecorelle”.
Oltretutto va tenuto presente che, per accordi concordatari, la Chiesa non può venire espropriata: quindi se dice di no, la discarica a Chiaiano non si fa.
La stampa, per ovvi motivi, ha tentato e tenterà di non dare risalto all’iniziativa dell’ocupazione del Duomo di Napoli, ma la perseveranza romperà il muro del silenzio.
Resterebbe, credo, un’ultima azione, quella cui ho accennato nella mia mail intitolata “Cosa avrebbe fatto Gandhi”, che ho fatto circolare su vari siti internet.
Bisognerebbe che personalità riconosciute - il nome che subito salta alle labbra è quello solito di Zanotelli - chiamassero ad una disobbedienza civile composta contro il decreto che prevede anni di carcere per chi si oppone alle discariche (5 anni per i promotori).
Mi permetto di autocitarmi:“Mohandas, studiata bene la situazione, avrebbe organizzato i suoi da tutta l’India, fatto una conferenza stampa, e li avrebbe fatti sfilare ordinati e disciplinati, in fila “indiana”, fino ad andare in bocca alla polizia, con un cartello al collo: “Voglio vivere, voglio essere libero.
No alla discarica, no al decreto Berlusconi, arrestatemi”.
No urla di “assassini” contro i poliziotti, no sassi, no barricate, no bus incendiati.
Solo la ferma determinazione a violare una legge ingiusta e la “provocazione” sistematicamente perseguita a riempire le prigioni per una volontà che niente mai potrà spezzare.
Perchè la prova di forza che va ingaggiata non è sul piano del confronto fisico, ma su quello morale.Non si tratta di difendere materialmente degli spazi e di riconquistare delle posizioni, che so piazza Titanic: si tratta di affermare che la coscienza, di ciascuno e di tutti, non si piega ad alcuna collaborazione con coloro che, nascondendosi dietro l’emergenza rifiuti e sviluppo, stanno preparando il “fascismo” dei giorni nostri.
Siamo in un momento delicato, in un momento di passaggio.
L’opinione pubblica non è ancora tutta schierata nella richiesta d’ordine e chi si è oppone non è ancora rassegnato.
Forse adottare oggi con cognizione di causa lo spirito e la logica dei Satyagrahi potrà permettere agli attivisti della resistenza umana in corso di far saltare i piani liberticidi del governo Berlusconi e della complice “casta” politico- affaristico-mediatica”.

LE TERRIFICANTI SOMIGLIANZE TRA IL 1929 E IL 2008


DI WILL BAGLEY

The Prairie Dog Press


Vedere Wall Street e il mercato immobiliare americano crollare negli scorsi 10 mesi non ha ispirato molta fiducia nella nostra meravigliosa economia del libero mercato o nei pirati che la gestiscono.
Avendo da poco lottato con cause e conseguenze della Grande Depressione ho trovato l'attuale naufragio ecomomico non semplicemente sinistro, ma realmente terrificante.
Il lavoro di storico è qualcosa di scoraggiante.
Nessuno sembra imparare alcunchè dalla storia - questo è abbastanza palese - ma noi continuiamo a sperare.
Essendo uno storico dell'america occidentale del 1900 ebbi un lavoro su misura per me quando un'amica mi chiese di scrivere una biografia di suo padre -- il giudice Wilson McCarthy.Herbert Hoover nominò McCarthy a rappresentare i democratici occidentali nel consiglio di amministrazione della Reconstruction Finance Corporation [Azienda per la Ricostruzione Finanziaria n.d.t.], la sola risposta di Hoover al peggior disastro economico della storia americana.
La RFC tentò di riportare liquidità nell'economia ricavando contante dai materassi che vi erano sotto e rimettendolo in circolazione.
L'anno scorso dovetti cercare il termine "liquidità" nel vocabolario per ricordarmene il significato.
Oggi ho potuto scegliere tra 23.2 milioni di segnalazioni di Google per saperne di più.
Mark Twain disse che "La storia non si ripete, ma rima con se stessa", le somiglianze tra le condizioni economiche del 1929 e quelle del 2008 fanno rima come 'hickory -- dickory -- dock'.
Già nel 1935 l'"organizzatore di cervelli" Rexford Tugwell identificò la causa alla radice della Grande Depressione nell'incapacità di "passare una porzione onesta della spettacolare produttività degli anni '20" tanto ai lavoratori quanto ai consumatori.
Una duratura depressione agricola, la distribuzione della ricchezza fortemente iniqua, un massiccio debito del consumatore, tagli alle tasse per i ricchi e quella che lo storico Robert S. McElvaine chiamò "la selvaggia speculazione dell'orgia di avidità del decennio", tutte resero le cose peggiori.
Questa bancarotta dalle diverse sfaccettature portò alla Grande Depressione, ma una massiccia corruzione nelle aziende e l'incompetenza della classe di governo sono dei fattori sottostimati, ma familiari, nella creazione della catastrofe.
I sostenitori del libero mercato lottano per spiegare in altro modo il crollo dell'economia virtualmente priva di regole dei Ruggenti Anni 20.
Nel 1963 l'economista Milton Friedman spiegò il fallimento del laissez faire come "la tragica testimonianza dell'importanza delle forze monetarie."
I discepoli di Adam Smith diedero la colpa agli organismi regolatori, in particolare al tentativo da parte del Board della Federal Reserve di regnare nella speculazione di Wall Street.Ai festeggiamenti per i 90 anni di Milton Friedman nel 2002 l'allora membro del board della Fed Ben Bernanke disse:
"Avevi ragione, siamo stati noi. Ci dispiace davvero".
Mi chiedo di cosa si dispiaccia ora il Presidente della Fed Bernanke.
Herbert Hoover disse a un giornalista che l'unico problema del capitalismo sono i capitalisti: "Sono troppo dannatamente avidi". La Depressione mostrò che aveva ragione. "Dobbiamo tutti fare la nostra parte" disse J. P. Morgan, ma il grande finanziere non pagò un solo nickel di tasse federali sul reddito nel 1930, e né lui né i suoi partner pagarono alcunché nel 1931 e nel 1932.


Il Segretario al Tesoro Ogden Mills assegnò alle proprietà di suo padre 6 milioni di dollari di esenzioni con quella che è ora chiamata "tassa della morte" [death tax]. Il Chicago Tribune chiese ai cittadini di pagare tutte le loro tasse, mentre il suo editore, il tycoon Robert R. McCormick, pagò solo 1515 dollari.
Il banchiere investitore S.J.T. Strauss pagò la cifra strabiliante di 18 dollari di tasse.
Nello stesso momento, durante i primi mesi del 1932, i ricchi americani mandavano 100 milioni di dollari in oro verso l'Europa ogni settimana.Da sopravvissuto di quello che chiamò "the Great Slump," [Il Grande Crollo n.d.t.] il grande storico europeo Eric Hobsbawm trovò quasi impossibile comprendere come l'ortodossia del libero mercato, così ovviamente screditata nel 1933, "sia tornata ancora una volta a presiedere il periodo di depressione globale dei tardi anni '80 e degli anni '90".
Hobsbawm credeva che questo strano fenomeno evocasse "l'incredibile brevità di memoria tanto dei teorici quanto dei praticanti dell'economia."
Mostrava anche perchè la società avesse bisogno degli storici che agissero come "promemoria professionisti di ciò che i loro concittadini desiderano dimenticare".
Ci sono dfferenze tra oggi e il 1929; per esempio il dollaro era in ottima forma e il deficit era praticamente inesistente. Dunque perché preoccuparsi? Gran parte degli storici ritengono che la storia non si ripete. Sembra solo così.

WILL BAGLEY è un autore, editore e storico.

La Utah State University Press ha pubblicato il suo "Always a Cowboy: Judge Wilson McCarthy and the Rescue of the Denver & Rio Grande Western Railroad"
[Sempre un cowboy: il giudice Wilson McCarthy e il salvataggio della Denver & Rio Grande Western Railroad].

Titolo originale: "Similarities between 1929 and 2008 terrifying"
Fonte: http://www.sltrib.com/
Leggi tutto »

DI WILL BAGLEY

The Prairie Dog Press


Vedere Wall Street e il mercato immobiliare americano crollare negli scorsi 10 mesi non ha ispirato molta fiducia nella nostra meravigliosa economia del libero mercato o nei pirati che la gestiscono.
Avendo da poco lottato con cause e conseguenze della Grande Depressione ho trovato l'attuale naufragio ecomomico non semplicemente sinistro, ma realmente terrificante.
Il lavoro di storico è qualcosa di scoraggiante.
Nessuno sembra imparare alcunchè dalla storia - questo è abbastanza palese - ma noi continuiamo a sperare.
Essendo uno storico dell'america occidentale del 1900 ebbi un lavoro su misura per me quando un'amica mi chiese di scrivere una biografia di suo padre -- il giudice Wilson McCarthy.Herbert Hoover nominò McCarthy a rappresentare i democratici occidentali nel consiglio di amministrazione della Reconstruction Finance Corporation [Azienda per la Ricostruzione Finanziaria n.d.t.], la sola risposta di Hoover al peggior disastro economico della storia americana.
La RFC tentò di riportare liquidità nell'economia ricavando contante dai materassi che vi erano sotto e rimettendolo in circolazione.
L'anno scorso dovetti cercare il termine "liquidità" nel vocabolario per ricordarmene il significato.
Oggi ho potuto scegliere tra 23.2 milioni di segnalazioni di Google per saperne di più.
Mark Twain disse che "La storia non si ripete, ma rima con se stessa", le somiglianze tra le condizioni economiche del 1929 e quelle del 2008 fanno rima come 'hickory -- dickory -- dock'.
Già nel 1935 l'"organizzatore di cervelli" Rexford Tugwell identificò la causa alla radice della Grande Depressione nell'incapacità di "passare una porzione onesta della spettacolare produttività degli anni '20" tanto ai lavoratori quanto ai consumatori.
Una duratura depressione agricola, la distribuzione della ricchezza fortemente iniqua, un massiccio debito del consumatore, tagli alle tasse per i ricchi e quella che lo storico Robert S. McElvaine chiamò "la selvaggia speculazione dell'orgia di avidità del decennio", tutte resero le cose peggiori.
Questa bancarotta dalle diverse sfaccettature portò alla Grande Depressione, ma una massiccia corruzione nelle aziende e l'incompetenza della classe di governo sono dei fattori sottostimati, ma familiari, nella creazione della catastrofe.
I sostenitori del libero mercato lottano per spiegare in altro modo il crollo dell'economia virtualmente priva di regole dei Ruggenti Anni 20.
Nel 1963 l'economista Milton Friedman spiegò il fallimento del laissez faire come "la tragica testimonianza dell'importanza delle forze monetarie."
I discepoli di Adam Smith diedero la colpa agli organismi regolatori, in particolare al tentativo da parte del Board della Federal Reserve di regnare nella speculazione di Wall Street.Ai festeggiamenti per i 90 anni di Milton Friedman nel 2002 l'allora membro del board della Fed Ben Bernanke disse:
"Avevi ragione, siamo stati noi. Ci dispiace davvero".
Mi chiedo di cosa si dispiaccia ora il Presidente della Fed Bernanke.
Herbert Hoover disse a un giornalista che l'unico problema del capitalismo sono i capitalisti: "Sono troppo dannatamente avidi". La Depressione mostrò che aveva ragione. "Dobbiamo tutti fare la nostra parte" disse J. P. Morgan, ma il grande finanziere non pagò un solo nickel di tasse federali sul reddito nel 1930, e né lui né i suoi partner pagarono alcunché nel 1931 e nel 1932.


Il Segretario al Tesoro Ogden Mills assegnò alle proprietà di suo padre 6 milioni di dollari di esenzioni con quella che è ora chiamata "tassa della morte" [death tax]. Il Chicago Tribune chiese ai cittadini di pagare tutte le loro tasse, mentre il suo editore, il tycoon Robert R. McCormick, pagò solo 1515 dollari.
Il banchiere investitore S.J.T. Strauss pagò la cifra strabiliante di 18 dollari di tasse.
Nello stesso momento, durante i primi mesi del 1932, i ricchi americani mandavano 100 milioni di dollari in oro verso l'Europa ogni settimana.Da sopravvissuto di quello che chiamò "the Great Slump," [Il Grande Crollo n.d.t.] il grande storico europeo Eric Hobsbawm trovò quasi impossibile comprendere come l'ortodossia del libero mercato, così ovviamente screditata nel 1933, "sia tornata ancora una volta a presiedere il periodo di depressione globale dei tardi anni '80 e degli anni '90".
Hobsbawm credeva che questo strano fenomeno evocasse "l'incredibile brevità di memoria tanto dei teorici quanto dei praticanti dell'economia."
Mostrava anche perchè la società avesse bisogno degli storici che agissero come "promemoria professionisti di ciò che i loro concittadini desiderano dimenticare".
Ci sono dfferenze tra oggi e il 1929; per esempio il dollaro era in ottima forma e il deficit era praticamente inesistente. Dunque perché preoccuparsi? Gran parte degli storici ritengono che la storia non si ripete. Sembra solo così.

WILL BAGLEY è un autore, editore e storico.

La Utah State University Press ha pubblicato il suo "Always a Cowboy: Judge Wilson McCarthy and the Rescue of the Denver & Rio Grande Western Railroad"
[Sempre un cowboy: il giudice Wilson McCarthy e il salvataggio della Denver & Rio Grande Western Railroad].

Titolo originale: "Similarities between 1929 and 2008 terrifying"
Fonte: http://www.sltrib.com/

sabato 26 luglio 2008

Elogio dell'ascaro




Chissà che un domani nei paesi siciliani, accanto al monumento al Milite Ignoto, non ne sorga un altro che possa ricordare episodi anche più tristi di quelli patiti dai Siciliani durante le due guerre mondiali.


In quei paesi un domani potremmo trovarci un bel monumento all'Ascaro Ignavo, una statua a ricordo di tutti quei politicanti di bassa lega che i nostri municipi hanno sfornato in quantità industriali e che hanno contribuito a ridurre la nostra patria nello stato in cui si trova attualmente.

Ma un tale monumento dovrebbe anche celebrare qualcosa, altrimenti non avrebbe motivo di esistere.
Come il tradimento di Giuda fu accessorio alla salvezza dell'umanità, così il tradimento degli ascari è stato accessorio alla realizzazione di un bene più grande, è cioè la preservazione dell'Autonomia Siciliana, il grimaldello che presto ci potrebbe donare la libertà.Lo stato italiano infatti per potersi assicurare i luridi servigi di quei viscidi prodotti da forno doveva pur concedergli dei privilegi.

L'accordo fu presto fatto: gli ascari scambiarono (e scambiano) i diritti che i Siciliani si guadagnarono sul campo con l'approvazione dello Statuto, con la possibilità di mantenere i privilegi di casta da quello stesso Statuto concessi ed di esercitarli in modo assoluto ed arbitrario. Privilegi che, senza la responsabilità data dal peso dell'applicazione integrale della Carta Costituzionale Siciliana, appaiono abnormi anche rispetto a quelli già smisurati dei parlamentari nazionali.

Ma sbaglieremmo a prendere gli ascari per sprovveduti.

Essi hanno sempre capito che quei privilegi venivano concessi loro solo in virtù del sangue versato da Canepa e co., e che la menomazione anche marginale di quella conquista, cioè dello Statuto, avrebbe significato la fine di tutta la cosca, in quanto la cupola parlamentare nazionale non avrebbe più avuto bisogno di loro.

Si è così arrivati all'assurdo per cui proprio gli ascari hanno impedito che si toccasse quella carta, promettendo sempre all'invasore l'agognata menomazione, ma sempre trovando una scusa per rimandare il tradimento finale (e quindi la loro stessa estinzione) a data da destinarsi, novelli Penelope che disfanno la notte quello che dicono di giorno.

Tanto è stata assoluta la fedeltà di cosca tra i politici siciliani, che nessuno ha mai tradito malgrado il gioco al rialzo fatto da Roma.

Ed oggi siamo nel momento più delicato: quello in cui qualcuno, avendo oramai capito di essere di fronte ad una sconfitta certa, potrebbe rompere i ranghi e tentare un colpo di mano.Agli ascari il potere esclusivo di distruggere definitivamente la Sicilia lo ha assegnato una sentenza dell'Alta Corte (prima di essere abolita) .

L'articolo 1 dello Statuto recitava originariamente così: Lo Statuto della Regione Siciliana, approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell'art.116 della Costituzione.

Ferma restando la procedura di revisione preveduta dalla Costituzione, le modifiche, ritenute necessarie dallo Stato o dalla Regione saranno, non oltre due anni dalla entrata in vigore della presente legge, approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l'Assemblea Regionale della Sicilia.Il secondo comma è stato caducato dall'Alta Corte.

Rileggiamo a tal proposito il commento di Massimo Costa:

Esso era il cavallo di troia con cui pensavano di castrare lo Statuto a Roma con una banalissima legge ordinaria.

L'Alta Corte ne ha dichiarato l'incostituzionalità in quanto lo Statuto avrebbe natura pattizia e sarebbe quindi immodificabile senza il consenso di entrambe le assemblee legislative.

Tale sentenza rende caduco anche il primo dispositivo del comma "ferma restando la procedura..." intendendo implicitamente che la procedura di revisione della Costituzione che non avesse il consenso della nostra Assemblea sarebbe nulla anche se rispettasse la normale procedura prevista dal testo costituzionale.

Ma la sentenza in parola è importante anche per un altro aspetto: l'incostituzionalità del secondo comma avvalora la costituzionalità del primo.

E quindi lo Statuto E' COSTITUZIONE COSI' COM'E', senza bisogno di alcuna modifica o integrazione.

In questi cinquantanni di trasversalismo generalizzato, se il colpo di mano non si è fatto vuol dire che non lo si voleva fare.

Tanto è vero che quando si è trattato di apportare una modifica migliorativa, e cioè quella che nel 2001 ha introdotto l'elezione diretta del Presidente della Sicilia, non vi sono stati problemi di sorta.

Ed oggi lo Statuto Siciliano è intatto.

Non applicato ma valido come Carta Costituzionale e soprattutto, in forza della sia natura pattizia, come trattato internazionale tra la nazione italiana e la Nazione Siciliana.

La nostra arma più potente.

Non è però ancora il momento di cantare vittoria.


Anzi è oggi che la nostra Patria corre i pericoli maggiori. Perché, come dicevamo, chi è schierato dalla parte sbagliata e si trova oramai con le spalle al muro potrebbe non avere altra scelta se non compiere l'atto che nemmeno il più irresponsabile degli ascari si sarebbe sognato mai di compiere.

E presto saranno in molti ad avere le spalle al muro.

Non ci spaventano certo i bamboccetti alla Licandro, e nemmeno ci devono preoccupare più di tanto atti moralmente aberranti quali la scarcerazione di Contrada (in 150 anni abbiamo visto di peggio...) che dovrebbe servire da apripista per la liberazione delle alte gerarchie mafiose, ma che non porterà a niente.Il pericolo maggiore viene da Arcore e si chiama “Macroregione”.

Il pecoraio sa benissimo che la situazione geopolitica che si è venuta a formare con l'avanzata nel Mediterraneo di Russia e Cina, e la crescita di molti paesi medio-orientali coinvolgerà la Sicilia ed il Sud Italia. Ma crede ancora di poterla volgere a suo vantaggio.

Da buon cerchiobottista, da un lato prepara una sponda all'avanzata orientale, dall'altro briga per la creazione di uno stato fantoccio che rimanga schiavo agli interessi suoi e dei “fratelli”.

Mentre la Russia fa l'occhiolino all'Autonomia Siciliana, contraltare legale del pasticciaccio fatto in Kosovo dalla UE, lui propone per l'isola l'esercito e l'inglobamento in una specie di Campania allargata senza alcuna autonomia reale.

Progetto questo che non potrà andare in porto senza quel tradimento massimo che agli ascari siciliani è sempre stato chiesto di compiere anche se che finora mai sono stati tanto fessi da eseguire.

Raffaele Lombardo non suona certo rassicurante quando parla di “macroarea meridionale”, ma sappiamo che il nostro si trova tra l'incudine ed il martello e prevedere dove andrà a sbattere per ora è difficile.

Quello che succederà nei tormentati animi degli ascari siciliani nei prossimi mesi dipenderà direttamente dagli sviluppi politici in medio-oriente (leggi Iran, leggi OPEC del gas).

Sognare non costa niente.

E se invece di allargare la Campania sino a Lampedusa (come progettato ad Arcore), si riuscisse ad estendere l'Autonomia Siciliana a tutto il Regno di Sicilia continentale (magari tramite un bel “plebiscito”) dando così lo status di nazione anche al Sud Italia?


Non sarebbe male come fine dell'impero “occidentale” ed inizio di una nuova era “orientale”.

Leggi tutto »



Chissà che un domani nei paesi siciliani, accanto al monumento al Milite Ignoto, non ne sorga un altro che possa ricordare episodi anche più tristi di quelli patiti dai Siciliani durante le due guerre mondiali.


In quei paesi un domani potremmo trovarci un bel monumento all'Ascaro Ignavo, una statua a ricordo di tutti quei politicanti di bassa lega che i nostri municipi hanno sfornato in quantità industriali e che hanno contribuito a ridurre la nostra patria nello stato in cui si trova attualmente.

Ma un tale monumento dovrebbe anche celebrare qualcosa, altrimenti non avrebbe motivo di esistere.
Come il tradimento di Giuda fu accessorio alla salvezza dell'umanità, così il tradimento degli ascari è stato accessorio alla realizzazione di un bene più grande, è cioè la preservazione dell'Autonomia Siciliana, il grimaldello che presto ci potrebbe donare la libertà.Lo stato italiano infatti per potersi assicurare i luridi servigi di quei viscidi prodotti da forno doveva pur concedergli dei privilegi.

L'accordo fu presto fatto: gli ascari scambiarono (e scambiano) i diritti che i Siciliani si guadagnarono sul campo con l'approvazione dello Statuto, con la possibilità di mantenere i privilegi di casta da quello stesso Statuto concessi ed di esercitarli in modo assoluto ed arbitrario. Privilegi che, senza la responsabilità data dal peso dell'applicazione integrale della Carta Costituzionale Siciliana, appaiono abnormi anche rispetto a quelli già smisurati dei parlamentari nazionali.

Ma sbaglieremmo a prendere gli ascari per sprovveduti.

Essi hanno sempre capito che quei privilegi venivano concessi loro solo in virtù del sangue versato da Canepa e co., e che la menomazione anche marginale di quella conquista, cioè dello Statuto, avrebbe significato la fine di tutta la cosca, in quanto la cupola parlamentare nazionale non avrebbe più avuto bisogno di loro.

Si è così arrivati all'assurdo per cui proprio gli ascari hanno impedito che si toccasse quella carta, promettendo sempre all'invasore l'agognata menomazione, ma sempre trovando una scusa per rimandare il tradimento finale (e quindi la loro stessa estinzione) a data da destinarsi, novelli Penelope che disfanno la notte quello che dicono di giorno.

Tanto è stata assoluta la fedeltà di cosca tra i politici siciliani, che nessuno ha mai tradito malgrado il gioco al rialzo fatto da Roma.

Ed oggi siamo nel momento più delicato: quello in cui qualcuno, avendo oramai capito di essere di fronte ad una sconfitta certa, potrebbe rompere i ranghi e tentare un colpo di mano.Agli ascari il potere esclusivo di distruggere definitivamente la Sicilia lo ha assegnato una sentenza dell'Alta Corte (prima di essere abolita) .

L'articolo 1 dello Statuto recitava originariamente così: Lo Statuto della Regione Siciliana, approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, fa parte delle leggi costituzionali della Repubblica ai sensi e per gli effetti dell'art.116 della Costituzione.

Ferma restando la procedura di revisione preveduta dalla Costituzione, le modifiche, ritenute necessarie dallo Stato o dalla Regione saranno, non oltre due anni dalla entrata in vigore della presente legge, approvate dal Parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l'Assemblea Regionale della Sicilia.Il secondo comma è stato caducato dall'Alta Corte.

Rileggiamo a tal proposito il commento di Massimo Costa:

Esso era il cavallo di troia con cui pensavano di castrare lo Statuto a Roma con una banalissima legge ordinaria.

L'Alta Corte ne ha dichiarato l'incostituzionalità in quanto lo Statuto avrebbe natura pattizia e sarebbe quindi immodificabile senza il consenso di entrambe le assemblee legislative.

Tale sentenza rende caduco anche il primo dispositivo del comma "ferma restando la procedura..." intendendo implicitamente che la procedura di revisione della Costituzione che non avesse il consenso della nostra Assemblea sarebbe nulla anche se rispettasse la normale procedura prevista dal testo costituzionale.

Ma la sentenza in parola è importante anche per un altro aspetto: l'incostituzionalità del secondo comma avvalora la costituzionalità del primo.

E quindi lo Statuto E' COSTITUZIONE COSI' COM'E', senza bisogno di alcuna modifica o integrazione.

In questi cinquantanni di trasversalismo generalizzato, se il colpo di mano non si è fatto vuol dire che non lo si voleva fare.

Tanto è vero che quando si è trattato di apportare una modifica migliorativa, e cioè quella che nel 2001 ha introdotto l'elezione diretta del Presidente della Sicilia, non vi sono stati problemi di sorta.

Ed oggi lo Statuto Siciliano è intatto.

Non applicato ma valido come Carta Costituzionale e soprattutto, in forza della sia natura pattizia, come trattato internazionale tra la nazione italiana e la Nazione Siciliana.

La nostra arma più potente.

Non è però ancora il momento di cantare vittoria.


Anzi è oggi che la nostra Patria corre i pericoli maggiori. Perché, come dicevamo, chi è schierato dalla parte sbagliata e si trova oramai con le spalle al muro potrebbe non avere altra scelta se non compiere l'atto che nemmeno il più irresponsabile degli ascari si sarebbe sognato mai di compiere.

E presto saranno in molti ad avere le spalle al muro.

Non ci spaventano certo i bamboccetti alla Licandro, e nemmeno ci devono preoccupare più di tanto atti moralmente aberranti quali la scarcerazione di Contrada (in 150 anni abbiamo visto di peggio...) che dovrebbe servire da apripista per la liberazione delle alte gerarchie mafiose, ma che non porterà a niente.Il pericolo maggiore viene da Arcore e si chiama “Macroregione”.

Il pecoraio sa benissimo che la situazione geopolitica che si è venuta a formare con l'avanzata nel Mediterraneo di Russia e Cina, e la crescita di molti paesi medio-orientali coinvolgerà la Sicilia ed il Sud Italia. Ma crede ancora di poterla volgere a suo vantaggio.

Da buon cerchiobottista, da un lato prepara una sponda all'avanzata orientale, dall'altro briga per la creazione di uno stato fantoccio che rimanga schiavo agli interessi suoi e dei “fratelli”.

Mentre la Russia fa l'occhiolino all'Autonomia Siciliana, contraltare legale del pasticciaccio fatto in Kosovo dalla UE, lui propone per l'isola l'esercito e l'inglobamento in una specie di Campania allargata senza alcuna autonomia reale.

Progetto questo che non potrà andare in porto senza quel tradimento massimo che agli ascari siciliani è sempre stato chiesto di compiere anche se che finora mai sono stati tanto fessi da eseguire.

Raffaele Lombardo non suona certo rassicurante quando parla di “macroarea meridionale”, ma sappiamo che il nostro si trova tra l'incudine ed il martello e prevedere dove andrà a sbattere per ora è difficile.

Quello che succederà nei tormentati animi degli ascari siciliani nei prossimi mesi dipenderà direttamente dagli sviluppi politici in medio-oriente (leggi Iran, leggi OPEC del gas).

Sognare non costa niente.

E se invece di allargare la Campania sino a Lampedusa (come progettato ad Arcore), si riuscisse ad estendere l'Autonomia Siciliana a tutto il Regno di Sicilia continentale (magari tramite un bel “plebiscito”) dando così lo status di nazione anche al Sud Italia?


Non sarebbe male come fine dell'impero “occidentale” ed inizio di una nuova era “orientale”.

Tre fondi al federalismo solidale






Di Roberto Turno


Un po' alla catalana,all'irlandese e alla tedesca. La via italiana al federalismo fiscale parte da tanti modelli e da nessuno.

Neppure dal "modello lombardo".

Ma con la certezza di un finanziamento integrale per sanità, istruzione e assistenza. Con l'Irap in prospettiva destinata a scomparire. Con tre Fondi perequativi salva-squilibri per livelli essenziali, Comuni e Province.

Con un fisco per gli enti locali che passerà attraverso le Regioni ma con salvacondotti speciali per le città metropolitane.

Con l'addio alla spesa storica e il graduale transito verso i costi standard delle prestazioni.

E con premi per gli enti virtuosi, ma anche dure sanzioni per quelli che resteranno fuori carreggiata: non potranno assumere personale neppure per coprire le piante organiche e i vertici rischieranno il fallimento politico.Le dimissioni e via, al voto.È pronta la rivoluzione del fisco federale targata Roberto Calderoli.

Si ricomincia dai 19 articoli del Ddl di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione consegnato ieri dal ministro alle Regioni.

Da giovedì prossimo scatterà il confronto con le autonomie locali, governatori e sindaci in testa, che andrà avanti per più di un mese.

I tempi sono stretti e il timing del Governo è serratissimo: il Ddl, collegato alla Finanziaria 2009, sarà licenziato dal Consiglio dei ministri entro settembre.

La speranza è di arrivare al varo della legge per fine anno. Addirittura entro sei mesi, poi, dovranno essere messi a punto i decreti delegati attuativi.

A farcela. Perché quella sarà la sfida decisiva: riempire di contenuti tra tributi che saltano e che arrivano – un testo che al momento lascia aperte parecchie soluzioni finali. Un lavoro immane da re-alizzare, col pressing del Quirinale per realizzare una riforma bipartisan ma in un clima politico sempre più teso tra maggioranza e opposizione.È infatti un "testo aperto" quello consegnato da Calderoli alle Regioni.
A cominciare dall'elenco dei tributi propri regionali e locali. Anche se i principi direttivi già non ammettono deroghe: ben venga la solidarietà, si afferma, ma la finanza derivata così com'è deresponsabilizza chi è indietro e danneggia chi ben governa e possiede ricchezza. In breve, premia l'inefficienza.
Non a caso è alla Sanità che la relazione allegata al Ddl dedica l'esempio più clamoroso: in dieci anni la spesa è raddoppiata ma il Sud resta fanalino di coda, anzi peggiora.
La strada maestra è così quella di avviare un «percorso graduale » di distribuzione delle risorse seguendo la stella polare dei costi standard delle prestazioni, garantendo flessibilità fiscale con un paniere di tributi propri e di compartecipazioni, tutti o quasi da definire, il più possibile «manovrabili».
Per Regioni ed enti locali si apre la sfida del rilancio delle economie territoriali grazie alle leve fiscali, anche con speciali esenzioni, deduzioni e agevolazioni.
Per Sanità, istruzione e assistenza la promessa è di garantire il «finanziamento integrale», sulla base dei costi standard, delle prestazioni essenziali. Il finanziamento avverrà col gettito dell'Irap –che però sarà sostituita con altri tributi propri regionali da individuare – poi con la compartecipazione regionale all'Irpef e all'Iva e con aliquote del Fondo perequativo.
I livelli essenziali saranno garantiti uniformemente in tutta Italia, è la parola d'ordine.
Il Fondo perequativo sarà alimentato dal gettito della compartecipazione regionale all'Iva e con quote della nuova «aliquota media di equilibrio »dell'addizionale regionale all'Irpef.
Le quote del Fondo saranno assegnate senza vincolo di destinazione.Per le altre funzioni (extra sanità, istruzione e assistenza) il finanziamento avverrà con i tributi regionali e quote del Fondo perequativo.
E quanto al finanziamento del trasporto pubblico locale, si terra conto di «un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard».Altro capitolo aperto riguarda Comuni, città metropolitane e Province. Lo Stato individua i tributi propri locali, ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili, le aliquote valide in tutta Italia.
Le Regioni potranno istituire nuovi tributi comunali e provinciali, indicando gli ambiti di autonomia.
Gli enti locali, a loro volta, potranno modificare le aliquote di tributi loro assegnati e introdurre agevolazioni.
E avranno «piena autonomia» nel determinare le tariffe per prestazioni e servizi offerti «anche su richiesta dei cittadini».
Capacità fiscali e costi standard saranno insomma anche per gli enti locali le basi per il finanziamento delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni, grazie al tributi propri, alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali e regionali e al Fondo perequativo.
Una scommessa.
Che ora si gioca al tavolo con sindaci e governatori.

----------------------------------------------------------------------------------------------


La scelta di Bolzano: «Le nostre risorse non si toccano»


di Davide Colombo


«La proposta di attuazione del federalismo fiscale presentata dal ministro Roberto Calderoli ci sembra migliore rispetto al disegno di legge del vecchio Governo. Ma sia chiaro che sulla partecipazione al fondo di perequazione si dovrà discutere. E dico subito che noi siamo pronti anche ad accollarci nuove spese ma non certo a cedere risorse che oggi sono garantite dallo Statuto».
Luis Durnwalder, 66 anni, presidente della Provincia autonoma di Bolzano ed esponente storico delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, non ha cambiato idea sulle modalità con cui dovrà essere costruita la solidarietà tra Regioni:
«Noi siamo pronti a sostenere spese per strutture dello Stato presenti sul nostro territorio come le agenzie del demanio e delle entrate, i tribunali, le poste. Siamo pronti persino a pagare noi i programmi Rai in lingua ladina a tedesca e possiamo autofinanziarci nuove funzioni che lo Stato ci vorrà trasferire.
Ma non possiamo mettere risorse nostre in un fondo che poi le redistribuisce ad altri».Attualmente la Provincia di Bolzano (un territorio per l'84%sopra i mille metri di altitudine) trattiene il 90% delle imposte erariali.
Un gettito che, l'anno scorso, ha garantito oltre 3,5 miliardi di entrate. Il 13,5% di queste risorse sono trasferite ai Comuni:
«Noi l'Ici sulla prima abitazione non l'applichiamo più da tre anni e la Provincia finanzia i municipi per sostenere progetti speciali».
Il nodo della perequazione, secondo Durnwalder, deve essere affrontata singolarmente per le autonomie speciali:
«Anche noi siamo molto diversi, abbiamo statuti diversi e negli ultimi decenni abbiamo avuto storie di crescita economica diverse ». Dunque trattative bilaterali, o quasi, con il Governo:
«Oltre al fondo di perequazione c'è da chiarire come il nuovo federalismo fiscale incrocerà con il Patto di stabilità interno, cosa cambia per le Regioni che lo rispettano e quelle che sforano, quali sanzioni arriveranno.
Noi, in questa prospettiva, vorremmo che si guardasse ai saldi finali e non si discutesse più delle scelte di spesa tra i vari capitoli di bilancio».Nessun automatismo uguale per tutti sulle compartecipazioni, insomma, mentre sul paniere dei nuovi tributi la porta è aperta:
«La capacità fiscale della nostra Provincia è buona perché l'economia è forte.
Se dovessimo introdurre nuovi tributi propri, diversi da quelli erariali, siamo anche pronti a farlo dice ancora Durnwalder ma la priorità ora è far capire al ministro Calderoli che non è possibile far altro che trovare un accordo comune». L'anno scorso, quando toccò ai ministri Linda Lanzillotta e Tommaso Padoa- Schioppa presentare il loro disegno di legge delega sul federalismo fiscale i tre senatori del Suedtiroler Volkspartei fecero la differenza:
«Questa volta le maggioranza sono diverse ammette Durnwalder ma è anche diverso il ministro. La Lega ha una visione del federalismo che non è in contrasto con la nostra lunga storia di autonomia. Si tratta di dialogare e trovare un punto d'incontro. Sapendo che non tutte le Regioni a Statuto speciale sono uguali».

Leggi tutto »





Di Roberto Turno


Un po' alla catalana,all'irlandese e alla tedesca. La via italiana al federalismo fiscale parte da tanti modelli e da nessuno.

Neppure dal "modello lombardo".

Ma con la certezza di un finanziamento integrale per sanità, istruzione e assistenza. Con l'Irap in prospettiva destinata a scomparire. Con tre Fondi perequativi salva-squilibri per livelli essenziali, Comuni e Province.

Con un fisco per gli enti locali che passerà attraverso le Regioni ma con salvacondotti speciali per le città metropolitane.

Con l'addio alla spesa storica e il graduale transito verso i costi standard delle prestazioni.

E con premi per gli enti virtuosi, ma anche dure sanzioni per quelli che resteranno fuori carreggiata: non potranno assumere personale neppure per coprire le piante organiche e i vertici rischieranno il fallimento politico.Le dimissioni e via, al voto.È pronta la rivoluzione del fisco federale targata Roberto Calderoli.

Si ricomincia dai 19 articoli del Ddl di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione consegnato ieri dal ministro alle Regioni.

Da giovedì prossimo scatterà il confronto con le autonomie locali, governatori e sindaci in testa, che andrà avanti per più di un mese.

I tempi sono stretti e il timing del Governo è serratissimo: il Ddl, collegato alla Finanziaria 2009, sarà licenziato dal Consiglio dei ministri entro settembre.

La speranza è di arrivare al varo della legge per fine anno. Addirittura entro sei mesi, poi, dovranno essere messi a punto i decreti delegati attuativi.

A farcela. Perché quella sarà la sfida decisiva: riempire di contenuti tra tributi che saltano e che arrivano – un testo che al momento lascia aperte parecchie soluzioni finali. Un lavoro immane da re-alizzare, col pressing del Quirinale per realizzare una riforma bipartisan ma in un clima politico sempre più teso tra maggioranza e opposizione.È infatti un "testo aperto" quello consegnato da Calderoli alle Regioni.
A cominciare dall'elenco dei tributi propri regionali e locali. Anche se i principi direttivi già non ammettono deroghe: ben venga la solidarietà, si afferma, ma la finanza derivata così com'è deresponsabilizza chi è indietro e danneggia chi ben governa e possiede ricchezza. In breve, premia l'inefficienza.
Non a caso è alla Sanità che la relazione allegata al Ddl dedica l'esempio più clamoroso: in dieci anni la spesa è raddoppiata ma il Sud resta fanalino di coda, anzi peggiora.
La strada maestra è così quella di avviare un «percorso graduale » di distribuzione delle risorse seguendo la stella polare dei costi standard delle prestazioni, garantendo flessibilità fiscale con un paniere di tributi propri e di compartecipazioni, tutti o quasi da definire, il più possibile «manovrabili».
Per Regioni ed enti locali si apre la sfida del rilancio delle economie territoriali grazie alle leve fiscali, anche con speciali esenzioni, deduzioni e agevolazioni.
Per Sanità, istruzione e assistenza la promessa è di garantire il «finanziamento integrale», sulla base dei costi standard, delle prestazioni essenziali. Il finanziamento avverrà col gettito dell'Irap –che però sarà sostituita con altri tributi propri regionali da individuare – poi con la compartecipazione regionale all'Irpef e all'Iva e con aliquote del Fondo perequativo.
I livelli essenziali saranno garantiti uniformemente in tutta Italia, è la parola d'ordine.
Il Fondo perequativo sarà alimentato dal gettito della compartecipazione regionale all'Iva e con quote della nuova «aliquota media di equilibrio »dell'addizionale regionale all'Irpef.
Le quote del Fondo saranno assegnate senza vincolo di destinazione.Per le altre funzioni (extra sanità, istruzione e assistenza) il finanziamento avverrà con i tributi regionali e quote del Fondo perequativo.
E quanto al finanziamento del trasporto pubblico locale, si terra conto di «un livello adeguato del servizio su tutto il territorio nazionale nonché dei costi standard».Altro capitolo aperto riguarda Comuni, città metropolitane e Province. Lo Stato individua i tributi propri locali, ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili, le aliquote valide in tutta Italia.
Le Regioni potranno istituire nuovi tributi comunali e provinciali, indicando gli ambiti di autonomia.
Gli enti locali, a loro volta, potranno modificare le aliquote di tributi loro assegnati e introdurre agevolazioni.
E avranno «piena autonomia» nel determinare le tariffe per prestazioni e servizi offerti «anche su richiesta dei cittadini».
Capacità fiscali e costi standard saranno insomma anche per gli enti locali le basi per il finanziamento delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni, grazie al tributi propri, alle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali e regionali e al Fondo perequativo.
Una scommessa.
Che ora si gioca al tavolo con sindaci e governatori.

----------------------------------------------------------------------------------------------


La scelta di Bolzano: «Le nostre risorse non si toccano»


di Davide Colombo


«La proposta di attuazione del federalismo fiscale presentata dal ministro Roberto Calderoli ci sembra migliore rispetto al disegno di legge del vecchio Governo. Ma sia chiaro che sulla partecipazione al fondo di perequazione si dovrà discutere. E dico subito che noi siamo pronti anche ad accollarci nuove spese ma non certo a cedere risorse che oggi sono garantite dallo Statuto».
Luis Durnwalder, 66 anni, presidente della Provincia autonoma di Bolzano ed esponente storico delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome, non ha cambiato idea sulle modalità con cui dovrà essere costruita la solidarietà tra Regioni:
«Noi siamo pronti a sostenere spese per strutture dello Stato presenti sul nostro territorio come le agenzie del demanio e delle entrate, i tribunali, le poste. Siamo pronti persino a pagare noi i programmi Rai in lingua ladina a tedesca e possiamo autofinanziarci nuove funzioni che lo Stato ci vorrà trasferire.
Ma non possiamo mettere risorse nostre in un fondo che poi le redistribuisce ad altri».Attualmente la Provincia di Bolzano (un territorio per l'84%sopra i mille metri di altitudine) trattiene il 90% delle imposte erariali.
Un gettito che, l'anno scorso, ha garantito oltre 3,5 miliardi di entrate. Il 13,5% di queste risorse sono trasferite ai Comuni:
«Noi l'Ici sulla prima abitazione non l'applichiamo più da tre anni e la Provincia finanzia i municipi per sostenere progetti speciali».
Il nodo della perequazione, secondo Durnwalder, deve essere affrontata singolarmente per le autonomie speciali:
«Anche noi siamo molto diversi, abbiamo statuti diversi e negli ultimi decenni abbiamo avuto storie di crescita economica diverse ». Dunque trattative bilaterali, o quasi, con il Governo:
«Oltre al fondo di perequazione c'è da chiarire come il nuovo federalismo fiscale incrocerà con il Patto di stabilità interno, cosa cambia per le Regioni che lo rispettano e quelle che sforano, quali sanzioni arriveranno.
Noi, in questa prospettiva, vorremmo che si guardasse ai saldi finali e non si discutesse più delle scelte di spesa tra i vari capitoli di bilancio».Nessun automatismo uguale per tutti sulle compartecipazioni, insomma, mentre sul paniere dei nuovi tributi la porta è aperta:
«La capacità fiscale della nostra Provincia è buona perché l'economia è forte.
Se dovessimo introdurre nuovi tributi propri, diversi da quelli erariali, siamo anche pronti a farlo dice ancora Durnwalder ma la priorità ora è far capire al ministro Calderoli che non è possibile far altro che trovare un accordo comune». L'anno scorso, quando toccò ai ministri Linda Lanzillotta e Tommaso Padoa- Schioppa presentare il loro disegno di legge delega sul federalismo fiscale i tre senatori del Suedtiroler Volkspartei fecero la differenza:
«Questa volta le maggioranza sono diverse ammette Durnwalder ma è anche diverso il ministro. La Lega ha una visione del federalismo che non è in contrasto con la nostra lunga storia di autonomia. Si tratta di dialogare e trovare un punto d'incontro. Sapendo che non tutte le Regioni a Statuto speciale sono uguali».

PER UNA NOTTE INSORGENTE

Leggi tutto »

venerdì 25 luglio 2008

869 anniversario dell'Indipendenza (25 LUGLIO 1139 - 25 LUGLIO 2008)


Il 25 luglio di ogni anno dovremmo celebrare la nascita del Regno di Sicilia, avvenuta il 25 luglio 1139 quando S.M. Ruggiero dopo aver sconfitto definitivamente e fatto prigioniero il suo acerrimo nemico papa "Innocenzo II" e fu incoronato dallo stesso Re di Sicilia.

All'epoca 'O Regno Nuosto comprendeva oltre la Sicilia, le Calabrie, Lucania, Principato di Citra e Molise, Principato Ulteriore, la Terra d'Otranto, la Terra di Bari, Capitanata, Napoli e Terra di Lavoro; solo nel 1150 gli Abruzzi furono uniti al Regno, completando quell'unità che per i territori continentali che d'allora non è stata mai più scissa, nemmeno sotto la dominazione del Regno di Sardegna (poi diventato truffaldinamente Regno d’Italia) e dalla repubblica sarda (repubblica italiana).

La nostra unità s'interrompe nel 1285 quando la Sicilia riuscì a mettere in atto la sua secessione diventando un Regno a se. Si formarono due regni uno comprendente tutti i territori continentali della regione geografica "Due Sicilie" ovvero la Napolitania con capitale Napoli, e un regno comprendente l'isola Sicilia con capitale Palermo entrambi pretesero fino al 1442 di chiamarsi Regno di Sicilia.

Nel 1442 Alfonzo I, entrò a Napoli diventò re di entrambi i regni d'allora pur rimanendo entrambi gli stati sovrani furono uniti nella persona di un solo sovrano che fu indicato come Rex Sicilie et Ultribadum et Hierusalem ovvero Re delle Due Sicilie e di Gerusalemme.

I due stati si unirono in un solo regno solo il 16 dicembre 1816 per volere di S.M. Ferdinando IV di Napoli, Ferdinando III per la Sicilia diventando: Regno delle Due Sicilie e il loro sovrano prese il nome di S.M. Ferdinando I, non come vittorio emanuele, che dopo aver allargato i confini del suo regno fino a capo Passero, continuò a farsi chiamare secondo facendo intendere che nella penisola ci dovevano essere e ci sono ancora uomini non tutti uguali e di stessa dignità.

Ricordiamo il 25 luglio 1139 è importante perchè:

1) Nacque un paese che possiamo chiamare patria sia noi dei territori continentali, i Napolitani, sia i Siciliani. La Padania non è mai esistita come stato.

2) Nacque la nostra identità di Napolitani e la Nazione Napolitana.

3) Iniziò un periodo d'indipendenza che durò 722 anni più di quanto è durato l'impero romano e cinque volte più lungo del periodo unità italiana.

4) Nacque uno stato, o almeno tra il 1285 e il 1816 due stati, che tutelarono tutti i nostri interessi in ogni attività , materia che riguardava la nostra vita e ci rappresentava in tutto il mondo, oggi non possiamo dire lo stesso.

5) Tutta la nostra cultura è formata nei settecento anni di indipendenza: la cansone napoletana, dal XII secolo in avanti oggi non si scrivono più canzoni inedite, la letteratura in lingua napoletana, le nostre tradizioni, fino alla gastronomia: la mozzarella, la pizza oggi apprezzate in tutto il mondo sono nate quando eravamo indipendenti. Niente si è formato culturalmente dal 1860 in avanti anzi tante cose sono state perse o rischiano di perdersi.

6) Esiste una continuità di appartenenza nazionale per i napolitani ed i siciliani che parte dal 25 luglio 1139 ed arriva al 14 febbraio 1861. Per questi e per altri motivi altrettanto validi che possono venirvi in mente il 25 luglio esponiamo la nostra bandiera, la bandiera nazionale, bianca (colore della pace) con al centro lo scudo con le armi di tutte le dinastie, del Regno di Gesusalemme e dei paesi legati alle Due Sicilie.

Buon 25 luglio a tutti i compatrioti.


Joseph Epomeo
Leggi tutto »

Il 25 luglio di ogni anno dovremmo celebrare la nascita del Regno di Sicilia, avvenuta il 25 luglio 1139 quando S.M. Ruggiero dopo aver sconfitto definitivamente e fatto prigioniero il suo acerrimo nemico papa "Innocenzo II" e fu incoronato dallo stesso Re di Sicilia.

All'epoca 'O Regno Nuosto comprendeva oltre la Sicilia, le Calabrie, Lucania, Principato di Citra e Molise, Principato Ulteriore, la Terra d'Otranto, la Terra di Bari, Capitanata, Napoli e Terra di Lavoro; solo nel 1150 gli Abruzzi furono uniti al Regno, completando quell'unità che per i territori continentali che d'allora non è stata mai più scissa, nemmeno sotto la dominazione del Regno di Sardegna (poi diventato truffaldinamente Regno d’Italia) e dalla repubblica sarda (repubblica italiana).

La nostra unità s'interrompe nel 1285 quando la Sicilia riuscì a mettere in atto la sua secessione diventando un Regno a se. Si formarono due regni uno comprendente tutti i territori continentali della regione geografica "Due Sicilie" ovvero la Napolitania con capitale Napoli, e un regno comprendente l'isola Sicilia con capitale Palermo entrambi pretesero fino al 1442 di chiamarsi Regno di Sicilia.

Nel 1442 Alfonzo I, entrò a Napoli diventò re di entrambi i regni d'allora pur rimanendo entrambi gli stati sovrani furono uniti nella persona di un solo sovrano che fu indicato come Rex Sicilie et Ultribadum et Hierusalem ovvero Re delle Due Sicilie e di Gerusalemme.

I due stati si unirono in un solo regno solo il 16 dicembre 1816 per volere di S.M. Ferdinando IV di Napoli, Ferdinando III per la Sicilia diventando: Regno delle Due Sicilie e il loro sovrano prese il nome di S.M. Ferdinando I, non come vittorio emanuele, che dopo aver allargato i confini del suo regno fino a capo Passero, continuò a farsi chiamare secondo facendo intendere che nella penisola ci dovevano essere e ci sono ancora uomini non tutti uguali e di stessa dignità.

Ricordiamo il 25 luglio 1139 è importante perchè:

1) Nacque un paese che possiamo chiamare patria sia noi dei territori continentali, i Napolitani, sia i Siciliani. La Padania non è mai esistita come stato.

2) Nacque la nostra identità di Napolitani e la Nazione Napolitana.

3) Iniziò un periodo d'indipendenza che durò 722 anni più di quanto è durato l'impero romano e cinque volte più lungo del periodo unità italiana.

4) Nacque uno stato, o almeno tra il 1285 e il 1816 due stati, che tutelarono tutti i nostri interessi in ogni attività , materia che riguardava la nostra vita e ci rappresentava in tutto il mondo, oggi non possiamo dire lo stesso.

5) Tutta la nostra cultura è formata nei settecento anni di indipendenza: la cansone napoletana, dal XII secolo in avanti oggi non si scrivono più canzoni inedite, la letteratura in lingua napoletana, le nostre tradizioni, fino alla gastronomia: la mozzarella, la pizza oggi apprezzate in tutto il mondo sono nate quando eravamo indipendenti. Niente si è formato culturalmente dal 1860 in avanti anzi tante cose sono state perse o rischiano di perdersi.

6) Esiste una continuità di appartenenza nazionale per i napolitani ed i siciliani che parte dal 25 luglio 1139 ed arriva al 14 febbraio 1861. Per questi e per altri motivi altrettanto validi che possono venirvi in mente il 25 luglio esponiamo la nostra bandiera, la bandiera nazionale, bianca (colore della pace) con al centro lo scudo con le armi di tutte le dinastie, del Regno di Gesusalemme e dei paesi legati alle Due Sicilie.

Buon 25 luglio a tutti i compatrioti.


Joseph Epomeo

LA VERGOGNA NON ESISTE IN CASA BOSSI !


Ricevo e posto :


La vergogna non esiste in casa Bossi se si permette di dichiarare guerra agli insegnanti del sud dimenticando che sono Italiani e lavoratori.

Bossi dovrebbe vergognarsi se denigra l’Inno Nazionale degli Italiani,che è anche suo,calpestando così valori patriottici e Nazionali.

Come mai, per mantenere il suo potere, accusa la politica dei ladroni di Roma, essendone egli stesso parte integrante? Così afferma di essere ladro in eguale misura !

Perché i suoi rappresentanti politici alla Camera e al Senato, luoghi prettamente italiani e dove si dovrebbe parlare del bene del popolo e della Nazione, si presentano coi segni della Lega e della Padania? Ci sono forse due Italie?

Il Movimento della Sovranità Popolare vuole ricordare a Bossi che le industrie del nord vendono i loro prodotti al sud e sarebbe veramente una cosa incresciosa se questi fossero respinti al mittente. Sarebbe la guerra tra i poveri!

Il Movimento della Sovranità Popolare intende denunciare l’inganno di Bossi contro i lavoratori, affermando che solo gli ingenui possono abboccare al suo amo.

Perché non fa sentire la sua voce per contrastare lo stipendio italiano suo e dei suoi deputati e senatori? Bossi non manda i suoi anatemi contro chi prende 35mila euro al mese di pensione.Non strilla per chi nella RAI prende 500mila euro al mese.Non strilla per quei dirigenti delle istituzioni italiane che guadagnano un milione e mezzo di euro l’anno.

Se la prende solo con povera gente del sud che sopravvive con un piccolo stipendio.

Sta facendo la guerra tra poveri.

Si vergogni!

Il nord si deve sentire Italiano e non Lega che vuole distruggere quel poco di solidarietà che è rimasta viva tra gli Italiani.

Si ricordi che sono stati soprattutto gli italiani del sud a portare la ricchezza agli italiani del nord.


IL PORTAVOCE DELL’M.S.P.
Sergio DE BARI
Leggi tutto »

Ricevo e posto :


La vergogna non esiste in casa Bossi se si permette di dichiarare guerra agli insegnanti del sud dimenticando che sono Italiani e lavoratori.

Bossi dovrebbe vergognarsi se denigra l’Inno Nazionale degli Italiani,che è anche suo,calpestando così valori patriottici e Nazionali.

Come mai, per mantenere il suo potere, accusa la politica dei ladroni di Roma, essendone egli stesso parte integrante? Così afferma di essere ladro in eguale misura !

Perché i suoi rappresentanti politici alla Camera e al Senato, luoghi prettamente italiani e dove si dovrebbe parlare del bene del popolo e della Nazione, si presentano coi segni della Lega e della Padania? Ci sono forse due Italie?

Il Movimento della Sovranità Popolare vuole ricordare a Bossi che le industrie del nord vendono i loro prodotti al sud e sarebbe veramente una cosa incresciosa se questi fossero respinti al mittente. Sarebbe la guerra tra i poveri!

Il Movimento della Sovranità Popolare intende denunciare l’inganno di Bossi contro i lavoratori, affermando che solo gli ingenui possono abboccare al suo amo.

Perché non fa sentire la sua voce per contrastare lo stipendio italiano suo e dei suoi deputati e senatori? Bossi non manda i suoi anatemi contro chi prende 35mila euro al mese di pensione.Non strilla per chi nella RAI prende 500mila euro al mese.Non strilla per quei dirigenti delle istituzioni italiane che guadagnano un milione e mezzo di euro l’anno.

Se la prende solo con povera gente del sud che sopravvive con un piccolo stipendio.

Sta facendo la guerra tra poveri.

Si vergogni!

Il nord si deve sentire Italiano e non Lega che vuole distruggere quel poco di solidarietà che è rimasta viva tra gli Italiani.

Si ricordi che sono stati soprattutto gli italiani del sud a portare la ricchezza agli italiani del nord.


IL PORTAVOCE DELL’M.S.P.
Sergio DE BARI

Discariche illegali




Guarda la mappa delle discariche illegali
Esistono attualmente ben 41 sversatoi illegati (5500 metri cubi di rifiuti) a Napoli, a causa dell’emergenza rifiuti. I casi più eclatanti ad Agnano, Ponticelli e Capodichino, assediati da mega-discariche a cielo aperto. Nel frattempo i cumuli crescono anche in altre strade.
In questi 41 discariche illegali si trovano rifiuti pericolosi di ogni genere:amianto, pneumatici, batterie d´auto.
Il comune di Napoli si impegna a individuare un sito “provvisorio” di stoccaggio entro sette giorni, molto probabilmente il sito si troverà, guardacaso, fuori città. Trasferimento e stoccaggio “provvisorio” costeranno circa 8 milioni di Euro.
Indignarsi per tutto questo mi sembra il minimo:
A Napoli, un cumulone di spazzatura non raccolta rappresenta un’occasione ghiotta per sbarazzari di materiali pericolosi a costo zero. In questo modo, col tempo, si crea a tutti gli effetti una discarica di rifiuti speciali a cielo aperto e vicina alle abitazioni. L’amianto è un materiale pericolossimo per la salute, non esiste una soglia di rischio al di sotto della quale la concentrazione di fibre di amianto nell’aria non sia pericolosa; teoricamente l’inalazione anche di una sola fibra può causare il mesotelioma ed altre patologie mortali come il carcinoma polmonare.
Perchè (da gennaio 08 in poi) non è partito un piano serio di raccolta differenziata e di riduzione ,per legge, degli imballaggi ma ci si è accaniti solo con la popolazione di Chiaiano per costruire una discarica inutile e dannosa per la salute ? Vi ricordo che saranno sversati, per legge, anche rifiuti pericolosi nella cava non idonea di Chiaiano.
Esiste a Parco Saurino,
Ganapini insegna, una discarica da 400mila metri cubi già allestita e pronta all’uso dal 2003, con vasche per la raccolta del percolato e quant’altro. Non è stata mai utilizzata e chissà quanto denaro pubblico è costato realizzarla. Sia ben chiaro, siamo contro la realizzazione di megadiscariche ed inceneritori, ma lo sversatoio in questione avrebbe potuto ricevere l’immondizia di tutta la Campania per 6 mesi. Non si sarebbe verificata l’emergenza, non ci sarebbero state le discariche illegali di rifiuti speciali presenti tutt’oggi sul territorio di Napoli, ma aggiungo, anche della provincia.
Infine, la discarica di cui sopra avrebbe evitato altro spreco di denaro pubblico, nella fattispecie mi riferisco ai famosi 8 milioni di Euro necessari per il trasferimento e lo stoccaggio “provvisorio” dei rifiuti speciali provenienti dalle 41 discariche illegali di Napoli.
I 5500 metri cubi di rifiuti speciali, vera e propria bomba ecologica, dove andranno a finire? Semplice, sarà la periferia a pagare il conto. Una periferia martoriata da discariche illegali e legali. Terreni fertili che davano alla luce prodotti d’eccellenza dell’agroalimentare campano, ora sono costretti ad ingoiare veleni che provocano una morte silenziosa. Ricordiamo Taverna del Re, a nord di Napoli, dove sono ammassate milioni di ecoballe che di eco non hanno nulla,ma sanno unicamante di balle.
Le ultime balle parlano di un’emergenza finita, purtroppo a Napoli lo sporco è stato nascosto sotto il tappeto, in modo tale che nessuno lo possa vedere.
“Dottò à munnezza è oro”, affermava un noto pentito di camorra durante un interrogatorio.Discariche ed inceneritori trasformano la merda in oro. Lo ha capito anche lo Stato. Ed i cittadini ne pagano le conseguenze.Campania (in)felix.


Ciccio

Leggi l’articolo di
Repubblica.it
http://www.chiaianodiscarica.it/
Leggi tutto »



Guarda la mappa delle discariche illegali
Esistono attualmente ben 41 sversatoi illegati (5500 metri cubi di rifiuti) a Napoli, a causa dell’emergenza rifiuti. I casi più eclatanti ad Agnano, Ponticelli e Capodichino, assediati da mega-discariche a cielo aperto. Nel frattempo i cumuli crescono anche in altre strade.
In questi 41 discariche illegali si trovano rifiuti pericolosi di ogni genere:amianto, pneumatici, batterie d´auto.
Il comune di Napoli si impegna a individuare un sito “provvisorio” di stoccaggio entro sette giorni, molto probabilmente il sito si troverà, guardacaso, fuori città. Trasferimento e stoccaggio “provvisorio” costeranno circa 8 milioni di Euro.
Indignarsi per tutto questo mi sembra il minimo:
A Napoli, un cumulone di spazzatura non raccolta rappresenta un’occasione ghiotta per sbarazzari di materiali pericolosi a costo zero. In questo modo, col tempo, si crea a tutti gli effetti una discarica di rifiuti speciali a cielo aperto e vicina alle abitazioni. L’amianto è un materiale pericolossimo per la salute, non esiste una soglia di rischio al di sotto della quale la concentrazione di fibre di amianto nell’aria non sia pericolosa; teoricamente l’inalazione anche di una sola fibra può causare il mesotelioma ed altre patologie mortali come il carcinoma polmonare.
Perchè (da gennaio 08 in poi) non è partito un piano serio di raccolta differenziata e di riduzione ,per legge, degli imballaggi ma ci si è accaniti solo con la popolazione di Chiaiano per costruire una discarica inutile e dannosa per la salute ? Vi ricordo che saranno sversati, per legge, anche rifiuti pericolosi nella cava non idonea di Chiaiano.
Esiste a Parco Saurino,
Ganapini insegna, una discarica da 400mila metri cubi già allestita e pronta all’uso dal 2003, con vasche per la raccolta del percolato e quant’altro. Non è stata mai utilizzata e chissà quanto denaro pubblico è costato realizzarla. Sia ben chiaro, siamo contro la realizzazione di megadiscariche ed inceneritori, ma lo sversatoio in questione avrebbe potuto ricevere l’immondizia di tutta la Campania per 6 mesi. Non si sarebbe verificata l’emergenza, non ci sarebbero state le discariche illegali di rifiuti speciali presenti tutt’oggi sul territorio di Napoli, ma aggiungo, anche della provincia.
Infine, la discarica di cui sopra avrebbe evitato altro spreco di denaro pubblico, nella fattispecie mi riferisco ai famosi 8 milioni di Euro necessari per il trasferimento e lo stoccaggio “provvisorio” dei rifiuti speciali provenienti dalle 41 discariche illegali di Napoli.
I 5500 metri cubi di rifiuti speciali, vera e propria bomba ecologica, dove andranno a finire? Semplice, sarà la periferia a pagare il conto. Una periferia martoriata da discariche illegali e legali. Terreni fertili che davano alla luce prodotti d’eccellenza dell’agroalimentare campano, ora sono costretti ad ingoiare veleni che provocano una morte silenziosa. Ricordiamo Taverna del Re, a nord di Napoli, dove sono ammassate milioni di ecoballe che di eco non hanno nulla,ma sanno unicamante di balle.
Le ultime balle parlano di un’emergenza finita, purtroppo a Napoli lo sporco è stato nascosto sotto il tappeto, in modo tale che nessuno lo possa vedere.
“Dottò à munnezza è oro”, affermava un noto pentito di camorra durante un interrogatorio.Discariche ed inceneritori trasformano la merda in oro. Lo ha capito anche lo Stato. Ed i cittadini ne pagano le conseguenze.Campania (in)felix.


Ciccio

Leggi l’articolo di
Repubblica.it
http://www.chiaianodiscarica.it/

giovedì 24 luglio 2008

Silvio è salvo!

Io sono diverso di fronte alla legge!



Con l’approvazione del Lodo Alfano, Silvio e le altre 3 cariche più importanti dello Stato guadagnano l’immunità di fronte alla legge:

in via del tutto incostituzionale, loro non sono uguali agli altri di fronte alla legge.

Potete leggere cosa ne pensa Il Giornale di Silvio e cosa ne pensano all’estero El Paìs e la BBC.
Leggi tutto »
Io sono diverso di fronte alla legge!



Con l’approvazione del Lodo Alfano, Silvio e le altre 3 cariche più importanti dello Stato guadagnano l’immunità di fronte alla legge:

in via del tutto incostituzionale, loro non sono uguali agli altri di fronte alla legge.

Potete leggere cosa ne pensa Il Giornale di Silvio e cosa ne pensano all’estero El Paìs e la BBC.

FEDERALISMO FISCALE ? SI, NO, FORSE ...


Ricevo da Genova queste interessanti considerazioni che posto :



Umberto Bossi e la Lega Nord vogliono il federalismo fiscale e la riduzione delle tasse ?


Claudio Burlando, Presidente della Regione Liguria, li prende molto seriamente e si adegua, ma il Governo gli sbatte le porte in faccia !!!


Tutti i giorni, anche al bar, mentre gustiamo un costosissimo caffè, sentiamo parlare di politici che fanno promesse e poi non le mantengono.

Di solito sentiamo anche chi attacca e chi difende il governo di turno: è un rito, un abitudine che non ci accompagna da molti anni.

Quello che è successo questa mattina, nei bar di Genova, ha veramente qualcosa di incredibile !!! Il Governo Berlusconi e il sedicente federalista Bossi, da sempre scagliato contro quella che lui definiva Roma ladrona, hanno incassano il massimo delle critiche !!!

Proprio così, si sentono ovunque persone che stanno raccontando la disavventura capitata alla Regione Liguria, guidata da Claudio Burlando.

Andiamo ai fatti così potete capire meglio.

Claudio Burlando, Governatore della Liguria, dichiara finalmente di essere pronto, con la regione a ridurre le tasse per 141.000 famiglie, naturalmente le più povere, tutto questo grazie a un taglio alle imposte di competenza per un totale di 16.000.000 di Euro.

Quì però viene a galla il comportamento anti-federalista fiscale.

Secondo il Governo, se la Regione Liguria abbassa le tasse, non potrà più usufruire del fondo straordinario per la sanità di questo biennio e rischia un taglio da ROMA per 78.000.000 di Euro !!!!

A lanciare l'allarme e smascherare il comportamento anti federalista è proprio Claudio Burlando, che documenti alla mano, si spiega nel bel mezzo del dibattito in consiglio sui temi della sanità, senza riuscire a nascondere il sincero imbarazzo per quanto stà accadendo.

Claudio Burlando ha subito contattato Gianni Letta, il braccio destro di Berlusconi, che ha dichiarato che verificherà la questione.

Intanto la Liguria incassa questo colpo anti-federalista.

Sorgono allora spontanee due domande...

La prima: ma il federalismo fiscale e la riduzione delle tasse non erano i principali cavalli di battaglia di Bossi e Berlusconi ?

Seconda domanda: cosa dirà l'ex governatore della Liguria Sandro Biasotti, attuale parlamentare di maggioranza, al suo elettorato ?


Claudia Foddanu
Genova
Confederazione dei Democristiani di Centro"
Leggi tutto »

Ricevo da Genova queste interessanti considerazioni che posto :



Umberto Bossi e la Lega Nord vogliono il federalismo fiscale e la riduzione delle tasse ?


Claudio Burlando, Presidente della Regione Liguria, li prende molto seriamente e si adegua, ma il Governo gli sbatte le porte in faccia !!!


Tutti i giorni, anche al bar, mentre gustiamo un costosissimo caffè, sentiamo parlare di politici che fanno promesse e poi non le mantengono.

Di solito sentiamo anche chi attacca e chi difende il governo di turno: è un rito, un abitudine che non ci accompagna da molti anni.

Quello che è successo questa mattina, nei bar di Genova, ha veramente qualcosa di incredibile !!! Il Governo Berlusconi e il sedicente federalista Bossi, da sempre scagliato contro quella che lui definiva Roma ladrona, hanno incassano il massimo delle critiche !!!

Proprio così, si sentono ovunque persone che stanno raccontando la disavventura capitata alla Regione Liguria, guidata da Claudio Burlando.

Andiamo ai fatti così potete capire meglio.

Claudio Burlando, Governatore della Liguria, dichiara finalmente di essere pronto, con la regione a ridurre le tasse per 141.000 famiglie, naturalmente le più povere, tutto questo grazie a un taglio alle imposte di competenza per un totale di 16.000.000 di Euro.

Quì però viene a galla il comportamento anti-federalista fiscale.

Secondo il Governo, se la Regione Liguria abbassa le tasse, non potrà più usufruire del fondo straordinario per la sanità di questo biennio e rischia un taglio da ROMA per 78.000.000 di Euro !!!!

A lanciare l'allarme e smascherare il comportamento anti federalista è proprio Claudio Burlando, che documenti alla mano, si spiega nel bel mezzo del dibattito in consiglio sui temi della sanità, senza riuscire a nascondere il sincero imbarazzo per quanto stà accadendo.

Claudio Burlando ha subito contattato Gianni Letta, il braccio destro di Berlusconi, che ha dichiarato che verificherà la questione.

Intanto la Liguria incassa questo colpo anti-federalista.

Sorgono allora spontanee due domande...

La prima: ma il federalismo fiscale e la riduzione delle tasse non erano i principali cavalli di battaglia di Bossi e Berlusconi ?

Seconda domanda: cosa dirà l'ex governatore della Liguria Sandro Biasotti, attuale parlamentare di maggioranza, al suo elettorato ?


Claudia Foddanu
Genova
Confederazione dei Democristiani di Centro"

 
[Privacy]
Design by Free WordPress Themes | Bloggerized by Lasantha - Premium Blogger Themes | Hot Sonakshi Sinha, Car Price in India